Cartesio - Le regole per essere virtuosi e felici


Immagine Cartesio
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nella terza parte del suo Discorso sul Metodo, Cartesio presenta delle regole di morale provvisoria che ha adottato per cercare di vivere una vita felice, in attesa di poter elaborare un sistema morale definitivo attraverso il suo metodo filosofico. Anche se tale opera finale non fu mai scritta da Cartesio, egli tornò comunque a trattare argomenti etici nelle sue lettere con la principessa Elisabetta del Palatinato. In particolare, in una lettera datata 4 agosto 1645, egli richiama le regole precedentemente indicate nel Discorso sul Metodo, modificandole leggermente e presentandole come strumento per raggiungere la "beatitudine", intesa come la "perfetta contentezza dello spirito". In una lettera precedente, del 21 luglio, Cartesio aveva consigliato alla principessa di leggere il breve trattato di Seneca De Vita Beata, suggerendo che fosse la migliore lettura per comprendere come la filosofia possa contribuire alla felicità. Tuttavia, dopo aver riflettuto sulla sua scelta, Cartesio decide il 4 agosto di indicare personalmente ciò che ritiene necessario fare per essere virtuosi e felici, ritenendo di poter farlo meglio dello stoico Seneca.


Lettura


Signora,
quando ho scelto il libro di Seneca De vita beata per proporlo a Vostra Altezza come un tema di intrattenimento che avrebbe potuto esserle gradito, ho tenuto presente solo la reputazione dell'autore e la dignità dell'argomento, senza pensare alla maniera in cui lo tratta; avendoci riflettuto, non l'ho trovata tanto rigorosa da meritare di essere seguita. Ma, affinché Vostra Altezza possa più facilmente formarsi un giudizio, cercherò ora di spiegare in che modo credo che questo argomento avrebbe dovuto essere trattato da un filosofo come lui che, non essendo illuminato dalla fede, aveva come guida la sola ragione naturale.

Egli dice molto bene, all'inizio, che tutti vogliono vivere felici, ma quando si tratta di veder chiaro cos'è che rende felice la vita, sono avvolti dall'oscurità. Ma bisogna sapere che cosa sia vivere beate; in francese direi vivre heureusement, se esistesse una differenza tra la buona sorte (heur) e la beatitudine in ciò: che la buona sorte (heur) dipende solo dalle cose che sono fuori di noi. Di qui deriva il fatto che sono considerati più fortunati (heureux) che saggi coloro ai quali è capitato qualche bene che non hanno cercato. Invece, la beatitudine consiste, mi sembra, in una perfetta felicità dell'animo e in una soddisfazione interiore, che non hanno in genere quelli che sono più favoriti dalla fortuna, e che i saggi ottengono senza di essa. Così, vivere beate, vivere in beatitudine, non è altro che avere un animo perfettamente contento e soddisfatto.

Poi, prendendo in considerazione che cosa sia che rende beata la vita, cioè quali siano le cose che possono darci questo sommo appagamento, noto che ve ne sono di due specie: quelle che dipendono da noi, come la virtù e la saggezza, quelle che non ne dipendono, come gli onori, le ricchezze e la salute.

È infatti certo che un uomo di buona famiglia, che non sia malato, che non manchi di nulla, che inoltre sia anche tanto virtuoso e saggio quanto un altro che è povero, malato e deforme, può godere di un appagamento più perfetto di quest'ultimo. Tuttavia, come un piccolo vaso può essere altrettanto pieno di uno grande, per quanto contenga meno liquido, così, se si considera l'appagamento di ciascuno per il pieno soddisfacimento dei suoi desideri regolati dalla ragione, non dubito che i più poveri e i più maltrattati dalla fortuna e dalla natura possano essere del tutto felici e soddisfatti quanto gli altri, sebbene non godano di altrettanti beni.

E qui è in discussione solo questa specie di appagamento: giacché, non essendo l'altro in nostro potere, cercarlo sarebbe inutile. Ebbene, mi sembra che ciascuno possa raggiungere l'appagamento da sé, senza aspettarsi niente dall'esterno, purché osservi tre cose, cui si riferiscono le regole della morale che ho posto nel Discorso sul Metodo.

La prima è che cerchi sempre di servirsi della sua mente, al meglio delle sue possibilità, per conoscere quel che deve e non deve fare in ogni circostanza della vita.

La seconda è che mantenga un fermo e costante proposito di applicare tutto ciò che la ragione gli consiglia, senza lasciarsi distrarre dalle sue passioni o dai suoi appetiti. È proprio la fermezza di questo proposito, che credo debba essere identificata con la virtù, sebbene non mi risulti che qualcuno l'abbia mai definita così; essa è stata invece suddivisa in più specie, definite in vari modi, a causa dei diversi oggetti cui si estende.

La terza è che, mentre si comporta così, consideri per quanto può, secondo ragione, che tutti i beni che non possiede sono completamente al di là del suo potere, e, in questo modo, si abitui a non desiderarli. Infatti, nulla quanto il desiderio e il rimpianto, o il pentimento, possono impedirci di essere contenti, ma se facciamo sempre tutto ciò che ci detta la nostra ragione, non avremo mai nessun motivo di pentirci, anche se gli avvenimenti ci facessero constatare in seguito che ci siamo sbagliati, perché non sarebbe colpa nostra.

Se poi non desideriamo avere, per esempio, più braccia e più lingue di quelle che abbiamo, mentre invece desideriamo avere più salute e più ricchezze, è solo perché immaginiamo che queste ultime potrebbero essere ottenute grazie al nostro comportamento, oppure che esse sono dovute alla nostra natura, il che non avviene per le altre; opinione della quale potremo liberarci, se consideriamo che, poiché abbiamo sempre seguito i consigli della nostra ragione, non abbiamo tralasciato niente che fosse in nostro potere, e che le malattie e le sfortune non sono meno naturali per l'uomo della prosperità e della salute.

Del resto, non tutti i desideri sono incompatibili con la beatitudine, ma solo quelli che sono accompagnati dall'impazienza e dalla tristezza. Non è neppure necessario che la nostra ragione non si sbagli; basta che la coscienza ci attesti che non abbiamo mai mancato di resolutezza e di virtù, per compiere quanto abbiamo giudicato essere il meglio; e così la sola virtù è sufficiente a renderci contenti in questa vita.

E nondimeno, poiché la virtù non rischiarata dall'intelletto può essere falsa, ossia poiché la volontà e il proposito di far bene possono condurci a dei mali, se li crediamo un bene, l'appagamento che ne deriva non è solido; e, poiché viene in genere contrapposta ai piaceri, agli appetiti e alle passioni, questa virtù è molto difficile da mettere in pratica.

Invece, il retto uso della ragione impedisce che la virtù sia falsa, offrendoci una vera conoscenza del bene, e accordandola con i piaceri leciti ne rende agevole l'attuazione; facendoci poi conoscere la condizione della nostra natura, limita a tal punto i nostri desideri, che bisogna ammettere che la più grande felicità dell'uomo dipende da questo retto uso della ragione e che, per conseguenza, lo studio che serve per acquisirlo è l'occupazione più utile cui possiamo dedicarci, ma forse anche la più piacevole e la più dolce.

Pertanto, mi sembra che Seneca avrebbe dovuto insegnarci tutte le principali verità che dobbiamo conoscere per rendere più facile l'uso della virtù, per regolare i nostri desideri e le nostre passioni e per godere così della beatitudine naturale; il che avrebbe reso il suo libro il miglior testo e il più utile che un filosofo pagano potesse scrivere. Questa è, tuttavia, solo la mia opinione, che sottopongo al giudizio di Vostra Altezza. Se mi concederete il grande favore di mostrarmi in cosa io sia manchevole, ve ne sarei molto obbligato e attesterei, correggendomi, che sono, Signora, il molto umile e obbediente servitore di Vostra Altezza.


Guida alla lettura


1) Distingui il concetto di buona sorte da quello di felicità, usando l'opposizione esterno/interno.
Nel testo, Descartes distingue tra il concetto di "buona sorte", che dipende dagli eventi esterni, e quello di "felicità", che è legato alla soddisfazione interna dell'animo.

La "buona sorte" si riferisce alle circostanze esterne che possono influenzare la vita di una persona, come gli onori, le ricchezze e la salute. Questi sono elementi che non dipendono direttamente dalle azioni o dalla volontà della persona, sono determinati da fattori esterni, come la fortuna o la natura.

D'altra parte, la "felicità" è descritta da Descartes come una soddisfazione interiore, che non dipende dalle circostanze esterne, è piuttosto il risultato di un'anima perfettamente contenta e soddisfatta. Questa felicità interiore è raggiungibile attraverso la virtù, la saggezza e il retto uso della ragione, che sono elementi sotto il controllo individuale e non dipendono dalle condizioni esterne.

Quindi, mentre la "buona sorte" è legata agli eventi esterni, la "felicità" è basata sulla soddisfazione interna dell'animo, indipendentemente dalle circostanze esterne.

2) Definisci il concetto di felicità interiore.
Il concetto di felicità interiore, come espresso nel testo fornito da Descartes, si riferisce alla soddisfazione e al contento dell'animo che non dipendono dalle circostanze esterne o materiali, piuttosto dall'armonia e dalla tranquillità interiori. Secondo Descartes, la felicità interiore consiste nell'avere un'animo perfettamente contento e soddisfatto, indipendentemente dalle ricchezze, dagli onori o dalla salute esteriore.

Descartes suggerisce che la felicità interiore può essere raggiunta attraverso la virtù, la saggezza e un retto uso della ragione. Questa felicità è intrinseca e non è condizionata dalle fortune o dalle sfortune esterne, deriva dalla capacità di perseguire il bene e la verità attraverso la guida della ragione naturale.

In sintesi, la felicità interiore, secondo Descartes, è una condizione dell'anima che si manifesta quando ci sentiamo appagati, soddisfatti e in armonia con noi stessi, indipendentemente dalle circostanze esterne.

3) Individua i desideri incompatibili con la felicità.
Descartes individua i desideri incompatibili con la felicità come quelli accompagnati dall'impazienza e dalla tristezza. Afferma che non tutti i desideri sono necessariamente incompatibili con la felicità, solo quelli che generano impazienza e tristezza. Questo suggerisce che una disposizione interiore di impazienza e tristezza può ostacolare il raggiungimento della vera felicità.


Guida alla Comprensione


1) Spiega il motivo per cui è preferibile valutare in anticipo ciò che dipende e ciò che non dipende da noi.
Il motivo per cui è preferibile valutare in anticipo ciò che dipende e ciò che non dipende da noi, come indicato nel testo, è legato alla ricerca della felicità e della beatitudine. Descartes spiega che ci sono due categorie di cose che possono portarci a un sommo appagamento: quelle che dipendono da noi, come la virtù e la saggezza, e quelle che non dipendono da noi, come gli onori, le ricchezze e la salute.

È importante comprendere questa distinzione poiché ciò che dipende da noi è sotto il nostro controllo diretto, mentre ciò che non dipende da noi è influenzato da fattori esterni su cui non abbiamo un controllo diretto. Questo ci permette di concentrare i nostri sforzi e le nostre energie su ciò che possiamo effettivamente influenzare, contribuendo così alla nostra felicità e soddisfazione interiore.

Inoltre, comprendere questa distinzione ci aiuta a evitare la delusione e la frustrazione causate dal cercare la felicità attraverso cose che non possiamo controllare. Concentrandoci sullo sviluppo delle qualità interiori come la virtù e la saggezza, possiamo trovare una felicità più duratura e soddisfacente, indipendentemente dalle circostanze esterne.

2) Cerca di definire e di illustrare con qualche esempio il buon uso della mente, che Cartesio propone come criterio nella sua prima regola.
Descartes propone che il buon uso della mente consista nell'utilizzarla al meglio delle proprie capacità per conoscere ciò che è giusto e ciò che non lo è in ogni circostanza della vita, come indicato nella sua prima regola morale.

Per illustrare questo concetto, possiamo considerare un esempio: immagina una situazione in cui una persona si trova di fronte a una decisione morale complessa, come decidere se mentire per proteggere qualcuno o dire la verità a costo di causare danni. Il buon uso della mente in questa situazione implicherebbe una riflessione profonda e critica sulla situazione, valutando tutte le conseguenze delle diverse azioni e cercando di comprendere quale sia la scelta più giusta secondo principi morali solidi. La persona dovrebbe cercare di analizzare la situazione in modo obiettivo, senza lasciarsi influenzare dalle emozioni o dalle convenienze personali, dovrebbe fare affidamento sulla propria capacità di ragionamento per giungere a una decisione moralemente corretta.

In breve, il buon uso della mente secondo Descartes implica un approccio razionale e critico alla comprensione del bene e del male in ogni situazione, utilizzando la propria intelligenza per discernere e agire in conformità con la moralità.

3) Spiega se, a tuo parere, Cartesio stia proponendo una strategia di limitazione dei desideri con le sue quattro regole.
Sì, secondo me, Cartesio propone una strategia di limitazione dei desideri attraverso le quattro regole menzionate nel testo. Le regole enfatizzano l'importanza di seguire la ragione anziché le passioni e gli appetiti, al fine di raggiungere la felicità e la soddisfazione interiore.

Le prime tre regole invitano a utilizzare la mente per conoscere il bene e il male, ad applicare ciò che la ragione suggerisce senza lasciarsi influenzare dalle passioni, e ad abituarsi a non desiderare ciò che non possediamo. Queste regole implicano una volontà di limitare i desideri e di accettare ciò che è al di là del nostro controllo, focalizzandosi invece su ciò che possiamo influenzare attraverso la nostra ragione e la nostra volontà.

Inoltre, Cartesio sottolinea che il retto uso della ragione non solo guida verso una vera virtù, anche verso una limitazione dei desideri, poiché la vera conoscenza del bene riduce i desideri e le aspirazioni inutili. Pertanto, la pratica delle quattro regole può essere vista come un modo per limitare i desideri e per raggiungere una forma di felicità basata sulla soddisfazione interiore anziché sull'accumulo di beni esterni.

4) Ricostruisci i termini della parziale critica a Seneca, in merito al modo di concepire la virtù e l'uso dei piaceri.
La critica di Descartes a Seneca riguarda principalmente il concetto di virtù e l'uso dei piaceri nel raggiungimento della felicità. Ecco una ricostruzione dei termini della sua critica basata sul testo fornito:

Virtù illuminata dall'intelletto: Descartes sostiene che la virtù non può essere vera se non è guidata dalla ragione. Seneca non fornisce, secondo Descartes, una vera conoscenza del bene che possa illuminare la virtù, il che potrebbe rendere la virtù stessa falsa e quindi instabile nel raggiungimento della felicità.
Rapporto con i piaceri leciti: Descartes sembra suggerire che Seneca non abbia affrontato in modo adeguato il rapporto tra virtù e piaceri leciti. Egli sostiene che il retto uso della ragione dovrebbe conciliare la virtù con i piaceri leciti, rendendo l'attuazione della virtù più agevole. Seneca, secondo Descartes, avrebbe dovuto insegnare come i piaceri leciti possano essere integrati nella vita virtuosa per raggiungere la felicità, sembra che non abbia trattato questo aspetto in modo soddisfacente nel suo trattato.

In sintesi, Descartes critica Seneca per non aver fornito una base sufficiente di conoscenza del bene per guidare la virtù e per non aver trattato adeguatamente il rapporto tra virtù e piaceri leciti nella ricerca della felicità.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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