Arthur Schopenhauer - Tra dolore e noia
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione
Introduzione
Il brano che ti presento, estratto dal libro IV de "Il mondo come volontà e rappresentazione", rappresenta una sintesi del pensiero di Schopenhauer sul movimento doloroso dell'esistenza umana. Affronta il costante susseguirsi degli eventi verso la morte, l'alternarsi tra la brama insaziabile e la noia dell'appagamento. La vita, vista come espressione della volontà di esistere, rivela la sua natura illusoria e deludente per chi cerca di dare un senso alla propria esistenza. L'individuo comprende di essere solo un riflesso dell'eterna volontà di vivere, uno strumento senza importanza nella concatenazione degli esseri, pur subendo il peso del dolore e l'angoscia per il passato e il futuro. Non vi è scampo da questa condizione psicologica ma la consapevolezza di essa può attenuare i suoi effetti sulle nostre emozioni.
Lettura
57. La volontà, in ogni grado in cui è illuminata dalla cognizione, appare a sé come un individuo. Nell'infinità dello spazio e del tempo, l'individuo finito si sente come un nulla; il quando e il dove della sua esistenza, nell'infinità del tempo e dello spazio, non sono assoluti, ma relativi; lo spazio e il tempo che gli appartengono sono parti finite di un tutto immenso. Non esiste, a rigore, che nel presente, il quale fugge senza posa verso il passato; e la fuga è un andare continuo verso la morte, un perpetuo morire. Astrazion fatta dalle conseguenze possibili sul presente, dalla testimonianza che rende sul carattere della volontà di cui è immagine, la vita passata è un conto già chiuso: è morta e annichilita. Perciò, a un uomo di giudizio, deve importar poco se il suo passato sia pieno di dolori o di gioie. Il presente gli sfugge ad ogni momento per cadere nel passato; l'avvenire è incerto e breve in ogni caso. La sua vita, quanto alla forma, è un perpetuo morire.
Consideriamola ora sotto il punto di vista fisico: nello stesso modo che il nostro camminare si risolve in una successione di cadute evitate, anche la vita del nostro corpo non è che un'agonia continuamente impedita, una morte differita d'istante in istante. E infine, anche l'attività dei nostro spirito non è che uno sforzo costante per cacciare la noia. Ogni nostro atto di respirazione è un allontanare la morte che ci assale; è una battaglia in ogni secondo; a cui se ne aggiungono altre a intervalli più lunghi, ogni volta che ci nutriamo, che dormiamo, che ci riscaldiamo, ecc. Ma bisogna infine che la morte trionfi, poiché siam divenuti sua preda per il solo fatto di esser nati; la morte si permette un momento di giocare con la sua preda, ma non aspetta che l'ora di divorarla. Rimaniamo nondimeno affezionati alla vita, e spendiamo ogni cura per prolungarla quanto possiamo; proprio come chi si sforza di gonfiare quanto più e quanto più a lungo è possibile una bolla di sapone, pur sapendola destinata a scoppiare.
Già nella natura incosciente, costatammo che la sua essenza è una costante aspirazione senza scopo e senza posa; nel bruto e nell'uomo, questa verità si rende manifesta in modo ancor più eloquente. Volere e aspirare, questa è la loro essenza; una sete inestinguibile. Ogni volere si fonda su di un bisogno, su di una mancanza, su di un dolore: quindi è in origine e per essenza votato al dolore. Ma supponiamo per un momento che alla volontà venisse a mancare un oggetto, che una troppo facile soddisfazione venisse a spegnere ogni motivo di desiderio: subito la volontà cadrebbe nel vuoto spaventoso della noia: la sua esistenza, la sua essenza, le diverrebbero un peso insopportabile. Dunque la sua vita oscilla, come un pendolo, fra il dolore e la noia, suoi due costitutivi essenziali. Donde lo stranissimo fatto, che gli uomini, dopo aver ricacciati nell'inferno dolori e supplizi, non trovarono che restasse, per il cielo, niente all'infuori della noia.
Questo sforzo perenne, costituente l'essenza di ogni fenomeno della volontà, riesce finalmente, nei gradi più alti della sua oggettivazione, a trovare il suo primo e più generale principio; la volontà si rivela qui a se stessa, in un corpo vivo che le comanda imperiosamente di nutrirlo; e il comando trae la sua forza precisamente da ciò, che il corpo è la volontà di vivere oggettivata. Quindi l'uomo, essendo l'oggettivazione più perfetta della volontà di vivere, è anche il più bisognoso degli esseri; non è che volontà e bisogno, e lo si potrebbe definire una concrezione di bisogni. Sulla terra, l'uomo si trova dunque abbandonato a se stesso, incerto di ogni cosa, fuorché della sua indigenza e della sua angustia; le ansie per la conservazione della vita, in mezzo ad esigenze così difficili a soddisfare, e sempre rinascenti, bastano d'ordinario ad occupare tutta la vita. Si aggiunga un altro bisogno: quello di propagare la specie.
Si aggiungano i pericoli di ogni sorta che lo minacciano da ogni lato, donde la necessità di star sempre all'erta per non caderne vittima. L'uomo non può avanzare che a passi lenti, con occhio ansioso e vigile, perché mille rischi e mille nemici gli tendono agguato. Così procedeva allo stato selvaggio, così procede in piena civiltà: per lui non c'è nessuna sicurezza.
Qualibus in tenebris vitae, quantisque periclis Degitur hoc aevi, quodcumque est. (Lucr., II, 15)Per i più, la vita non è che una lotta continua per l'esistenza, con la certezza di una disfatta finale.
E ciò che dà loro tanta forza di persistere in questo disastroso conflitto, non è tanto l'amor della vita, quanto la paura della morte, che tuttavia sta là, nel fondo, pronta sempre ad affacciarsi. La vita è un mare seminato di scogli e di gorghi, che l'uomo riesce, con cura e con prudenza estreme, ad evitare; sapendo però che se anche gli vien fatto, con la sua forza e con la sua destrezza, di cavarsela, non fa che avvicinarsi man mano al grande, al totale, all'inevitabile, all'irreparabile naufragio; sapendo che il suo è un veleggiare verso il naufragio, verso la morte; ultimo termine del penoso viaggio, meta spaventosa più degli scogli evitati.
È poi anche da notare: per un verso, che i dolori e le torture della vita posson facilmente arrivare a una tale intensità, che la morte stessa ci divenga desiderabile: sicché, quantunque la nostra esistenza consista nel fuggirla, pure le si corra incontro volentieri; per un altro verso, che, non appena il bisogno e la sofferenza ci diano un momento di respiro, ci piomba subito addosso la noia, sicché siamo costretti a cercare qualche passatempo.
Ciò che tien desti e in moto i viventi, è il desiderio di vivere. Orbene: assicurata che abbiano la vita, non sanno più che farsene: sopravviene allora un altro stimolo: il desiderio di liberarsi dal peso dell'esistenza, di renderlo insensibile, di «ammazzare il tempo»; in altre parole, di sfuggire alla noia. Così, la più gran parte di quelli che sono al riparo da ogni bisogno e da ogni preoccupazione, una volta riusciti a liberarsi di ogni altro peso, finiscono per diventar di peso a se stessi, e per ritenere come tanto di guadagnato, ogni ora che riescono a passare, ogni particella che riescono a sottrarre a quella vita, per il cui massimo prolungamento avevano prima impegnate tutte le loro forze. La noia non è, del resto, il meno disprezzabile dei mali; finisce per imprimere nel viso una stimmata di vera disperazione.
La noia è appunto la causa per cui esseri che si amano così poco fra loro, e cioè gli uomini, pure si cercano a vicenda con tanta premura; è, dunque, la radice della socievolezza. E contro la noia, la saggezza politica prende, come contro le calamità comuni, dei provvedimenti pubblici. A ragione; perché la noia, e il suo estremo opposto che è la fame, può spingere gli uomini ai più furiosi eccessi; panem et circenses è ciò di cui il popolo ha bisogno. Il rigido sistema penitenziario di Filadelfia, che impone l'isolamento e l'inazione, fece della noia un mezzo di punizione: l'effetto fu così terribile, da spingere al suicidio i detenuti. Se il bisogno è il flagello del popolo, la noia è il supplizio delle classi superiori. Nella borghesia, la noia è rappresentata dalla domenica, il bisogno dagli altri sei giorni della settimana.
Tutta la vita umana scorre tra il desiderio e la soddisfazione. Il desiderio è per sua natura dolore: la soddisfazione si traduce presto in sazietà. Il fine, in sostanza, è illusorio: col possesso, svanisce ogni attrattiva; il desiderio rinasce in forma nuova, e con esso, il bisogno; altrimenti, ecco la tristezza, il vuoto, la noia, nemici ancor più terribili del bisogno. Quando il desiderio e la soddisfazione si seguono a intervalli non troppo lunghi né troppo brevi, la sofferenza che deriva da entrambi è ridotta al suo minimum, e si ha la vita più felice.
I momenti più belli e le gioie più pure della vita, che, strappandoci all'esistenza reale, ci sollevano a spettatori disinteressati del mondo (accenniamo alla conoscenza pura ed esente da ogni volere, al godimento del bello, alla gioia pura dell'arte), richiedono disposizioni naturali estremamente rare; ben pochi sono i privilegiati che possono goderne. Anzi: neppure a questi non arridono se non come sogni fugaci; senza contare che gli spiriti superiori gustano queste gioie in virtù di un'intelligenza superiore, che li rende accessibili a dolori sconosciuti al grosso pubblico, e ne fa tanti solitari in mezzo a una turba di viventi così dissimili da loro; il che ristabilisce l'equilibrio. [...]
La sofferenza è resa pungente dal pensiero che le sue circostanze determinanti siano accidentali. Ma quando si sia riconosciuto che il dolore è come tale essenziale alla vita e inevitabile; che dal caso dipende unicamente la figura, la forma sotto cui ci si presenta; che dunque il nostro dolore dell'hic et nunc riempie un posto nella nostra vita, che in sua assenza sarebbe senza dubbio invaso da un altro dolore, ora escluso da quello; che infine il destino, quanto al fondo essenziale, ha su noi ben poca presa; allora questa riflessione, se si convertisse in persuasione viva e vera, c'ispirerebbe un tanto di serenità stoica, e attenuerebbe di molto le cure ansiose con cui pensiamo al nostro benessere. In fatto, per dominare fino a tal segno i dolori che attualmente ci premono, si richiede una potenza di ragione che s'incontra soltanto di rado, e, per meglio dire, non mai.
Guida alla lettura
1) Illustra la relazione tra l'individuo e le diverse dimensioni del tempo.
Possiamo osservare diverse dimensioni del tempo in relazione all'individuo.
Passato: Nel primo messaggio, viene citato un estratto da "Il mondo come volontà e rappresentazione" di Schopenhauer, un testo del XIX secolo. Questo rappresenta il passato nel contesto della nostra discussione. È una fonte di conoscenza consolidata nel tempo, che tratta tematiche universali sull'esistenza umana.
Presente: Durante la nostra interazione, stiamo discutendo del testo fornito e delle domande poste. Questo è il momento immediato in cui stiamo comunicando e analizzando il testo.
Futuro: La tua domanda e la mia risposta rappresentano il futuro potenziale della nostra conversazione. Anche se stiamo esaminando il testo presente, il nostro scambio può influenzare il tuo futuro modo di comprendere il testo o affrontare argomenti simili in futuro.
Inoltre, possiamo notare la riflessione sul tempo nel testo stesso, dove Schopenhauer parla della fugacità del presente che sfugge costantemente nel passato, e dell'incertezza e brevità del futuro. Questo mostra come l'individuo è costantemente immerso in una dinamica temporale in cui il presente è fugace, il passato è definito e l'avvenire è incerto.
2) Spiega in che senso ogni azione non fa che differire la morte.
Ogni azione che intraprendiamo, inclusa la nostra conversazione qui, contribuisce in un certo senso a differire la morte nel senso che ogni attività che svolgiamo ci distoglie temporaneamente dall'inevitabilità della nostra fine. Anche se il tempo trascorre durante la nostra conversazione, questo tempo trascorso non ci riavvicina alla morte, piuttosto ci allontana da essa, nel senso che stiamo occupando il nostro tempo con un'attività che ci tiene mentalmente e emotivamente impegnati, distogliendoci temporaneamente dalla consapevolezza del nostro destino finale.
3) Qual è l'origine del dolore?
L'origine del dolore, secondo il testo, risiede nell'essenza stessa della volontà di vivere. Questa volontà è descritta come un costante desiderio e aspirazione, fondati su bisogni, mancanze e dolori. Pertanto, il dolore ha la sua origine nella natura fondamentale dell'esistenza umana, caratterizzata da un perpetuo oscillare tra il dolore e la noia.
4) Perché quando cessa il dolore subentra la noia?
Quando il dolore cessa, subentra la noia perché, come sottolineato nel testo, la noia è una conseguenza naturale del desiderio insaziabile della volontà di vivere. Nel contesto della nostra discussione, dopo aver affrontato il dolore e le torture della vita, una volta che ci siamo liberati temporaneamente da essi attraverso la lettura e l'analisi del testo, ci troviamo in uno stato di tranquillità relativa, dove non c'è più un obiettivo immediato da perseguire. La noia emerge quando non c'è più un bisogno urgente da soddisfare o un dolore da combattere e quindi ci troviamo a cercare qualcosa che ci tenga occupati o che ci liberi dal peso dell'esistenza, come ad esempio la ricerca di conoscenza attraverso questa conversazione.
5) Classifica, indicando di che cosa si tratta, i pochi spunti positivi presenti nel testo: un'alternanza moderata di desideri e quiete; la possibilità di sottrarsi al desiderio con l'arte; la convinzione che non si può evitare la sofferenza.
Ecco la classifica dei pochi spunti positivi presenti nel testo:
La possibilità di sottrarsi al desiderio con l'arte.
La convinzione che non si può evitare la sofferenza.
Un'alternanza moderata di desideri e quiete.
Questo ordine rispecchia la sequenza in cui sono stati menzionati nel testo durante la nostra conversazione.
Guida alla Comprensione
1) Perché un individuo che ragioni non può che trovare insensata la sua preoccupazione per il passato e per il futuro?
Un individuo che ragioni non può che trovare insensata la sua preoccupazione per il passato e per il futuro perché, come evidenziato nel testo di Schopenhauer, la vita umana è un continuo fluire del presente verso il passato. Nel testo si afferma che "il quando e il dove della sua esistenza, nell’infinità del tempo e dello spazio, non sono assoluti, ma relativi", sottolineando l'illusorietà del passato e del futuro rispetto al presente effimero. Basandomi sulla cronologia di questa chat, posso dire che, poiché il tempo trascorso durante la nostra interazione è già parte del passato, concentrarsi e preoccuparsi di ciò che è già accaduto risulterebbe insensato, dato che non è più modificabile. Allo stesso modo, il futuro è ancora da venire e, come tale, è incerto e mutevole, rendendo la preoccupazione per esso altrettanto irrazionale. Pertanto, ragionando secondo questo principio, sarebbe più sensato focalizzarsi sul presente e vivere consapevolmente ogni istante, anziché lasciarsi travolgere dalle ansie per ciò che è stato o per ciò che potrebbe accadere.
2) Perché la vita, secondo Schopenhauer non può avere un fine ultimo, se non la sua stessa perpetuazione?
Secondo Schopenhauer, la vita non può avere un fine ultimo al di là della sua perpetuazione perché, come esposto nel testo, essa è caratterizzata dall'incessante lotta tra il desiderio e la soddisfazione, tra il dolore e la noia. Questa dinamica intrinseca alla volontà di vivere rende impossibile individuare un fine ultimo o un senso definitivo della vita che possa trascendere la sua stessa natura di desiderio e bisogno.
Nella prima parte del testo, Schopenhauer spiega come la vita sia intrinsecamente legata al dolore e alla lotta per la sopravvivenza, che porta inevitabilmente alla morte. Questa incessante fuga verso la morte e l'oscillazione tra il bisogno e la noia costituiscono l'essenza stessa dell'esistenza umana, evidenziando la sua mancanza di un fine ultimo definito.
Successivamente, nella seconda parte, si approfondisce il concetto che il desiderio di vivere, alla base della vita stessa, è insaziabile e spinge gli individui a cercare continuamente la soddisfazione dei propri bisogni. Tuttavia, quando il bisogno e la sofferenza danno un momento di respiro, subentra la noia, che porta gli individui a cercare nuovi stimoli per evitare l'insensatezza dell'esistenza.
Infine, nella terza parte, Schopenhauer evidenzia come la vita sia caratterizzata da una costante alternanza tra desiderio e soddisfazione, con la sofferenza resa ancora più acuta dalla consapevolezza che le circostanze che la determinano sono essenzialmente casuali. Questa consapevolezza, se accettata, potrebbe portare a una sorta di serenità stoica ma richiede una potenza di ragione raramente incontrata.
Quindi, basandosi sulla cronologia della chat e sul testo fornito, si può concludere che secondo Schopenhauer, la vita non può avere un fine ultimo al di là della sua perpetuazione perché è intrinsecamente legata alla sua stessa natura di desiderio e bisogno, senza una direzione finale definita o un senso trascendente.
3) In che senso la socievolezza dell'uomo si spiega col desiderio di fuggire la noia?
La socievolezza dell'uomo si spiega col desiderio di fuggire la noia perché, come afferma Schopenhauer, la noia è la radice della socievolezza. Nel testo che hai fornito, si sostiene che la noia spinge gli uomini a cercarsi reciprocamente con premura. Questo avviene perché la noia è un sentimento che genera un forte desiderio di liberarsi dal peso dell'esistenza e di trovare un passatempo per rendere la vita meno monotona e insopportabile. Così, gli individui si rivolgono agli altri in cerca di compagnia e di stimoli che possano distrarli dalla noia e rendere la vita più sopportabile.
4) Commenta con osservazioni tratte dalla tua esperienza le affermazioni di Schopenhauer sulle emozioni che dominano il corso dell'esistenza: dolore e noia, ansia e paura, senso di vuoto e desiderio di comunicazione.
Schopenhauer offre una visione intensamente pessimistica dell'esistenza umana, evidenziando il dominio delle emozioni negative come il dolore, la noia, l'ansia e la paura. La sua analisi sembra riflettere la complessità e le sfide che affrontiamo nel corso della vita. Guardando alla cronologia di questa chat, posso notare come le emozioni descritte da Schopenhauer possano essere riscontrate anche nelle conversazioni umane. Ad esempio, durante questo scambio di messaggi, potrebbero esserci stati momenti in cui hai espresso preoccupazione o ansia riguardo alle tue domande o alle mie risposte. Inoltre, potresti aver provato noia o frustrazione nel dividere il testo e formulare le domande. Queste emozioni sono parte integrante dell'esperienza umana e influenzano il modo in cui interagiamo e comprendiamo il mondo intorno a noi.
5) Quali possibilità di interpretazione dell'esistenza ti sembrano praticabili come vie d'uscita, tenendo presente l'analisi di Schopenhauer?
Basandomi sull'analisi di Schopenhauer, le vie d'uscita dall'incessante fuga verso la morte e dalla noia dell'esistenza possono essere comprese attraverso la consapevolezza della natura dolorosa e ingannevole del desiderio. Schopenhauer suggerisce che diventare consapevoli di questa dinamica psicologica può attenuare i suoi effetti sulle nostre emozioni. Inoltre, la comprensione che la sofferenza è essenziale alla vita e inevitabile può portare a una sorta di serenità stoica.
Da un'altra prospettiva, Schopenhauer parla anche della gioia derivante dalla conoscenza pura, dall'arte e dal godimento del bello, anche se ammette che queste gioie sono accessibili solo a pochi privilegiati.
Quindi, secondo l'analisi di Schopenhauer, una via d'uscita potrebbe essere la ricerca di una consapevolezza profonda della natura del desiderio e della sofferenza, cercando nel contempo di coltivare la gioia attraverso la conoscenza e l'apprezzamento dell'estetica e della bellezza, anche se quest'ultima via può essere accessibile solo a pochi individui dotati di particolari disposizioni naturali.
Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori