Parafrasi e Analisi: "Canto XII" - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XII dell’Inferno di Dante Alighieri si apre con un’atmosfera carica di tensione e drammaticità, segnata dall’ingresso nel VII Cerchio, dedicato ai violenti. Qui il viaggio di Dante e Virgilio si confronta con una nuova dimensione del peccato, quella della violenza in tutte le sue manifestazioni, secondo una precisa suddivisione morale e teologica.

Il canto introduce un’ambientazione dominata da paesaggi rocciosi e ostili, che riflettono simbolicamente la natura brutale e spietata dei peccati puniti in questo cerchio. La scena si carica ulteriormente di significato attraverso la presenza di figure mitologiche e allegoriche, che incarnano il conflitto tra ragione e brutalità, guidando il lettore nella comprensione dell’ordine morale dell’Inferno. La discesa verso le profondità di questo cerchio rivela le conseguenze estreme della violenza, sia verso gli altri che verso sé stessi e la natura divina.

In questo contesto, Dante continua la sua esplorazione delle dinamiche del peccato e della giustizia divina, proponendo una riflessione che unisce simbolismo, mito e dottrina cristiana.


Testo e Parafrasi


Era lo loco ov’a scender la riva
venimmo, alpestro e, per quel che v’er’anco,
tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva.

Qual è quella ruina che nel fianco
di qua da Trento l’Adice percosse,
o per tremoto o per sostegno manco,

che da cima del monte, onde si mosse,
al piano è sì la roccia discoscesa,
ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse:

cotal di quel burrato era la scesa;
e ’n su la punta de la rotta lacca
l’infamïa di Creti era distesa

che fu concetta ne la falsa vacca;
e quando vide noi, sé stesso morse,
sì come quei cui l’ira dentro fiacca.

Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse
tu credi che qui sia ’l duca d’Atene,
che sù nel mondo la morte ti porse?

Pàrtiti, bestia, ché questi non vene
ammaestrato da la tua sorella,
ma vassi per veder le vostre pene».

Qual è quel toro che si slaccia in quella
c’ha ricevuto già ’l colpo mortale,
che gir non sa, ma qua e là saltella,

vid’io lo Minotauro far cotale;
e quello accorto gridò: «Corri al varco:
mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale».

Così prendemmo via giù per lo scarco
di quelle pietre, che spesso moviensi
sotto i miei piedi per lo novo carco.

Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi
forse a questa ruina, ch’è guardata
da quell’ira bestial ch’i’ ora spensi.

Or vo’ che sappi che l’altra fïata
ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno,
questa roccia non era ancor cascata.

Ma certo poco pria, se ben discerno,
che venisse colui che la gran preda
levò a Dite del cerchio superno,

da tutte parti l’alta valle feda
tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo
sentisse amor, per lo qual è chi creda

più volte il mondo in caòsso converso;
e in quel punto questa vecchia roccia,
qui e altrove, tal fece riverso.

Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia
la riviera del sangue in la qual bolle
qual che per vïolenza in altrui noccia».

Oh cieca cupidigia e ira folle,
che sì ci sproni ne la vita corta,
e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!

Io vidi un’ampia fossa in arco torta,
come quella che tutto ’l piano abbraccia,
secondo ch’avea detto la mia scorta;

e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia
corrien centauri, armati di saette,
come solien nel mondo andare a caccia.

Veggendoci calar, ciascun ristette,
e de la schiera tre si dipartiro
con archi e asticciuole prima elette;

e l’un gridò da lungi: «A qual martiro
venite voi che scendete la costa?
Ditel costinci; se non, l’arco tiro».

Lo mio maestro disse: «La risposta
farem noi a Chirón costà di presso:
mal fu la voglia tua sempre sì tosta».

Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso,
che morì per la bella Deianira
e fé di sé la vendetta elli stesso.

E quel di mezzo, ch’al petto si mira,
è il gran Chirón, il qual nodrì Achille;
quell’altro è Folo, che fu sì pien d’ira.

Dintorno al fosso vanno a mille a mille,
saettando qual anima si svelle
del sangue più che sua colpa sortille».

Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle:
Chirón prese uno strale, e con la cocca
fece la barba in dietro a le mascelle.

Quando s’ebbe scoperta la gran bocca,
disse a’ compagni: «Siete voi accorti
che quel di retro move ciò ch’el tocca?

Così non soglion far li piè d’i morti».
E ’l mio buon duca, che già li er’al petto,
dove le due nature son consorti,

rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto
mostrar li mi convien la valle buia;
necessità ’l ci ’nduce, e non diletto.

Tal si partì da cantare alleluia
che mi commise quest’officio novo:
non è ladron, né io anima fuia.

Ma per quella virtù per cu’ io movo
li passi miei per sì selvaggia strada,
danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo,

e che ne mostri là dove si guada,
e che porti costui in su la groppa,
ché non è spirto che per l’aere vada».

Chirón si volse in su la destra poppa,
e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida,
e fa cansar s’altra schiera v’intoppa».

Or ci movemmo con la scorta fida
lungo la proda del bollor vermiglio,
dove i bolliti facieno alte strida.

Io vidi gente sotto infino al ciglio;
e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni
che dier nel sangue e ne l’aver di piglio.

Quivi si piangon li spietati danni;
quivi è Alessandro, e Dïonisio fero,
che fé Cicilia aver dolorosi anni.

E quella fronte c’ha ’l pel così nero,
è Azzolino; e quell’altro ch’è biondo,
è Opizzo da Esti, il qual per vero

fu spento dal figliastro sù nel mondo».
Allor mi volsi al poeta, e quei disse:
«Questi ti sia or primo, e io secondo».

Poco più oltre il centauro s’affisse
sovr’una gente che ’nfino a la gola
parea che di quel bulicame uscisse.

Mostrocci un’ombra da l’un canto sola,
dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio
lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola».

Poi vidi gente che di fuor del rio
tenean la testa e ancor tutto ’l casso;
e di costoro assai riconobb’io.

Così a più a più si facea basso
quel sangue, sì che cocea pur li piedi;
e quindi fu del fosso il nostro passo.

«Sì come tu da questa parte vedi
lo bulicame che sempre si scema»,
disse ’l centauro, «voglio che tu credi

che da quest’altra a più a più giù prema
lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge
ove la tirannia convien che gema.

La divina giustizia di qua punge
quell’Attila che fu flagello in terra,
e Pirro e Sesto; e in etterno munge

le lagrime, che col bollor diserra,
a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo,
che fecero a le strade tanta guerra».

Poi si rivolse, e ripassossi ’l guazzo.
Il punto (loco) in cui giungemmo per discendere la china (riva) era
scosceso (alpestro) e tale, anche a causa (per) di quello che vi si trovava (il
Minotauro), che ogni sguardo umano (vista) ne proverebbe ribrezzo (sarebbe schiva).

Come l’enorme frana (quella ruina) che, o a causa di terremoto (tremoto)
o per essere venuto meno l’appoggio del monte (per sostegno manco), precipitò
contro (percosse) la riva sinistra dell’Adige a sud (di qua) di Trento,

così che, dalla cima del monte, da cui si distaccò (si mosse), fino al piano,
la roccia è talmente frantumata (discoscesa) da offrire qualche (alcuna) via
di discesa a chi si trovasse in cima (a chi sù fosse):

simile (cotal) si presentava la discesa (scesa) di quel burrone
(burrato); e sul margine superiore (punta) del pendio franato
(rotta lacca) era disteso il Minotauro (l’infamïa di Creti)

che fu concepito (concetta) nella vacca di legno (falsa);
e quando ci vide, prese a mordersi, come chi è internamente
sopraffatto (dentro fiacca) dall’ira.

Virgilio gli gridò: «Credi forse che qui vi sia Teseo
(’l duca d’Atene), che nel mondo terreno
ti diede (porse) la morte?

Allontànati (Pàrtiti), bestia: poiché costui (Dante) non viene
con l’aiuto (ammaestrato) di Arianna (la tua sorella), ma va
(vassi) per conoscere l’Inferno (le vostre pene)».

Come il toro che si libera dai lacci (si slaccia) nel momento (in
quella) in cui ha ricevuto il colpo mortale, e non è più in grado
di camminare normalmente (gir non sa), ma barcolla (saltella) qua e là,

io vidi il Minotauro comportarsi alla stessa maniera (far cotale); e il
saggio Virgilio (quello accorto) gridò: «Corri verso il passaggio
(varco): mentre è infuriato è bene che tu cominci a scendere (ti cale)».

Così ci incamminammo (prendemmo via) giù per l’ammasso
(scarco) di quelle pietre, che spesso, a causa dell’insolito (novo)
peso (carco), si muovevano (moviensi) sotto i miei piedi.

Io camminavo (gia) pensando; e Virgilio (quei) disse: «Stai forse pensando
a questa frana (ruina), che è custodita (guardata) da quella bestia
irosa (ira bestial) che ho appena domato (ch’i’ ora spensi).

Voglio (vo’) che tu sappia che l’altra volta
(fïata) che io scesi quaggiù nel basso Inferno,
questa frana (roccia) non era ancora caduta.

Ma certo poco prima (pria), se ben ricordo (discerno), che giungesse
colui (Cristo) che strappò a Lucifero (Dite) gli spiriti dell’Antico
Testamento (la gran preda) dal Limbo (del cerchio superno),

da ogni parte il profondo e puzzolente abisso infernale (l’alta
valle feda) tremò così forte (sì) che io pensai che l’universo
sentisse l’amore, cosa per cui qualcuno crede (è chi creda)

che il mondo debba a più riprese (più volte) ritornare (converso)
nel caos (caòsso); e in quel momento (punto) questa antica
roccia, qui e in altri punti, causò una simile (tal) frana (riverso).

Ma fissa (ficca) lo sguardo in basso (a valle), poiché si avvicina (s’approccia)
il fiume (riviera) di sangue dentro cui ribollono (bolle) coloro (qual)
che con violenza hanno recato danno (noccia) agli altri (in altrui)».

Oh cieca avidità, o folle ira, che tanto ci spingi (alla violenza)
nella vita terrena (corta), e poi in quella eterna così atrocemente
(sì mal) ci immergi nel sangue bollente (c’immolle)!

Vidi una fossa ampia e arcuata (in arco torta), dal momento che
(come quella che) cingeva (abbraccia) tutto il piano (del settimo
cerchio), come (secondo ch’) mi aveva detto la mia guida (scorta);

e tra la fossa (essa) e la base (’l piè) della parete rocciosa (ripa)
correvano (corrien) in fila (in traccia) i Centauri, armati di frecce (saette),
allo stesso modo in cui in terra erano soliti (solien) andare a caccia.

Vedendoci (Veggendoci) scendere (calar), ciascuno di essi si
arrestò (ristette), e tre si allontanarono (si dipartiro) dalla
schiera con archi e frecce (asticciuole) scelte (elette) prima;

e uno di essi gridò da lontano (da lungi): «Verso quale tipo di pena (martiro)
siete diretti (venite) voi che scendete il pendio (costa)? Ditecelo dal
punto in cui vi trovate (costinci); altrimenti (se non) userò l’arco».

Il mio maestro disse: «Daremo (farem) la risposta a Chirone solo
da vicino (costà di presso): le tue richieste (voglia) così
precipitose (sì tosta) furono sempre dannose (mal) per te».

Poi mi toccò (tentò) e aggiunse: «Quello è Nesso, che morì a
causa (per) della bella Deianira, e riuscì egli stesso a vendicare la
propria morte (fé di sé la vendetta elli stesso).

E quello al centro, con lo sguardo abbassato (ch’al petto si mira),
è il grande Chirone, che allevò (nodrì) Achille; l’altro
è Folo, che fu tanto iracondo (sì pien d’ira).

Corrono (vanno) numerosi (a mille a mille) intorno al Flegetonte (fosso),
colpendo con le frecce (saettando) qualunque (qual) spirito cerchi di emergere
(si svelle) dal sangue più di quanto la sua colpa gli ha dato in sorte (sortille)».

Noi ci avvicinammo a quelle belve veloci (isnelle): Chirone
prese una freccia (strale) e con la cocca tirò indietro la barba
spartendola ai lati del mento (mascelle).

Quando ebbe così scoperto la grande bocca, disse ai suoi
compagni: «Vi siete accorti che quello dei due che sta dietro
fa muovere (move) ciò che tocca?

Non sono soliti (soglion) fare così i piedi dei morti». E la mia
guida, che già gli era giunto (li er’) all’altezza del petto, dove
si congiungono (son consorti) le due nature umana ed equina,

rispose: «Egli infatti è vivo, e a lui da solo (sì soletto) io debbo
(mi convien) mostrare l’Inferno (valle buia); lo (’l) conduce qui
(ci ’nduce) la necessità, non il piacere (diletto).

Uno spirito beato (Tal: Beatrice) si distolse (si partì) dal cantare le lodi
a Dio (alleluia) e mi affidò (commise) questo eccezionale (novo) incarico (officio):
questi non è un rapinatore violento (ladron), ed io non sono lo spirito di un ladro (anima fuia).

In nome (per) di quella virtù per la quale io sto andando (movo li
passi) per questo orrido cammino (selvaggia strada), affidaci
(danne) uno dei tuoi, a cui noi possiamo stare (siamo) vicino (a provo),

affinché ci mostri il punto (là) in cui si può attraversare il fiume
(si guada), e porti sulla groppa costui, dal momento che
non è uno spirito (spirto) che possa volare (per l’aere vada)».

Chirone si voltò dal lato (poppa) destro e disse a Nesso: «Torna
indietro (Torna) e guidali come hanno chiesto (sì), e se vi
incontra (v’intoppa) un’altra schiera (di Centauri), falla scansare (cansar)».

Quindi (Or) ci muovemmo insieme alla scorta fidata (fida) lungo la riva (proda)
del rosso fiume bollente (bollor vermiglio), nel quale i dannati che vi erano
immersi (i bolliti) facevano (facieno) acuti (alte) lamenti (strida).

Io vidi spiriti (gente) immersi (sotto) fino alla fronte (ciglio); il grande
centauro disse: «Questi sono tiranni che presero con violenza (dier… di piglio)
la vita (nel sangue) e i beni (ne l’aver) (dei loro sudditi).

Lì (Quivi) sono puniti (si piangon) le violente offese arrecate
senza pietà (spietati danni); lì è Alessandro, e il feroce (fero)
Dionigi, che fece attraversare (fé… aver) alla Sicilia tempi (anni) dolorosi.

E quella testa (fronte) dalla capigliatura così bruna
è Ezzelino; e l’altro biondo è Obizzo d’Este, che nel
mondo fu certamente (per vero)

ucciso (spento) dal figliastro». Allora mi voltai verso
il poeta, il quale disse: «Nesso (Questi) sia adesso la
tua prima guida (primo), e io la seconda».

Poco più avanti il centauro si fermò (s’affisse) presso (sovr’) un
gruppo di spiriti (una gente) che apparivano (parea) immersi solo
fino alla gola in quel sangue bollente (bulicame).

Ci mostrò (Mostrocci) un’anima (ombra) isolata dalle altre (da l’un canto
sola) e disse: «Questi trafisse (fesse) in chiesa (in grembo a Dio)
il cuore che ancora è venerato (si cola) presso (’n su) il Tamigi».

Poi vidi anime che tenevano fuori dal fiume (rio)
la testa e anche tutto il petto (casso); e
riconobbi molti (assai) di costoro.

Così quel sangue si faceva sempre più (a più a più)
basso, fino a far cuocere (cocea) soltanto (pur) i piedi;
e per di qui (e quindi) avvenne il passaggio (nostro passo) del fiume (fosso).

«Così come tu dalla parte finora percorsa (da questa parte)
vedi il fiume bollente (bulicame) divenire sempre meno
profondo (sempre si scema)», disse il centauro, «devi credere

che dalla parte opposta esso va progressivamente (a più a più) abbassando (prema)
il suo fondo, fino a ricongiungersi (si raggiunge) col punto (di massima profondità)
in cui i tiranni devono (convien) subire la propria pena (che gema).

Oltre il guado (di qua) la giustizia divina tormenta (punge)
Attila, che in terra fu un flagello, Pirro e Sesto;
e spreme (munge) in eterno

le lacrime, che fa sgorgare (diserra) col calore (bollor), a Rinieri da
Corneto e a Rinieri de’ Pazzi, che seminarono il terrore
(fecero… tanta guerra) lungo le strade».

Quindi si girò su se stesso (si rivolse) e riattraversò (ripassossi) il fiume (guazzo).



Riassunto


Versi 1-30: Il Minotauro
Nel pendio ripido (la ruina) che porta al settimo cerchio, dove sono puniti i violenti, Dante e Virgilio incontrano il Minotauro, sdraiato tra le rocce. La creatura, vedendoli, si infuria, ma la sua rabbia si rivela inutile. Approfittando del suo scatto d’ira, i due poeti attraversano il dirupo e proseguono verso il cerchio sottostante.

Versi 31-45: L’origine delle rovine infernali
Virgilio racconta a Dante l’origine di queste frane, simili a quella appena attraversata, presenti in vari punti dell’Inferno. Quando egli visitò per la prima volta l’Inferno, su ordine della maga Eritone, queste non esistevano. Si formarono più tardi, al momento del terremoto che accompagnò la morte di Cristo, evento che precedette la sua discesa nel Limbo per liberare i Patriarchi.

Versi 46-75: Il Flegetonte e i Centauri
Nel primo girone del settimo cerchio scorre il Flegetonte, un fiume di sangue bollente dove sono immersi i violenti contro il prossimo. Lungo il sentiero che separa la roccia dal fiume, compaiono i Centauri, che intimano a Dante e Virgilio di fermarsi.

Versi 76-99: L’incontro con Chirone
Virgilio si rivolge al capo dei Centauri, Chirone, spiegando che Dante sta compiendo questo viaggio da vivo e che l’impresa è voluta dal Cielo. Chirone, convinto dalle parole di Virgilio, incarica il centauro Nesso di accompagnarli e di guidarli oltre il fiume.

Versi 100-139: Nesso indica alcuni peccatori a Dante
Durante il tragitto lungo la riva del Flegetonte, Nesso mostra a Dante alcuni peccatori. Immersi fino agli occhi si trovano tiranni come Alessandro, Dionisio, Ezzelino e Obizzo d’Este. Poco più avanti, dove il fiume diventa meno profondo, si scorgono altri dannati, immersi fino alla gola, al petto o ai piedi. Tra loro, Nesso indica figure come Guido di Monfort, Attila, Pirro, Sesto Pompeo e i due ladroni Rinieri da Corneto e Rinieri de’ Pazzi. Nel punto in cui il fiume è più basso si trova il guado, oltre il quale l’acqua ricomincia gradualmente a salire. Terminato il suo incarico, Nesso si volta e torna dall’altra parte del fiume.


Figure Retoriche


v. 2: "Alpestro": Metonimia. È un termine arcaico che vuol dire "alpino", ma in questo caso sta per "montano" senza fare riferimento specifico alle Alpi.
vv. 4-10: "Qual è quella ruina...cotal di quel burrato era la scesa": Similitudine.
v. 6: "Per sostegno manco": Anastrofe.
v. 15: "Come quei cui l’ira dentro fiacca": Similitudine.
v. 21: "Ma vassi per vedere le vostre pene": Allitterazione della v.
v. 33: "Quell’ira bestial": Perifrasi.
v. 33: "Quell’ira bestial": Metonimia, cioè l'astratto per il concreto.
v. 49: "Oh cieca cupidigia e ira folle": Apostrofe. Ci si rivolge a un uditore ideale diverso da quello reale.
vv. 50-51: "Che sì ci sproni ne la vita corta, e ne l’etterna poi sì mal c’immolle!": Chiasmo. I verbi sono collocati all'esterno della frase e i sostantivi all'interno creando una sorta di incrocio immaginario tra due coppie di parole.
v. 89: "Quest’officio novo": Anastrofe.


Analisi ed Interpretazioni


Il Canto XII dell'Inferno: tra Minotauro, Centauri e Flegetonte
Nel Canto XII, Dante abbandona il tono dottrinario del canto precedente per immergere il lettore in una descrizione concreta e vivida, caratterizzata da un paesaggio accidentato e spigoloso. Il terreno, segnato da frane e scoscesi pendii, simboleggia la violenza dominante in questa parte dell’Inferno. Il poeta introduce lo scoscendimento che conduce al settimo cerchio, paragonandolo alla frana degli Slavini di Marco, una grande rovina sul monte Zugna nei pressi di Rovereto. Virgilio spiega che questo crollo è attribuibile al terremoto che scosse la Terra durante la morte di Cristo, evento che avrebbe alterato la geografia infernale.

Il Minotauro
A presidiare l’ingresso del settimo cerchio si trova il Minotauro, un mostro mitologico metà uomo e metà toro, simbolo della violenza cieca e bestiale. La sua figura è ambigua: alcune interpretazioni lo immaginano con testa umana e corpo taurino, altre lo descrivono con testa taurina e corpo umano. Il Minotauro, custode del cerchio nel suo complesso, viene descritto mentre si dibatte in preda alla rabbia e alla frustrazione, un comportamento che Dante paragona alle convulsioni di un toro ferito a morte. La furia del mostro si accende alla menzione di Teseo, l’eroe ateniese che lo uccise. Virgilio, rappresentazione della ragione umana, riesce facilmente a soggiogarlo, evidenziando l’inferiorità della brutalità rispetto alla razionalità.

I Centauri
Superato il Minotauro, i due poeti incontrano i Centauri, creature ibride metà uomo e metà cavallo, incaricate di sorvegliare il primo girone del settimo cerchio, dove sono puniti i violenti contro il prossimo. Armati di archi e frecce, i Centauri impediscono ai dannati di emergere dal fiume di sangue bollente, il Flegetonte, saettando chiunque tenti di infrangere il limite imposto dalla giustizia divina. A differenza del Minotauro, i Centauri sono ritratti con maggiore umanità e individualità. Chirone, il loro capo, è presentato come il più saggio, mentre Nesso, più impulsivo, si offre di aiutare Dante e Virgilio trasportandoli in groppa attraverso il Flegetonte.

Il Flegetonte e il contrappasso
Il Flegetonte, uno dei quattro fiumi infernali insieme ad Acheronte, Stige e Cocito, è costituito da sangue bollente e scorre rosso vivo. Qui sono immersi i violenti contro il prossimo, suddivisi secondo la gravità del loro peccato. I tiranni, colpevoli delle atrocità più grandi, sono sommersi fino agli occhi; gli assassini fino al collo; i ladroni e i predoni fino al petto; e i peccatori minori fino ai piedi, dove il livello del fiume è più basso. Questo fiume non è descritto esplicitamente in questo canto, ma la sua origine verrà approfondita nel Canto XIV, dove Virgilio narrerà la genesi dei fiumi infernali.

Violenza e denuncia sociale
Il tema centrale del canto è la violenza, declinata in tutte le sue forme, dalla brutalità cieca del Minotauro alle azioni predatorie dei Centauri. Dante non manca di inserire una critica ai tiranni del suo tempo, accusandoli di oppressione e crudeltà verso i loro popoli. Tra i dannati si trovano esempi tratti da epoche diverse, con particolare attenzione ai contemporanei, come Òbizzo d’Este, che Dante accusa di essere stato ucciso dal figlio.

In questo canto, la violenza è descritta non solo attraverso i personaggi e i peccatori, ma anche tramite il paesaggio stesso, aspro e difficile, che riflette simbolicamente la natura del peccato. La capacità di Virgilio di interagire diplomaticamente con i Centauri e di sottomettere il Minotauro dimostra ancora una volta la superiorità della ragione sulla forza bruta e sull’istinto.


Passi Controversi


La frana menzionata nei versi 4-9, usata come esempio per descrivere la ruina infernale, è probabilmente quella che si verificò nella valle di Rovereto fino al fiume Adige, avvenuta almeno quattro secoli prima di Dante (nota come slavini di Marco). È possibile che Dante abbia visitato il luogo durante un soggiorno al castello di Lizzana, ospite dei conti di Castelbarco, alleati degli Scaligeri. Tuttavia, l'origine della descrizione sembra derivare da un passo di Alberto Magno nel De meteoris (III, 3), che descrive la frana in termini simili.

Il duca d'Atene citato al verso 17 è Teseo, celebre figlio di Egeo, noto nella mitologia per aver ucciso il Minotauro con l'aiuto di Arianna, figlia di Minosse. Il verso 34, "l'altra fiata", si riferisce alla discesa di Virgilio nell’Inferno già menzionata nel canto IX, versi 22-27. Nei versi 37-39, viene ricordata la discesa trionfale di Cristo all’Inferno dopo la Resurrezione, quando liberò dal Limbo le anime dei patriarchi biblici, definite "la gran preda".

La parola feda al verso 40 deriva dal latino e significa "sozza". I versi 41-42 evocano la teoria di Empedocle, secondo cui l’ordine cosmico derivava dal conflitto tra gli elementi, mentre l’amore avrebbe causato il loro rimescolarsi, generando il caos.

Nei versi 67-69 si fa riferimento al racconto di Ovidio (Metamorfosi, IX, 101 e seguenti), in cui il centauro Nesso, dopo essere stato ucciso da Ercole per aver tentato di rapire Deianira, inganna quest'ultima. Egli le dona una tunica imbevuta del proprio sangue velenoso, facendole credere che avrebbe garantito fedeltà al marito. Quando Ercole, innamorato di Iole, indossa la tunica, subisce una morte atroce. Folo (v. 72), un altro centauro noto per la sua violenza, partecipa al tentato rapimento di Ippodamia durante le nozze con Piritoo, ma viene ucciso da Teseo.

Il termine soletto al verso 85 indica che Dante è l’unico a godere del privilegio di questo viaggio ultraterreno. Nei versi 88-90 si ricorda l’intervento di Beatrice, che dal Limbo aveva chiesto a Virgilio di soccorrere Dante (canto II, versi 52 e seguenti). L’espressione a provo al verso 93, derivata dal latino ad prope, significa "da vicino".

Per quanto riguarda il personaggio di Alessandro citato al verso 107, potrebbe trattarsi di Alessandro Magno o di Alessandro di Fere in Tessaglia. Infine, il termine bulicame al verso 117 si riferisce a una sorgente termale nei pressi di Viterbo, evocata per descrivere il Flegetonte (cfr. canto XIV, verso 79).

Fonti: libri scolastici superiori

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