Alberto Caracciolo - Religione come imperativo dell'eterno
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione
Introduzione
Secondo Alberto Caracciolo, il concetto di "religioso" si riferisce alla naturale inclinazione dell'animo umano a superare i limiti della finitezza e ad aprirsi alla Trascendenza, all'infinito, all'eterno. Caracciolo, definendo l'uomo come "il singolo" nel senso kierkegaardiano, sostiene che ogni individuo avverte in sé una profonda aspirazione verso un'eternità che va oltre i confini della sua esistenza limitata. Questa aspirazione si manifesta come un "imperativo", un richiamo interiore simile al postulato kantiano dell'immortalità dell'anima nella Critica della ragion pratica. Come tale postulato morale esige che ci si sforzi per il sommo bene anche oltre la vita terrena, così Caracciolo sostiene che ogni persona senta dentro di sé un "imperativo dell'eterno". Questo imperativo morale postula la possibilità che le contraddizioni del mondo possano un giorno essere risolte e purificate dalla loro imperfezione, e che possa essere realizzata l'idea di una giustizia e di un'uguaglianza perfette, ideali che l'uomo percepisce come inattuabili in questo mondo e con le sole sue forze.
Lettura
Per la comprensione del religioso occorre tenere presente la struttura per la quale l'uomo, che è un singolo, è sempre contesto col mondo e aperto al mondo come complesso di singoli e di individui, cioè di esseri partecipi della stessa ragione o di forme di coscienza inferiori, forme che egli nell'ampiezza della sua anima in qualche modo include e, includendo, capisce. Pur realizzando di fatto una sezione infinitesima della storia universale, l'uomo non è però a priori chiuso in questa sezione, ma inizialmente aperto all'intera storia del mondo, partecipe della vita e della tensione che tutta la trascorre, così nell'altro uguale a lui come nel più derelitto degli animali ancora capace di un embrione di coscienza – solidale con essa. [...]
Tutte le realtà – siano queste coscienze o enti o forze di natura – recano nel loro sorgere, nella legge che regola il loro essere, nell'intrinseco di quel che pare costituirle, la presenza possibile dell'Altro da loro. Tutto è naturale e tutto può farsi estraneo.
Lo stupore religioso può sorgere di fronte a ogni realtà: al sole, agli astri, al mare, a una fonte, a un albero, a un cadavere, a un animale, a una ispirazione, a una tentazione, a una sventura. Un ente naturale, un uomo, un evento, un moto dell'anima, il positivo e il negativo possono dunque penetrarsi di qualcosa di misterioso e di potente: nell'atto stesso essi cessano di essere se stessi.
Propriamente parlando l'uomo non ha mai adorato il sole o gli astri o gli animali: ha adorato la forza che intravvedeva in quelli, che poteva magari non sceverare da quelli, ma che faceva anche sì che il sole non fosse più il sole, né l'animale l'animale. Una religione della natura non è mai esistita.
In questo senso la posizione degli studiosi di religione è oggi letteralmente agli antipodi della posizione di Feuerbach, che scrive: «il sentimento di dipendenza dell'uomo è il fondamento della religione; l'oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l'uomo dipende e si sente dipendente, non è però originariamente altro che la natura. La natura è il primo originario oggetto della religione, come sufficientemente dimostra la storia di tutte le religioni e di tutti i popoli» (L'essenza della religione).
È proprio quello che la storia di tutte le religioni e di tutti i popoli nega. La posizione attuale della storiografia più consapevole può essere compendiata in questa proposizione di Mircea Eliade: «Una pietra sacra viene venerata perché è sacra, non perché è pietra... sarebbe errore parlare di naturalismo o di religione della natura nel senso del secolo XIX, poiché l'uomo religioso, attrraverso gli aspetti naturali del mondo, coglie la soprannatura» (Il sacro e il profano). [...]
Lo stupore religioso è altra cosa dalla meraviglia da cui secondo Platone e Aristotele nasce la filosofia. Non è quel farsi estranee delle cose consuete e ovvie che è l'emergere della loro oscurità, del nostro non capire, del caos che vuole farsi cosmo nella comprensione; quando l'Alterità emerge nel mondo o in lui, l'uomo non è tratto a problematizzare, ma a venerare, a de-precare, a in-vocare, a contemplare.
Tutto dunque germina, si filtra, o può apparire germinante o filtrantesi di Divino; il bene e il male, la verità e l'errore, la luce e la follia, la riuscita e il fallimento. Perciò in questo senso lato, posta la religione come rapporto vivente con la Trascendenza, essa non è necessariamente morale. Ma se tutto l'uomo avverte come scaturiente dalla o filtrato dalla Trascendenza la legge ultima che egli avverte penetrare sé e il cosmo, l'esigenza a priori fondamentale, in cui in qualche modo si inserisce la sua stessa legge morale, è la legge del bene.
Guida alla lettura
1) Perché secondo Caracciolo l'uomo è costitutivamente aperto alla storia del mondo e in questa sua apertura dà concretezza al suo sentimento religioso?
Secondo Caracciolo, l'uomo è costitutivamente aperto alla storia del mondo perché egli, pur realizzando una parte infinitesimale della storia universale, non è limitato a questa sezione particolare. Inizialmente aperto all'intera storia del mondo, partecipa alla vita e alla tensione che la attraversa. Questa apertura gli permette di percepire e includere, nella vastità della sua anima, altre forme di coscienza e di realtà, che egli comprende mentre le include. Questo processo di inclusione e comprensione contribuisce a dare concretezza al suo sentimento religioso, poiché ogni realtà, inclusi gli esseri umani e le forze della natura, porta con sé la possibilità dell'Altro da sé. Pertanto, l'uomo non è semplicemente chiuso in se stesso o nella sua sezione di storia ma vive in una relazione dinamica e aperta con il mondo, cercando di comprendere e rispondere al mistero e alla potenza che percepisce in ogni cosa.
2) Qual è l'importanza che viene riservata in questo testo allo «stupore religioso»?
Nel testo fornito, l'importanza dello "stupore religioso" risiede nel suo significato di fronte alla manifestazione del divino nel mondo. Viene descritto come un sentimento profondo e trasformativo, diverso dalla meraviglia razionale di Platone e Aristotele che dà origine alla filosofia. Lo stupore religioso è descritto come una reazione di venerazione, di invocazione e di contemplazione di ciò che si percepisce come soprannaturale e divino attraverso gli aspetti naturali del mondo. Questo sentimento porta l'uomo non tanto a interrogarsi razionalmente, piuttosto a riconoscere e a rispettare la presenza dell'Altro nel mondo e dentro di sé.
Guida alla Comprensione
1) Ricostruisci brevemente la posizione di Ludwig Feuerbach sulla religione come sentimento di dipendenza dalla natura e la critica che ne fa Caracciolo sulla scorta di Mircea Eliade.
Ludwig Feuerbach sostiene che il sentimento di dipendenza dell'uomo è alla base della religione, dove l'oggetto di questo sentimento è originariamente la natura stessa. Feuerbach indica che la storia delle religioni mostra che l'oggetto primario della venerazione religiosa è la natura.
Alberto Caracciolo critica questa posizione sostenendo, seguendo Mircea Eliade, che la vera natura del religioso non risiede nella natura stessa come oggetto ma nella capacità dell'uomo religioso di percepire il sacro attraverso gli aspetti naturali del mondo. Caracciolo e Eliade argomentano che l'uomo religioso non adora direttamente la natura ma percepisce il divino che permea e trasforma la natura stessa, portando a un'esperienza del sacro che trascende la mera naturalità delle cose.
2) Quale differenza può essere individuata tra la nozione di dipendenza in Feuerbach e quella di Schleiermacher? A quale delle due Caracciolo si dimostra più prossimo? E perché?
Secondo il testo che mi hai fornito, Feuerbach sostiene che il sentimento di dipendenza dell'uomo è fondamentale per la religione, e questo sentimento originariamente si rivolge verso la natura. Feuerbach quindi identifica la natura come l'oggetto primario della religione. D'altro canto, Schleiermacher, secondo quanto riportato nel testo di Caracciolo, si avvicina alla nozione che il religioso è la tendenza dell'animo umano a superare il finito e aprirsi alla Trascendenza, all'infinito, all'eterno. Schleiermacher quindi pone l'accento sull'esperienza del divino come un sentimento interiore di dipendenza e connessione con la Trascendenza, piuttosto che con la natura.
Alberto Caracciolo sembra essere più vicino alla posizione di Schleiermacher. Caracciolo concepisce il religioso come la tendenza dell'uomo a superare il finito e aprirsi alla Trascendenza, simile alla visione di Schleiermacher che vede il religioso come un sentimento interiore di dipendenza e relazione con la Trascendenza. Caracciolo, infatti, parla dell'"imperativo dell'eterno" che ogni uomo avverte, suggerendo un legame più profondo con la dimensione trascendente anziché con la natura, come sostenuto da Feuerbach.
Quindi, Caracciolo si dimostra più prossimo alla nozione di Schleiermacher perché entrambi enfatizzano l'aspetto dell'esperienza interiore e personale del divino come fondamentale per la religione, piuttosto che orientarsi verso una concezione naturalistica come quella proposta da Feuerbach.
3) Perché la legge ultima che regola e guida il sentimento religioso è, per Caracciolo, una «legge del bene»? In che senso questa legge può essere definita anche un «imperativo dell'eterno»?
Secondo Alberto Caracciolo, la legge ultima che guida il sentimento religioso come un "imperativo dell'eterno" è la "legge del bene". Questo concetto si basa sull'idea che tutto ciò che l'uomo percepisce come emanazione o filtrazione dalla Trascendenza porta con sé un'ultima legge che penetra sia l'individuo che l'universo. Questa legge del bene non è solamente un codice morale ma rappresenta un principio universale e eterno che permea la realtà umana e cosmica. Essa implica un'aspirazione verso l'ideale del bene perfetto e dell'armonia che l'uomo percepisce come irrealizzabile nel mondo finito e imperfetto ma che costituisce comunque un imperativo morale di perseguimento.
Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori