Parafrasi e Analisi: "Canto I" - Divina Commedia - Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Temi Principali
8) Analisi ed Interpretazioni
9) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il primo Canto dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri ha una doppia funzione: introduce la cantica dedicata all'Inferno e funge da prologo per tutto il poema. In questa sezione, Dante presenta la propria situazione iniziale e spiega il motivo del suo viaggio nei tre regni dell'aldilà – Inferno, Purgatorio e Paradiso. A trentacinque anni, il poeta si ritrova smarrito in una foresta oscura e impervia, simbolo del peccato. Il suo percorso di purificazione e redenzione lo porterà a uscire dalla selva. Al suo fianco, per la maggior parte del viaggio, vi è il poeta latino Virgilio, guida e incarnazione della ragione, il quale fa la sua prima apparizione proprio in questo canto. Successivamente, sarà Beatrice a prendere il posto di Virgilio come guida di Dante.
Nel Canto I dell'Inferno, Dante tratta diversi elementi chiave:
Lo smarrimento iniziale: Dante ha perso la "diritta via", finendo nella selva del peccato; tuttavia, la via non è perduta per sempre, come dimostra il suo percorso di redenzione che culminerà con il recupero della grazia divina alla fine del poema. La foresta cupa simboleggia i mali della società, come il cattivo governo, la corruzione ecclesiastica e la decadenza morale.
Le ragioni del viaggio: Dante intraprende questo cammino non solo per purificare la propria anima, ma anche per offrire un esempio di redenzione per tutta l'umanità. Il pellegrinaggio del poeta diventa così un'allegoria del percorso umano verso la salvezza.
La struttura del poema: Virgilio, parlando per Dante, accenna brevemente al tragitto che percorrerà nei tre regni ultraterreni dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.
Curiosità:
Perché l'espressione "nel mezzo del cammin di nostra vita" indica i 35 anni? Secondo il Salmo XC,10, la durata media della vita è di circa settant'anni, e quindi la metà cade intorno ai 35. Questo riferimento temporale è simbolico dell'età in cui Dante inizia il suo viaggio.
Testo e Parafrasi
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! Tant'è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, dirò de l'altre cose ch'i' v' ho scorte. Io non so ben ridir com'i' v'intrai, tant'era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto, là dove terminava quella valle che m'avea di paura il cor compunto, guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de'raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m'era durata la notte ch'i' passai con tanta pieta. E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l'acqua perigliosa e guata, così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. Poi ch'èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso. Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi 'mpediva tanto il mio cammino, ch'i' fui per ritornar più volte vòlto. Temp'era dal principio del mattino, e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle ch'eran con lui quando l'amor divino mosse di prima quelle cose belle; sì ch'a bene sperar m'era cagione di quella fiera a la gaetta pelle l'ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m'apparve d'un leone. Questi parea che contra me venisse con la test'alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l'aere ne tremesse. Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch'uscia di sua vista, ch'io perdei la speranza de l'altezza. E qual è quei che volontieri acquista, e giugne 'l tempo che perder lo face, che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista; tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi 'ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove 'l sol tace. Mentre ch'i' rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco. Quando vidi costui nel gran diserto, "Miserere di me", gridai a lui, "qual che tu sii, od ombra od omo certo!". Rispuosemi: "Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patrïa ambedui. Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto 'l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d'Anchise che venne di Troia, poi che 'l superbo Ilïón fu combusto. Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch'è principio e cagion di tutta gioia?". "Or se' tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?", rispuos'io lui con vergognosa fronte. "O de li altri poeti onore e lume, vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore che m' ha fatto cercar lo tuo volume. Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore, tu se' solo colui da cu' io tolsi lo bello stilo che m' ha fatto onore. Vedi la bestia per cu' io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi". "A te convien tenere altro vïaggio", rispuose, poi che lagrimar mi vide, "se vuo' campar d'esto loco selvaggio; ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo 'mpedisce che l'uccide; e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo 'l pasto ha più fame che pria. Molti son li animali a cui s'ammoglia, e più saranno ancora, infin che 'l veltro verrà, che la farà morir con doglia. Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro. Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute. Questi la caccerà per ogne villa, fin che l'avrà rimessa ne lo 'nferno, là onde 'nvidia prima dipartilla. Ond'io per lo tuo me' penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno; ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch'a la seconda morte ciascun grida; e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire; ché quello imperador che là sù regna, perch'i' fu' ribellante a la sua legge, non vuol che 'n sua città per me si vegna. In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l'alto seggio: oh felice colui cu' ivi elegge!". E io a lui: "Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, acciò ch'io fugga questo male e peggio, che tu mi meni là dov'or dicesti, sì ch'io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti". Allor si mosse, e io li tenni dietro. |
Nell'età di mezzo della vita umana mi ritrovai in una buia boscaglia perché avevo smarrito il giusto percorso. Ahimé, non è affatto facile descrivere questo bosco inospitale, impervio, difficile, del quale il solo pensiero mi fa tornare il timore! [la selva] È tanto angosciante quasi quanto la morte; ma per dire ciò che di buono lì incontrai, parlerò [prima] delle altre cose che lì ho viste. Non so descrivere il modo in cui vi entrai dato che il mio torpore era tale in quel momento che mi ero allontanato dalla verità. Ma dopo che arrivai alle pendici d'una collina, nel luogo in cui finiva quel bosco che mi aveva impietrito il cuore di paura, alzai gli occhi e vidi la sua cima e il pendio già illuminati dai raggi di quel pianeta [il Sole] che guida ciascuno sulla giusta via. A quel punto si calmò quel timore che nel profondo dell'animo avevo sofferto durante la notte [precedente] trascorsa nel dolore. E come colui che con respiro affaticato, uscito dal mare e arrivato alla spiaggia, si gira verso lo specchio d'acqua minaccioso e [lo] guarda; Allo stesso modo il mio animo, che ancora fuggiva, si girò indietro a guardare il tragitto, che non abbandonò mai nessun vivo. Dopo che riposai per un po' il corpo stanco, ripresi il cammino lungo il pendio deserto [del colle], scalando la salita. E d'improvviso, quasi all'inizio del pendio, [arrivò] una lonza agile e molto veloce, dal pelo coperto di macchie; che non si scansava da davanti a me, e bloccava il mio cammino a tal punto che più volte mi voltai per tornare indietro. Era il principio del mattino, e il sole saliva in quella [stessa] costellazione in cui si trovava, quando Dio creò inizialmente i corpi celesti; per cui mi dava ragione di non temere quella belva dalla pelle maculata l'ora in cui [essa] comparve e la bella stagione; finché non mi spaventò la presenza improvvisa di un leone Questo sembrava procedere contro di me superbo e affamato, al punto che sembrava far tremare l'aria. Ed una lupa, che di tutti i desideri sembrava piena pur essendo magra, e già fece vivere molti popoli in miseria, questa vista mi trasmise tanta angoscia per la paura che mi diede la sua comparsa, che persi la speranza di arrivare in cima. E come [avviene a] colui che volentieri accumula denaro, arriva il momento che lo fa perdere, al punto che nell'animo si rattrista e piange; così mi ridusse la belva che non ha pace, la quale, venedomi incontro, pian piano mi respingeva nell'ombra. Mentre ero ricacciato a forza in basso, mi si offrì alla vista colui che per un lungo silenzio era rimasto sfuocato. Quando lo vidi nella grande spiaggia vuota, "Pietà di me", gli gridai, "chiunque tu sia, fantasma o uomo vero!" Mi rispose: "Non sono un uomo, uomo lo fui già, e i miei genitori furono lombardi, entrambi di Mantova. Nacqui sotto Giulio Cesare, ma troppo tardi, e vissi a Roma durante il regno del buon Augusto, all'epoca degli dei finti e impostori. Fui un poeta, e scrissi di quell'uomo giusto figlio di Anchise che arrivò da Troia, dopo che la superba Ilio venne bruciata. E tu, perché ridiscendi a tanta pena? Perché non scali il felice colle che è principio e causa di tutte le gioie?" "Sei tu dunque quel Virgilio e quella fonte che spande un fiume così ricco di parole?" Gli risposi con volto umile. "Oh, gloria e luce per gli altri poeti, mi serva l'assiduo studio e il forte amore per il quale ho cercato le tue opere. Tu sei il mio maestro e il mio autore [di riferimento], da te solo ho tratto lo stile eletto per cui sono conosciuto. Guarda la belva per cui mi voltai indietro salvami da lei, celebrato poeta, poiché questa mi fa tremare le vene e i polsi. "Ti conviene intraprendere un itinerario diverso", rispose, dopo che mi vide piangere, "se vuoi uscire da questo luogo selvaggio; Poiché questa belva, a causa della quale tu gridi, impedisce a tutti di superarla, e blocca chiunque fino a ucciderlo; e ha una natura così perversa e colpevole, che non riempie mai il suo desiderio ansioso, e dopo essersi cibata ha più fame di prima. Sono molti gli uomini a cui si lega, e ce ne saranno ancor di più, finché arriverà il veltro, che la farà morire con dolore. Costui non tratterà né terra, né denaro, ma sapienza, carità e virtù, e nascerà tra feltro e feltro. Sarà salvezza di quella umile Italia per la quale morì la fanciulla Camilla, Eurialo, Turno e Niso per le ferite. Costui la caccerà di città in città finché non l'avrà ricacciata nell'Inferno, il luogo da cui in principio l'invidia la fece uscire. Per cui, riguardo te, penso e comprendo sia meglio che tu mi segua e io ti sia guida, portandoti da qui nell'oltretomba; in cui ascolterai le urla senza speranza, osserverai i vecchi spiriti sofferenti, che gridano per la morte dell'anima; e vedrai coloro che appaiono contenti nel dolore, perché hanno la speranza di accedere nel tempo al regno dei beati. A cui poi se tu vorrai accedere, ti porterà un'anima più degna di me: quando me ne andrò ti lascerò a lei; Poiché quell'Imperatore che regna lassù, per via del fatto che fui ribelle alla sua dottrina, mi vieta di entrare nel suo Regno. [Dio] regna in ogni luogo e qui dimora; questa è la sua città e il suo trono: felice è colui che viene chiamato nel suo Regno!". Ed io gli dissi: "Poeta, io ti chiedo per quel Dio che tu non avesti modo di conoscere, affinché io mi allontani da questo male e dalla dannazione, che tu mi conduca là dove dicesti, affinché io veda le porte del Paradiso e coloro i quali tu descrivi tanto tristi". [Virgilio] allora si mise in cammino, ed io lo seguii. |
Riassunto
Versi 1-27: A trentacinque anni, Dante si trova perso in una selva oscura e intricata, un luogo angosciante che gli suscita ancora timore al solo pensiero. Non riesce a spiegarsi come sia arrivato lì, ma all'alba riesce a uscirne, trovandosi ai piedi di un colle illuminato dai primi raggi del sole. Questa vista lo conforta e gli restituisce un po' di speranza.
Versi 28-60: Dopo una breve sosta, Dante riprende il cammino verso il colle. Tuttavia, appena comincia a salire, si imbatte in una lonza dal manto maculato, una figura minacciosa. La luce del sole e il periodo primaverile gli infondono il coraggio di proseguire, ma ben presto appare un leone affamato a bloccargli il passo. Subito dopo, una lupa magra e vorace emerge davanti a lui, spingendolo a tornare indietro verso la foresta.
Versi 61-90: Mentre si ritira, Dante scorge nella penombra una figura umana e implora aiuto. La figura si presenta come un'anima e racconta di avere origini lombarde, di aver vissuto all'epoca di Giulio Cesare e sotto l'imperatore Augusto, e di aver celebrato le imprese di Enea. Poi domanda a Dante perché non stia continuando la sua ascesa verso la vetta. Dante, a questo punto, lo riconosce: è Virgilio, poeta latino e suo maestro spirituale, a cui esprime la sua ammirazione. Infine, gli spiega il motivo del suo ritiro, indicando la lupa come causa del suo ritorno sui passi.
Versi 91-136: Virgilio consiglia a Dante di scegliere un percorso diverso, poiché la lupa rappresenta un ostacolo insormontabile per ora. Tuttavia, gli anticipa che un giorno un Veltro, incarnazione di saggezza, amore e virtù, riuscirà a sconfiggerla e a ricacciarla all'Inferno. Virgilio, quindi, si offre di guidare Dante nei regni dell'Inferno e del Purgatorio, per poi lasciarlo in Paradiso nelle mani di un'anima più degna. Dante accetta con gratitudine e si mette in cammino dietro di lui.
Figure Retoriche
2. «selva oscura»: Allegoria del peccato.
5. «selva selvaggia»: Paronomasia.
13. «colle»: Allegoria della virtù.
17-18. «pianeta / che mena dritto altrui per ogne calle»: Perifrasi per indicare il Sole.
22-27. «E come quei che con lena affannata, / uscito fuor del pelago a la riva, / si volge a l'acqua perigliosa e guata, // così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, / si volse a retro a rimirar lo passo / che non lasciò già mai persona viva.»: Similitudine.
32. «lonza»: Allegoria, probabilmente della lussuria.
36. «volte vòlto»: Paronomasia.
45. «leone»: Allegoria, probabilmente della superbia.
49. «lupa»: Allegoria, probabilmente della cupidigia-avarizia.
60. «dove 'l sol tace»: Sinestesia.
67. «Non omo, omo già fui»: Anadiplosi.
73-75. «quel giusto / figliuol d'Anchise che venne di Troia, / poi che 'l superbo Ilïón fu combusto»: Perifrasi per indicare Enea.
81. «fronte»: Sineddoche per indicare la testa.
97. «malvagia e ria»: Dittologia.
118-119. «color che son contenti / nel foco»: Perifrasi per indicare le anime del Purgatorio.
Personaggi Principali
Il primo canto dell'Inferno della Divina Commedia ci introduce ai personaggi fondamentali del poema e agli elementi che accompagneranno Dante nel suo viaggio ultraterreno. Essendo il canto di apertura, presenta non solo il protagonista stesso, Dante, ma anche Virgilio, la sua guida, che lo condurrà attraverso Inferno e Purgatorio. Inoltre, si incontrano tre figure animali, simboli allegorici che ostacolano il cammino del poeta verso la vetta del colle, rappresentando vizi e impedimenti che Dante dovrà superare nel suo percorso di redenzione e conoscenza.
Dante: Il Protagonista e Autore
Nel primo canto emerge in modo chiaro il duplice ruolo di Dante: egli è sia personaggio (Dante agens) che autore (Dante auctor) della narrazione. Come personaggio, Dante compie il viaggio attraverso i tre regni ultraterreni, un percorso che lo porterà alla redenzione. In questa veste, Dante appare spesso timoroso, insicuro e carico di dubbi, qualità che evidenziano la sua vulnerabilità e la necessità di una guida.
Dante come autore, invece, è colui che narra l'intera vicenda a posteriori. Avendo già vissuto l'esperienza che racconta, assume una posizione di saggezza e consapevolezza, utilizzando un linguaggio che trasmette sicurezza e stabilità. Questa dualità risulta evidente al verso 4 ("Ahi quanto a dir qual era è cosa dura"), in cui Dante auctor, attraverso il presente verbale, descrive l'asprezza del ricordo della foresta oscura in cui Dante agens è smarrito, riflettendo quindi un distacco temporale e narrativo.
Virgilio: La Guida di Dante
Dal verso 61 del primo canto, entra in scena Virgilio, poeta latino e guida spirituale di Dante per l'Inferno e il Purgatorio. Virgilio è considerato uno dei più grandi poeti dell'antica Roma, celebre per opere come le Bucoliche, le Georgiche e l'Eneide. La sua presenza ha molteplici significati: Dante lo identifica come il "maestro" e l'"autore" che lo ha ispirato nello stile elevato, rendendolo il modello poetico ideale.
Ma Virgilio è più di un esempio letterario: durante il Medioevo era visto anche come una figura quasi profetica. In particolare, l'ecloga IV delle Bucoliche, in cui si narra della nascita di un bambino portatore di una nuova era, fu interpretata come una premonizione di Cristo. Questo alone di sacralità potrebbe aver reso Virgilio la scelta più adatta come guida per un viaggio attraverso i mondi ultraterreni. Virgilio rappresenta, quindi, l'allegoria della ragione umana, la saggezza che permette di discernere tra bene e male, ed è per Dante simbolo della più alta perfezione morale raggiungibile senza l'ausilio della fede.
Le Tre Fiere: Ostacoli al Cammino
All'inizio della salita al colle, Dante incontra tre fiere che lo costringono a tornare indietro: una lonza, un leone e una lupa. Le tre bestie hanno una forte valenza allegorica e sono state interpretate nei secoli in vari modi. La teoria più diffusa è che rappresentino rispettivamente lussuria (lonza), superbia (leone) e cupidigia o avarizia (lupa), vizi centrali nella società medievale e particolarmente stigmatizzati dalla letteratura religiosa.
In alternativa, le tre fiere possono essere lette come simboli di tre gravi inclinazioni al male punite nei gironi dell'Inferno: l'incontinenza (lonza), la violenza (leone) e la frode (lupa). Esiste anche un'interpretazione politica, secondo la quale le fiere simboleggerebbero Firenze, la Francia e Roma, potenze ostili all'ideale imperiale che, secondo Dante, causavano corruzione e disordine nella società.
Lonza: L'Animale Misterioso
Infine, rimane aperto un dibattito sull'identità della lonza: c'è chi pensa si tratti di un leopardo, altri di una lince. Nei bestiari medievali, la lonza era descritta come un animale temibile, frutto dell'incrocio tra un leopardo e una leonessa, simbolo della lussuria.
Temi Principali
Nel primo canto dell'Inferno, Dante introduce alcuni dei temi centrali della Divina Commedia, destinati a svilupparsi lungo l'intero poema.
Il primo di questi temi è la Perdita e la Crisi Spirituale: il canto si apre con Dante smarrito in una "selva oscura", che simboleggia il peccato e l'allontanamento da Dio, rappresentando così la crisi morale e spirituale che può colpire ogni persona nel corso della vita.
Segue il tema della ricerca della verità e della salvezza: Dante intraprende un viaggio di redenzione spirituale che lo condurrà attraverso Inferno, Purgatorio e Paradiso. Questo percorso non è solo personale ma assume una valenza universale, simboleggiando il cammino dell'umanità verso la salvezza.
Un altro tema cruciale è il ruolo della guida: già nel primo canto, Dante incontra Virgilio, che lo accompagnerà nella prima parte del viaggio. Virgilio rappresenta la ragione e la saggezza umana, mentre, in seguito, sarà Beatrice a guidarlo, incarnando la grazia divina.
Il canto introduce poi il tema del peccato e della punizione: Dante accenna alla struttura dell'Inferno, organizzato in cerchie per i vari peccatori, secondo un rigido principio di giustizia divina. Ogni peccato ha una sua punizione appropriata, riflettendo così il concetto di retribuzione morale.
Il tema della paura e dell'angoscia permea tutto il primo canto: l'oscurità della selva e la presenza delle fiere minacciose generano un'atmosfera di paura, simbolo delle forze del male che tentano di intrappolare l'anima nel peccato.
Infine, nonostante il clima di disperazione, il canto contiene anche un elemento di speranza: La presenza di Virgilio e la promessa di incontrare Beatrice rappresentano una possibilità di redenzione e un ritorno alla grazia divina.
Analisi ed Interpretazioni
Il viaggio di Dante e la selva oscura come simbolo del peccato
Fin dal Canto I dell'Inferno, si coglie subito l'idea cristiana, diffusa in particolare nel Medioevo, che la vita sia un cammino di redenzione, un percorso in cui l'anima si purifica per elevarsi a Dio. Dante diviene così rappresentazione universale dell'umanità: il suo viaggio è simbolo della ricerca della salvezza eterna, partendo dalle profondità oscure dell'errore e del peccato per arrivare alla visione di Dio. Quest'idea è rafforzata dalle immagini e dal linguaggio legato al movimento, che trasmettono la percezione del cammino, fisico e spirituale, verso la perfezione.
La "selva oscura" come metafora del peccato
La selva oscura è un'immagine archetipica della cultura occidentale, descritta da Dante come luogo denso di pericoli e misteri. La sua oscurità simboleggia l'assenza della luce divina, rendendola una metafora del peccato e della perdizione. Sant'Agostino aveva parlato di una "selva erronea" che alludeva a questa condizione di smarrimento spirituale. Tuttavia, Dante non specifica la posizione precisa della selva, lasciando spazio a varie interpretazioni. Alcuni studiosi l'hanno collocata nei pressi di Gerusalemme o vicino a Firenze, ma non ci sono prove conclusive a sostegno di queste ipotesi.
La profezia del Veltro: simbolismo e interpretazioni
A partire dal verso 100 del primo Canto, Dante introduce la profezia del Veltro, uno dei passaggi più complessi e dibattuti della Commedia. La presenza delle profezie è uno degli elementi con cui Dante conferisce alla sua opera una dimensione quasi divina, dando l'impressione che la sua ispirazione provenga direttamente da Dio. Le profezie della Commedia si possono distinguere in due categorie:
Profezie post eventum: queste riguardano eventi già accaduti tra la primavera del 1300 (momento in cui è ambientata la vicenda narrata) e il periodo della scrittura dell'opera, e sono usate da Dante per dare l'illusione di predizioni.
Profezie ante eventum: molto più rare, sono riferite a eventi ancora futuri al tempo della scrittura e rientrano nel vero e proprio campo della profezia.
La profezia del Veltro appartiene a quest'ultima categoria. Qui Dante predice la venuta di un cane (il Veltro) che si nutrirà di "sapienza, amore e virtù" e salverà l'Italia, liberandola dalla Lupa, simbolo dei mali che affliggono la nazione. Identificare il Veltro è stato per secoli un rompicapo per studiosi e critici. Molti hanno cercato invano di attribuire un'identità storica a questa figura, che rimane sfuggente e aperta a diverse interpretazioni, probabilmente per volontà dello stesso Dante, che potrebbe averla lasciata volutamente ambigua.
Passi Controversi
Il primo verso del canto è stato talvolta interpretato come un riferimento alla metà della vita che si trascorre dormendo, suggerendo che Dante stia raccontando una visione onirica. Tuttavia, è più probabile che si tratti di un richiamo a un passo biblico (Isaia 38, 10), in cui si dice "andrò presso la porta dell'Inferno a metà dei miei giorni". Dante, nel Convivio (IV, 23), descrive la vita come un arco che inizia a declinare dopo i 35 anni, e concepisce il viaggio come realmente accaduto. Inoltre, nel Salmo LXXXIX, 10 si legge che "la vita dell'uomo dura settant'anni", posizionando così il viaggio nell'anno 1300, quando Dante aveva 35 anni.
Al verso 5, l'espressione "selva selvaggia" crea una figura retorica ispirata allo stile di Guittone d'Arezzo. Il "sonno" citato al verso 11 allude al torpore spirituale, che spesso, secondo le Scritture, porta al peccato. Il "pianeta" menzionato nel verso 17 si riferisce al Sole.
Al verso 27, il termine "che" può essere inteso come soggetto o complemento oggetto, dando due possibili significati: la selva che non permise a nessuno di vivere, oppure la selva da cui nessuno poté uscire vivo. La prima interpretazione risulta più probabile, poiché implica che il peccato causi la morte dell'anima e conduca alla dannazione.
Il verso 30, interpretato in vari modi, descriverebbe l'incertezza della scalata: Dante suggerisce che il piede basso sia più saldo, quindi il movimento verso l'alto risulti insicuro. Alcuni ritengono che il piede basso simboleggi gli appetiti materiali, che ostacolano il cammino spirituale.
Nei versi 37-40 è descritta l'alba, con il Sole in congiunzione con l'Ariete, simbolo del tempo della Creazione e della primavera, un momento di buon auspicio per Dante. Questa indicazione temporale posiziona l'azione tra marzo e aprile del 1300.
Le rime ai versi 44, 46 e 48 (-esse / -isse) richiamano la tradizione siciliana, respingendo la variante "venesse" presente in alcuni manoscritti. La similitudine dei versi 55-57 può riferirsi sia all'avaro, che si rattrista per aver perso il guadagno, sia al giocatore sfortunato.
Il verso 63 ("chi per lungo silenzio parea fioco") può significare una figura appena visibile per il lungo silenzio della luce, oppure un poeta la cui voce è debole dopo tanto tempo di silenzio letterario. Questa seconda interpretazione suggerirebbe che dopo Virgilio nessuno abbia scritto opere dello stesso calibro.
Ai versi 68-69, Virgilio si presenta come originario di Mantova, pur essendo nato nel villaggio di Andes. Egli indica i genitori come "lombardi", anche se tale termine per designare l'Italia settentrionale non esisteva ai tempi romani.
Nei versi 73-75, Dante accenna a Enea, figlio di Anchise e protagonista dell'Eneide. "Ilion" è un altro nome per Troia. "Noia" e "gioia" (versi 76 e 78) hanno qui significati ampliati: "noia" come felicità piena e "gioia" come angoscia del peccato.
Nel verso 84, Dante usa "volume" per riferirsi all'Eneide, mentre "lo bello stilo" allude allo stile elevato di Virgilio, che Dante adotta anche nelle sue canzoni dottrinali.
L'"animale" al verso 100 è, secondo Virgilio, il genere umano e non i vizi, come alcuni commentatori hanno interpretato. "Peltro" (verso 103), una lega di piombo e stagno per coniare monete, rappresenta qui la corruzione materiale di cui il "veltro" non sarà avido.
Nel verso 104, "sapienza, amore e virtute" rappresentano la Trinità: Figlio, Spirito Santo e Padre. Il verso 105 ("e sua nazion sarà tra feltro e feltro") è stato interpretato in vari modi: potrebbe indicare l'indeterminatezza dell'origine del veltro, o alludere ai valori francescani, o riferirsi geograficamente a Feltre e Montefeltro.
Ai versi 107-108, Virgilio cita personaggi dell'Eneide: Camilla, Eurialo, Niso e Turno, rappresentati come difensori dell'Italia, seppur su fronti diversi.
Nel verso 117, il verbo "grida" potrebbe significare "invoca" la "seconda morte" (annichilimento totale dell'anima) o "impreca contro" di essa, riferendosi alla dannazione.
Il verso 127 propone un parallelismo tra Dio e l'Imperatore: Dio è sovrano dell'Universo, ma governa propriamente solo l'Empireo, così come l'Imperatore esercita la sua autorità nell'Impero.
Infine, al verso 134, l'espressione "porta di san Pietro" potrebbe indicare sia la porta del Paradiso sia quella del Purgatorio (sorvegliata da un angelo vicario di Pietro).
Fonti: libri scolastici superiori