Gottfried Wilhelm von Leibniz - L'uomo sceglie il proprio destino


Immagine Gottfried Wilhelm von Leibniz
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


I passaggi selezionati, estratti da differenti sezioni dei Saggi di Teodicea, riflettono come Leibniz affronti il dibattito sulla responsabilità umana nella definizione del proprio destino, all'interno di un universo concepito da Dio, dove ogni individuo agisce secondo la propria essenza. Leibniz si concentra principalmente su come liberare Dio dalle accuse di arbitrio e ingiustizia. Il primo passaggio analizza il cosiddetto "sofisma dell'ozio", che sostiene che in un mondo predeterminato, l'individuo potrebbe semplicemente lasciarsi andare al destino senza intervenire. Il secondo passaggio esplora la questione centrale della Teodicea riguardo alla giustizia divina e alla salvezza degli esseri umani. Il terzo passaggio chiarisce come ogni persona si conformi alla propria essenza e, in un certo senso, decida di essere se stessa. In questo contesto, Leibniz offre una sua interpretazione del dialogo di Lorenzo Valla, esposto nei paragrafi 406-412 del suo testo, e che egli ha apprezzato per l'approccio argomentativo, insieme al De servo arbitrio di Lutero. Pur riconoscendo che un individuo agisce in linea con il proprio temperamento, rimane il problema di esonerare Dio dalla responsabilità di aver assegnato a qualcuno una natura malvagia. Proseguendo la narrazione di Valla, Leibniz introduce un dialogo tra il sacerdote Teodoro e Giove, durante il quale il primo interroga il dio sul motivo per cui ha conferito a Sesto un carattere incline al male. Guidato da Pallade, figlia di Giove, nel palazzo dei destini, Teodoro riceve la spiegazione desiderata: ci sarebbero state molte varianti e conseguenze di altre possibili scelte di vita fatte da un Sesto leggermente differente da quello conosciuto; Giove non ha attribuito a lui una specifica natura, ha piuttosto consentito l'esistenza di quel mondo (in cui Sesto è tale) che risultava il migliore tra quelli possibili.


Lettura


Il sofisma pigro

Questa considerazione fa cadere, al tempo stesso, quello che dagli antichi era chiamato il sofisma pigro (lògos aergòs) che portava alla conclusione di non far nulla: infatti, si diceva, se ciò che io richiedo deve accadere, accadrà, quand'anche io non facessi niente; e se non deve accadere, non accadrà mai, per quanta pena mi dia per ottenerlo. Questa necessità che si immagina negli eventi, distaccata dalle loro cause, la si potrebbe chiamare fatum Mahometanum (come ho osservato sopra), poiché si dice che un argomento simile fa sì che i Turchi non evitino i luoghi dove infuria la peste.

La risposta però è pronta: dal momento che l'effetto è certo, lo sarà anche la causa che lo produrrà; e se l'effetto si produce, sarà in virtù di una causa proporzionata. Così la vostra pigrizia farà, forse, in modo che non otteniate niente di ciò che desiderate e che cadiate invece nei mali che avreste evitato agendo con cura.

Si vede dunque che il legame delle cause con l'effetto, ben lungi dal causare una fatalità insopportabile, fornisce piuttosto un modo per eliminarla. C'è un proverbio tedesco che dice che la morte vuol sempre avere una causa, e non c'è nulla di più vero. Voi morirete il tal giorno (supponiamo che sia così e che Dio lo preveda): sì, senza dubbio; ma ciò accadrà perché voi farete quel che vi ci condurrà.

Perché Dio non salva tutti?

I filosofi hanno considerato le questioni della necessità, della libertà e dell'origine del male; i teologi vi hanno aggiunto quelle del peccato originale, della grazia e della predestinazione. La corruzione originale del genere umano, derivata dal primo peccato, ci sembra avere imposto una necessità naturale di peccare, qualora si sia privi della grazia divina: dal momento però che la necessità è incompatibile con la punizione, se ne trarrà la conseguenza che una grazia sufficiente dovrebbe essere stata data a tutti gli uomini – la qual cosa, tuttavia, non pare troppo conforme all'esperienza.

La difficoltà è grande, soprattutto in rapporto alla destinazione, da parte di Dio, degli uomini alla salvezza. Pochi sono i salvati, o gli eletti: Dio dunque non ha la volontà deliberatoria di salvarne molti. E poiché si ammette che coloro che ha scelto non lo meritino più degli altri, e che, anzi, nel fondo del loro animo, non siano meno malvagi, dal momento che quel che hanno di buono è soltanto un dono di Dio – la difficoltà è accresciuta. Dov'è dunque – si dirà – la sua giustizia? o, se non altro, dov'è la sua bontà? La parzialità, ovvero far distinzioni personali va contro la giustizia, e chi limita la propria bontà senza motivo, non deve averne a sufficienza. È vero che coloro che non sono eletti son perduti a causa dei propri errori: essi sono privi di buona volontà o di una fede viva – non spettava però che a Dio dispensarla loro.

È noto che, oltre alla grazia interna, di solito sono le occasioni esteriori a distinguere gli uomini, e che l'educazione, la conversazione, l'esempio spesso correggono o corrompono la disposizione naturale. Ora, poiché Dio fa nascere circostanze favorevoli agli uni e abbandona gli altri a occasioni che contribuiscono alla loro disgrazia, non si avrà forse motivo per rimanere stupiti di ciò? Né basta (almeno così sembra) dire con alcuni che la grazia interna è universale e uguale per tutti, poiché gli stessi autori che sostengono ciò, sono obbligati a ricorrere all'esclamazione di san Paolo, e a dire: «O profondità», quando considerano quanto gli uomini vengano distinti mediante le grazie esterne (per così dire) – quelle cioè che si manifestano nella diversità delle circostanze che Dio fa nascere, che gli uomini non riescono a dominare, e che nondimeno hanno una così grande influenza su ciò che si rapporta alla loro salvezza.

Né si farà un gran progresso qualora si dica, con sant'Agostino, che gli uomini, essendo tutti dannati a causa del peccato di Adamo, potevano essere abbandonati tutti da Dio alla loro miseria, e che quindi è per pura bontà che egli ne sottrae alcuni. Poiché – a parte il fatto che è strano che il peccato di un altro debba dannare qualcuno – rimane sempre aperta la questione perché non li salvi tutti; come mai ne salvi la minima parte e perché salvi gli uni e non gli altri. È vero che è il loro padrone, ma è un padrone buono e giusto: il suo potere è assoluto, ma la sua saggezza non permette che lo eserciti in maniera arbitraria e dispotica, che in realtà sarebbe tirannica.

Inoltre, dal momento che la caduta del primo uomo è avvenuta col permesso di Dio, e dal momento che Dio non si è risolto a permetterla che dopo averne considerate le conseguenze – vale a dire la corruzione della massa del genere umano e la scelta di un piccolo numero di eletti, con l'abbandono di tutti gli altri – è inutile dissimulare la difficoltà, limitandosi alla massa già corrotta, poiché bisogna risalire, piaccia o no, alla conoscenza delle conseguenze del primo peccato.

Il palazzo dei destini

Tu vedi qui il palazzo dei destini, del quale sono la custode. In esso ci sono rappresentazioni, non soltanto di quel che accade, ma anche di tutto ciò che è possibile. E Giove, avendole passate in rassegna prima del cominciamento del mondo esistente, ha distribuito le possibilità in mondi e ha fatto la scelta del migliore di tutti. Talvolta viene a visitare questi luoghi, per concedersi il piacere di ricapitolare le cose e di rinnovare la propria scelta, della quale non può fare a meno di compiacersi. Non ho che da parlare, e vedremo un mondo intero che mio padre avrebbe potuto produrre, nel quale si troverà rappresentato tutto quello che se ne può domandare; e con questo mezzo si può sapere anche quel che capiterà, se dovesse esistere questa o quella possibilità. [...]

Così puoi figurarti una successione regolata di mondi, che conterranno tutti e soli i casi dei quali si tratta, e ne varieranno le circostanze e le conseguenze. Ma se poni un caso che non differisce dal mondo attuale se non per una sola cosa definita e per le sue conseguenze, un certo mondo ben determinato ti risponderà: tali mondi son tutti qui, vale a dire in idee. Te ne mostrerò alcuni, nei quali si troverà non esattamente il medesimo Sesto che hai visto (ciò non è possibile, egli porta sempre con sé quello che sarà), ma dei Sesti che gli si avvicinano, che avranno tutto quello che tu conosci già del vero Sesto, ma non tutto ciò che è già in lui, senza che egli ne abbia appercezione né, di conseguenza, tutto ciò che gli capiterà in futuro. Troverai, in un mondo, un Sesto assai felice ed educato, in un altro un Sesto contento di una condizione mediocre, dei Sesti di ogni specie e di un'infinità di maniere.

A questo punto, la dea condusse Teodoro in uno degli appartamenti: quando fu là, non era più un appartamento, era un mondo, Solemque suum, sua sidera norat.

Per ordine di Pallade si vide apparire Dodona col tempio di Giove, e Sesto che ne usciva: lo si intese dire che avrebbe obbedito al Dio. Eccolo che si reca in una città situata tra due mari, simile a Corinto. Vi compra un piccolo giardino, coltivandolo vi trova un tesoro; diviene un uomo ricco, amato, considerato; muore in età molto tarda, amato da tutta la città. Teodoro vide tutta la sua vita come in un colpo d'occhio e come in una rappresentazione teatrale.

C'era un gran volume tutto scritto nell'appartamento; Teodoro non poté trattenersi dal chiedere cosa ciò volesse dire. «È la storia di questo mondo, che noi ora stiamo visitando – gli dice la dea – è il libro dei suoi destini. Hai visto un numero sulla fronte di Sesto: cerca nel libro il passo che gli corrisponde». Teodoro lo cercò e vi trovò la storia di Sesto, più ampia di quella che aveva visto in compendio. «Metti il dito su una riga a piacere – gli dice Pallade – e vedrai rappresentato effettivamente in ogni dettaglio quel che la linea indica in modo sommario». Egli obbedì e vide comparire tutti i particolari di una parte della vita di Sesto. Passarono in un altro appartamento ed ecco un altro mondo, un altro Sesto che, uscendo dal tempio e deciso a obbedire a Giove, va in Tracia. Qui sposa la figlia del re, che non aveva altri figli e gli succede al trono. È adorato dai suoi sudditi. Si recarono in altre stanze e vedevano sempre nuovi scenari.

Gli appartamenti erano disposti a piramide: diventavano sempre più belli a mano a mano che si saliva verso la punta e rappresentavano mondi più belli. Si arrivò finalmente al supremo, che terminava la piramide e che era il più bello di tutti. La piramide, infatti, aveva un inizio, ma non se ne vedeva la fine; aveva un vertice, ma era priva di base, andava crescendo all'infinito. Ciò è dovuto al fatto (secondo quanto spiegò la dea) che tra un'infinità di mondi possibili, c'è il migliore di tutti, altrimenti Dio sarebbe determinato a non crearne alcuno, ma non ce n'è alcuno che non ne abbia di meno perfetti sotto di sé: è per questo che la piramide va sempre più giù all'infinito. L'appartamento posto al vertice è il nostro mondo, il migliore dei mondi possibili. Teodoro, entrando nell'appartamento posto al vertice, si trovò rapito in estasi; fu necessario il soccorso della dea: una goccia di un liquore divino messagli sulla lingua, lo rianimò. Non stava più in sé dalla gioia. «Noi siamo nel vero mondo attuale (dice la Dea) e tu ti trovi alla sorgente della felicità. Ecco quel che Giove ti ha preparato, se continuerai a servirlo fedelmente. Ecco Sesto così com'è e come sarà in atto. Egli esce dal tempio pieno di collera, disprezza il consiglio degli Dei. Lo vedi andare a Roma, mettere tutto sottosopra, violare la donna del suo amico. Eccolo scacciato, insieme a suo padre, sconfitto, infelice. Se Giove qui avesse preso un Sesto felice a Corinto, oppure re in Tracia, non sarebbe più questo mondo. Tuttavia egli non poteva mancare di scegliere questo mondo, che supera in perfezione tutti gli altri e che costituisce la punta della piramide: altrimenti Giove avrebbe rinunciato alla propria saggezza, mi avrebbe cacciata, io che sono sua figlia.

Tu vedi che mio padre non ha fatto per niente Sesto cattivo; questi lo era da tutta l'eternità, lo era sempre liberamente. Mio padre non ha fatto che accordargli l'esistenza, che la sua saggezza non poteva rifiutare al mondo nel quale questi è compreso: egli lo ha fatto passare dalla regione dei possibili a quella degli esseri attuali. Il crimine di Sesto serve a grandi cose: rende libera Roma, ne nascerà un grande impero, che fornirà grandi esempi. Ma ciò non è nulla in rapporto alla totalità di questo mondo, del quale tu ammirerai la bellezza quando, dopo un felice passaggio da questo stato mortale a uno migliore, gli dei ti avranno reso capace di conoscerla.


Guida alla lettura


1) Che tipo di ragionamento fatalista viene qui chiamato sofisma pigro?
Il "sofisma pigro" menzionato nel testo si riferisce a un tipo di ragionamento fatalista che sostiene l'inutilità dell'azione umana basandosi sulla premessa che tutti gli eventi sono predeterminati. Secondo questo sofisma, se un evento è destinato ad accadere, accadrà indipendentemente da qualsiasi sforzo che possiamo compiere per realizzarlo; se invece non è destinato ad accadere, non ci sarà modo di farlo avvenire, nonostante tutti i nostri sforzi. Questo ragionamento porta alla conclusione che non ha senso impegnarsi in alcuna azione, poiché il risultato è già fissato dal destino.

Nel testo, Leibniz contesta questo tipo di fatalismo, spiegando che, anche se gli effetti possono sembrare predestinati, essi sono strettamente legati alle cause che li producono. Pertanto, la pigrizia o l'inazione potrebbero effettivamente impedire il raggiungimento di ciò che desideriamo o portarci a incontrare quei mali che avremmo potuto evitare agendo con cura. In sostanza, il sofisma pigro distorce la comprensione della causalità, ignorando il fatto che le cause attive sono necessarie per produrre gli effetti.

2) Che cosa intende il testo per grazia interna e grazie esterne?
Nel testo che hai fornito, la "grazia interna" è menzionata in relazione al ruolo che svolge nell'influenzare le azioni e le scelte delle persone. La grazia interna sembra riferirsi all'assistenza o al supporto divino interiore che viene concesso agli individui, influenzando la loro volontà e le loro capacità di fare scelte morali. È qualcosa che agisce dall'interno dell'individuo, influenzandone direttamente il cuore e la mente.

Le "grazie esterne", invece, sono descritte come fattori esterni che influenzano le circostanze e le opportunità nella vita di una persona. Questi includono l'educazione, l'ambiente sociale, gli esempi seguiti, e altre influenze esterne che possono avere un impatto significativo sul comportamento di un individuo. Questi fattori esterni possono agire come facilitatori o ostacoli, a seconda della natura delle circostanze e di come interagiscono con la disposizione interna dell'individuo (modellata dalla grazia interna).

In sintesi, il testo descrive una distinzione tra l'influenza divina interna diretta, o "grazia interna", che modella la volontà e il carattere di una persona dall'interno, e le "grazie esterne", che sono le condizioni e le circostanze esterne che influenzano le decisioni e le azioni di una persona.

3) Riassumi la storia di Sesto Tarquinio re di Roma e spiega a quale proposito viene usato il suo esempio da Valla e da Leibniz.
La storia di Sesto Tarquinio, come viene usata nel contesto del dialogo teorico tra Leibniz e Valla, serve a esplorare la questione della predestinazione, della libertà e della responsabilità morale in un mondo governato da una divinità onnisciente e onnipotente.

Riassunto della Storia di Sesto Tarquinio

Nel testo di Leibniz, Sesto Tarquinio è un personaggio che esemplifica le possibili divergenze del destino umano in relazione alla volontà divina e alla predestinazione. Sesto appare in vari scenari ipotetici: in uno, è felice e amato, in un altro è re in Tracia, ed in un altro ancora finisce sconfitto e infelice. Questi scenari alternativi sono esplorati nel "palazzo dei destini" dove ogni appartamento rappresenta un mondo possibile che Dio avrebbe potuto creare.

Utilizzo dell'esempio di Sesto Tarquinio da Valla e Leibniz

Valla: Lorenzo Valla, nel dialogo immaginario, utilizza la storia di Sesto Tarquinio per discutere le implicazioni della libertà umana e della predestinazione. Il personaggio di Sesto serve a esplorare come le azioni umane siano predestinate o meno, e come queste si ricolleghino alla giustizia divina.
Leibniz: Per Leibniz, l'esempio di Sesto Tarquinio è centrale nella sua argomentazione sulla "migliore dei mondi possibili". Leibniz sostiene che, nonostante le imperfezioni apparenti del mondo (come il comportamento malvagio di Sesto), il mondo in cui viviamo è il migliore che Dio potesse creare, dato l'insieme delle possibilità. Sesto, quindi, serve a dimostrare come anche gli eventi apparentemente negativi (come il crimine di Sesto) contribuiscano a un ordine universale ottimale. Leibniz usa questo personaggio per discutere la conciliazione tra la presenza del male nel mondo e la bontà e la giustizia di Dio, sostenendo che ogni aspetto del mondo, comprese le azioni di Sesto, ha un ruolo nel disegno complessivo e ottimale di Dio.

In entrambi i casi, la figura di Sesto Tarquinio è impiegata per esplorare questioni filosofiche profonde riguardanti il libero arbitrio, la predestinazione, il bene e il male, e il ruolo di Dio nella determinazione del destino umano.

4) Descrivi i contenuti e le modalità della visione del palazzo dei destini.
La visione del palazzo dei destini, come descritta nel testo, è una rappresentazione metaforica e altamente simbolica utilizzata da Leibniz per esplorare le concezioni di determinismo, libertà e possibilità alternative. Questa visione è narrata nel contesto di una dialogo immaginario tra la dea Pallade e Teodoro, che serve a illustrare come il mondo in cui viviamo sia solo una delle infinite possibilità considerate da Dio (o Giove, come usato nel testo) prima della creazione dell'universo attuale.

Contenuti della Visione:

Il Palazzo: Il palazzo dei destini è descritto come un luogo che contiene rappresentazioni non solo di ciò che effettivamente accade, ma anche di tutto ciò che è possibile. Giove, prima di iniziare il mondo esistente, ha esaminato queste possibilità, scegliendo il migliore dei mondi possibili.
La Rappresentazione dei Mondi Possibili: All'interno del palazzo, ci sono diverse stanze che rappresentano vari "mondi possibili". Teodoro è guidato da Pallade attraverso queste stanze, ognuna delle quali mostra una versione differente di Sesto, il protagonista delle visioni. Queste versioni variano grandemente, da una in cui Sesto è felice ed educato, ad altre in cui le sue circostanze e scelte di vita portano a risultati molto diversi.
Interazione con le Visioni: Teodoro, seguendo le istruzioni di Pallade, può interagire con queste visioni. Toccando una riga del "libro dei destini", può vedere in dettaglio gli eventi sommariamente indicati, come se stesse vivendo quella particolare realtà.

Modalità della Visione:

La visione è dinamica e interattiva, permettendo a Teodoro di "entrare" nelle diverse possibilità e di vivere, seppur brevemente, le alternative della vita di Sesto.
È guidata dalla dea Pallade, che funge da intermediaria tra il divino e l'umano, spiegando e facilitando l'esperienza di Teodoro.
Il palazzo è strutturato come una piramide, simbolo della gerarchia delle possibilità, dove le stanze si fanno sempre più belle man mano che si sale, culminando nel mondo attuale, presentato come il migliore possibile nonostante le sue imperfezioni.

In sintesi, il palazzo dei destini è un luogo immaginario attraverso il quale Leibniz illustra il concetto di molteplici universi possibili, ognuno con le proprie specificità e conseguenze, sottolineando la scelta di Dio di creare il mondo attuale come il migliore tra questi.


Guida alla Comprensione


1) Spiega in che modo Leibniz attribuisca all'individuo un'importante responsabilità nella determinazione del suo destino.
Nel contesto dei "Saggi di Teodicea" di Leibniz, la questione della responsabilità individuale nel determinare il proprio destino è trattata con una visione che combina la predestinazione divina con la libertà umana. Leibniz affronta questo tema complesso cercando di conciliare la sovranità di Dio con la libertà e la responsabilità dell'uomo.

Sofisma pigro: Nel primo brano, Leibniz respinge il cosiddetto "sofisma pigro", l'idea che, dato un mondo completamente determinato da Dio, l'individuo possa semplicemente arrendersi al fato senza fare alcuno sforzo. Leibniz sostiene che l'effetto certo di un evento implica altrettanto certamente la causa che lo produrrà. In altre parole, se un evento è destinato a succedere, sarà il risultato delle azioni intraprese da un individuo (o la mancanza di esse). Dunque, l'inerzia può portare al mancato raggiungimento dei desideri o all'incorrere in mali che avrebbero potuto essere evitati con azioni appropriate.
Legame delle cause con gli effetti: Nel secondo brano, si chiarisce che il legame stretto tra cause ed effetti non implica una fatalità ineluttabile, ma offre invece una via per eliminare questa fatalità. Questo implica che, anche se Dio prevede un evento (come la morte in un giorno specifico), ciò avverrà a causa delle scelte e delle azioni dell'individuo che portano a quell'evento. Leibniz qui enfatizza che le azioni umane sono cruciali nel determinare gli eventi futuri.
Il palazzo dei destini: Nell'ultimo brano, Leibniz usa l'immagine del palazzo dei destini per esplorare ulteriormente la responsabilità umana. Mostra che, sebbene Dio abbia selezionato il "migliore dei mondi possibili" e, quindi, abbia predisposto una certa disposizione degli eventi, gli individui hanno ancora la capacità di agire all'interno di questi parametri. I diversi "Sesti" rappresentati nel palazzo simbolizzano le varie vie che un individuo potrebbe prendere. Anche se Dio ha creato un mondo in cui Sesto ha una certa natura, Leibniz sottolinea che il Sesto reale ha scelto liberamente di essere come è, e le sue azioni continuano a giocare un ruolo fondamentale nel determinare il corso degli eventi.

In sintesi, pur riconoscendo il ruolo della predestinazione divina nel determinare il quadro generale del mondo, Leibniz attribuisce all'individuo un ruolo significativo nella determinazione del proprio destino attraverso le sue azioni libere e consapevoli. Questa visione cerca di preservare la nozione di libertà e responsabilità umana all'interno di un universo ordinato e preveduto da Dio.

2) Riassumi gli aspetti problematici teoria del male e della grazia che Leibniz accoglie per porre la domanda sulla giustizia di Dio.
Nel testo fornito, Leibniz affronta diversi aspetti problematici riguardanti la teoria del male e della grazia divina, soprattutto per quanto riguarda la questione della giustizia di Dio. Qui di seguito, i punti principali:

Necessità e libertà del male: La corruzione originale dell'umanità e il peccato originale sembrano imporre una necessità naturale di peccare in assenza della grazia divina. Tuttavia, la presenza di questa "necessità" è in conflitto con il concetto di punizione, il che porta alla conclusione che tutti gli uomini dovrebbero ricevere una grazia sufficiente per evitare il peccato.
Predestinazione e salvezza: Un'altra questione problematica riguarda la predestinazione e la salvezza. Leibniz nota che solo pochi sono salvati, suggerendo che Dio non ha una volontà deliberativa di salvare molti. Questo solleva dubbi sulla sua giustizia e bontà, dato che la parzialità e la limitazione della bontà sembrano contraddire la natura giusta e benevola di Dio.
Influenza delle circostanze: Leibniz osserva che le circostanze esterne, come l'educazione e l'ambiente, hanno un impatto significativo sulla disposizione morale degli individui. Dio crea circostanze favorevoli per alcuni mentre abbandona altri a situazioni sfavorevoli, il che solleva ulteriori interrogativi sulla sua giustizia nell'assegnare grazie in modo apparentemente disuguale.
Il problema del male: Infine, il testo tocca il problema del male e la questione di come un Dio onnipotente e benevolo possa permettere l'esistenza del male. Leibniz fa riferimento al concetto di un "migliore dei mondi possibili", suggerendo che, nonostante la presenza del male, il mondo in cui viviamo è il migliore che Dio potesse creare senza compromettere altri aspetti come la libertà o la possibilità di bene maggiore.

Questi aspetti problematici sono centrali per la teodicea di Leibniz, che cerca di giustificare l'operato di Dio in un mondo dove esistono il male e l'ingiustizia apparente. Leibniz cerca di risolvere questi problemi sostenendo che l'universo segue una logica divina che è al di là della piena comprensione umana, e che ogni apparente ingiustizia o male contribuisce a un bene maggiore in un contesto universale.

3) Il palazzo dei destini è concepito per accogliere nelle sue stanze tutti i mondi possibili. Spiega la logica che vige in ciascun mondo e in ciascuna storia.
Il "Palazzo dei destini" descritto da Leibniz nel suo testo funge da metafora per illustrare la concezione dell'universo e dei mondi possibili secondo la sua filosofia. Questo palazzo è un luogo in cui sono contenute tutte le possibilità esistenti e non realizzate di ogni cosa, compresi gli eventi e le vite individuali.

Struttura del palazzo e rappresentazione dei mondi possibili: Il palazzo è descritto come una vasta biblioteca o archivio di mondi possibili, ogni stanza rappresenta un mondo diverso. Ciascuna di queste stanze contiene una versione differente di eventi e di esistenze che potrebbero accadere. Inoltre, ogni possibile variante della vita di un individuo, come il personaggio di Sesto, è immagazzinata qui.
La logica di selezione del miglior mondo possibile: Giove, che sta a simboleggiare Dio nel racconto allegorico, esamina queste possibilità prima di creare il mondo reale. La decisione divina non è casuale ma basata sulla scelta del "migliore dei mondi possibili". Questo concetto leibniziano implica che, nonostante la presenza del male e delle imperfezioni, il mondo in cui viviamo è il migliore tra tutti quelli che Dio avrebbe potuto creare, considerando un equilibrio complessivo di bene superiore.
Implicazioni di libertà e determinismo: Anche se i mondi sono preconfezionati e ogni possibilità è già contemplata, le storie individuali come quella di Sesto mostrano che ci sono diverse traiettorie che una vita può prendere a seconda delle scelte fatte dagli individui. Questo pone l'accento sulla tensione tra determinismo (ogni possibile evento è preconosciuto e archiviato) e la libertà (gli individui sembrano fare scelte che determinano quale versione della loro vita si realizza).
Conseguenze e moralità: Ogni variante della vita di Sesto illustra come le sue azioni portino a conseguenze diverse, non solo per lui ma per l'intero tessuto della società e della storia. Dio permette l'esistenza di un mondo con imperfezioni e male perché queste condizioni portano a un bene maggiore o servono a scopi più ampi, come la liberazione di Roma e la nascita di un impero.

In conclusione, il Palazzo dei destini è un esempio di come Leibniz concepisce l'ordine cosmico e teologico: un universo regolato da una divinità che sceglie il migliore tra tutti i mondi possibili, dove le azioni individuali e la libertà giocano un ruolo cruciale nell'unfoldimento del destino, nonostante l'apparente predestinazione di ogni evento.

4) Spiega perché Dio ha scelto di far esistere questo mondo, usando l'immagine della piramide di mondi.
Nel testo tratto dai "Saggi di Teodicea" di Leibniz, l'immagine della piramide di mondi serve a illustrare il principio secondo cui Dio ha scelto di far esistere questo mondo specifico perché, fra tutti i mondi possibili, è il migliore. Ogni livello della piramide rappresenta una serie di mondi possibili, con quelli meno perfetti posizionati alla base e quelli sempre più perfetti man mano che si sale verso il vertice.

La piramide, descritta nel testo, ha un vertice ma non ha una base definita, suggerendo che mentre esiste un "miglior mondo possibile" alla sommità, non c'è limite al numero dei mondi meno perfetti che potrebbero esistere sotto di esso. Questo simbolismo enfatizza l'idea che ci sia una gerarchia infinita di mondi possibili, ma solo uno che massimizza la perfezione, meritando di essere realizzato.

Dio, quindi, sceglie di realizzare il mondo che si trova al vertice della piramide perché è il più bello di tutti, superando tutti gli altri in perfezione. Se Dio avesse scelto un mondo diverso, più in basso nella piramide, avrebbe agito contro la sua natura di massima saggezza e bontà. La scelta del miglior mondo possibile implica che ogni imperfezione o male presente nel mondo attuale contribuisce in qualche modo a un bene maggiore, che non sarebbe ottenibile in altri mondi meno perfetti.

In sostanza, l'immagine della piramide aiuta a comprendere il concetto leibniziano secondo cui il nostro mondo, nonostante le sue imperfezioni e il male che contiene, è il risultato di una scelta divina che mira alla massima perfezione e al miglior equilibrio possibile di beni e mali, in linea con la saggezza e la giustizia di Dio.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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