Alle Origini della Filosofia Cristiana


Immagine Origini della Filosofia Cristiana
1) La Filosofia e la Religione nella Tradizione Ebraico-Cristiana
2) Origini del Cristianesimo e Formazione del Canone
3) I Vangeli sinottici e l'opera di Paolo di Tarso
4) La teologia cristiana
5) Vita di Origene
6) Il cristianesimo come religione di Stato

La Filosofia e la Religione nella Tradizione Ebraico-Cristiana


A partire dal II secolo a.C., si verificò l'incontro tra gli ebrei di lingua greca di Alessandria d'Egitto e la filosofia pagana, in particolare quella stoica e platonica. Un contributo significativo provenne dalla traduzione in greco, dall'ebraico, della Bibbia. Secondo una versione in parte leggendaria, attribuita a una certa Aristea in una lettera del II secolo a.C., tale traduzione fu condotta da 70 (o 72) saggi ebrei. Questi furono convocati ad Alessandria dal re Tolomeo II Filadelfo (285-246 a.C.) su proposta di Demetrio Falereo, con l'obiettivo di arricchire la famosa biblioteca.

In realtà, l'esigenza di una traduzione sorse dalle comunità ebraiche ellenizzate di Alessandria, già in difficoltà nella comprensione del testo nella lingua originale. Successivamente, nell'ambiente alessandrino, alcuni libri della Bibbia non inclusi nella versione dei Settanta (Tobia, Giuditta, i due libri dei Maccabei, Baruc, Ecclesiastico, Sapienza) furono redatti direttamente in greco. Alla traduzione alessandrina si aggiunsero successivamente altre versioni, tra cui quelle di Aquila, Simmaco e Teodozione.

La Bibbia ebraica, come codificata in un canone dalla tradizione rabbinica nei primi secoli dell'era cristiana, comprende 39 libri suddivisi in tre gruppi: la Torah, contenente i cinque libri fondamentali (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio); i libri dei Profeti, divisi in anteriori (6 libri), posteriori (3 libri), e minori (12 libri); gli Scritti (13 libri), che differiscono tra loro per stile e contenuto.

La trasposizione linguistica dall'ebraico al greco ha comportato una metamorfosi significativa nei contenuti. Termini come lògos ("ragione", "discorso") o diànoia ("mente", "intelligenza") hanno reso più astratti e intellettuali i riferimenti biblici alla parola e alle intenzioni di Dio. Allo stesso tempo, l'uso di psychè ("anima") per parlare del "soffio divino", suscitatore di vita, ha richiamato elementi platonici (ma anche stoici) nel testo rivelato.

In questo contesto, nasce l'idea formulata da Aristobulo, alessandrino del II secolo a.C., che la filosofia greca sia debitrice dei suoi concetti fondamentali alla Scrittura ebraica, considerata unica fonte originaria di verità.
Di seguito una delle testimonianze conservate sulla sua opera di esegesi:

"[...] è indubbio che anche Platone abbia seguito la nostra legge: ed è certo che l'abbia studiata nei dettagli. Infatti, da altri prima di Demetrio [Falereo], prima della dominazione di Alessandro e dei Persiani, sono stati tradotti episodi relativi all'esodo dei Giudei, nostri connazionali, dall'Egitto, e altri relativi a tutte le loro straordinarie vicende, alla conquista della terra [promessa], alla loro opera di interpretazione dell'intera legge. Sicché risulta dimostrato che il filosofo di cui sopra [Platone] ne desunse molte idee, grande erudito quale era, come lo era anche Pitagora, che prese molti concetti dal nostro patrimonio e li trasferì nella sua dottrina [...] "
(Clemente Alessandrino, Stromati, libro I, cap. 22, § 150).

A giudicare dalla direzione che sta prendendo, sembra che Aristobulo non ritenga, come alcuni studiosi hanno sostenuto, che Platone e Pitagora avessero plagiato la filosofia di Mosè. Egli si limita a indicare che hanno avuto accesso a una versione in greco della Torah più antica di quella dei Settanta e che si sono ispirati ad essa, come autentici discepoli di Mosè. Gli autori cristiani, come Clemente Alessandrino, saranno quelli a sostenere la teoria del "furto", concetto spesso ripreso anche da altri autori.

Paragonato alle elaborazioni filosofiche, il Dio della Bibbia (il cui nome gli ebrei evitano di pronunciare, in segno di assoluto rispetto, usando il tetragramma JHWH) presenta tratti radicalmente differenti. Concepito come "persona" e "volontà libera" che crea dal nulla, egli esiste al di fuori del tempo, intervenendo attivamente nella storia e manifestando la sua ira o gioia in base al comportamento del popolo ebraico. Quest'idea si discosta notevolmente dall'immagine del dio-demiurgo di Platone, dall'idea del dio primo "motore immobile" di Aristotele, e dal Lògos degli stoici.

L'irriducibilità dell'immagine biblica a un'analisi razionale del divino può spiegare la ragione stessa della rivelazione: aspetti della natura di Dio e dei suoi progetti nella creazione del mondo che la mente umana non può concepire ma che Dio stesso ha voluto rendere noti agli uomini attraverso l'ispirazione concessa ai Profeti. La narrazione della genesi del mondo, l'allontanamento degli uomini da Dio e l'annuncio di un salvatore e di un futuro "regno di Dio" rivelano nel corso del tempo e nella storia dell'umanità un significato progressivo di attesa e riscatto che avrebbe avuto un impatto decisivo sulla storia della cultura occidentale.

L'integrazione tra schemi filosofici e interpretazione biblica, da un lato, funziona come razionalizzazione della teologia rivelata, e, dall'altro, come incorporazione di problematiche religiose e salvifiche nella ricerca filosofica. I primi risultati maturi di questa sintesi si possono osservare nella figura di Filone di Alessandria, filosofo di lingua e cultura greca ma di religione ebraica, vissuto tra il 20 a.C. e il 45-50 d.C. Per lui, la filosofia è ancilla della fede, assimilabile all'egiziana Agar, serva dell'ebrea Sara, la legittima sposa del patriarca Abramo. Nella gerarchia dei saperi, la filosofia raccoglie e supera l'enciclopedia delle sette arti liberali greche (grammatica, retorica, dialettica, aritmetica, musica, geometria, astronomia), orientando la mente verso le cose divine, che solo Dio può rivelare:

"[...] in verità, come le discipline encicliche contribuiscono all'acquisizione della filosofia, così la filosofia contribuisce all'acquisizione della sapienza. La filosofia è ricerca della sapienza e la sapienza è scienza delle cose divine e umane e delle loro cause. Dunque, come la cultura acquisita con gli studi enciclici è schiava della filosofia, così anche la filosofia dovrebbe essere schiava della sapienza [...]"
(Il connubio con gli studi preliminari, § 79).

Filone, attraverso strumenti filosofici, soprattutto di derivazione platonica e stoica, compie una razionale unificazione della teologia interpretando i testi sacri. La sua lettura allegorica permette di svelare il vero significato di una rivelazione che, secondo lui, Mosè, il vero filosofo, aveva dovuto esprimere in forme più comprensibili al popolo.

Concetti e temi platonici e stoici consentono a Filone di ricostruire uno schema ontologico della trascendenza divina rispetto al tempo della creazione. Questo lo porta a una visione strutturata della realtà su tre livelli: il primo è quello di Dio, trascendente e inafferrabile nella sua essenza ma avvicinabile attraverso la rivelazione biblica; il secondo è quello delle "Potenze" divine, con il Lògos in primo piano come mente di Dio, lo strumento della creazione; il terzo è quello della materia, talvolta identificata come la fonte del male.

Analogamente, le possibilità di vita etica per gli uomini si articolano su tre livelli: dalla stoltezza al progresso spirituale fino alla perfezione in Dio. Questo percorso iniziatico richiama il Simposio di Platone e culmina nell'"estasi", intesa come l'uscita da sé. L'estasi rappresenta la condizione di chi libera l'intelletto dalle passioni e dall'orgoglio, lasciandosi ispirare da Dio. Gli ispirati diventano mediatori tra Dio e gli uomini, portando il suo messaggio nella lingua dei profeti:

"[...] la Sacra Scrittura attribuisce la virtù profetica ad ogni uomo buono: il profeta, infatti, non dice nulla di suo, ma tutto ciò che dice è di un Altro, un Altro che lo ispira. Al malvagio, invece, non è lecito essere interprete di Dio, sicché, propriamente, nessun uomo malvagio è ispirato da Dio, ma solo al sapiente questo conviene, in quanto lui solo è strumento sonoro di Dio, suonato e sollecitato in modo invisibile da Dio [...]"

(L'erede delle cose divine, § 259).

Filone, partendo dagli esempi biblici, delinea una gerarchia delle figure profetiche. Al vertice di questa gerarchia si erge Mosè, l'unico che abbia contemplato il Signore "faccia a faccia" e al quale Dio si è manifestato "in una visione e non per enigmi". Al di sotto di questa estasi profetica, emergono altri tre tipi di estasi, meno rilevanti ma portatori di preziose testimonianze sulla vita dell'anima. Queste includono la possibilità che l'anima si separi temporaneamente dal corpo, manifestando la propria indipendenza attraverso la "calma dell'intelligenza", un "profondo sbalordimento", o entrando in uno stato di "malinconia" o "furore". Tali esperienze suggeriscono il mistero di una vita dell'anima che prosegue anche dopo la separazione definitiva della morte.

L'idea fondamentale che permea tutto ciò è la somiglianza con Dio, impressa esclusivamente nell'anima. Questo archetipo, questa immagine sacra, agisce come un motore attivo, spingendo l'uomo a comprendere intellettualmente tutte le cose. Questo processo continua fino al momento in cui l'individuo si sente pronto a trascenderle, raggiungendo una visione superiore.


Origini del Cristianesimo e Formazione del Canone


Dal II secolo d.C., i cristiani iniziano a distinguere tra l'"Antico Testamento", che comprende i libri della Scrittura ebraica, e il "Nuovo Testamento", che raccoglie la verità rivelata da Gesù. La parola latina "testamentum" traduce la parola greca "diathèke" ("patto"), a sua volta traduzione della parola ebraica "berit" ("alleanza") utilizzata nelle Scritture per parlare del patto tra Dio e il popolo di Israele.

Con l'espressione "Nuovo Testamento", i cristiani intendono una nuova alleanza tra Dio e l'uomo, che va oltre quella con il popolo ebraico. Questo nuovo movimento religioso ha inizio con il cambiamento prospettico portato dalla venuta del "Messia" nel contesto della tradizione ebraica. "Mashiah", in ebraico "l'unto", si riferisce all'antica pratica dell'unzione dei re d'Israele, corrispondente al termine greco "christòs".

L'identificazione di Gesù con il Messia promesso nelle Scritture ebraiche gli conferisce un'autorità speciale rispetto alla legge mosaica. Non si tratta più solo di rispettare i rituali in attesa del riscatto del popolo ebraico; il Messia è venuto per rendere possibile la rigenerazione interiore e individuale, aprendo la strada all'imminente regno di Dio e liberando l'uomo dal peccato di Adamo.

Credere nella verità dell'annuncio è il primo passo verso il paradiso. Il cristianesimo ha origine come corrente interna all'ebraismo, con Gesù, un ebreo che vive secondo la legge mosaica, predicando agli ebrei di essere il "Figlio dell'uomo". Non è certo se egli si considerasse o volesse presentarsi come il "Messia", ma la parola è principalmente utilizzata dai suoi discepoli, che erano anch'essi ebrei.

Durante la sua breve vita, Gesù raduna numerosi seguaci, tra cui dodici fedelissimi che lo accompagnano nei suoi spostamenti. Dopo la sua morte, si diffonde la convinzione che sia risuscitato, e alcuni dei suoi seguaci iniziano a divulgare oralmente ciò che ha detto e fatto.

Nel corso dei primi decenni dell'era comune, emergono i primi scritti che menzionano Gesù come Figlio di Dio, principalmente nelle lettere di Paolo di Tarso, risalenti al periodo compreso tra il 50 e il 60 d.C. Successivamente, a partire dalla seconda metà del I secolo, fanno la loro comparsa i primi Vangeli, denominati così per la loro intenzione di diffondere la "buona notizia". Questi documenti narrano gli eventi della vita di Gesù, con particolare attenzione alla sua passione e morte, o raccolgono i suoi insegnamenti, scritti sia in greco che in aramaico o ebraico.

Fino almeno alla metà del II secolo, molte comunità cristiane operano senza un testo scritto di riferimento, affidandosi piuttosto alla trasmissione orale delle parole e degli avvenimenti legati a Gesù. Alcune comunità hanno testi specifici o Vangeli propri. Oltre alla comunità originaria di ebrei cristiani a Gerusalemme, suddivisa tra ebrei ellenizzati e quelli che mantengono lingua e costumi tradizionali, si formano rapidamente altre comunità in varie regioni del Mediterraneo, coinvolgendo sia ebrei che pagani, con credenze, riti e concezioni della vita e di Cristo molto diverse.

Queste differenze portano gli storici a parlare di molteplici "cristianesimi". Le prime comunità di ebrei convertiti si collocano in una posizione marginale, mentre le comunità ellenizzate e quelle composte da pagani convertiti diventano predominanti. Nel corso dei primi decenni del II secolo, si verifica una rottura definitiva tra ebrei e comunità cristiane, accentuata dalla polemica dei cristiani contro gli ebrei, affermando di essere il vero popolo eletto da Dio.

Inoltre, in alcune importanti comunità come quelle di Alessandria e di Roma, si sviluppa la necessità di contrastare un fenomeno interno emergente: lo gnosticismo. Questa corrente di pensiero, con radici precristiane, attribuisce alla conoscenza un ruolo centrale nella salvezza dell'anima, basandosi su un dualismo metafisico che separa corpo da anima, materia da spirito, e male da bene. Nel II secolo, lo gnosticismo si diffonde in molte comunità cristiane, dando origine a sette come quelle di Basilide ad Alessandria e di Valentino a Roma, che promuovono un approccio elitario alla salvezza mediato da un processo di purificazione intellettuale.

Personaggi come Marcione, al di fuori della comunità cristiana di Roma, radicalizzano l'antiebraismo, rifiutando completamente le Scritture degli ebrei e accentuando la contrapposizione posta da Paolo tra la legge mosaica e la legge di Cristo. Marcione respinge la Scrittura ebraica, considerandola la rivelazione di un Dio giudice implacabile, creatore di un mondo dominato dal male, in cui gli uomini sono trattati come schiavi soggetti alla sua legge.

Marcione, un teologo cristiano del II secolo, sviluppò una concezione del Dio completamente diversa da quella della predicazione di Cristo. Egli credeva in un Dio infinitamente buono, distinto dal Dio creatore della Bibbia ebraica e sostenne che questo Dio mandò suo figlio sulla terra con un atto d'amore gratuito per offrire agli uomini la possibilità di liberarsi dal dominio del Dio creatore.

Marcione selezionò solo alcuni scritti che considerava più vicini al vero messaggio di Gesù, tra cui dieci lettere di Paolo e il Vangelo di Luca che furono emendati in alcune parti. Questa scelta portò a conflitti con i gnostici e ad essere considerato eretico dalla comunità cristiana.

In risposta a figure come Marcione, i dotti cristiani come Ireneo di Lione e Tertulliano si impegnarono in battaglie dottrinarie. Questi sforzi contribuirono all'accelerazione del processo di formazione di un canone più ampio dei Vangeli, diverso da quello di Marcione e destinato a servire come regola per le comunità cristiane.

Il Canone muratoriano, scoperto nel Settecento, è uno dei primi elenchi di Vangeli noti. Ireneo, vescovo di Lione, nel suo lavoro del 180, identificò quattro Vangeli come unico fonte di ispirazione divina, associandoli alle "quattro creature viventi" dell'Apocalisse con interpretazioni allegoriche.

Il processo di formazione del canone del Nuovo Testamento si concluse nel IV secolo, accompagnato dalla creazione della Grande Chiesa che superò il frazionamento tra le comunità cristiane. In questo periodo, si svilupparono strutture gerarchiche e furono convocati concili regionali.

Il concilio di Nicea nel 325 fu il primo grande concilio ecumenico delle comunità cristiane, mentre il vescovo Atanasio di Alessandria, nel 367, elencò i 27 testi del Nuovo Testamento accettati. Il canone fu definitivamente ratificato nel concilio di Ippona nel 393, stabilendo i 46 libri dell'Antico Testamento e i 27 del Nuovo Testamento come le sole "scritture canoniche" riconosciute dalla Chiesa.

Questo processo di codificazione portò al rifiuto di molti altri Vangeli considerati non conformi alla verità ufficiale, etichettandoli come apocrifi. Va notato che il termine "apocrifo" originariamente significava "nascosto" e successivamente acquisì il significato di contrario alla verità canonica della Chiesa. Tuttavia, tali Vangeli apocrifi sono importanti testimonianze delle diverse correnti del cristianesimo delle origini.


I Vangeli sinottici e l'opera di Paolo di Tarso


Tra i documenti riconosciuti, i Vangeli di Marco, Matteo e Luca sono chiamati "sinottici" (dal termine greco "sy`nopsis", che significa "sguardo che coglie insieme"). Questo perché, presentando in modo simile la vita e la passione di Gesù, è possibile collocarli su tre colonne affiancate e leggerli contemporaneamente. Gli storici hanno ampiamente dibattuto sui rapporti tra questi tre Vangeli. La visione più diffusa tra gli studiosi, consolidatasi nell'Ottocento, suggerisce che il Vangelo più antico sia quello di Marco, considerato fonte per gli altri due. Luca e Matteo avrebbero integrato le loro narrazioni con altri racconti, inclusa una raccolta di detti di Gesù, ormai perduta, nota agli studiosi come la "fonte Q" (dalla parola tedesca "Quelle", che significa "fonte").

Il Vangelo di Marco, il più breve e essenziale, viene datato prima del 70 d.C. Il Vangelo di Luca è chiaramente il lavoro di un credente intellettuale che raccoglie sistematicamente tradizioni provenienti da diverse fonti, mostrando influenze dalla predicazione di Paolo di Tarso. Il Vangelo di Matteo sembra essere stato scritto da un membro di una comunità di cristiani ebrei, con la stesura post-70 d.C., probabilmente in Siria. Un approccio diverso è rappresentato dal Vangelo di Giovanni, che offre una prospettiva teologica. Attraverso una lettura simbolica degli eventi, la vita di Gesù diventa un percorso di rivelazione che spiega il significato della vita e della storia umana, il senso del peccato e la redenzione finale. Ritorneremo su questo argomento a breve.

I quattro Vangeli sono stati redatti dopo la conclusione della predicazione di Paolo di Tarso, considerato il promotore dei primi documenti cristiani: le sue epistole alle comunità cristiane. Paolo ha introdotto l'idea di una trasformazione profonda dell'essere umano attraverso l'amore di Cristo e la realtà, sia storica che metafisica, della resurrezione dei corpi. Nato a Tarso, in Cilicia, tra il 5 e il 10 d.C., in una famiglia di ebrei farisei di lingua greca e forse di cittadinanza romana, il suo nome ebreo era Saul.

Secondo gli Atti degli Apostoli, Paolo fu educato a Gerusalemme presso la scuola del rabbino fariseo Gamaliele, anche se alcuni studiosi nutrono dubbi su questa informazione. Inizialmente, Paolo fu un feroce persecutore degli ebrei cristiani ma la sua conversione avvenne sulla via di Damasco, dove stava andando per arrestare dei convertiti. In un'illuminazione, Gesù gli si rivelò, trasformandolo da persecutore a discepolo.

La sua missione apostolica e la fondazione di comunità cristiane lo portarono in Siria, Antiochia, Cipro e Asia Minore. Dopo un ritorno a Gerusalemme, dove discusse con i leader della comunità ebraica cristiana, tra cui Giacomo, il fratello di Gesù, Paolo concordò che i pagani non dovevano essere circoncisi ma dovevano seguire alcune norme ebraiche riguardanti costumi sessuali e alimentari.

Successivamente, viaggiò in Siria, Asia Minore, Tessalonica e Grecia. Dopo essere stato arrestato e trasferito a Cesarea, trascorse due anni in prigione prima di essere inviato a Roma intorno al 60 d.C. Dopo il 63 d.C., le sue tracce si persero e secondo la tradizione, morì martirizzato a Roma nel 64 d.C. insieme all'apostolo Pietro.

Viaggiando tra le comunità ebraiche del Mediterraneo, Paolo si impegnò a diffondere il messaggio di Cristo a tutte le persone e a tutti i popoli, superando nettamente il punto di vista della legge mosaica. Non solo affermò che la circoncisione non era più necessaria per essere cristiani ma enfatizzò l'unità nel cristianesimo senza distinzioni:

"[...] non c'è più né Giudeo né Greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché tutti siete una sola persona in Cristo Gesù. E, se siete in Cristo, siete progenie di Abramo, eredi secondo la promessa [...]" (Lettera ai Galati, 3.28-29)

Il distacco dalla religiosità ebraica si verifica su un punto cruciale, come afferma Paolo. Non si tratta più di seguire alla lettera la legge mosaica come servi obbligati a seguire una regola esterna. Invece, è fondamentale avere fede in Gesù Cristo, colui che è morto e risorto per salvare tutti gli uomini, siano essi ebrei o non. Paolo è il primo a sottolineare che "la bontà di Dio e il dono della grazia", provenienti da un unico individuo, Cristo, sono stati elargiti a tutti per redimerli dal peccato originale. Questo peccato, commesso da un solo uomo, Adamo, si è esteso a tutti gli altri esseri umani.

Per il cristiano, la salvezza è raggiunta attraverso la fede in Cristo che è morto e risorto per ristabilire l'alleanza tra Dio e l'uomo. La predicazione di Paolo ruota attorno alla fede assoluta nella resurrezione del corpo di Cristo, evento che preannuncia l'imminente venuta del regno di Dio. La resurrezione è l'evento che segnala il momento in cui Cristo tornerà sulla Terra, risusciterà i morti e trasporterà i vivi in cielo, aprendo la strada alla loro divinizzazione.

Quindi, la fede nella redenzione sostituisce l'osservanza della legge mosaica come fulcro della vita del cristiano.

La dottrina di Cristo è sintetizzata in un unico imperativo, come Paolo afferma nella sua Epistola ai Galati: "ama il tuo prossimo come te stesso". La sua esplicitazione è ancor più chiara nella Lettera ai Romani, dove sostiene che l'amore perfeziona la legge e nella Prima Lettera ai Corinti, dove dedica un inno all'amore, riconoscendolo come un valore che abbraccia e genera ogni virtù:

"[...] quand'anche io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, se non ho la carità, io sono un bronzo che suona o un cembalo che squilla. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi una fede tale da trasportare le montagne, se non ho la carità, io sono un niente. E se distribuissi anche tutti i miei beni ai poveri e dessi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, tutto questo non mi giova a nulla. La carità è longanime, la carità è benigna, non è invidiosa, la carità non si vanta, né si insuperbisce; non manca di rispetto, non cerca le cose sue, non si irrita, non tiene conto del male che riceve, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta [...]"

(Prima lettera ai Corinti, 13.1-7)

Il messaggio d'amore di Cristo offre all'uomo la prospettiva di un imminente ritorno alla casa del Padre, andando oltre le disuguaglianze e le ingiustizie di questa vita. In questa visione di salvezza, le questioni terrene diventano irrilevanti, poiché si anticipa un ordine giusto solo nell'eternità della vita futura. Tuttavia, emerge una sorta di corto circuito tra il desiderio di riscatto storico e umano e quello della redenzione ultraterrena: se il messaggio cristiano deve donare speranza concreta alla sofferenza dei giusti, il paradiso non può essere troppo distante.

L'elaborazione paolina del messaggio evangelico si muove in una prospettiva di fine dei tempi imminente, una visione condivisa dalle prime comunità cristiane e dai pensatori dei primi secoli. Nel rapporto con l'autorità costituita, Paolo interpreta l'indicazione di Gesù, presente nel Vangelo di Luca, di "rendere a Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio". Invita i cristiani all'obbedienza, poiché ogni autorità deriva il suo potere da Dio e obbedire all'autorità civile rappresenta un atto di giustizia umana, in attesa del prossimo regno dei cieli.

Nei primi secoli d.C., i cristiani si identificano volentieri come "stranieri" o "pellegrini" nella loro patria terrena, transitando in attesa di diventare "cittadini del cielo". Pur obbedendo alle leggi umane e pagando i tributi allo Stato, il cristiano, amando tutti e subendo persecuzioni, si orienta verso la trascendenza e la vita eterna in Dio. Un passo celebre dalla Lettera a Diogneto, presumibilmente del II secolo, sintetizza questo atteggiamento:

"[...] i cristiani non si distinguono dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, né per vestiti. Essi non abitano città loro proprie, non usano un linguaggio particolare, né conducono uno speciale genere di vita. La loro dottrina non è conquista di genio irrequieto d'uomini indagatori; né professano, come fanno alcuni, un sistema filosofico umano. Abitando in città greche o barbare, come a ciascuno è toccato in sorte, ed adattandosi agli usi del paese nel vestito, nel cibo e in tutto il resto del vivere, danno esempio di una loro forma di vita sociale meravigliosa, che, a confessione di tutti, ha dell'incredibile. Abitano la loro rispettiva patria, ma come gente straniera; partecipano a tutti i doveri come cittadini, e sopportano tutti gli oneri come stranieri. Ogni terra straniera è patria per loro, e ogni patria è terra straniera [...]. Passano la loro vita sulla terra, ma sono cittadini del cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro tenore di vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti e sono condannati; si dà loro la morte, ed essi ne ricevono vita. [...] Sono disprezzati, e nel disprezzo trovano gloria; si fa oltraggio alla loro fama, e si aggiunge testimonianza alla loro innocenza. Insultati, benedicono; si insolentisce contro di loro, ed essi trattano con riverenza. Fanno del bene, e sono puniti come dei malfattori; e puniti, godono, quasi si dia loro vita. I Giudei fanno loro guerra come razza straniera e gli Elleni li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire il motivo del loro odio [...]"

(Lettera a Diogneto, cap. 5)

Il senso di attesa per la giusta punizione degli ingiusti e la ricompensa dei giusti è alimentato da diverse fonti. Da un lato, ci sono le persecuzioni che hanno avuto inizio già al tempo di Nerone nel 64 e si sono intensificate tra il II e il III secolo. Dall'altro lato, la lettura di testi come l'Apocalisse di Giovanni contribuisce a questo clima di attesa. In questo testo, con il linguaggio ambiguo delle profezie, si annuncia un periodo di "mille anni di felicità", suggerendo che il paradiso potrebbe essere vicino. Questo periodo sarebbe vissuto con il corpo e l'anima, in una dimensione che si colloca tra la storia e l'eternità. Nasce così il concetto di "millenarismo", un'aspettativa positiva della fine del mondo, considerata come una resa dei conti compensativa e redentrice rispetto agli eventi storici.


La teologia cristiana


La formulazione iniziale di una teologia cristiana emerge nel Vangelo di Giovanni, presumibilmente redatto alla fine del I secolo. Questo testo fu composto all'interno di una comunità di ebrei cristiani che a causa dell'espulsione dalle sinagoghe, si separarono definitivamente dagli altri membri della comunità ebraica. Il Vangelo di Giovanni si presenta come un resoconto destinato a un gruppo di iniziati, caratterizzato dall'apertura con un celebre prologo contenente espressioni che sembrano derivare dalla tradizione ebraica ellenizzata.

"[...] In principio era il Lògos, il Lògos era presso Dio e il Lògos era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto di tutto ciò che esiste [...]"

(Vangelo di Giovanni, 1.1)

Il concetto del Lògos di verità, come viene discusso, si riferisce alla parola di Cristo che è presente sin dall'inizio dei tempi in Dio. Essa si manifesta in un punto della storia per rendere comprensibile agli uomini il suo significato. Il Lògos-Cristo, come parte della divinità creatrice del mondo, è eterno. Allo stesso tempo, in quanto verbo divino che si incarnò per redimere gli uomini, fa parte della storia del mondo, rivelando il suo significato e guidando l'umanità verso il suo compimento finale.

Il percorso dell'anima immortale dell'uomo si svolge nel tempo, attraversando le sfide del male fisico e morale. Tuttavia, questo cammino avviene all'interno dell'amore di Dio. Nonostante la frattura causata dal peccato originale tra l'uomo e Dio, il ritorno al Padre è reso possibile grazie al sacrificio del Figlio. Amarci come "amici" e fratelli, il Figlio assume su di sé le colpe dell'umanità, riconducentola così alla purezza originaria come figli di Dio.

Gesù si manifesta come l'inviato di Dio, portatore di vita e luce in un mondo avvolto dalle "tenebre", con un messaggio di salvezza rivolto ai membri della comunità cristiana. Vivendo secondo l'esempio della croce e amandosi reciprocamente, dimostrano la possibilità di rigenerare la natura umana, seguendo l'amore divino di Cristo. La teologia di Giovanni si completa con la figura dello Spirito Santo che rappresenta la forza e l'amore di Dio, riversati in coloro che credono.

Va notato che il Vangelo di Giovanni contiene una critica severa nei confronti degli ebrei che non hanno riconosciuto in Cristo il Figlio di Dio. Questa critica è espressa in parole oscure ma emerge chiaramente che, secondo il Vangelo, essi sono considerati figli del diavolo. Questo Vangelo può essere interpretato come un documento significativo della crescente divisione tra cristiani ed ebrei.

Il Vangelo di Giovanni proietta la figura di Gesù verso il Dio Padre e introduce il concetto di incarnazione di Dio. In questo Vangelo, Cristo appare anche come il Lògos, il principio eterno che assiste il Dio Padre nella creazione prima di incarnarsi. Un altro tema importante, sviluppato successivamente dai Padri della Chiesa, in particolare da Agostino di Ippona è l'idea che la conoscenza di Dio sia resa possibile dalla luce portata da Cristo.

Il concetto del Lògos diventa centrale nella teologia cristiana di lingua greca a partire dal II secolo. I cristiani, a differenza di Filone d'Alessandria, affrontano sfide nel conciliare la natura trascendente e ineffabile di Dio con la collocazione di Cristo e dello Spirito Santo nella Trinità divina, nonché nel spiegare il ruolo di Cristo nella creazione.

L'impegno nella costruzione di una teologia, intesa come indagine razionale della rivelazione divina e il confronto con la filosofia greca iniziano nella prima metà del II secolo con i "Padri apologisti". Tra questi, Giustino è uno dei più rappresentativi, difendendo la validità del messaggio cristiano attraverso il confronto con le filosofie greche quali il pitagorismo, il platonismo, l'aristotelismo e lo stoicismo. Giustino sostiene una continuità sostanziale tra la verità filosofica e quella rivelata.

Anche per lui, così come per l'ebreo Filone, la relazione tra filosofia e rivelazione divina si può spiegare con l'allegoria di Agar e Sara, rispettivamente l'ancella e la padrona. La ricerca della verità, in senso proprio, conduce inevitabilmente a Dio, il principio di ogni cosa. Tuttavia, Dio non può essere conosciuto direttamente attraverso strumenti razionali umani.

Come affermano i testi della tradizione medioplatonica, cui Giustino è legato, di Dio si può solamente dire che è ingenerato, incorruttibile, ineffabile, privo di ogni qualità, grandezza e forma, immutabile, trascendente e superiore per dignità a ogni altra realtà. Dio è innominabile e inafferrabile. Di conseguenza, non bisogna interpretare letteralmente quanto si trova nei libri dell'Antico Testamento, dove, ad esempio, Dio scende, parla, stermina le nazioni, cammina.

Giustino adotta dalla filosofia medioplatonica anche l'idea di un secondo livello ontologico, il Lògos, la cui natura è illuminata dal concetto biblico di "generazione". Questo concetto chiarisce il rapporto tra i due livelli del divino e la loro relazione con il mondo. Il Lògos è "emesso" da Dio come suo "rampollo", pur esistendo in lui dall'eternità. Il Lògos funge da tramite tra Dio e il mondo, agendo come principio di mediazione nel progetto divino di creazione. È contemporaneamente la sapienza divina che contiene le idee di Dio e la potenza demiurgica della creazione, realizzando il progetto concepito dal Padre.

Il Lògos di Dio si è manifestato nel tempo come parola al popolo ebraico e, infine, come pienezza e dono divino in Cristo, nell'evento rivelatore della sua incarnazione, morte e resurrezione. Giustino è aperto all'idea che la verità possa essere conosciuta dagli uomini in modi diversi da quello cristiano. Prima di Cristo, attraverso la lettura frammentaria della Bibbia o anche senza conoscere la rivelazione delle Scritture, i filosofi antichi hanno potuto accedere, proporzionalmente alle loro capacità umane, a porzioni di verità intuitiva. Ogni uomo possiede il "lògos spermatikòs", la "ragione seminale", capace di produrre "semi di verità", presente in ogni essere umano.

Giustino afferma che ogni uomo possiede una porzione del Lògos divino, di Cristo, anche coloro che sono vissuti prima della sua incarnazione e hanno cercato la verità. Questo lògos permette ai migliori filosofi di formulare verità parziali, compatibili con la rivelazione e preziose per la fede. Esse consentono di razionalizzare i contenuti del messaggio cristiano, creando un collegamento tra la speranza dei semplici e le convinzioni filosofiche delle classi colte. Dal suo punto di vista, il cristianesimo rappresenta il vero compimento della filosofia greca. Le intuizioni di verità elaborate in modo parziale dai maestri greci si rivelano pienamente solo alla luce della parola di Dio.

Atenagora di Atene, seguace di Giustino, condivide questa visione. Tuttavia, Tertulliano, padre apologista di lingua latina, segue un orientamento opposto, sostanzialmente ostile alla filosofia greca e al transito dalla filosofia alla fede. Nato a Cartagine tra il 150 e il 160, convertitosi al cristianesimo intorno al 193, Tertulliano sottolinea la discontinuità tra filosofia e cristianesimo, accentuando il carattere scandaloso e rivoluzionario del messaggio evangelico su temi come la morte e la resurrezione, il valore della croce, la possibilità della redenzione, la sacralità del corpo e della vita.

Nel suo Apologetico del 197, Tertulliano difende con forza il cristianesimo, sfidando l'intera cultura pagana. Egli critica la cultura pagana, sostenendo che non tollera chi agisce con autentiche convinzioni ma apprezza coloro che dispensano opinioni, come i filosofi. Oltre agli intenti pologetici, Tertulliano si confronta approfonditamente con la cultura filosofica, in particolare con il medioplatonismo e lo stoicismo. La sua conoscenza di questi argomenti, tuttavia, proviene principalmente da fonti secondarie di tipo manualistico.

Il rapporto di Tertulliano con la filosofia è strumentale e strategico; trae concetti e moduli argomentativi a sostegno della sua costruzione teorica, mantenendo sempre un tono polemico elevato. Combatte i falsi valori del mondo pagano, inclusa la sovravalutazione dell'intellettualismo, sottolineando l'importanza della vita dell'anima, centrale nella concezione cristiana.

Nell'Apologetico, Tertulliano vuole chiarire eventuali confusioni e rispondere a coloro che dubitano che la dottrina cristiana derivi dalla rivelazione divina, considerandola piuttosto come "una sorta di filosofia". Distinzione viene fatta sia a livello morale nello stile di vita, sia a livello teorico. I filosofi, secondo Tertulliano, fanno finta di possedere la verità, adulatori del potere e aspiranti alla gloria, mentre i cristiani cercano la verità per necessità vitale e la professano integralmente, concentrandosi sulla propria salvezza.

Rispetto ai filosofi, Tertulliano esalta il "semplice operaio cristiano", che afferma con i fatti ciò che si ricerca su Dio. Contrappone Platone al cristiano che, con umiltà, afferma la verità cercata. Accusa i filosofi di avere tratto la loro sapienza dai libri antichi di Mosè e dei Profeti ebraici, adulterandola.

Inoltre, Tertulliano rivolge una feroce polemica contro gli ebrei, sostenendo che, nonostante il favore divino in passato, hanno abbandonato la legge mosaica, diventando profani. Afferma che Dio ha scelto nuovi adepti più fedeli a cui concedere una grazia più abbondante, incarnata nel Cristo, il Figlio di Dio e creatore dell'universo. Critica anche gli eretici e gli gnostici, considerandoli figli dell'intellettualismo filosofico, poiché tentano di introdurre una concezione dualistica nel cristianesimo, separando corpo e anima e vedendo la salvezza come distacco spirituale accessibile a pochi eletti.

Nel suo primo trattato di psicologia, Tertulliano respinge con fermezza l'intellettualismo e rifiuta la teoria della preesistenza di un'anima pura, immissa nel corpo dall'esterno al momento della nascita. Secondo Tertulliano, l'anima è corporea, nascendo insieme al corpo e formando un insieme indissolubile. Si separa solo al momento della morte. Contrariamente all'idea che il male derivi dal corpo, la "carne", Tertulliano afferma che la fonte del male è l'anima corporea dotata di libero arbitrio da Dio.

La posizione di Tertulliano sulla corporeità di Cristo si scontra con l'eresia di Marcione, il quale considera il corpo di Cristo come un'apparenza, respingendo l'incarnazione. Tertulliano, nel suo scritto "La carne di Cristo", sostiene la reale crocifissione, sofferenza, morte, sepoltura e risurrezione del Figlio di Dio. Egli difende la fede cristiana nella passione di un essere divino, anche se appare assurda al mondo, utilizzando l'espressione "certum est quia impossibile est" (è certo perché è impossibile), spesso fraintesa come una contrapposizione radicale tra ragione e fede.

Per Tertulliano, la sacralità della vita, il rifiuto di classificare gli uomini in base alle loro qualità intellettuali e il rigore morale sono valori fondamentali del cristianesimo. La sua visione apocalittica della salvezza lo porta a considerare i martiri come autentici testimoni dell'irriducibilità del cristianesimo al potere imperiale. Tertulliano aderisce alla corrente ascetica della "nuova profezia", originata dalla predicazione di Montano, proclamatosi profeta con lo Spirito Santo per annunciare la fine imminente del mondo.

Dopo Tertulliano, in Occidente si mantiene una diffidenza verso l'introduzione di elementi estranei alla tradizione biblica ed evangelica nella dottrina cristiana. L'errore degli gnostici cristiani che spiritualizzano la figura di Cristo, è visto come un'interpretazione filosofica errata. In Oriente, Clemente Alessandrino, convertitosi al cristianesimo dopo una formazione filosofica, promuove l'assimilazione dei contenuti filosofici greci nella cornice del cristianesimo.

Costretto a lasciare la città tra il 202 e il 203 a causa delle persecuzioni di Settimio Severo, si presume che abbia trovato rifugio a Cesarea, in Cappadocia, dove poi è deceduto dopo il 215. Clemente è l'autore di tre opere significative: il Protrettico, un'invocazione a abbracciare la fede cristiana; il Pedagogo, dedicato all'insegnamento di Cristo come vero maestro e Lògos; gli Stromati (termine traducibile come Miscellanea), un'opera che tratta vari argomenti. Secondo Clemente, l'insegnamento delle verità cristiane può essere sostenuto da teorie pagane attentamente selezionate in base alla loro prossimità alla rivelazione. Questa vicinanza può derivare sia dal presunto plagio dei libri dei Profeti ebrei (Clemente parla esplicitamente di un "furto greco dalla filosofia barbara", cioè ebraica), sia dall'acquisizione attraverso riflessione autonoma. Mentre la Bibbia è stata uno strumento educativo diretto per il popolo ebraico, la filosofia ha contribuito a liberare gli altri popoli dagli errori del politeismo, creando le condizioni per la diffusione universale del messaggio cristiano. Così, i testi di Platone e degli stoici, interpretati in chiave protrettica, diventano una fonte preziosa per la costruzione di una filosofia cristiana autentica, sebbene la verità debba essere ricercata nel Lògos cristiano e non direttamente in essi.

"[...] noi non abbiamo più bisogno di andare alla dottrina umana ricercando con troppa cura Atene, il resto dell'Ellade ed anche la Ionia. Se infatti ci è maestro Colui che ha riempito l'universo con la manifestazione della sua santa potenza, con la creazione, con la salvezza, con la beneficenza, con le sue leggi, con la profezia, con la dottrina, tutto ora ci insegna il maestro, e l'universo ormai è diventato, in virtù del Verbo, un'Atene e una Grecia [...]"

(Protrettico, cap. XI, § 112.1)

Il Lògos è il maestro capace di comunicare con chiarezza a bambini, uomini e donne, guidando coloro che hanno fede in lui verso l'idea di "assimilazione a Dio". Questo concetto, caratteristico del medioplatonismo pagano, viene reinterpretato da Clemente in una prospettiva cristiana:

"[...] il nostro Pedagogo, o fanciulli, è simile a suo Padre, Iddio, del quale egli è figlio: senza peccato, senza biasimo, senza passioni nell'anima, puro Dio sotto l'aspetto di uomo servitore della volontà del Padre, Lògos Dio, colui che è nel Padre, colui che è alla destra del Padre, Dio anche con la forma umana. Questo è per noi il modello senza macchie, a Lui bisogna cercare con tutte le forze di rendere simile l'anima; ma egli è del tutto libero da passioni umane, e perciò Lui solo può giudicare, perché Lui solo è senza peccato; noi, per quanto possiamo, sforziamoci di peccare meno possibile. Niente infatti urge tanto quanto il liberarci dalle passioni e dalle infermità dell'anima innanzitutto e poi l'impedirci di cadere nell'abitudine al peccato [...]"

(Pedagogo, cap. II, § 4,1-2)


Vita di Origene


Nato a Alessandria intorno al 185 d.C. in una famiglia cristiana, ha trascorso gli anni della mia giovinezza organizzando la scuola di catechesi. Durante questo periodo, ha frequentato i corsi di Ammonio Sacca, un maestro della scuola platonica alessandrina che successivamente avrebbe insegnato a Plotino. Seguendo un ideale ascetico, ha scelto di evirarsi tra il 210 e il 211 per preservarsi dalle tentazioni della carne.

Nel 216, si è recato a Cesarea, in Palestina, dove è stato accolto dai vescovi locali ed ha tenuto omelie, nonostante non fosse un sacerdote. Al suo ritorno ad Alessandria, si è dedicato intensamente al commento dei libri biblici. Durante un secondo viaggio in Palestina nel 233, ha accettato di essere ordinato sacerdote dal vescovo di Cesarea, suscitando le reazioni negative del vescovo Demetrio di Alessandria, il quale lo ha accusato di eresia. Da quel momento, ha deciso di non tornare più ad Alessandria e si è stabilito a Cesarea.

A Cesarea, ha continuato a predicare, a scrivere commenti alle Scritture ed ha avviato un progetto per il controllo filologico del testo biblico. Questo includeva il confronto delle diverse tradizioni testuali, come quella ebraica, quella ebraica traslitterata in greco, la versione dei Settanta e le altre tre traduzioni in greco. Ha organizzato tutto in un unico codice con sei colonne diverse, anche se è incerto se possedeva effettivamente l'edizione in ebraico.

Muore nel 253-254, probabilmente a causa delle torture subite durante la persecuzione dell'imperatore Decio.


Origene di Alessandria


Qualche anno dopo la partenza di Clemente, circa nel 210, ad Alessandria venne istituita una scuola di catechesi chiamata Didaskalèion (parola greca che significa "scuola"), posta sotto il controllo del vescovo Demetrio. A dirigere questa scuola, il vescovo scelse il giovane Origene che già da alcuni anni teneva corsi di catechesi. Origene fu il primo vero teologo e filosofo cristiano. La sua reputazione come maestro di dottrina ed esegesi biblica crebbe rapidamente, diventando un'autorità, anche se alcune delle sue posizioni suscitarono presto discussioni nella Chiesa. Alcune di queste tesi, adottate e radicalizzate da alcuni dei suoi seguaci, furono condannate ufficialmente nel concilio ecumenico del 553. In questo concilio, Origene fu incluso tra gli eretici, portando alla definitiva perdita della maggior parte delle sue opere di esegesi biblica.

Esse possono essere suddivise in tre categorie principali:

1) Spiegazioni relative ai singoli passi, noti come scolii;
2) Commenti sistematici dei libri delle Scritture;
3) Omelie pronunciate nei luoghi di culto, basate su testi biblici e successivamente raccolte e trascritte da stenografi a Cesarea.

Si conservano solo due opere complete di Origene:

1) Un trattato significativo intitolato "I principi," scritto prima del 230. La versione latina di Rufino, risalente alla fine del IV secolo, ne conserva una parte, anche se è stata rimaneggiata ed epurata nei punti dottrinali più a rischio di eresia. Alcuni passaggi dell'edizione in greco sono presenti in un'antologia curata da Basilio di Cesarea e Gregorio di Nazianzo circa nella metà del IV secolo, mentre altri si trovano in una lettera di Girolamo (331 ca.-420 ca.), traduttore latino delle Scritture, e in una lettera in cui l'imperatore Giustiniano accusa Origene di eresia nel 543.
2) Gli otto libri "Contro Celso," una difesa del cristianesimo contro il filosofo neoplatonico Celso, scritta negli ultimi anni di vita di Origene.

Particolarmente rilevante è il metodo di Origene nella lettura e interpretazione delle Scritture. Secondo lui, le Scritture sono un'opera che contiene diversi strati di significato, accessibili solo a chi unisce una profonda conoscenza del testo a un'assoluta probità morale. Origene applica alle Scritture il metodo dell'allegoria, già utilizzato da Filone e Clemente Alessandrino, interpretando i racconti biblici come "figure" di insegnamenti concettuali e morali.

L'obiettivo di Origene è elevare il significato del testo oltre il suo senso letterale, trasformandolo in un'esperienza spirituale. Egli utilizza un'analisi allegorica, definita talvolta anagogica, per conservare l'intera tradizione e sottolineare la continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Origene recupera simbolicamente anche ciò che potrebbe apparire inaccettabile dal punto di vista letterale, sfidando così il rifiuto della tradizione biblica e del Dio dell'Antico Testamento espresso dai gnostici cristiani.

Nelle sue riflessioni, Origene distingue tra il senso letterale, adatto ai semplici credenti, il senso spirituale, riservato ai perfetti. Tuttavia, considerando la difficoltà nel raggiungere la perfezione, spesso si riferisce a coloro che stanno progredendo verso tale stato. Nei Principi, Origene spiega che il senso "letterale" si rivolge ai principianti, la moltitudine che crede sinceramente senza approfondire ulteriormente il significato delle Scritture; il senso "morale" è per coloro che iniziano a comprendere in modo allegorico il testo, trarne indicazioni etiche per la loro fede; il senso "spirituale" è accessibile solo ai "perfetti", coloro che hanno progredito nella conoscenza dei misteri divini nascosti nelle Scritture.

Questi "perfetti" hanno il compito pedagogico di guidare gli altri verso una migliore comprensione del testo sacro. Nei Principi, Origene affronta i principi dell'essere, simili in certi aspetti a quelli medioplatonici, derivati dalla rivelazione e dalle "verità chiare trasmesse dalla predicazione apostolica". L'opera si propone di chiarire gli elementi di base dell'insegnamento apostolico, affrontando le discordie sorte tra i cristiani su tali questioni e sottolineando ciò che è rimasto implicito o inespresso attraverso dimostrazioni razionali.

Scrive Origene:

"[...] occorre dunque, secondo il precetto che dice: Fate risplendere ai vostri occhi la luce della scienza (Osea, 10.12), che di tali elementi di base si serva ognuno che desideri ordinare in un tutto organico l'esplicazione razionale di tutti questi argomenti, sì da mettere in evidenza la verità sui singoli punti con dimostrazioni chiare e inoppugnabili, e da ordinare, come abbiamo detto, un'opera organica con argomentazioni ed enunciazioni, sia quelle che avrà trovato nelle Sacre Scritture sia quelle che avrà potuto di lì dedurre grazie a ricerca condotta con esattezza e rigore logico [...]"
(I principi, libro I, Prefazione, § 10)

Il contrasto contro gli gnostici, ispirati da potenze demoniache, è essenziale per preservare l'interpretazione corretta della fede e evitare deviazioni pericolose. Secondo questa prospettiva, l'intera realtà del mondo deriva dalla potenza divina immutabile di Dio-padre, onnipotente, invisibile, incorporeo, buono ed eterno. Egli ha creato l'universo dal nulla e dà vita a ogni essere, condividendo con esso la propria essenza.

Questo unico Dio è quello descritto sia nell'Antico che nel Nuovo Testamento, sfidando la falsa divisione proposta dagli gnostici. Dal Dio-padre procede il Logos, il Figlio, generato da lui ma senza un punto di inizio comprensibile. Se il Padre è "uno" nella sua semplicità, il Figlio è la "molteplicità" delle idee attraverso cui il mondo viene creato. Il Figlio è sia "sapienza", contenente i modelli ideali delle cose create, che "ministro", collaborando con Dio nella creazione dell'universo prima di incarnarsi per la salvezza dell'umanità.

L'arrangiamento del Figlio rispetto al Padre riflette influenze filosofiche medioplatoniche, ponendo il primo e il secondo Dio in una gerarchia. Questo ha portato a critiche come il "subordinazionismo" e l'accusa di favorire l'arianesimo. Il Logos costituisce la realtà del mondo creato, inferiore al principio ma intrinsecamente razionale. La degradazione avviene quando una parte degli esseri razionali si ribella al principio, precipitando nel male e nella corporeità, definendo così la tripartizione degli esseri razionali: angeli, uomini e demoni.

Nonostante questa ribellione, poiché l'intera realtà proviene da Dio, c'è una tendenza nel mondo alla ricomposizione dell'armonia perduta, guidata dal Logos. La venuta di Cristo, il Logos incarnato, offre all'umanità la possibilità di ritornare a Dio attraverso l'imitazione di Dio. Questo concetto di ritorno a Dio è presente già nelle scritture e ha influenzato filosofi come Platone, secondo Origene.

In questo senso, precisa Origene:

"[...] il sommo bene, cui tende la natura razionale e che è detto anche fine, di tutte le cose, secondo la definizione anche di molti filosofi, consiste nel diventare per quanto è possibile simili a Dio. Ma questo concetto non credo che i filosofi l'abbiano trovato, quanto piuttosto lo hanno tratto dalla Sacra Scrittura. Infatti prima di tutti lo ha formulato Mosè, quando ha descritto la prima creazione dell'uomo, dicendo: E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza; ed ha aggiunto: E Dio fece l'uomo: lo fece a immagine di Dio, li fece maschio e femmina e li benedisse (Genesi, 1.26-28) [...]"
(I principi, libro 3, cap. 6, § 1)

Nella parte conclusiva di questo brano, che rappresenta un esempio di esegesi biblica, si chiarisce come, secondo Origene, l'uomo possa giungere a somigliare a Dio. Sebbene Dio dichiari di voler creare l'uomo a sua immagine e somiglianza, la creazione avviene solo a sua immagine, mentre la somiglianza diventa il fine da raggiungere attraverso l'imitazione di Dio mediante l'operosità. Di conseguenza, è compito dell'uomo, con un'azione progressiva, realizzare la perfetta somiglianza attraverso le sue opere. Per imitare Dio nell'operosità, è essenziale amare il prossimo, agendo come Dio ci ama. Per imitare Cristo, bisogna vivere secondo il suo esempio, accettando dolore e passione, seguendo l'esempio dei martiri. Questo percorso verso Dio implica il perfezionamento delle virtù.

Il processo di ritorno a Dio coinvolge l'intero cosmo e si attua attraverso cicli temporali, senza il determinismo e la ripetizione identica della teoria stoica. Alla fine, tutte le creature razionali sperimenteranno l'apocatastasi, ovvero la completa reintegrazione nella purezza originaria. Origene ritiene che l'eternità dell'inferno sia inconcepibile e incompatibile con la potenza divina. Il concetto di apocatastasi è citato negli Atti degli Apostoli, dove si parla della "restaurazione di tutte le cose" in Dio alla fine dei tempi. Origene estende questa visione, sottolineando che, alla fine, "Dio sarà tutto in tutti", come afferma Paolo nella prima Lettera ai Corinti.

Tuttavia, questa visione di Origene, in particolare l'apocatastasi che esclude l'eternità della pena infernale, porta alla condanna della sua opera. Nel 543, l'imperatore Giustiniano promulga un Trattato contro Origene e le sue dottrine, condannando molte tesi, giuste o sbagliate, attribuite a Origene. Dieci anni dopo, nel 553, un concilio a Costantinopoli condanna ufficialmente le tesi attribuite a Origene e ai suoi seguaci.


Il cristianesimo come religione di Stato


La straordinaria fusione tra il cristianesimo e il platonismo elaborata da Origene avrebbe potuto rappresentare un momento cruciale nel confronto con la cultura pagana. Tuttavia, tra la seconda metà del III secolo e la prima metà del IV secolo, la Chiesa si trovò ancora ad affrontare numerosi problemi di stabilizzazione interna, sia sul piano dottrinario che nel conflitto con le istituzioni imperiali. Prima che un'ortodossia si consolidasse definitivamente nella tradizione ecclesiastica, diverse correnti dottrinali si presentarono come modelli di sistemazione, dividendo la comunità cristiana in varie fazioni e movimenti, spesso condannati come eretici attraverso concili successivi. In Oriente, l'Arianesimo e il monofisismo (che affronteremo a breve) e, in Occidente, il donatismo e il pelagianesimo (argomenti che tratteremo in una lezione dedicata ad Agostino) rappresentarono le tendenze eretiche più significative dal punto di vista teorico.

A livello politico, mentre gli ultimi sforzi di reprimere la diffusione del cristianesimo tramite persecuzioni erano in corso, si stavano sviluppando le condizioni per un cambiamento radicale. L'Impero romano, per garantire la continuità delle sue istituzioni, iniziò a fare affidamento sulla capacità organizzativa, intellettuale e morale maturata nelle strutture della Chiesa. La cosiddetta "conversione" dell'imperatore Costantino (argomento ancora oggetto di controversia tra gli storici) e l'influenza intellettuale di Lattanzio determinarono, nella prima metà del IV secolo, le condizioni per questo cambiamento.

Nell'epoca di Diocleziano, durante le ultime persecuzioni contro i cristiani, Lattanzio, vissuto tra la seconda metà del III e la prima metà del IV secolo, occupa una cattedra imperiale di retorica. Con la sua ampia cultura umanistica, rappresenta la continuità della tradizione classica pagana. Convertitosi al cristianesimo e costretto per un breve periodo a lasciare la sua posizione, diventa, sotto Costantino, il mediatore ufficiale di una storica transizione: dal dominio pagano a quello cristiano.

La sua opera, le Divine Istituzioni, scritta tra il 304 e il 324, rappresenta un notevole tentativo di stabilire l'egemonia definitiva della dottrina cristiana, capace di ereditare il meglio della tradizione classica in una nuova e completa sintesi culturale. L'editto di Milano, emanato dagli imperatori Licinio e Costantino nel 313, rende il cristianesimo una "religione lecita", ponendo fine alle persecuzioni e consentendo agli intellettuali cristiani di assumere ruoli istituzionali di primaria importanza.

All'interno del nuovo quadro di alleanze tra Chiesa e Impero, l'unità dottrinaria del mondo cristiano diventa un elemento di stabilità politica. Ciò spiega l'attenzione dedicata alla discussione e alla condanna delle eresie, nonché la partecipazione attiva dei delegati politici, incluso l'imperatore stesso, alle discussioni dogmatiche dei concili. Il primo grande concilio ecumenico, il Concilio di Nicea nel 325, si tiene con la presenza dell'imperatore Costantino, che si considera garante politico della fede.

A Nicea, viene affrontata la fondamentale questione teologica del rapporto tra Dio-padre e il Figlio. Il conflitto tra il vescovo Alessandro di Alessandria (250 ca.-326) e il sacerdote Ario (256 ca.-336) riguarda la considerazione di Cristo come "generato" e inferiore al Padre. Sebbene Ario non neghi necessariamente a Cristo una natura divina, lo considera non eterno e non della stessa sostanza del Padre. Costantino decide di convocare il concilio per risolvere il conflitto e i delegati concordano che Cristo viene da Dio, è generato ma non creato ed è "consustanziale" al Padre. Ecco la formula completa del Credo:

"[...] crediamo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore di tutte le cose visibili e invisibili. Ed in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio di Dio, generato, unigenito, dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, mediante il quale sono state fatte tutte le cose, sia quelle che sono in cielo, che quelle che sono sulla Terra. Per noi uomini e per la nostra salvezza egli discese dal cielo, si è incarnato, si è fatto uomo, ha sofferto e risorse il terzo giorno, salì nei cieli, verrà per giudicare i vivi e i morti. Crediamo nello Spirito Santo. Ma quelli che dicono: Vi fu un tempo in cui egli non esisteva; e prima che nascesse non era; e che non nacque da ciò che esisteva, o da un'altra ipostasi o sostanza che il Padre, o che affermano che il Figlio di Dio possa cambiare o mutare, questi la Chiesa cattolica e apostolica li condanna. [...]"

Il Concilio sembra concludersi con la sconfitta di Ario, ma nei successivi anni, da un lato, Costantino inizia a sostenere le sue tesi, mentre, dall'altro, molti teologi delle comunità orientali respingono il concetto di "consustanzialità". Questo termine, nella lingua greca, indica l'appartenenza alla "stessa materia", un significato ritenuto inadeguato per esprimere la natura spirituale di Dio e di Cristo.

In seguito a varie vicissitudini, con l'imperatore Teodosio e il Concilio di Costantinopoli del 381, la dottrina di Ario viene definitivamente condannata. Anche lo Spirito Santo trova la sua stabile collocazione come terza persona di Dio. La Trinità è ufficialmente composta da tre persone consustanziali e coeterne, dotate di una sola natura divina. Una delle tre persone, Cristo, assume un'altra natura, quella umana, pur mantenendo quella divina, per permettere la redenzione di tutti gli uomini.

La disputa teologica sulla figura di Cristo-Lògos rimane aperta e continua, con un ricorso sempre più sottile a categorie interpretative provenienti dalla filosofia greca, estranee alla tradizione ebraico-cristiana originaria. Intellettuali di alto livello, tra cui spiccano i Padri della scuola di Cesarea in Cappadocia, come Basilio, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo, sono protagonisti delle dispute.

Basilio discute con Eunomio, vescovo di Cizio, sostenitore dell'«anomeismo», corrente che considera Cristo del tutto «dissimile» dal Padre. Secondo ù Eunomio, il termine «non generato» esprime la sostanza stessa di Dio-padre, rendendo il Figlio dissimile e non consustanziale al Padre. Basilio risponde con un trattato Contro Eunomio (363-365), difendendo la posizione emersa nel Concilio di Nicea. La replica di Eunomio (Apologia dell'Apologia, 378) genera la reazione di suo fratello Gregorio di Nissa, che interviene con un ampio trattato Contro Eunomio.

Secondo Gregorio di Nissa, l'uomo non può conoscere l'essenza di Dio, la cui sostanza gli rimane celata. I nomi divini sono solo approssimazioni ottenute per via negativa o analogica. La "non generabilità" non può definire la sostanza di Dio, poiché esprime un concetto negativo. L'errore consiste nel proiettare concetti delle cose create nel tempo su Dio, che è fuori dal tempo, così come lo sono le altre due persone della Trinità, il Figlio e lo Spirito Santo. Se Padre, Figlio e Spirito Santo coesistono nell'eternità atemporale, è impossibile che esista un prima e un dopo scanditi dal momento della generazione.

La volontà divina, manifestandosi nella Trinità, ha dato origine al mondo dal nulla. Quest'ultimo, in continuo divenire, si presenta eterno e perfetto, composto da entità che perseguono ciascuna il proprio scopo. Il Figlio non riveste un ruolo separato dal Padre nella creazione; è invece compito suo, insieme allo Spirito Santo, rendere possibile la redenzione e la salvezza dell'umanità. La conclusione di questo processo avverrà quando, secondo la volontà imperscrutabile di Dio, il mondo giungerà al termine, segnando il ritorno di tutte le anime, sia dei buoni che dei malvagi, a Dio. Questo richiama l'idea di Origene sulla "apocatastasi", ovvero la restaurazione alla condizione originaria.

Dopo l'arianesimo, nel V secolo, si aprono due importanti dibattiti in Oriente riguardo alla figura di Cristo. Il primo, avviato nel 428, coinvolge le principali Chiese orientali (Alessandria, Costantinopoli, Antiochia) e il vescovo di Roma. La questione ruota attorno alla presenza di due nature distinte unite in una sola persona in Cristo o se esista solo una natura divina che in qualche modo si unisce a quella umana. Nestorio, vescovo di Costantinopoli, si oppone alla designazione di Maria come "madre di Dio", sostenendo la distinzione tra l'uomo Gesù e quello dotato di natura divina. Cirillo, vescovo di Alessandria, contesta questa distinzione, affermando la presenza simultanea delle due nature in Cristo, in un'unione ipostatica. La tesi di Nestorio è condannata nel concilio di Efeso del 431.

Un secondo dibattito sorge quando l'abate Eutiche, a Costantinopoli, afferma che nell'unica sostanza di Cristo esiste anche la natura umana, sostenendo così la tesi monofisita. Questo porta a una controversia con il vescovo di Alessandria e si conclude nel 451 con il concilio di Calcedonia, che condanna il monofisismo. Il concilio approva una formula che riconosce in Cristo due nature, umana e divina, unite in una sola persona e ipostasi. Cristo è della stessa sostanza del Padre per la sua natura divina e della stessa sostanza dell'uomo per la sua natura umana.

Queste questioni dottrinali spesso nascondono problemi e divisioni politiche, come la rivalità tra i vescovi delle grandi Chiese orientali, coinvolgendo anche gli imperatori e il vescovo di Roma. Queste dispute hanno riflessi sulla popolazione, poiché la religione cristiana è diventata un potente strumento di potere e controllo. Dopo Costantino e Teodosio, l'autorità della Chiesa cresce, specialmente in Occidente, dove le funzioni civili dell'Impero vengono trasferite alle strutture ecclesiastiche e la cultura pagana perde progressivamente rilevanza rispetto al pensiero cristiano.

Ambrogio (333-397) e Girolamo (347-420) emergono come figure di spicco nel cristianesimo occidentale prima di Agostino di Ippona. Ambrogio, vescovo di Milano nel IV secolo, si dedica intensamente alla predicazione dottrinale ed etica a sostegno dell'ortodossia. Girolamo, vissuto tra IV e V secolo, realizza una completa revisione e traduzione latina dei testi dell'Antico e del Nuovo Testamento.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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