Baruch Spinoza - La natura irriducibile di Dio


Immagine Baruch Spinoza
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nella prima sezione dell'Etica, Spinoza espone la sua visione di Dio come unica sostanza infinita, la libera e immanente causa di tutte le cose, manifestando la sua potenza in modi infiniti. Questo concetto porta a visualizzare la natura come intrinsecamente legata alla propria costituzione e alle sue leggi, essendo una diretta manifestazione della necessità intrinseca di Dio. Ciò implica che la natura non è influenzata dagli obiettivi umani che emergono dai loro piani e aspirazioni. Nell'Appendice alla parte I, Spinoza trae conclusioni dal suo teorico concetto di sostanza divina riguardo al modo corretto di concepire Dio: è irrazionale attribuire a Dio scopi d'azione simili ai criteri utilitaristici che gli uomini utilizzano per perseguire il proprio benessere. Questa considerazione è valida sia per gli scopi della natura nel suo complesso (che non dovrebbe essere interpretata in chiave antropocentrica, ossia come strumento al servizio dell'uomo), sia per le presunte azioni provvidenziali di Dio negli eventi mondani (dove la fantasia umana spesso raggiunge il paradosso e il ridicolo, cercando di imporre a Dio i propri schemi e desideri).


Lettura


Con ciò ho spiegato la natura di Dio e le sue proprietà: che esiste necessariamente; che è unico; che è ed agisce per la sola necessità della sua natura; che è, ed in qual maniera, causa libera di tutte le cose; che tutte le cose sono in Dio e dipendono da lui, sicché senza di lui non possono né essere né essere concepite; e infine che tutte le cose sono state predeterminate da Dio, non già dalla libertà della volontà, ossia dall'assoluto beneplacito, bensì dalla natura assoluta, ossia dall'infinita potenza di Dio. [...]

E poiché tutti i pregiudizi che passo a indicare dipendono da questo soltanto, che cioè gli uomini comunemente suppongono che tutte le cose naturali, come essi stessi, agiscano per un fine, e anzi asseriscono come cosa certa che lo stesso Dio dirige a un certo fine tutte le cose, – dicono infatti che Dio ha fatto tutte le cose per l'uomo, e l'uomo perché adorasse lui, – per questo considererò dapprima soltanto questo pregiudizio, cercando cioè in primo luogo la causa per cui i più vi si adagino, e tutti, per natura, siano così propensi ad accoglierlo. [...]

Qui basterà che io prenda a fondamento ciò che da tutti deve essere ammesso, e precisamente questo, che tutti gli uomini nascono ignari delle cause delle cose, e che tutti hanno l'appetito di cercare il loro utile, della qual cosa sono consci. Da ciò segue, in primo luogo, che gli uomini si ritengono liberi, dato che sono consci delle proprie volizioni e del proprio appetito; mentre le cause, da cui sono disposti ad appetire e a volere, poiché ne sono ignari, non se le sognano nemmeno.

Segue, in secondo luogo, che gli uomini fanno tutto per un fine, cioè per l'utile, che appetiscono; onde avviene che desiderano sapere sempre solamente le cause finali delle cose passate, e che dopo averle udite, si acquietino; certo perché non hanno nessuna causa di dubitare ulteriormente. Se poi non possono udirle da qualcuno, non resta loro che volgersi a se stessi, e riflettere sui fini da cui essi stessi sogliono essere determinati a cose simili, e così, di necessità, giudicano l'indole altrui alla stregua della loro. Poi, trovando in sé e fuori di sé non pochi mezzi, che giovano parecchio per conseguire il proprio utile, come per esempio, gli occhi per vedere, i denti per masticare, erbe ed animali per cibarsi, sole per illuminare, mare per allevar pesci, eccetera, è avvenuto che considerino tutte le cose naturali come mezzi per il loro utile; e poiché sanno che quei mezzi sono stati da loro trovati ma non preparati, ne hanno tratto motivo per credere che esista qualcun altro che ha preparato quei mezzi per loro uso. Infatti, dopo aver considerato le cose come mezzi, non poterono credere che esse si fossero fatte da sé; ma dai mezzi che essi stessi sogliono prepararsi, doverono concludere che ci fosse qualche o alcuni reggitori della natura, forniti di libertà umana, che si fossero curati di tutto per loro, e avessero fatto tutto per loro uso. [...]

Ora non abbisogna molto per dimostrare che la natura non si è prefissa nessun fine, e che tutte le cause finali non sono che finzioni umane. [...] Poi questa dottrina distrugge la perfezione di Dio. Se infatti Dio agisce per un fine, necessariamente appetisce qualcosa di cui manca. [...]

Né qui va passato sotto silenzio che i seguaci di questa dottrina, che hanno voluto ostentare il loro talento nell'assegnare fini alle cose, per provare codesta loro dottrina, hanno introdotto un nuovo modo di argomentare, col ridurre cioè non all'impossibile, ma all'ignoranza; il che dimostra che nessun altro mezzo aveva più questa dottrina per sostenersi. Infatti, se per esempio, da un tetto cade una pietra in testa a qualcheduno e lo uccide, dimostreranno che la pietra è caduta per uccidere l'uomo in questo modo: se non è caduta a tal fine, per volontà di Dio, come mai hanno potuto convergere per quel caso tante circostanze (giacché spesso ne concorrono appunto molte insieme)? Forse risponderai che soffiava il vento e l'uomo passava di là, e che perciò è avvenuto. Ma domanderanno: perché il vento soffiò in quel momento? Perché in quel medesimo tempo l'uomo passava di là? Se rispondi ancora che il vento era sorto in quel momento per il fatto che il giorno precedente il mare, col tempo ancora tranquillo, aveva cominciato ad agitarsi; e per il fatto che l'uomo era stato invitato da un amico; chiederanno di nuovo – giacché non c'è fine al domandare – perché il mare era agitato, e perché l'uomo era stato invitato per quel giorno. E così via, non cesseranno di chiedere le cause delle cause, finché non ti sarai rifugiato nella volontà di Dio, cioè nell'asilo dell'ignoranza.

Così anche, quando vedono la struttura del corpo umano, si stupiscono, e dal momento che ignorano le cause di una sì grande arte, concludono che essa non è dovuta a un'arte meccanica, ma divina o soprannaturale, e che è costituita in modo tale, che una parte non leda l'altra. E di qui viene, che chi ricerca le vere cause dei miracoli, e chi si studia di capire da saggio le cose naturali e non di meravigliarsene come uno stolto, sia ritenuto e proclamato ora eretico e ora empio da quelli, che il volgo adora come interpreti della natura e degli Dei. Essi sanno infatti, che, tolta l'ignoranza, vien meno lo stupore, l'unico mezzo che abbiano di sostenere e difendere la loro autorità. [...]

Dopo essersi persuasi, che tutto ciò che avviene, avviene per loro, gli uomini hanno dovuto giudicare principale in ciascuna cosa, ciò che è più utile a loro stessi, e stimare come le più eccellenti quelle cose da cui venivano affetti con maggior beneficio. Quindi hanno dovuto formare queste nozioni per spiegare le cose naturali, cioè bene, male, ordine, confusione, caldo, freddo, bellezza e deformità. [...]
Dunque, hanno chiamato bene tutto ciò che giova al culto di Dio e alla salute, e male invece ciò che è contrario a questo.

E poiché quelli che non intendono la natura delle cose, ma solo le immaginano, in verità non affermano niente su di esse, e prendono per intelletto l'immaginazione, credono allora fermamente che ci sia un ordine nelle cose, ignari appunto delle cose e della propria natura. E così, quando sono disposte in modo che, rappresentate attraverso i sensi, le possiamo facilmente immaginare, e per conseguenza ce ne possiamo subito ricordare, le diciamo bene ordinate, se al contrario, male ordinate, ossia confuse. Dato anche che più delle altre ci sono grate quelle che possiamo facilmente immaginare, gli uomini preferiscono l'ordine alla confusione, quasi che l'ordine avesse in natura una realtà che non sia quella relativa alla nostra immaginazione. E dicono che Dio ha creato tutte le cose con ordine, e in questo modo, senza saperlo essi stessi, attribuiscono immaginazione a Dio, seppure non sostengono che Dio, prendendosi cura dell'umana immaginazione, abbia disposto tutte le cose in modo che potessero immaginarsi il più agevolmente possibile. Né li punge alcun dubbio nel trovare che infinite cose superano di gran lunga la nostra immaginazione, e tantissime la confondono addirittura, per la sua debolezza. [...]

Vediamo dunque che tutte le nozioni, con cui il volgo suole spiegare la natura, sono soltanto modi dell'immaginare, e non indicano la natura di nessuna cosa, ma solo la costituzione dell'immaginazione; e dato che hanno nomi, quasi di enti esistenti al di fuori dell'immaginazione, li chiamo enti di immaginazione e non enti di ragione; e così tutti gli argomenti che si appuntano contro di noi sulla base di simili nozioni, facilmente si possono respingere. Sono molti infatti quelli che sogliono argomentare così: se tutto è derivato dalla necessità della perfettissima natura di Dio, perché allora sono sorte tante imperfezioni nella natura? Cioè la corruzione delle cose sino al fetore, la deformità delle cose, tale da muover nausea, la confusione, il male, il peccato, eccetera. Ma, come ho appena detto, vengono facilmente confutati.

Infatti la perfezione delle cose bisogna misurarla dalla sola natura e potenza loro, perché esse non sono più o meno perfette per il fatto di dilettare i sensi degli uomini, o di offenderli, oppure per il fatto che si accordano o ripugnano all'umana natura.

A coloro poi che chiedono, perché Dio non creò tutti gli uomini in modo che si regolassero con la sola guida della ragione, non rispondo altro se non che a lui non mancò la materia per creare tutte le cose, dal massimo al minimo grado di perfezione; o per parlare più propriamente, perché le leggi della natura di Dio furono così ampie, da bastare a produrre tutte le cose che possono essere concepite da un intelletto infinito, come ho dimostrato nella proposizione 16.


Guida alla lettura


1) Individua e definisci, nel contesto della prima parte del brano, il significato delle seguenti espressioni riferite a Dio: natura, proprietà, causa libera.
Analizziamo le espressioni richieste nel contesto del brano di Spinoza fornito:

Natura di Dio:

Nel testo, la "natura di Dio" è descritta come la realtà fondamentale da cui tutto deriva e sulla quale tutto dipende. Spinoza utilizza il termine "natura" per indicare l'essenza intrinseca di Dio, che è sostanza unica e infinita, capace di esistere e agire per la sola necessità della sua natura. La natura di Dio, quindi, non è separabile da lui stesso, è il principio attivo e la causa di tutte le cose.

Proprietà di Dio:

Le "proprietà" di Dio, come descritte nel testo, includono il fatto che egli esiste necessariamente, è unico, è causa libera di tutte le cose e che tutto ciò che esiste è in Dio e non può essere concepito senza di lui. Queste proprietà sono caratteristiche essenziali che definiscono Dio come una sostanza infinita, in cui tutto esiste e da cui tutto deriva.

Causa libera:

L'espressione "causa libera", nel contesto di Spinoza, indica che Dio non agisce secondo un fine esterno o una volontà arbitraria, agisce per la sola necessità della sua natura. Questo concetto contrappone l'azione divina a quella degli esseri umani, i quali agiscono per scopi e fini determinati da desideri e bisogni esterni. La libertà di Dio, secondo Spinoza, sta nella sua totale indipendenza da qualsiasi condizionamento esterno, facendo sì che ogni sua azione sia l'espressione diretta e inevitabile della sua essenza.

Queste definizioni si inseriscono all'interno del rigoroso monismo spinoziano, per cui Dio o Natura (Deus sive Natura) costituisce l'unica sostanza reale, di cui ogni cosa è un modo, un'emanazione necessaria e inevitabile.

2) Definisci i concetti di fine e utile in relazione all'uomo.
Nel testo di Spinoza, i concetti di "fine" e "utile" sono strettamente collegati alla tendenza umana di interpretare la realtà e le azioni secondo un punto di vista antropocentrico, ossia attribuendo alle cose e agli eventi una finalità specifica che rientri nei propri interessi personali.

Il "fine" viene definito da Spinoza come un obiettivo o una motivazione per cui gli uomini suppongono che le cose naturali agiscano. Gli uomini, essendo generalmente inconsapevoli delle vere cause delle cose e agendo principalmente in base al proprio beneficio personale, tendono a interpretare tutto ciò che accade come se avesse lo scopo di soddisfare qualche loro bisogno o desiderio. Per esempio, Spinoza descrive come gli uomini possano attribuire agli oggetti naturali, come il sole o il mare, una funzione finalizzata esclusivamente al proprio utilizzo, pensando che queste cose siano state create appositamente per l'uomo.

L'"utile", nel contesto del testo, rappresenta ciò che gli uomini desiderano o ritengono vantaggioso per la propria esistenza e benessere. Questo concetto è evidente quando Spinoza parla di come gli uomini giudichino le cose principalmente in base alla loro utilità personale. Gli uomini valutano le varie entità e fenomeni naturali in termini di quanto questi siano benefici o nocivi per loro, formando così concetti come "bene" e "male" basati esclusivamente su valutazioni soggettive relative al proprio beneficio.

Quindi, secondo Spinoza, i concetti di "fine" e "utile" sono proiezioni umane che non riflettono la vera natura delle cose, ma piuttosto una misinterpretazione basata sull'ignoranza delle cause reali e sulla tendenza a vedere il mondo esclusivamente attraverso il filtro delle proprie necessità e desideri. Questo approccio porta gli uomini a supporre erroneamente che esista una volontà divina o soprannaturale che organizza l'universo secondo una logica finalistica e umano-centrica.

3) Definisci il concetto di miracolo.
Nel testo tratto dall'"Etica" di Baruch Spinoza, il concetto di miracolo viene inteso e analizzato in modo critico e razionale. Spinoza sostiene che le nozioni comuni riguardo ai miracoli derivano dall'ignoranza delle cause reali degli eventi e dalla tendenza umana a interpretare tali eventi in modo soprannaturale quando non si conoscono le loro vere cause. Questo accade perché gli uomini, essendo ignari delle cause delle cose, tendono a stupirsi di fronte a fenomeni che non riescono a spiegare attraverso le leggi naturali.

Inoltre, Spinoza critica l'idea che gli eventi miracolosi siano opere di un intervento divino, sostenendo che questa è un'espressione dell'ignoranza umana. Le persone, non comprendendo i meccanismi naturali dietro a determinati fenomeni, attribuiscono erroneamente tali eventi all'azione diretta di Dio. Egli argomenta che attribuire a Dio degli scopi e delle intenzioni umane, come farebbe chi crede nei miracoli come interventi divini per fini specifici, è irrazionale e riduce la perfezione divina.

Quindi, secondo Spinoza, il miracolo non è altro che una finzione umana derivante dall'ignoranza delle cause naturali e dalla tendenza a imputare un'intenzione divina dietro agli eventi che non si riescono a spiegare scientificamente.

4) Sulla base del testo, spiega come lavora l'immaginazione.
Nel testo, Spinoza tratta il ruolo dell'immaginazione nel modo in cui gli uomini comprendono e interpretano il mondo. Secondo lui, l'immaginazione non riflette la realtà delle cose, ma piuttosto le proiezioni e le interpretazioni dell'uomo basate sulla propria esperienza sensoriale e sui desideri.

L'immaginazione è descritta come un meccanismo che permette agli uomini di formare concetti come bene, male, ordine, confusione, caldo, freddo, bellezza e deformità, che sono modi di spiegare le cose naturali. Queste nozioni sono generate non da una comprensione reale della natura delle cose, ma dal modo in cui le cose appaiono agli uomini e li influenzano utilmente o negativamente.

Spinoza sottolinea che le nozioni create dall'immaginazione sono relative alla costituzione dell'immaginazione stessa e non indicano la vera natura delle cose. Infatti, dice che queste nozioni sono "enti di immaginazione" e non "enti di ragione". Questo significa che queste idee non hanno una base nella realtà oggettiva, ma sono piuttosto creazioni soggettive che emergono dal modo in cui gli uomini percepiscono e rispondono al mondo attraverso i sensi.

Inoltre, Spinoza critica la tendenza degli uomini a interpretare tutti gli eventi e le strutture naturali come se avessero un fine specifico o come se fossero creati per servire l'umanità. Questa proiezione di fini umani sulla natura è vista come un errore derivante dall'immaginazione, che spesso porta alla superstizione e alla falsa credenza in cause finali o divine.

In sintesi, secondo Spinoza, l'immaginazione è un potente strumento che gli uomini usano per dare senso al mondo, può facilmente portare a misconcezioni e interpretazioni errate della realtà naturale, poiché è intrinsecamente legata alla prospettiva e agli interessi umani, piuttosto che a una comprensione oggettiva del mondo.


Guida alla Comprensione


1) Che cosa c'è di sbagliato nell'attribuire dei fini a Dio? (Rispondi facendo riferimento alla sua natura.)
Secondo Spinoza, attribuire dei fini a Dio è sbagliato perché è incompatibile con la sua natura di essere supremo e perfetto. Nel testo, viene spiegato che se Dio agisse per un fine, ciò implicherebbe che Egli appetisca o desideri qualcosa che non possiede, il che contraddirebbe la sua perfezione. Dio è descritto come una sostanza infinita, che esiste e agisce per la sola necessità della sua natura e non per un fine esterno. Gli uomini, invece, sono propensi a pensare che tutto agisca per un fine, come loro stessi fanno, e questo li porta a interpretare erroneamente le azioni di Dio secondo questo schema.

Spinoza critica quindi l'antropomorfizzazione della natura e di Dio, cioè l'errore di attribuire caratteristiche umane alla divinità e agli eventi naturali. La credenza che Dio abbia creato il mondo per l'uomo e che regoli ogni evento per scopi specifici è vista come una finzione umana che nasce dall'ignoranza delle cause vere delle cose e dal desiderio di trovare un'utilità personale in tutto ciò che accade.

In sintesi, attribuire fini a Dio è errato perché limita la sua infinita perfezione e indipendenza, imponendogli limitazioni e motivazioni che sono proprie degli esseri umani e non di un essere divino assoluto e perfetto.

2) Perché gli uomini tendono a pensare che le cose naturali siano state prodotte in vista di un fine? (Rispondi facendo riferimento alla conoscenza che hanno di se stessi.)
Gli uomini tendono a pensare che le cose naturali siano state prodotte in vista di un fine principalmente perché interpretano il mondo esterno basandosi sulla propria esperienza interna e sui propri comportamenti. Secondo il testo di Spinoza, questa tendenza deriva dall'ignoranza degli uomini riguardo alle vere cause delle cose e dalla loro consapevolezza del proprio desiderio e delle proprie azioni volitive.

Spinoza spiega che gli uomini, sentendosi liberi nelle loro volizioni e appetiti e ignorando le vere cause che li spingono a desiderare e agire, naturalmente proiettano questa stessa percezione sugli oggetti del mondo esterno. Quindi, quando non comprendono le cause delle cose, si rifanno alla propria esperienza di agire per fini personali e concludono che anche le cose naturali devono essere state create per un fine specifico, spesso ritenendo che questo fine sia legato all'utile umano.

In breve, la tendenza degli uomini a pensare che le cose naturali siano prodotte in vista di un fine è radicata nella loro limitata comprensione delle cause reali e nell'erronea proiezione della propria natura intenzionale sulle cose naturali, come evidenziato da Spinoza nel suo testo.

3) Perché porre come causa ultima di tutte le cose la volontà di Dio è «l'asilo dell'ignoranza»?
Il concetto di attribuire la volontà di Dio come causa ultima di tutte le cose viene definito da Spinoza come "l'asilo dell'ignoranza" perché deriva dalla tendenza umana a cercare spiegazioni semplici e definitive per fenomeni che non comprendono pienamente. Nel testo, Spinoza sostiene che questa abitudine nasce dalla mancanza di comprensione delle vere cause delle cose, spingendo gli uomini a rifugiarsi nell'idea di una volontà divina quando non riescono a trovare altre spiegazioni. Questo atteggiamento si basa sulla convinzione che tutto quanto accade debba avere uno scopo specifico e benefico per l'umanità, un concetto che Spinoza critica come antropocentrico e irrazionale.

In particolare, Spinoza illustra come le persone, nell'ignoranza delle cause reali degli eventi naturali, tendano a interpretarli come se avessero scopi specifici, simili a quelli umani. Quando si verificano coincidenze o eventi, come una pietra che cade e colpisce qualcuno, invece di accettare la casualità o le cause naturali come il vento, le persone continuano a chiedere il perché fino a che non si rifugiano nell'idea che sia stato un atto deliberato di Dio. Questo, secondo Spinoza, è un segno di ignoranza, poiché le persone ricorrono alla volontà di Dio non per una reale comprensione, ma perché non riescono a immaginare altre spiegazioni.

In sintesi, definire la volontà di Dio come causa ultima di tutti gli eventi è per Spinoza un modo per evitare il confronto con la nostra ignoranza e con la complessità del mondo naturale, basandosi su una spiegazione che non richiede ulteriore indagine o comprensione.

4) Quale distorsione produce l'immaginazione nella conoscenza della realtà? (Rispondi facendo riferimento al bisogno umano di ordine.)
L'immaginazione produce una distorsione significativa nella conoscenza della realtà, in particolare nell'interpretazione e nella percezione di ordine e disordine nelle cose naturali. Secondo Spinoza, come si evince dal testo, le persone che non comprendono realmente la natura delle cose ma si basano sulla loro immaginazione, tendono a credere erroneamente che esista un ordine intrinseco nel mondo. Questo bisogno di ordine è radicato nella facilità con cui l'immaginazione umana può concepire e memorizzare le immagini e le situazioni: ciò che è facilmente immaginabile e ricordabile appare come "bene ordinato", mentre ciò che è complesso o difficile da immaginare viene percepito come "male ordinato" o confuso.

Questo bisogno di ordine porta quindi le persone a preferire ciò che è facilmente comprensibile e a ritenere che l'ordine sia una qualità oggettiva delle cose, piuttosto che una costruzione soggettiva della mente umana. Inoltre, gli individui finiscono per attribuire erroneamente a Dio l'intenzione di aver creato il mondo in modo che sia facilmente comprensibile per l'umana immaginazione, proiettando così le proprie limitazioni cognitive su un ente divino, come se anch'esso operasse secondo logiche umane.

In sintesi, secondo Spinoza, l'immaginazione distorce la conoscenza della realtà portando gli uomini a interpretare erroneamente le strutture naturali come ordinate o disordinate in base a criteri soggettivi e non oggettivi, influenzando così la comprensione del mondo in maniera antropocentrica e limitata.

5) Come possiamo usare il concetto di perfezione per valutare le cose? (Rispondi facendo riferimento sia alle cose singole, sia all'intera realtà.)
Nel testo di Spinoza, il concetto di perfezione è strettamente legato alla natura delle cose stesse e non ai giudizi estetici o utilitaristici umani. Spinoza critica l'idea comune che le cose siano perfette o imperfette basandosi su come esse appaiono o funzionano per gli uomini. Invece, sostiene che la perfezione delle cose debba essere misurata sulla base della loro natura e potenza intrinseca, indipendentemente dal loro impatto sui sensi o dalle loro conseguenze per l'umanità.

Per quanto riguarda le cose singole, Spinoza suggerisce che non sono "più o meno perfette" in virtù del fatto che possano piacere o dispiacere agli esseri umani, o perché si accordino o no con la natura umana. La loro perfezione si misura piuttosto dall'adempimento della loro natura specifica e dalla loro capacità di manifestare la potenza da cui derivano, che è la potenza di Dio.

Quanto all'intera realtà, la perfezione si riflette nella maniera in cui tutto quanto esiste è una manifestazione della necessità e dell'infinita potenza di Dio. Ogni singola cosa, dall'elemento più minimo all'intero cosmo, esprime questa perfezione divina nella misura in cui è un prodotto delle leggi immutabili e universali di Dio. Questo punto di vista contrappone l'idea di una creazione ordinata secondo fini specifici umani o divini e sottolinea una concezione più impersonale e deterministicamente naturale dell'universo.

In conclusione, secondo Spinoza, utilizzare il concetto di perfezione per valutare le cose significa riconoscere che tutto quanto esiste è una perfetta manifestazione della natura divina e non giudicare le cose basandosi su criteri umani di utilità o piacevolezza. Questo approccio elimina la proiezione di valori umani sulla natura e sottolinea un'apprezzamento più oggettivo e meno antropocentrico dell'esistenza.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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