Parafrasi e Analisi: "Canto XXI" - Divina Commedia - Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XXI dell'Inferno segna l'ingresso di Dante e Virgilio nella quinta bolgia dell'ottavo cerchio, dedicata ai dannati per baratteria, ossia coloro che in vita sfruttarono il proprio ruolo pubblico per ottenere guadagni illeciti. In questo scenario, Dante sviluppa un'intensa critica sociale e morale, evidenziando la corruzione e l'abuso di potere come mali profondamente radicati nella sua epoca.
Il canto si distingue per il tono grottesco e caricaturale, che lo rende uno dei più singolari della Commedia. Dante introduce qui un nuovo gruppo di demoni, i Malebranche, figure burlesche e minacciose che incarnano la violenza e la crudeltà della giustizia infernale. Attraverso la loro rappresentazione, il poeta amplifica il carattere beffardo e crudele della pena inflitta ai barattieri, accentuando il contrasto tra l'ironia della messa in scena e la gravità del peccato punito.
Questo canto, dunque, si configura come un momento di satira e critica politica, intrecciando il tema della giustizia divina con una riflessione sulle storture e le ipocrisie del potere terreno, rivelando il genio di Dante nel fondere allegoria e denuncia sociale.
Testo e Parafrasi
Così di ponte in ponte, altro parlando che la mia comedìa cantar non cura, venimmo; e tenavamo 'l colmo, quando restammo per veder l'altra fessura di Malebolge e li altri pianti vani; e vidila mirabilmente oscura. Quale ne l'arzanà de' Viniziani bolle l'inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani, ché navicar non ponno – in quella vece chi fa suo legno novo e chi ristoppa le coste a quel che più vïaggi fece; chi ribatte da proda e chi da poppa; altri fa remi e altri volge sarte; chi terzeruolo e artimon rintoppa –; tal, non per foco ma per divin'arte, bollia là giuso una pegola spessa, che 'nviscava la ripa d'ogne parte. I' vedea lei, ma non vedëa in essa mai che le bolle che 'l bollor levava, e gonfiar tutta, e riseder compressa. Mentr'io là giù fisamente mirava, lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», mi trasse a sé del loco dov'io stava. Allor mi volsi come l'uom cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda, che, per veder, non indugia 'l partire: e vidi dietro a noi un diavol nero correndo su per lo scoglio venire. Ahi quant'elli era ne l'aspetto fero! e quanto mi parea ne l'atto acerbo, con l'ali aperte e sovra i piè leggero! L'omero suo, ch'era aguto e superbo, carcava un peccator con ambo l'anche, e quei tenea de' piè ghermito 'l nerbo. Del nostro ponte disse: «O Malebranche, ecco un de li anzïan di Santa Zita! Mettetel sotto, ch'i' torno per anche a quella terra che n'è ben fornita: ogn'uom v'è barattier, fuor che Bonturo; del no, per li denar vi si fa ita». Là giù 'l buttò, e per lo scoglio duro si volse; e mai non fu mastino sciolto con tanta fretta a seguitar lo furo. Quel s'attuffò, e tornò sù convolto; ma i demon che del ponte avean coperchio, gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto! qui si nuota altrimenti che nel Serchio! Però, se tu non vuo' di nostri graffi, non far sopra la pegola soverchio». Poi l'addentar con più di cento raffi, disser: «Coverto convien che qui balli, sì che, se puoi, nascosamente accaffi». Non altrimenti i cuoci a' lor vassalli fanno attuffare in mezzo la caldaia la carne con li uncin, perché non galli. Lo buon maestro «Acciò che non si paia che tu ci sia», mi disse, «giù t'acquatta dopo uno scheggio, ch'alcun schermo t'aia; e per nulla offension che mi sia fatta, non temer tu, ch'i' ho le cose conte, perch'altra volta fui a tal baratta». Poscia passò di là dal co del ponte; e com'el giunse in su la ripa sesta, mestier li fu d'aver sicura fronte. Con quel furore e con quella tempesta ch'escono i cani a dosso al poverello che di sùbito chiede ove s'arresta, usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt'i runcigli; ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! Innanzi che l'uncin vostro mi pigli, traggasi avante l'un di voi che m'oda, e poi d'arruncigliarmi si consigli». Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; per ch'un si mosse – e li altri stetter fermi –, e venne a lui dicendo: «Che li approda?». «Credi tu, Malacoda, qui vedermi esser venuto», disse 'l mio maestro, «sicuro già da tutti vostri schermi, sanza voler divino e fato destro? Lascian'andar, ché nel cielo è voluto ch'i' mostri altrui questo cammin silvestro». Allor li fu l'orgoglio sì caduto, ch'e' si lasciò cascar l'uncino a' piedi, e disse a li altri: «Omai non sia feruto». E 'l duca mio a me: «O tu che siedi tra li scheggion del ponte quatto quatto, sicuramente omai a me ti riedi». Per ch'io mi mossi, e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto; così vid'io già temer li fanti ch'uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti. I' m'accostai con tutta la persona lungo 'l mio duca, e non torceva li occhi da la sembianza lor ch'era non buona. Ei chinavan li raffi e «Vuo' che 'l tocchi», diceva l'un con l'altro, «in sul groppone?». E rispondien: «Sì, fa che gliel'accocchi!». Ma quel demonio che tenea sermone col duca mio, si volse tutto presto e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo iscoglio non si può, però che giace tutto spezzato al fondo l'arco sesto. E se l'andare avante pur vi piace, andatevene su per questa grotta; presso è un altro scoglio che via face. Ier, più oltre cinqu'ore che quest'otta, mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta. Io mando verso là di questi miei a riguardar s'alcun se ne sciorina; gite con lor, che non saranno rei». «Tra'ti avante, Alichino, e Calcabrina», cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi la decina. Libicocco vegn'oltre e Draghignazzo, Cirïatto sannuto e Graffiacane e Farfarello e Rubicante pazzo. Cercate 'ntorno le boglienti pane; costor sian salvi infino a l'altro scheggio che tutto intero va sovra le tane». «Omè, maestro, che è quel ch'i' veggio?», diss'io, «deh, sanza scorta andianci soli, se tu sa' ir; ch'i' per me non la cheggio. Se tu se' sì accorto come suoli, non vedi tu ch'e' digrignan li denti e con le ciglia ne minaccian duoli?». Ed elli a me: «Non vo' che tu paventi; lasciali digrignar pur a lor senno, ch'e' fanno ciò per li lessi dolenti». Per l'argine sinistro volta dienno; ma prima avea ciascun la lingua stretta coi denti, verso lor duca, per cenno; ed elli avea del cul fatto trombetta. |
Così, parlando di cose diverse (altro), che il mio poema (comedìa) non si preoccupa (non cura) di registrare (cantar), passammo da un ponte a quello successivo (di ponte in ponte); ed eravamo sulla sua sommità (tenavamo 'l colmo), quando ci arrestammo (restammo) per guardare l'altra bolgia (fessura) di Malebolge e gli altri pianti inutili (vani); e la vidi straordinariamente (mirabilmente) buia. Come, nell'arsenale (arzanà) dei Veneziani, in inverno bolle la pece appiccicosa e consistente (tenace) per poter nuovamente spalmare (a rimpalmare) le loro navi (legni) avariate (non sani), poiché (ché), non possono (ponno) navigare (essendo inverno) – e invece (di navigare) (in quella vece) c'è chi ripara (fa... novo) la propria nave e chi con la stoppa tura le falle (ristoppa) nelle fiancate (coste) delle imbarcazioni più usurate (a quel che più vïaggi fece) chi fissa le tavole (ribatte) a prua (da proda) e chi a poppa; alcuni fanno remi e altri riavvolgono (volge) i cordami (sarte); chi rappezza la vela minore (terzeruolo) e quella principale (artimon) –: così (tal), non a causa del fuoco (per foco) ma per artificio divino (divin'arte), laggiù (là giuso) bolliva (bollia) una pece (pegola) densa (spessa), che rendeva appiccicose ('nviscava) entrambe le pareti (d'ogne parte) della bolgia (ripa). Io vedevo la pece (lei), ma non distinguevo al suo interno (in essa) null'altro che (mai che) le bolle che il bollore faceva risalire (levava), e (la vedeva) gonfiarsi tutta e riabbassarsi (riseder) dopo lo scoppio delle bolle (compressa). Mentre guardavo (mirava) fissamente laggiù, la mia guida, dicendo «Sta attento (Guarda), sta attento!», mi trasse a sé dal punto (loco) in cui io stavo. Allora mi voltai come colui (l'uom) che desidera (tarda) vedere una cosa (quel) che gli conviene evitare (fuggire) e a cui la paura improvvisa (sùbita) toglie coraggio (sgagliarda), che, pur cercando di vedere (per veder), non indugia ad allontanarsi ('l partire): e dietro di noi vidi venire un diavolo nero correndo su per il ponte di pietra (scoglio). Ahi come era feroce (fero) nello sguardo (ne l'aspetto)! e quanto mi sembrava crudele (acerbo) nell'atteggiamento (ne l'atto), con le ali aperte e tanto veloce (sovra i piè leggero)! Un peccatore gravava (carcava) con entrambe le anche il suo omero, che era appuntito (aguto) e rilevato (superbo), e questi (quei: il diavolo) lo teneva stretto (ghermito) per i garretti (de' piè... 'l nerbo). Dal ponte su cui noi ci trovavamo disse: «O diavoli Malebranche, ecco uno degli anziani di Santa Zita! Immergetelo nella pece (Mettetel sotto), mentre io ritorno per prenderne altri (per anche) in terra di Lucca (a quella terra), che ne è ben fornita: là ciascuno (ogn'uom) è barattiere, tranne Bonturo; per denaro (per li denar) ogni no là (vi) diventa (si fa) sì (ita)». Lo gettò giù, e si voltò sul ponte di pietra (scoglio duro); e mai un mastino sciolto (dalla catena) fu più veloce (con tanta fretta) ad inseguire (a seguitar) un ladro (lo furo). Il dannato (Quel) sprofondò (s'attuffò) e riemerse (tornò sù) imbrattato di pece (convolto); ma i demoni che si trovavano sotto il ponte (che del ponte avean coperchio), gridarono (gridar): «Qui non è esposto (non ha loco) il Santo Volto! qui si nuota ben diversamente (altrimenti) che nel Serchio! Perciò, se non vuoi (provare) i nostri graffi, non emergere (non far... soverchio) dalla pece (sopra la pegola)». Dopo che (Poi) l'ebbero colpito (l'addentar) con numerosi (più di cento) ferri uncinati (raffi), dissero: «Qui è necessario (convien) che ti muovi (balli) immerso nella pece (Coverto), così che, se lo puoi, arraffi (accaffi) di nascosto (nascosamente)». Allo stesso modo (Non altrimenti) i cuochi (cuoci) fanno immergere (attuffare) ai loro sguatteri (vassalli) la carne nel pentolone (caldaia) con gli uncini, affinché non venga a galla (non galli). Virgilio mi disse: «Perché non si veda (non si paia) che tu ci sei, acquattati (t'acquatta) giù dietro (dopo) una sporgenza di roccia (scheggio) che ti offra (t'aia) qualche riparo (schermo); e non temere per qualsiasi offesa (offension) che mi venga fatta, dal momento che io (ch'i') so come vanno le cose (ho le cose conte), poiché mi sono trovato anche un'altra volta in una simile contesa (a tal baratta)». Poi passò al di là dell'estremità (co) del ponte; e appena giunse sull'argine tra la quinta e la sesta bolgia (in su la ripa sesta), gli fu necessario (mestier li fu) aver l'aspetto (fronte) sicuro. Con lo stesso furore e con lo stesso frastuono (tempesta) con cui i cani si avventano (ch'escono... a dosso) sul mendicante (poverello), che chiede l'elemosina (chiede) nel punto in cui si è immediatamente (di sùbito) fermato (ove s'arresta), uscirono i diavoli (quei) da sotto il ponticello, e rivolsero tutti i propri uncini (runcigli) contro di lui; ma egli gridò: «Nessuno di voi abbia cattive intenzioni (sia fello)! Prima che i vostri uncini mi afferrino (mi pigli), si faccia avanti (traggasi avante) uno di voi che mi ascolti (che m'oda), e poi si decida o meno (si consigli) se uncinarmi (d'arruncigliarmi)». Tutti gridarono: «Vada Malacoda!»; per cui uno di loro si mosse – mentre (e) gli altri rimasero fermi – e si recò da lui dicendo: «A che cosa gli giova (parlare con me) (Che li approda)?». «Malacoda», disse il mio maestro, «credi tu di vedermi essere venuto qui protetto da tutti i vostri impedimenti (schermi), senza il volere divino e il favore della provvidenza (fato destro)? Lasciaci (Lascian') andare, poiché vuole il Cielo che io mostri a costui (altrui) questo selvaggio (silvestro) cammino». Allora l'orgoglio di colpo gli venne meno (li fu... sì caduto), che egli (ch'e') lasciò cadere (cascar) ai piedi l'uncino, e disse agli altri: «A questo punto (Omai) non sia più ferito (feruto)». E la mia guida: «Tu che stai (siedi) acquattato (quatto quatto) tra le rocce (scheggion) del ponte, puoi ormai ritornare (ti riedi) da me senza paura (sicuramente)». Per cui io mi avviai (mi mossi) e andai molto rapidamente (ratto) da lui; e i diavoli si fecero tutti avanti, così che io ebbi paura che essi non mantenessero il patto (tenesser patto); così io vidi già aver paura i soldati che uscivano da Caprona dopo aver patteggiato la resa (patteggiati), vedendosi in mezzo a tanti nemici. Mi accostai con tutto il corpo (persona) vicino (lungo) alla mia guida, e non toglievo (torceva) lo sguardo dal loro atteggiamento (sembianza), che era poco rassicurante (non buona). Essi (Ei) abbassavano gli uncini e «Vuoi che lo colpisca (tocchi) sulla schiena (groppone)?», si dicevano l'un l'altro. E rispondevano: «Sì, fa in modo di assestargli un colpo (fa che gliel'accocchi)». Ma quel diavolo che trattava (tenea sermone) con la mia guida si voltò velocemente (tutto presto) e disse: «Fermo (Posa), fermo (posa), Scarmiglione!». Poi disse a noi: «Non si può andare oltre lungo (per) questa fila di ponti (iscoglio), poiché (però che) il ponte sopra la sesta bolgia (l'arco sesto) è (giace) sul fondo crollato (tutto spezzato). E se tuttavia (pur) desiderate (vi piace) proseguire (l'andare avante), risalite (andatevene su) questo argine (grotta); vicino (presso) vi è un altro ponte che consente il passaggio (che via face). Ieri, cinque ore più tardi (più oltre cinqu'ore) di questa ora (otta), sono passati (compiè) 1266 anni da quando il ponte è crollato (per il terremoto) (che qui la via fu rotta). Io mando verso il ponte intatto (verso là) alcuni di questi diavoli (di questi miei) per controllare (a riguardar) se qualche dannato (s'alcun) viene fuori dalla pece (se ne sciorina); andate con loro, che non vi faranno alcun male (che non saranno rei)». «Fatti (Tra'ti) avanti, Alichino, e Calcabrina», cominciò a dire, «e tu, Cagnazzo; e Barbariccia guidi il gruppo dei dieci (decina). Vadano inoltre Libicocco e Draghignazzo, Ciriatto fornito di zanne (sannuto) e Graffiacane, Farfarello e il rabbioso (pazzo) Rubicante. Perlustrate (Cercate 'ntorno) la pece bollente (le boglienti pane); costoro siano salvaguardati (salvi) fino all'altro ponte (scheggio) che sovrasta (va sovra) le bolge (tane) senza interruzioni (tutto intero)». «Oimè, maestro, che cos'è quello che vedo (veggio)?», dissi, «se tu ci sai andare (ir), andiamo via di qui (andianci) senza scorta; dal momento che io non ne sento il bisogno (non la cheggio). Se tu sei così attento, (accorto), come sei solito essere (suoli), non vedi che essi stanno digrignando i denti e minacciano guai (duoli) con le loro occhiate (con le ciglia)?». Ed egli a me: «Non voglio (vo') che tu abbia timore (paventi); lasciali pure digrignare a loro piacere (a lor senno), poiché essi (ch'e') lo fanno per i dannati (dolenti) che bollono nella pece (lessi)». Svoltarono (volta dienno) per l'argine sinistro; ma prima ciascuno di loro aveva stretto la lingua tra i denti, come segnale (per cenno) per il loro capo (duca); e questi aveva usato (fatto) il culo come una trombetta. |
Riassunto
La scena iniziale (vv. 1-21)
Dante e Virgilio si affacciano su un ponte da cui osservano la quinta bolgia, caratterizzata da una profonda oscurità causata dalla pece nera che ribolle. In questa sostanza viscosa sono immersi i barattieri, peccatori colpevoli di aver tradito la fiducia pubblica e gestito incarichi pubblici in modo corrotto e disonesto.
L'arrivo di un peccatore (vv. 22-57)
Mentre i due poeti osservano la scena, un diavolo nero si avvicina di corsa, portando sulle spalle un dannato appena catturato. Raggiunta la sommità del ponte, il diavolo lo getta nella pece bollente, ordinando ai Malebranche, i demoni della bolgia, di sorvegliarlo attentamente mentre lui torna a Lucca per catturare altri peccatori. Il malcapitato, appena riemerso, viene brutalmente afferrato dagli uncini dei diavoli, che lo straziano senza pietà.
L'incontro tra Virgilio e i diavoli (vv. 58-87)
Virgilio, intuendo il pericolo, consiglia a Dante di nascondersi dietro una roccia per evitare di attirare l'attenzione dei demoni. Decide di affrontarli personalmente per discutere con loro. Quando i diavoli cercano di aggredirlo, Virgilio li ferma con autorevolezza, dichiarando le sue intenzioni. Tra loro si fa avanti Malacoda, il capo dei demoni, che ascolta le parole di Virgilio e ordina ai suoi seguaci di cessare ogni ostilità.
La paura di Dante (vv. 88-105)
Una volta rassicurati i demoni, Virgilio invita Dante a uscire dal suo nascondiglio. Tuttavia, appena si avvicina, i diavoli iniziano a minacciarlo con sguardi e gesti intimidatori. Solo l'autorità di Malacoda riesce a trattenere i demoni dal passare all'attacco.
Il tranello di Malacoda (vv. 106-126)
Malacoda avvisa i due poeti che il ponte verso la sesta bolgia è crollato a causa del terremoto avvenuto durante la morte di Cristo. Per proseguire, consiglia loro di seguire l'argine fino a un altro ponte ancora intatto. Tuttavia, questa indicazione si rivelerà falsa. Come segno di "aiuto", Malacoda offre ai poeti una scorta composta da dieci diavoli, guidati dal volgare e burlesco Barbariccia.
La partenza sotto scorta (vv. 127-139)
Dante, sospettoso delle intenzioni dei demoni, vorrebbe evitare di affidarsi a loro, ma Virgilio lo tranquillizza e lo convince a seguirli. A quel punto Barbariccia, in modo osceno e irriverente, dà il segnale di partenza utilizzando il proprio posteriore come una tromba. Così, la strana compagnia si incammina lungo il percorso indicato.
Figure Retoriche
v. 1: "Altro parlando": Anastrofe.
vv. 1-3: "Così di ponte in ponte...venimmo": Iperbato.
vv. 4-5: "Fessura / di Malebolge": Enjambement.
vv. 7-18: "Quale ne l'arzanà de' Viniziani bolle l'inverno la tenace pece a rimpalmare i legni lor non sani...tal, non per foco, ma per divin'arte, bollia là giuso una pegola spessa, che 'nviscava la ripa d'ogne parte": Similitudine.
v. 10: "Navicar non ponno": Anastrofe.
v. 16: "Non per foco, ma per divin'arte": Antitesi.
v. 23: "Lo duca mio": Anastrofe.
vv. 25-28: "Mi volsi come l'uom cui tarda di veder quel che li convien fuggire e cui paura sùbita sgagliarda, che, per veder, non indugia 'l partire": Similitudine.
v. 31: "Ne l'aspetto fero": Anastrofe.
v. 34: "L'omero": Sineddoche. La parte per il tutto, l'omero invece di dire la spalla.
v. 34: "Aguto e superbo": Endiadi.
vv. 67-71: "Con quel furore e con quella tempesta ch'escono i cani a dosso al poverello che di sùbito chiede ove s'arresta, usciron quei di sotto al ponticello, e volser contra lui tutt'i runcigli": Similitudine.
vv. 91-96: "Per ch'io mi mossi, e a lui venni ratto; e i diavoli si fecer tutti avanti, sì ch'io temetti ch'ei tenesser patto; così vid'io già temer li fanti ch'uscivan patteggiati di Caprona, veggendo sé tra nemici cotanti": Similitudine.
v. 96: "Tra nemici cotanti": Anastrofe.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto XXI dell'Inferno è l'inizio di una grottesca e vivace "commedia infernale" che prosegue nel XXII e si conclude nel XXIII, ponendo al centro della scena i due poeti, i diavoli Malebranche e i barattieri puniti nella quinta bolgia. Questo episodio è permeato dal tema dell'inganno e del gusto per la beffa, che coinvolge tutti i personaggi in una narrazione caratterizzata da un linguaggio comico-realistico, movimenti frenetici e gesti caricaturali. I diavoli, descritti come creature nere e alate, svolgono il ruolo di custodi della bolgia, impedendo ai barattieri immersi nella pece bollente di emergere in superficie. Armati di uncini, i demoni puniscono crudelmente i peccatori, ma lo fanno con un'ironia malvagia che ne sottolinea il carattere popolare e grottesco.
L'immagine dei Malebranche richiama quella di sguatteri che intingono la carne nella pentola per i cuochi, un paragone che ne enfatizza il lato buffonesco e triviale. Diversamente da altre figure demoniache già incontrate, come i centauri del Flegetonte, questi diavoli non hanno nulla di solenne: i loro nomi ridicoli e le azioni farsesche contribuiscono a creare un'atmosfera di beffa e comicità. Tra gli episodi più ironici spicca l'arrivo di un dannato lucchese, accolto dai diavoli con scherno: gli ricordano che lì non troverà il Santo Volto di Lucca e lo deridono per il suo volto imbrattato di pece, invitandolo a "ballare" sotto la superficie per sfuggire ai loro uncini.
Anche il rapporto tra Dante, Virgilio e i Malebranche si sviluppa in una dimensione grottesca. Virgilio, con ostentata sicurezza, si presenta per parlamentare con i diavoli, lasciando Dante nascosto dietro una roccia. Malacoda, il capo dei demoni, fornisce alcune informazioni veritiere, come il crollo dei ponti causato dal terremoto che seguì la morte di Cristo, ma mente indicando ai poeti una via inesistente verso la bolgia successiva. La falsa promessa di una guida sicura da parte di una squadra di dieci diavoli è un ulteriore inganno che alimenta il clima di tensione e diffidenza. Tuttavia, la comicità resta predominante: i Malebranche, con i loro nomi e atteggiamenti caricaturali, perdono il loro aspetto minaccioso e diventano una sgangherata combriccola incapace di impedire ai poeti di proseguire.
La narrazione assume un tono volutamente basso e triviale, in sintonia con la meschinità del peccato di baratteria, considerato una forma di corruzione pubblica. La città di Lucca emerge come simbolo di questo peccato, ma la condanna di Dante si estende anche ad altre realtà, senza riferimenti espliciti a Firenze, nonostante le accuse di baratteria rivolte al poeta stesso durante l'esilio. Attraverso il sarcasmo e l'ironia, Dante prende le distanze sia da queste accuse sia dai peccatori della bolgia, rappresentati come meschini truffatori ora immersi in una pece bollente che simboleggia il loro destino.
La struttura narrativa del Canto XXI si salda strettamente con quella del XXII, creando una sequenza di azioni dinamiche e ricche di situazioni farsesche: i diavoli litigano tra loro, compiono gesti grotteschi e arrivano persino a lasciarsi sfuggire i due poeti a causa della loro stessa disattenzione. I barattieri, che restano perlopiù nascosti nella pece, sono solo comparse in questo episodio, mentre nel Canto XXII emergono maggiormente, in particolare Ciampolo, che interagirà direttamente con i diavoli, accrescendo la comicità della scena.
L'aspetto autobiografico dell'episodio è significativo: Dante, condannato in vita per baratteria, trasforma questa accusa in oggetto di scherno, rimarcando l'ingratitudine dei suoi concittadini e usando il sarcasmo come strumento di distacco emotivo. Virgilio, che rappresenta la Ragione, appare ingenuo di fronte agli inganni dei Malebranche, sottolineando i limiti della conoscenza umana senza il supporto della fede. Tuttavia, il poeta latino riesce comunque a guidare Dante attraverso questa bolgia, dimostrando che, nonostante tutto, la ragione resta un elemento indispensabile per il viaggio nell'Oltretomba.
Infine, il discorso di Malacoda, con il riferimento al terremoto che ha causato il crollo dei ponti, diventa un momento cruciale per la cronologia del viaggio dantesco. La scena si svolge nel mattino del Sabato Santo del 1300, a pochi giorni dalla Pasqua, un dettaglio che colloca con precisione gli eventi in un contesto temporale ben definito.
Questo episodio, con il suo linguaggio colorito, i toni grotteschi e la vivacità delle situazioni, rappresenta una pausa ironica e comica all'interno della tragedia dell'Inferno, senza però sminuire la condanna morale del peccato di baratteria e la critica alla corruzione politica e civile.
Passi Controversi
I versi 7-15 offrono una descrizione vivida e dettagliata dell'Arsenale della Repubblica di Venezia, il celebre cantiere navale fondato nel 1104 e ampliato nel XIV secolo, tra i più imponenti d'Europa. L'accuratezza della descrizione lascia supporre che Dante avesse potuto visitare Venezia e osservare l'Arsenale di persona. Tuttavia, non ci sono prove certe della sua presenza nella città durante la stesura dell'Inferno, e alcuni studiosi ipotizzano che il passaggio possa essere stato ritoccato successivamente. La pece menzionata nel testo, materiale impermeabile, veniva utilizzata per sigillare le falle negli scafi delle navi.
Nei versi 34-36, si descrive un diavolo che trasporta il dannato riverso sulla spalla, con la testa piegata all'indietro e le gambe rivolte in avanti, afferrate dalla mano artigliata del demonio.
Santa Zita (v. 38) si riferisce alla città di Lucca, e il termine «anziani» identifica un collegio di dieci magistrati locali. Il dannato in questione, portato nella bolgia, è stato identificato da alcuni studiosi come Martino Bottario, morto presumibilmente nel 1300. Al v. 41, il diavolo cita ironicamente Bonturo Dati, noto per la sua posizione di rilievo tra i popolari e per la sua inclinazione alla corruzione. La frase successiva (v. 42), che afferma che a Lucca ogni «no» diventa «sì» in cambio di denaro, è un'amara osservazione sul dilagare della baratteria: il termine ita (avverbio latino per «sì») sottolinea il consenso ottenuto illecitamente.
L'aggettivo convolto (v. 46) è probabilmente usato per indicare qualcosa di «imbrattato di pece». Il Santo Volto (v. 48) si riferisce al crocifisso in legno nero di stile bizantino custodito nella basilica di San Martino a Lucca. Le parole irrispettose del diavolo ne paragonano il volto sacro a quello del barattiere, sporco e ricoperto di pece.
I raffi (v. 52) sono bastoni dotati di uncini utilizzati dai diavoli, mentre il verbo accaffi (v. 54), di matrice dialettale e antica, significa «afferrare con avidità», un riferimento al comportamento dei barattieri durante la loro vita. Il termine cuoci (v. 55) è una forma arcaica plurale per «cuochi».
Il verso 69 allude al mendicante che, assalito dai cani, si ferma e, timoroso, cerca di chiedere l'elemosina dal punto in cui è stato costretto a interrompersi. Il verbo arruncigliarmi (v. 75) è una creazione linguistica di Dante, derivata da runcigli, ossia i bastoni uncinati usati dai diavoli.
I versi 94-96 si riferiscono alla resa del castello di Caprona nel 1289, un evento storico al quale si ritiene abbia partecipato anche Dante. Il termine quest'otta (v. 112) corrisponde a «quest'ora» ed è un'espressione tipicamente fiorentina, come lo è allotta, che significa «allora». Infine, le boglienti pane (v. 124) indicano le panie appiccicose e vischiose della pece, descritte con un termine arcaico.
Fonti: libri scolastici superiori