Horkheimer - Adorno - Il cinema come industria culturale


Immagine Horkheimer
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Il seguente passaggio è tratto dal celebre capitolo della "Dialettica dell'illuminismo" che si concentra sull'«Industria culturale». Con questa espressione, Adorno fa riferimento alle forme di cultura connesse all'evoluzione dei mass media e destinate alle masse, come la musica leggera o il cinema di Hollywood. Nelle pagine selezionate, in particolare, il cinema viene visto come uno strumento che annulla la personalità individuale e la capacità di opporsi al modello capitalistico di società. Contrariamente a Benjamin, Adorno sostiene che lo spettatore cinematografico venga privato delle sue capacità creative e di pensiero critico, completamente assorbito dalla trama e dai personaggi. Di conseguenza, perde la capacità critica di immaginare mondi alternativi e finisce per considerare la realtà come un'estensione del film visto al cinema. Non decide più autonomamente ma è alla mercé di una società che lo manipola, imponendogli l'adesione a valori predefiniti. Anche se crede di sfuggire, nel tempo libero, ai rigidi meccanismi produttivi, in realtà il sistema economico determina così integralmente la produzione dei beni di svago che ciò che consuma sono solo riproduzioni del processo lavorativo stesso. L'industria culturale, quindi, lungi dall'elevare le masse al mondo dell'arte, è in realtà un mezzo per perpetuare la società esistente.


Lettura


Il mondo intero è passato al setaccio dell'industria culturale. La vecchia esperienza dello spettatore cinematografico, che, uscendo sulla via, ha l'impressione di trovarsi di fronte alla continuazione dello spettacolo appena lasciato, poiché quest'ultimo vuole appunto riprodurre, nel modo più rigoroso, il mondo percettivo della vita quotidiana, è assurta a criterio della produzione. Quanto più fitta e integrale è la duplicazione degli oggetti empirici da parte delle sue tecniche, e tanto più facile riesce oggi far credere che il mondo di fuori non sia che il prolungamento di quello che si viene a conoscere al cinema. A partire dalla subitanea introduzione del sonoro il processo di riproduzione meccanica è passato interamente al servizio di questo disegno. La vita – almeno tendenzialmente – non deve più potersi distinguere dal film sonoro.

In quanto quest'ultimo, superando di gran lunga il teatro illusionistico, non lascia più, alla fantasia e al pensiero degli spettatori, alcuna dimensione in cui essi possano – sempre nell'ambito dell'opera cinematografica, ma liberi dalla costrizione dei suoi dati puntuali – spaziare e muoversi a proprio talento senza perdere il filo della narrazione, addestra le vittime del suo trattamento a identificarlo senz'altro e immediatamente con la realtà. L'impoverimento dell'immaginazione e della spontaneità del consumatore culturale dei nostri giorni non ha bisogno di essere ricondotto, in prima istanza, a meccanismi di ordine psicologico. Sono i prodotti stessi, a cominciare dal più caratteristico di tutti, il film sonoro, a paralizzare quelle facoltà per la loro stessa costituzione oggettiva. Sono fatti in modo che la loro ricezione adeguata esiga bensì prontezza di intuito, capacità di osservazione e competenza specifica, ma anche da vietare letteralmente l'attività mentale o intellettuale dello spettatore, se questi non vuole perdere i fatti che gli sgusciano rapidamente davanti. La tensione che si viene in tal modo a creare è, beninteso, così automatica, così profondamente inculcata e radicata nel soggetto che non ha più bisogno di essere attualizzata nel caso particolare e ottiene tuttavia ugualmente il risultato di rimuovere l'immaginazione.

Chi è talmente assorbito dall'universo del film – gesti, immagini e parole – da non essere in grado di aggiungergli ciò per cui solo diventerebbe veramente tale, non è detto che sia poi necessariamente, al momento della rappresentazione, tutto quanto preso e occupato dagli effetti particolari del macchinario. Da tutti gli altri film e dagli altri prodotti culturali che non può fare a meno di conoscere, le prove di attenzione richieste gli sono così familiari da poter essere fornite, ormai, in modo automatico. La violenza della società industriale opera sugli uomini una volta per tutte. I prodotti dell'industria culturale possono contare di essere consumati alacremente anche in uno stato di distrazione.

Ma ciascuno di essi è un modello del gigantesco meccanismo economico che tiene tutti sotto pressione fin dall'inizio, nel lavoro e nel riposo che gli assomiglia. Da ogni film sonoro, da ogni trasmissione radio, si può desumere ciò che non si potrebbe ascrivere ad effetto di nessuno di essi preso singolarmente, ma solo di tutti quanti insieme nella società. Immancabilmente, senza eccezione, ogni singola manifestazione dell'industria culturale torna a fare degli uomini ciò che li ha già resi l'industria culturale intera. E ad impedire che questo processo di riproduzione semplice dello spirito possa mai dare luogo a quella allargata, vegliano tutti i suoi agenti, dal produttore fino alle associazioni femminili. [...]

Giudizio critico e competenza specifica sono messi al bando, e bollati come la presunzione di chi si crede superiore agli altri, mentre la cultura, che è così democratica, ripartisce equamente i suoi privilegi fra tutti. Di fronte alla tregua ideologica che si è instaurata, il conformismo dei consumatori, come l'impudenza della produzione che essi tengono in vita, acquistano, per così dire, una buona coscienza.

Esso si accontenta della riproduzione del sempre uguale. La monotonia del sempre uguale governa anche il rapporto al passato. La novità della fase della cultura di massa, rispetto a quella tardo-liberale, consiste appunto nell'esclusione del nuovo. La macchina ruota, se così si può dire, sur place. Mentre è già in condizione di determinare il consumo, scarta ciò che non è stato ancora sperimentato come un rischio inutile. I cineasti considerano con sospetto e diffidenza ogni manoscritto che non abbia già dietro di sé, come sua fonte, un rassicurante best-seller. [...]

È quasi come se un'istanza onnipresente avesse passato in rassegna il materiale e stabilito il listino ufficiale dei beni culturali, che illustra brevemente le serie disponibili. Le idee sono iscritte nel cielo della cultura, in cui erano già state collocate e rinchiuse da Platone, come entità numerate, anzi numeri, che non avrebbero mai potuto aumentare né cambiare. L'amusement, il divertimento, tutti gli ingredienti dell'industria culturale, esistevano già da tempo prima di essa. Ora vengono ripresi e manovrati dall'alto, e sollevati al livello dei tempi. L'industria culturale può vantarsi di avere realizzato con estrema energia, e di avere eretto a principio, la trasposizione – che era stata spesso, prima di essa, goffa e maldestra – dell'arte nella sfera del consumo, di avere liberato l'amusement delle sue ingenuità più petulanti e fastidiose e di avere migliorato la confezione delle merci. Man mano che diventava più totale e più totalitaria, e che obbligava più spietatamente ogni outsider a dichiarare fallimento o ad entrare nella corporazione, essa si faceva, nello stesso tempo, più fine e più sostenuta, fino a terminare nella sintesi di Beethoven col Casino de Paris. Il suo trionfo è duplice: ciò che estingue fuori di sé come verità, può riprodurlo a piacere dentro di sé come menzogna. L'arte «leggera» come tale, lo svago, non è una forma morbosa o degenerata. Chi la deplora come un tradimento nei confronti dell'ideale dell'espressione pura si fa delle illusioni sul conto della società.

La purezza dell'arte borghese, che si era ipostatizzata come un regno della libertà in opposizione alla prassi materiale, era stata pagata, fin dall'inizio, con l'esclusione della classe inferiore, alla cui causa che è quella della vera universalità l'arte rimane fedele solo in quanto si libera dagli scopi della falsa universalità. L'arte seria ha dovuto negarsi alla comprensione di coloro per cui il bisogno e la pressione dell'esistenza fanno della serietà una beffa, e che sono, di necessità, contenti quando possono trascorrere passivamente il tempo in cui non sono alla ruota.

L'arte leggera ha sempre accompagnato come un'ombra quella autonoma, per così dire, la cattiva coscienza sociale dell'arte seria. La distanza a cui questa, in forza delle sue premesse sociali, doveva necessariamente restare dalla verità, conferisce all'altra una parvenza di legittimità. La verità è nella loro stessa scissione, che esprime almeno la negatività della cultura a cui danno luogo, sommandosi, le due sfere. Meno che mai l'antitesi si può conciliare assumendo l'arte leggera nella seria o, viceversa, la seconda nella prima. [...]

Lo spettatore non deve lavorare di testa propria; il prodotto gli prescrive ogni reazione: non in virtù del suo contesto oggettivo (che si squaglia, appena si rivolge alla facoltà pensante), ma attraverso una successione di segnali. Ogni connessione logica, che richieda, per essere afferrata, un certo respiro intellettuale, è scrupolosamente evitata. [...]

L'affinità originaria del mondo degli affari e di quello dell'amusement si rivela nel significato proprio di quest'ultimo: che non è altro che l'apologia della società. Divertirsi significa essere d'accordo. [...] Divertirsi significa ogni volta: non doverci pensare, dimenticare la sofferenza anche là dove viene esposta e messa in mostra. Alla base del divertimento c'è un sentimento di impotenza. Esso è, effettivamente, una fuga, ma non già come pretende di essere, una fuga dalla cattiva realtà, ma dall'ultima velleità di resistenza che essa può avere ancora lasciato sopravvivere negli individui. La liberazione promessa dall'amusement è quella dal pensiero come negazione. L'impudenza della domanda retorica, «Ma guarda un po' che cosa vuole il pubblico!», consiste nel fatto che ci si appella, come a soggetti pensanti, a quelle stesse persone che l'industria culturale ha il compito specifico di disavvezzare dalla soggettività.


Guida alla lettura


1) Quali effetti produce il film sonoro sullo spettatore?
Secondo il testo, il film sonoro ha vari effetti sullo spettatore:

Annullamento delle facoltà creative e di pensiero: Il film sonoro non lascia allo spettatore alcuna dimensione per spaziare con la fantasia e il pensiero senza perdere il filo della narrazione, addestrandolo a identificare il film con la realtà.
Impoverimento dell'immaginazione e della spontaneità: La ricezione dei film sonori richiede prontezza di intuito, capacità di osservazione e competenza specifica ma vieta l'attività mentale o intellettuale dello spettatore.
Paralisi delle facoltà mentali: I film sonori paralizzano le facoltà creative degli spettatori per la loro stessa costituzione oggettiva. La tensione creata è automatica e profondamente inculcata, rimuovendo così l'immaginazione.
Distrazione e ricezione automatica: Gli spettatori possono consumare i prodotti dell'industria culturale, inclusi i film sonori, anche in uno stato di distrazione, perché la familiarità con le richieste di attenzione è talmente radicata che possono essere fornite in modo automatico.
Accettazione passiva della realtà: Divertirsi guardando film significa essere d'accordo con la società, dimenticare la sofferenza e fuggire dall'ultima velleità di resistenza che la cattiva realtà può aver lasciato negli individui.

2) Qual è il ruolo del divertimento nell'industria culturale?
Nel contesto dell'industria culturale, il divertimento ha un ruolo di apologia della società. Significa essere d'accordo con la realtà sociale e non dover pensare, dimenticando la sofferenza anche quando viene esposta. Il divertimento si basa su un sentimento di impotenza ed è una fuga non dalla cattiva realtà, ma dall'ultima velleità di resistenza che può essere rimasta negli individui. La liberazione promessa dal divertimento è quella dal pensiero come negazione. In sostanza, il divertimento serve a mantenere il conformismo e ad impedire qualsiasi resistenza o critica sociale, disavvezzando le persone dalla soggettività e dall'attività intellettuale.

3) In che cosa l'arte borghese differisce da quella di massa?
L'arte borghese differisce da quella di massa in vari modi, come descritto nel testo.

Esclusione e Universale: L'arte borghese si ipostatizza come un regno della libertà, ma questa libertà è pagata con l'esclusione della classe inferiore. L'arte borghese rimane fedele alla vera universalità solo quando si libera dagli scopi della falsa universalità. L'arte seria è quindi esclusiva e non accessibile a chi è oppresso dalla necessità e dalla pressione dell'esistenza.
Comprensione e Passività: L'arte seria si nega alla comprensione di coloro per cui la serietà è una beffa a causa delle loro condizioni di vita. Al contrario, l'arte di massa o leggera permette alle persone di trascorrere passivamente il tempo libero senza necessità di comprensione profonda o impegno intellettuale.
Ombra dell'Arte Seria: L'arte leggera ha sempre accompagnato l'arte autonoma come una cattiva coscienza sociale. La distanza dalla verità che l'arte seria deve mantenere conferisce all'arte leggera una parvenza di legittimità.
Reazioni Prescritte: Nell'arte di massa, lo spettatore non deve lavorare di testa propria; il prodotto prescrive ogni reazione attraverso una successione di segnali, evitando connessioni logiche che richiedano un respiro intellettuale.
Apologia della Società: Il mondo dell'amusement (divertimento) è un'apologia della società. Divertirsi significa essere d'accordo con lo status quo, evitando il pensiero critico e la sofferenza.

In sintesi, l'arte borghese è caratterizzata da un'esclusività intellettuale e una ricerca della verità, mentre l'arte di massa è accessibile, prescrittiva nelle reazioni, e funge da apologia della società esistente, offrendo un diversivo dalla realtà senza promuovere la resistenza o il pensiero critico.


Guida alla Comprensione


1) Perché il cinema è uno strumento di controllo sociale?
Il cinema è uno strumento di controllo sociale perché, secondo Adorno, priva lo spettatore delle sue facoltà creative e di pensiero, assorbendolo completamente nella trama e nei personaggi del film. Questo assorbimento porta lo spettatore a perdere la capacità critica di immaginare mondi alternativi e a considerare la realtà come un proseguimento dello spettacolo visto al cinema. Di conseguenza, lo spettatore non decide più autonomamente ma è manipolato dalla società che impone valori precostituiti. L'industria culturale, inclusa quella cinematografica, perpetua la società esistente e impedisce qualsiasi reale resistenza o cambiamento sociale .

2) Come considera Adorno la valenza democratica dell'industria culturale?
Adorno considera la valenza democratica dell'industria culturale come un'illusione e una forma di conformismo. Egli sostiene che l'industria culturale bolla il giudizio critico e la competenza specifica come presunzione, promuovendo un'apparente democrazia culturale in cui i privilegi sono ripartiti equamente tra tutti. Tuttavia, questo non è altro che una tregua ideologica che mantiene il conformismo dei consumatori e l'impudenza della produzione.

Nel testo si legge:

"Giudizio critico e competenza specifica sono messi al bando, e bollati come la presunzione di chi si crede superiore agli altri, mentre la cultura, che è così democratica, ripartisce equamente i suoi privilegi fra tutti. Di fronte alla tregua ideologica che si è instaurata, il conformismo dei consumatori, come l’impudenza della produzione che essi tengono in vita, acquistano, per così dire, una buona coscienza."

Quindi, per Adorno, la presunta democrazia dell'industria culturale è in realtà una forma di manipolazione che perpetua il conformismo e ostacola il vero pensiero critico.

3) In che cosa il giudizio di Adorno sul cinema differisce da quello di Benjamin, presentato nel testo precedente?
Il giudizio di Adorno sul cinema differisce da quello di Benjamin in modo significativo. Secondo il testo, Adorno ritiene che lo spettatore cinematografico sia privato delle sue facoltà creative e di pensiero, assorbito completamente dalla trama e dai personaggi. Egli perde ogni capacità critica di immaginare mondi alternativi e finisce per considerare la realtà come il proseguimento dello spettacolo visto al cinema, diventando così incapace di opporsi al modello capitalistico di società. Invece, Benjamin vede il cinema in modo diverso, sebbene il testo non espliciti direttamente la sua posizione, suggerisce che Benjamin possa attribuire al cinema un potenziale diverso rispetto alla visione fortemente critica di Adorno.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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