Boezio di Dacia - Il sommo bene dell'uomo


Immagine Boezio di Dacia
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Boezio di Dacia, un eminente maestro della Facoltà delle Arti di Parigi, ci ha lasciato un breve ma significativo opuscolo intitolato "Il sommo bene". In quest'opera, Boezio sviluppa un'interessante visione della vita che richiama i concetti esposti da Aristotele nell'Etica Nicomachea, specialmente nel libro X riguardante la felicità teoretica.

In poche pagine, Boezio dipinge l'immagine del filosofo come l'unico individuo capace di accedere ai piaceri superiori derivanti dall'uso razionale della mente, sia nell'attività di ricerca della conoscenza sia nell'azione pratica. Egli sostiene che il perfezionamento delle capacità intellettuali attraverso la contemplazione della verità e lo sviluppo delle virtù morali tramite azioni positive, conducano a una forma di vita autenticamente felice.

Secondo Boezio, questa felicità suprema è riservata al filosofo, rappresentando il più grande dono che l'uomo possa ricevere da Dio e avvicinandolo persino alla beatitudine celeste.


Lettura


Per ogni tipo di realtà esiste un massimo bene possibile; l'uomo è una di queste realtà e quindi è necessario che vi sia un sommo bene possibile anche per l'uomo. Non si tratta in verità di un bene sommo in senso assoluto, ma del bene più grande in relazione al suo essere, dal momento che i beni consentiti all'uomo sono finiti e non possono essere rivolti verso ciò che è infinito. La ragione ci permette di indagare quale sia questo bene supremo che è consentito all'uomo. Ovviamente il bene supremo consentito all'uomo va posto in relazione alla sua più alta facoltà.

La più alta facoltà dell'uomo [...] è costituita dalla ragione e dall'intelletto; essi, infatti, costituiscono la più alta regola di guida dell'uomo sia nell'attività speculativa che in quella pratica. Di conseguenza la massima felicità possibile per l'uomo va cercata in relazione al suo intelletto. Per tale motivo devono essere grandemente commiserati gli uomini che si fanno possedere dai soli piaceri dei sensi fino al punto da trascurare i beni dell'intelletto [...]. Contro di essi si scaglia Aristotele quando afferma: «Guai a voi uomini che siete annoverati alla pari delle bestie, perché non capite che cosa vi è di divino in voi». Lo stesso Filosofo, poi, chiama l'intelletto un qualcosa di divino nell'uomo; solo l'intelletto, in verità, è degno di esserlo. Così come nella totalità degli esseri solo ciò che è ottimo può essere divino, così ciò che è ottimo nell'uomo noi lo chiamiamo divino.

Inoltre nell'intelletto umano vi è una facoltà speculativa e una facoltà pratica, come risulta dal fatto che l'uomo è in grado di speculare su alcune realtà anche se non è in grado di produrle, come ad esempio le cose eterne; nel riguardo di altre realtà, poi, è in grado sia di speculare che di agire secondo una regola intellettuale in forza della quale può scegliere in tutte le azioni umane il giusto mezzo. Da ciò sappiamo con certezza che queste due facoltà intellettuali coesistono nell'uomo.

Ora il bene supremo che è possibile all'uomo, in relazione alla facoltà razionale del suo intelletto, è la conoscenza del vero e il suo godimento. La conoscenza del vero procura piacere. La cosa conosciuta, infatti, procura piacere a chi la conosce: quanto più la cosa conosciuta sarà eccelsa e nobile, quanto più l'intelletto che la conosce si dimostrerà di maggior valore nel conoscerla compiutamente, tanto più sarà grande il piacere dell'intelletto.

Chiunque abbia provato questo tipo di piacere disprezza ogni altro piacere sensibile come inferiore, poiché si tratta veramente di piaceri inferiori e più bassi. [...]

Proprio sulla base del principio per cui la cosa conosciuta procura piacere a chi la conosce, Aristotele nel libro XI della Metafisica afferma che la Prima Intelligenza vive una vita felicissima. La Prima Intelligenza, infatti, possiede la più alta facoltà conoscitiva; inoltre, le cose che conosce sono le più nobili perché non sono altro che la sua stessa essenza – che cosa vi può essere di più alto che l'intelligenza divina possa conoscere oltre la stessa essenza divina? – perciò conduce una vita ripiena di godimento.

Ora, poiché l'uomo non può acquisire mediante il suo intelletto speculativo nessun altro bene oltre la conoscenza della totalità degli esseri che sono derivati dal primo principio e che esistono in virtù del primo principio (conoscenza che è possibile assieme al godimento che essa procura), se ne può concludere, come si è detto precedentemente, che la massima felicità consentita all'uomo in relazione all'intelletto speculativo è la conoscenza del vero nelle singole cose e il godimento che essa procura.

Analogamente, il bene supremo che è consentito all'uomo in relazione all'intelletto pratico è costituito dal fare il bene e dal godimento che ciò procura. Quale bene, infatti, più grande vi può essere, per l'uomo in rapporto al suo intelletto pratico che scegliere in tutte le azioni umane il giusto mezzo da compiere e il piacere che da ciò deriva? [...]

Da ciò che si è detto si può concludere con certezza che il bene supremo che è consentito all'uomo è la conoscenza del vero, il compimento del bene e il godimento che ambedue queste attività comportano. Ora, poiché il bene supremo che è consentito all'uomo costituisce anche la sua forma di felicità, ne consegue che conoscere il vero, compiere il bene e godere dell'esercizio di ambedue queste attività costituisce la vera felicità per l'uomo. [...]

Questo è il bene più grande che l'uomo può ricevere da Dio e che Dio può dare all'uomo in questa vita. A buona ragione un siffatto uomo desidera vivere a lungo, poiché lo desidera unicamente per diventare più perfetto [nell'acquisizione] di questo bene. Infatti, colui che diventa più perfetto in questa forma di felicità, che sappiamo essere raggiungibile dall'uomo in questa vita mediante la ragione, orbene tale uomo è anche più vicino alla beatitudine che attendiamo nella vita futura secondo la fede. [...]

Il filosofo è virtuoso, parlando da un punto di vista etico, per tre ragioni. La prima è che solo lui ha conoscenza piena della turpitudine e della nobiltà delle azioni nelle quali consiste rispettivamente il vizio e la virtù e quindi può facilmente scegliere le seconde ed evitare le prime e perciò può comportarsi in ogni occasione secondo un criterio retto, tale da escludere la colpa in chi agisce in tal modo. Ciò non può accadere alla persona ignorante, poiché per la persona non istruita è difficile comportarsi bene.

La seconda ragione è data dal fatto che chiunque ha provato un piacere più grande disprezza qualsiasi altro piacere inferiore; ora il filosofo ha assaporato il piacere intellettuale mentre si impegna ad indagare la verità delle cose e tale piacere è certamente di gran lunga più grande del piacere dei sensi, perciò finisce per disprezzare i piaceri sensibili. D'altra parte, molte colpe e molti vizi consistono proprio nell'eccesso del piacere sensibile.

La terza ragione è data dal fatto che nell'uso dell'intelletto e nella speculazione non vi è alcuna colpa, poiché nelle cose per loro natura buone non vi è eccesso, né colpa. L'attività propria del filosofo è la speculazione della verità, quindi il filosofo è più facilmente virtuoso degli altri uomini.

Per tutti questi motivi il filosofo vive in conformità alla natura propria dell'uomo e in armonia con l'ordine naturale, giacché tutte le facoltà inferiori che si trovano in lui e le rispettive attività sono disposte in funzione delle facoltà superiori e delle rispettive attività; quindi, tutte le facoltà, parlando in generale, sono costituite in vista della facoltà più alta e dell'attività ultima dell'uomo, che è la speculazione della verità e il godimento di essa, e in particolar modo la speculazione della verità prima dal momento che il desiderio di sapere non si sazia finché non arriva a conoscere l'essere increato. Infatti, come dice Averroè, tutti gli uomini desiderano naturalmente sapere che cosa Dio conosca.

Il desiderio di conoscere una cosa qualsiasi è in qualche modo il desiderio di conoscere il primo conoscibile. Ciò può essere dimostrato dal fatto che quanto più gli esseri si avvicinano al primo conoscibile, tanto più noi desideriamo conoscerli e tanto più proviamo godimento nella loro speculazione.

Per questo motivo quando il filosofo indaga la natura degli esseri creati che si trovano nell'universo e le loro reciproche relazioni, è indotto ad indagare le più profonde cause della realtà poiché la conoscenza degli effetti costituisce in qualche modo una guida per la conoscenza delle rispettive cause. Colui il quale comprende che anche le cause più alte per loro natura sono tali da avere bisogno di un'altra causa, è indotto a ricercare la conoscenza della causa prima. In questa ricerca intellettuale sta il godimento che è tanto maggiore quanto più nobili sono le cose da conoscere. Perciò, il filosofo conduce una vita completamente immersa nei piaceri intellettuali.

Inoltre, il filosofo con la sua speculazione arriva a sapere scientificamente che questa causa è anche la causa del suo essere, tanto da non poter ammettere altra causa; infatti, se nel mondo non ci fosse nulla che avesse una causa differente allora si dovrebbe dire che in assoluto non esiste nulla.

Riflettendo, poi, capirà che questa causa è necessariamente eterna ed immutabile, cioè sempre eguale; infatti, se essa non fosse eterna, nulla di eterno potrebbe esistere. Ma di nuovo, poiché nel mondo vi sono continuamente esseri che prima non c'erano e nulla di ciò che un tempo non c'era può essere causa sufficiente di un'altra realtà che prima non esisteva, come è evidente, ne deriva chiaramente che tutti gli esseri nuovi che compaiono nel mondo in assoluto provengono da una causa eterna. Tale causa è pure immutabile, cioè si comporta sempre allo stesso modo, dal momento che il mutamento è possibile solo negli esseri imperfetti; mentre se esiste un essere perfettissimo nel mondo è necessario che sia esso la causa prima.

Il filosofo, poi, riflette sul fatto che tutti gli esseri dell'universo, che esistono oltre questa prima causa, derivano necessariamente da essa e che questa prima causa è la causa sia che produce gli esseri, sia che li colloca in un certo ordine reciproco e li conserva nell'essere, alcuni in relazione al loro numero e senza alcun mutamento, come avviene per le sostanze separate, altri secondo il loro numero ma anche nei loro mutamenti, come accade per i corpi celesti, altri solo secondo la loro specie, come accade per gli esseri che si trovano nel mondo sublunare e che perciò costituiscono il gradino più basso della realtà.

Il filosofo riflette pure sul fatto che come tutte le cose derivano dalla causa prima, così tutto è ad essa rivolto; infatti, quell'essere nel quale si trova il principio di ogni cosa e dal quale proviene ogni cosa è connesso con il fine verso il quale tendono tutte le cose, cioè l'essere primo secondo i filosofi e Iddio benedetto secondo i santi. [...]

Questo primo principio che ordina l'universo intero [...] è come il padre di famiglia nella casa e il comandante nell'esercito e il bene comune nella città. Così come l'esercito è unito dal fatto che uno solo è il comandante e il bene dell'esercito risiede primariamente nel comandante e negli altri solo derivatamente dalla relazione che hanno con esso, così dall'unità del primo principio deriva l'unità dell'universo e il bene di questo mondo risiede primariamente in tale primo principio; nelle altre cose dell'universo è reperibile solo relativamente alla partecipazione con questo primo principio e al rapporto che hanno con esso [...].

Il filosofo riflettendo su tutte queste cose è indotto a provare ammirazione per questo primo principio e ad amarlo, poiché noi proviamo amore per ciò da cui proviene il nostro bene ed amiamo massimamente ciò da cui provengono i nostri benefici più grandi. Perciò, il filosofo acquisendo conoscenza del fatto che tutti i suoi beni provengono da questo primo principio e che sono da lui mantenuti nell'essere è indotto da questo stesso principio ad amarlo grandissimamente sia secondo un retto criterio naturale, sia secondo il retto giudizio dell'intelletto.

Ora, poiché ciascuno si diletta con ciò che ama e prova il più grande godimento in ciò che ama massimamente ed il filosofo porta il più grande amore verso il primo principio, come è stato spiegato, ne consegue che il filosofo si diletta grandissimamente della conoscenza del primo principio e della contemplazione della sua bontà. E questo solo è il vero e giusto piacere del filosofo.

Questa è la vita del filosofo, tanto che chiunque non conduce una vita simile non può avere una retta condotta di vita. Chiamo, poi, filosofo ogni uomo che vive secondo un corretto ordine naturale e colui il quale è riuscito a raggiungere il migliore ed ultimo scopo della vita umana. Il primo principio di cui si è parlato, è lo stesso Dio glorioso ed eccelso, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.


Guida alla lettura


1) Quali sono le due facoltà intellettuali dell'uomo?
Le due facoltà intellettuali dell'uomo sono:

Facoltà speculativa: Questa facoltà permette all'uomo di contemplare e comprendere la verità, indipendentemente dalla capacità di produrla. È attraverso questa facoltà che l'uomo può riflettere sulle realtà eteree e sull'essenza delle cose.
Facoltà pratica: Questa facoltà consente all'uomo di non solo comprendere la verità, ma anche di agire in accordo con essa. Ciò significa scegliere e perseguire il giusto mezzo nelle azioni umane, conducendo quindi una vita in armonia con la ragione e la virtù.

2) Chi è la «Prima Intelligenza»? E perché è un modello per il filosofo?
La "Prima Intelligenza" è un concetto che deriva dalla filosofia aristotelica e neoplatonica. Si riferisce a un'intelligenza o un principio divino che si pensava fosse all'origine di tutto l'universo e che fosse in grado di conoscere perfettamente sé stesso e tutte le cose. In altre parole, è una sorta di entità cosmica o divina che possiede la massima conoscenza e saggezza.

Per il filosofo, la "Prima Intelligenza" rappresenta un modello ideale da seguire perché incarna la perfezione conoscitiva e la felicità teorica. Essa vive una vita felicissima perché possiede la più alta facoltà conoscitiva e conosce le cose più nobili, che sono la sua stessa essenza e l'essenza divina. Il filosofo aspira ad avvicinarsi a questo ideale di conoscenza e saggezza, cercando di comprendere la verità delle cose e di raggiungere la felicità attraverso la contemplazione e la ricerca della conoscenza.

3) Di quali attività si compone la «vera felicità» del filosofo?
La "vera felicità" del filosofo è composta principalmente da tre attività:

Conoscenza del vero: Questa attività implica la ricerca e la comprensione della verità nelle cose, sia attraverso la speculazione intellettuale che attraverso l'osservazione e lo studio del mondo circostante.
Compimento del bene: Il filosofo si impegna nel compiere azioni virtuose e moralmente giuste, seguendo una retta via etica. Questo comporta agire in conformità con le virtù morali e scegliere il giusto mezzo in tutte le azioni umane.
Godimento delle attività intellettuali: Il filosofo trae piacere e soddisfazione dall'esercizio della sua mente, sia nella ricerca della verità che nella contemplazione della bontà e della bellezza del mondo. Questo piacere intellettuale è considerato superiore ai piaceri sensoriali e costituisce la fonte principale della felicità del filosofo.

4) Elenca e commenta brevemente le tre ragioni per le quali il filosofo è l'uomo virtuoso per eccellenza.
Le tre ragioni per cui il filosofo è considerato l'uomo virtuoso per eccellenza sono:

Conoscenza piena della turpitudine e della nobiltà delle azioni: Il filosofo possiede una conoscenza completa del bene e del male, distinguendo le azioni virtuose da quelle viziate. Questa consapevolezza gli consente di scegliere le azioni virtuose e di evitare le azioni viziose con facilità, conducendo una condotta retta e morale.
Disprezzo dei piaceri inferiori: Il filosofo ha sperimentato il piacere intellettuale derivante dall'indagine della verità, ritenuto superiore ai piaceri sensoriali. Questo gli permette di disprezzare i piaceri materiali e di evitare gli eccessi che spesso portano al vizio.
Assenza di colpa nell'uso dell'intelletto e della speculazione: Poiché la speculazione della verità non comporta colpa e l'intelletto è considerato divino nell'uomo, il filosofo è incline a condurre una vita virtuosa attraverso l'uso dell'intelletto e della ragione.

In sintesi, il filosofo è considerato l'uomo virtuoso per eccellenza poiché possiede una conoscenza completa del bene e del male, disprezza i piaceri inferiori e conduce una vita in armonia con l'ordine naturale grazie all'uso retto dell'intelletto e della speculazione.

5) Individua e definisci le tappe attraverso cui il filosofo giunge all'idea di Dio come fine di tutte le cose e come bene.
Il percorso attraverso cui il filosofo giunge all'idea di Dio come fine di tutte le cose e come bene può essere individuato in diverse tappe:

Speculazione sull'origine delle cose: Il filosofo inizia riflettendo sull'origine e sulle cause delle cose nell'universo. Si rende conto che esiste una causa prima, eterna e immutabile, dalla quale derivano tutte le altre cose.
Considerazione dell'ordine e della conservazione nell'universo: Il filosofo riflette sul fatto che questa causa prima non solo produce gli esseri, ma li colloca in un certo ordine reciproco e li conserva nell'essere. Questo ordine e questa conservazione indicano un'intelligenza o una volontà ordinatrice.
Riflessione sulla connessione delle cose con la causa prima: Il filosofo comprende che tutte le cose derivano dalla causa prima e sono ad essa rivolte come verso il loro fine. Questo implica che la causa prima è il fine ultimo di tutte le cose.
Amore e ammirazione per la causa prima: Il filosofo, considerando che tutti i suoi beni provengono dalla causa prima e che questa li mantiene nell'essere, prova un grande amore e ammirazione per essa.
Diletto nella conoscenza e contemplazione della causa prima: Poiché il filosofo ama massimamente la causa prima, ne deriva un grande diletto nella conoscenza e nella contemplazione di essa. Questo diletto si traduce nel piacere più vero e giusto del filosofo.

In sintesi, il filosofo giunge all'idea di Dio come fine di tutte le cose e come bene attraverso una progressione di riflessioni sulla causa prima, sull'ordine dell'universo e sulla sua relazione con questa causa, culminando nell'amore e nel diletto nella conoscenza e contemplazione di Dio come fonte di ogni bene.

6) Sintetizza i termini della riflessione che il filosofo fa sul principio dell'essere, mostrandone l'effetto sui suoi sentimenti e le sue disposizioni.
Il filosofo riflette sul principio dell'essere, riconoscendo che questo è la causa prima e immutabile di tutto ciò che esiste nell'universo. Questo principio è necessariamente eterno e inalterabile, e da esso derivano tutte le cose, sia nell'essere che nell'ordine e nella conservazione. Questa riflessione porta il filosofo a provare ammirazione e amore verso il principio dell'essere, poiché riconosce che tutti i suoi beni provengono da esso e sono mantenuti nell'essere grazie a esso. Questo amore lo spinge a dedicarsi alla conoscenza del principio dell'essere e alla contemplazione della sua bontà con grandissima gioia e piacere. In questo modo, il filosofo vive una vita conforme alla retta condotta, identificandosi con colui che ha raggiunto il migliore scopo della vita umana, e riconoscendo nel principio dell'essere la stessa divinità.


Guida alla Comprensione


1) Spiega quale giudizio emerge dallo scritto di Boezio sugli uomini che cercano i piaceri sensibili.
Dal testo emerge un giudizio critico nei confronti degli uomini che cercano esclusivamente i piaceri sensibili, trascurando i piaceri dell'intelletto. Boezio sostiene che coloro che si lasciano dominare dai soli piaceri dei sensi, trascurando i beni dell'intelletto, devono essere grandemente commiserati. Egli li considera come persone che si comportano allo stesso modo delle bestie, poiché non riescono a comprendere la dimensione divina che risiede in loro. Questo giudizio critico è sostenuto anche da Aristotele, che avverte delle conseguenze negative di lasciarsi dominare dai piaceri sensibili senza cercare la conoscenza intellettuale. Quindi, secondo Boezio, coloro che cercano solo i piaceri sensibili sono da condannare poiché non comprendono il valore superiore della conoscenza e della ragione.

2) Spiega il significato di questa frase: «la massima felicità consentita all'uomo in relazione all'intelletto speculativo è la conoscenza del vero nelle singole cose e il godimento che essa procura».
Questa frase si riferisce al concetto che la massima felicità che l'uomo può raggiungere attraverso la sua capacità di pensiero speculativo è derivata dalla conoscenza accurata e profonda della verità nelle singole cose, insieme al piacere che questa conoscenza porta con sé.

In sostanza, indica che la ricerca e la comprensione della verità sono fonti di grande soddisfazione e realizzazione per l'uomo. Quando l'individuo si impegna nella ricerca della verità e comprende profondamente la natura delle cose, sperimenta un senso di realizzazione e piacere intellettuale che supera gli altri tipi di piaceri più materiali o superficiali.

Pertanto, il significato della frase è che la felicità più elevata che l'uomo può raggiungere attraverso la sua mente speculativa è raggiunta quando acquisisce una profonda comprensione della verità nelle singole cose e trova gioia in questo processo di conoscenza.

3) Ripercorri il percorso di conoscenza del filosofo, fissandone tappe e conclusioni.
Il percorso di conoscenza del filosofo, come delineato nel testo, può essere suddiviso in diverse tappe chiave:

Ricerca della Felicità e Piaceri dell'Intelletto: Il filosofo inizia con la ricerca della felicità e dei piaceri superiori derivanti dall'uso della ragione, seguendo l'ideale aristotelico di una vita virtuosa e contemplativa.
Identificazione del Bene Supremo: Il filosofo comprende che per ogni tipo di realtà esiste un massimo bene possibile, e cerca di individuare il massimo bene consentito all'uomo in relazione alla sua facoltà razionale.
Ruolo dell'Intelletto Speculativo e Pratico: Si riconosce che la massima felicità consentita all'uomo è legata all'uso dell'intelletto speculativo per la conoscenza del vero e al suo godimento, così come all'intelletto pratico per la pratica del bene e del godimento che ne deriva.
Identificazione della Vera Felicità: Si conclude che il bene supremo consentito all'uomo è la conoscenza del vero, il compimento del bene e il godimento che queste attività comportano, costituendo la vera felicità per l'uomo.
Riflessioni sulla Causa Prima e l'Ordine dell'Universo: Il filosofo si addentra nella speculazione metafisica, riflettendo sulla causa prima, eterna e immutabile, che ordina l'universo e ne è la fonte di ogni essere e ordine.
Amore e Ammirazione per la Causa Prima: Si sviluppa un profondo amore e ammirazione per la causa prima, intesa come Dio, da cui derivano tutti i beni e che sostiene l'intero universo.
Godimento nella Contemplazione della Bontà di Dio: Il filosofo trae il massimo piacere e godimento dalla conoscenza e dalla contemplazione della bontà di Dio, riconoscendo che solo in questo risiede il vero e giusto piacere.

In sintesi, il filosofo attraversa un cammino di ricerca della felicità, culminante nella conoscenza e nell'amore per la causa prima, Dio, e nel godimento derivante dalla contemplazione della sua bontà.

4) Commenta l'affermazione con cui Boezio chiude il suo breve opuscolo: «questa è la vita del filosofo, tanto che chiunque non conduce una vita simile non può avere una retta condotta di vita».
L'affermazione con cui Boezio chiude il suo breve opuscolo è profonda e riflette la sua convinzione sull'importanza della filosofia nella vita umana. Boezio sostiene che la vita del filosofo, caratterizzata dalla conoscenza del vero e dal godimento intellettuale, rappresenta il modello ideale di esistenza. Questo perché il filosofo, secondo Boezio, vive in armonia con la sua natura razionale e con l'ordine cosmico, conducendo una vita conforme alla verità e alla bontà.

La sua affermazione suggerisce che coloro che non adottano uno stile di vita simile a quello del filosofo, privandosi della ricerca della verità e del godimento intellettuale che essa comporta, non possono aspirare a una condotta di vita corretta e pienamente realizzata. In altre parole, Boezio indica che la filosofia non è solamente un'attività intellettuale astratta, ma una guida pratica per vivere in accordo con la propria natura e con l'ordine del mondo.

Questa conclusione può essere interpretata come un invito alla riflessione e all'autoanalisi, incoraggiando le persone a considerare il valore della filosofia nella loro vita e a perseguire la conoscenza del vero e il godimento intellettuale come fondamenti per una vita pienamente soddisfacente e moralmente virtuosa.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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