Friedrich Nietzsche - Perché facciamo del male


Immagine Friedrich Nietzsche
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


In "Umano, troppo umano" Nietzsche sottolinea spesso come l'uomo, nel perseguire il piacere derivante dall'esercitare potere e dal sentirsi superiore, non miri mai intenzionalmente a fare del male, nonostante ciò possa causare sofferenza agli altri. Questo tema è riassunto in modo conciso ed efficace in uno dei primi aforismi della "Gaia scienza", il numero 13. In questo aforisma, già dal titolo, emerge il concetto di sentimento di potenza, un'idea cruciale per Nietzsche che sta elaborando la sua teoria della volontà di potenza come forza interna che motiva ogni organismo. Ogni nostra azione, sia benefica che malefica, è mossa dal desiderio di aumentare – o almeno mantenere – il nostro sentimento di potenza sugli altri. Le differenze nei comportamenti dipendono dalla forza individuale di ciascuno. Nietzsche coglie l'occasione per criticare uno dei suoi peggiori nemici, la compassione, esaltata come espressione di altruismo da Schopenhauer e dai cristiani. Per Nietzsche, la compassione è semplicemente una delle modalità con cui gli uomini deboli cercano di incrementare il loro sentimento di potenza.


Lettura


Per la teoria del sentimento di potenza. Facendo del bene o del male si esercita la propria potenza sugli altri – e non si vuole che questo! Facendo del male a quei tali cui dobbiamo far sentire prima di tutto la nostra potenza; a questo fine, infatti, il dolore è uno strumento molto più sensibile del piacere: il dolore si pone sempre il problema della causa, mentre il piacere tende ad arrestarsi a se stesso e a non guardarsi indietro.

Facendo del bene o volendo bene a coloro che in qualche modo già dipendono da noi (vale a dire, sono abituati a pensare a noi come loro cause): noi vogliamo aumentare la loro potenza poiché così aumentiamo la nostra, ovvero vogliamo mostrare loro il vantaggio che si ha nel restare in nostro potere – in tal modo essi saranno più contenti della loro situazione e più ostili e pugnaci contro i nemici della nostra potenza.

Il fatto che poi, nel far del bene o del male, vengano compiuti dei sacrifici, non cambia l'ultimo valore delle nostre azioni. Perfino quando mettiamo in giuoco la nostra vita, come fa il martire nell'interesse della sua Chiesa, è questo un sacrificio offerto alla nostra avidità di potenza, ovvero al fine di conservare il nostro sentimento di potenza. Colui che sente di «essere in possesso della verità», quanti possessi non lascia perdere, per salvare quel che sta sentendo! Che cosa non getta a mare per mantenersi «in alto», vale a dire al disopra degli altri che sono privi della «verità»!

Indubbiamente lo stato d'animo con cui facciamo del male è di rado così gradevole, così schiettamente gradevole come quello con cui facciamo del bene: è questo un segno che c'è ancora in noi un difetto di potenza oppure è così che si tradisce il dispetto per questa insufficienza; un tal fatto porta con sé nuovi pericoli e incertezze per il nostro presente possesso di potenza e rannuvola il nostro orizzonte con una prospettiva di vendetta, derisione, castigo, insuccesso.

Soltanto per gli uomini più eccitabili e più avidi di sentimento di potenza può essere più piacevole imprimere nel riottoso il suggello del potere: per quei tali uomini ai quali lo spettacolo di chi è già stato sottomesso (in quanto questi è l'oggetto del benvolere) ingenera oppressione e fastidio.

Tutto dipende da come si è abituati a insaporire la propria vita: è questione di gusto preferire un incremento di potenza lento o subitaneo, sicuro oppure rischioso e temerario – si cerca questo o quell'aroma sempre secondo il proprio temperamento. Una facile preda costituisce qualcosa di spregevole per nature superbe; esse provano un senso di benessere soltanto alla vista di uomini che non hanno ceduto, che potrebbero divenire dei nemici, e così anche di fronte allo spettacolo di tutti i possessi difficilmente accessibili; contro il sofferente sono spesso duri, poiché non è degno dei loro sforzi e del loro orgoglio – ma si mostrano tanto più cortesi verso i loro uguali, con cui il combattimento e la lotta sarebbe comunque onorevole, qualora dovesse mai presentarsene l'occasione. Nel sentimento di benessere ispirato da questa prospettiva, gli uomini della casta cavalleresca si sono assuefatti ad una squisita cortesia nei loro reciproci rapporti.

La compassione è il sentimento più gradito per coloro che sono scarsamente superbi e che non hanno una prospettiva di grandi conquiste: per loro la facile preda – e cioè ogni sofferente – è qualcosa d'incantevole. Si vanta la compassione come la virtù delle donne di piacere.


Guida alla lettura


1) Qual è l'unico fine per cui facciamo del male o del bene?
L'unico fine per cui facciamo del male o del bene, secondo il testo, è quello di aumentare – o almeno conservare – il sentimento della nostra potenza sugli altri. Nietzsche sottolinea che, indipendentemente dal fatto che le nostre azioni siano considerate buone o cattive, agiamo sempre con l'obiettivo di rafforzare la nostra sensazione di potenza.

2) Come si manifesta il sentimento di potenza quando facciamo del male?
Nel testo di Nietzsche, il sentimento di potenza quando facciamo del male si manifesta principalmente attraverso l'uso del dolore come strumento per affermare il nostro dominio sugli altri. Secondo Nietzsche, il dolore è un mezzo più sensibile e efficace del piacere per far sentire la nostra potenza a coloro cui vogliamo imporci. Quando causiamo sofferenza, il dolore provoca una riflessione sulla sua causa, mantenendo l'attenzione sulla nostra azione e, di conseguenza, sul nostro potere.

Inoltre, Nietzsche evidenzia che lo stato d'animo con cui facciamo del male non è solitamente gradevole, il che può indicare un difetto di potenza in noi o un dispetto per la nostra insufficienza di potere. Questo stato d'animo può portare a nuovi pericoli e incertezze riguardo al nostro presente possesso di potenza, oscurando il nostro orizzonte con prospettive di vendetta, derisione, castigo o insuccesso.

In sintesi, il sentimento di potenza nel fare del male si manifesta attraverso l'imposizione del dolore, che mantiene l'attenzione sul nostro potere, e attraverso il complesso stato d'animo che accompagna queste azioni, spesso indicativo di un conflitto interno legato alla nostra percezione di potenza.

3) Come si manifesta il sentimento di potenza quando facciamo del bene?
Il sentimento di potenza, secondo Nietzsche, si manifesta quando facciamo del bene in diversi modi. Innanzitutto, quando facciamo del bene o vogliamo bene a coloro che in qualche modo già dipendono da noi, aumentiamo la loro potenza poiché così aumentiamo la nostra. Questo significa che il nostro atto di benevolenza è motivato dal desiderio di rafforzare il nostro controllo e la nostra influenza sugli altri. Facendo del bene, mostriamo loro il vantaggio di rimanere sotto il nostro potere, rendendoli più contenti della loro situazione e più ostili verso i nemici della nostra potenza.

Inoltre, il fatto che si compiano sacrifici nel far del bene non cambia il valore ultimo delle nostre azioni. Anche quando mettiamo in gioco la nostra vita, come fa un martire per la sua Chiesa, ciò avviene per conservare il nostro sentimento di potenza. Infine, Nietzsche suggerisce che il sentimento con cui facciamo del bene è spesso più gradevole rispetto a quello con cui facciamo del male, indicando che il piacere derivante dal bene può essere legato a una percezione di potenza più sicura e stabile.

In sintesi, il sentimento di potenza si manifesta nel fare del bene attraverso l’aumento del controllo sugli altri, il rafforzamento della propria influenza e la ricerca di un piacere derivante da una potenza stabile e riconosciuta.

4) Descrivi la differenza del sentimento di potenza in questi tre tipi umani: l'avido di potenza; il superbo; chi ama la preda facile.
Ecco una descrizione della differenza del sentimento di potenza nei tre tipi umani descritti da Nietzsche nel testo che hai fornito:

L'avido di potenza:

Questo tipo di persona trova piacere nell'imprimere il suo potere sugli altri, soprattutto sui riottosi, coloro che resistono. Questi individui, eccitabili e desiderosi di potere, preferiscono l'azione immediata e intensa per affermare il loro dominio. Tuttavia, fare del male, sebbene dia loro un senso di potere, può portare con sé incertezze e pericoli, oscurando il loro sentimento di potenza con prospettive di vendetta e insuccesso. Essi cercano di accrescere la propria potenza in maniera rapida e rischiosa.

Il superbo:

Le persone superbe trovano spregevole una facile preda perché non rappresenta una sfida degna del loro orgoglio. Preferiscono confrontarsi con individui che non si sono ancora sottomessi, che potrebbero diventare potenziali nemici. Essi apprezzano la difficoltà e l'onore che derivano dal misurarsi con i loro pari, coltivando un senso di benessere nella vista di avversari difficili da conquistare. Il loro sentimento di potenza è dunque legato all'onore e al valore dei loro avversari, portandoli a mostrarsi cortesi e rispettosi nei confronti degli uguali, con cui la lotta sarebbe onorevole.

Chi ama la preda facile:

Questo tipo di persona, meno superba e senza ambizioni di grandi conquiste, trova il sentimento di potenza nel compassionevole. Per loro, i sofferenti rappresentano una facile preda, qualcosa di incantevole. La compassione è una virtù esaltata, poiché consente loro di esercitare potenza senza grandi rischi o sforzi. La facile preda non richiede lotta o coraggio, rendendo la compassione una qualità associata a coloro che non aspirano a grandi gesta ma trovano soddisfazione nell'aiutare chi è in difficoltà.

In sintesi, l'avido di potenza cerca un incremento rapido e rischioso della propria potenza attraverso la sottomissione dei resistenti, il superbo preferisce confronti onorevoli con avversari valorosi, mentre chi ama la preda facile esercita la propria potenza tramite la compassione verso i sofferenti, trovando in ciò una via meno rischiosa per affermare il proprio dominio.


Guida alla Comprensione


1) Spiega la logica del ragionamento di Nietzsche che mira a ecludere ogni possibilità di giudizio morale basato sugli effetti dei comportamenti.
Nietzsche, nel testo riportato, sviluppa un ragionamento volto a escludere ogni possibilità di giudizio morale basato sugli effetti dei comportamenti, concentrandosi invece sulle motivazioni intrinseche degli individui. Ecco come si articola la sua logica:

Sentimento di Potenza: Secondo Nietzsche, ogni azione umana, sia essa buona o cattiva, è motivata dal desiderio di incrementare o mantenere il proprio sentimento di potenza. Questo sentimento è una forza interna che spinge ogni organismo ad agire. In tal senso, la moralità tradizionale, che distingue tra buono e cattivo in base agli effetti delle azioni, viene messa in discussione.

Azioni Buone e Cattive: Nietzsche afferma che sia quando facciamo del bene sia quando facciamo del male, agiamo sempre per aumentare il nostro sentimento di potenza sugli altri. Quando facciamo del male, il dolore inflitto agli altri ci fa sentire potenti poiché il dolore si pone sempre il problema della causa, mentre il piacere tende ad arrestarsi a se stesso. Facendo del bene, aumentiamo la potenza di coloro che già dipendono da noi, incrementando indirettamente la nostra.

Compassione: Nietzsche critica duramente la compassione, considerata da altri (come Schopenhauer e i cristiani) una virtù altruistica. Per Nietzsche, la compassione è solo un'altra forma di cercare di incrementare il proprio sentimento di potenza. Gli uomini deboli, che non hanno prospettive di grandi conquiste, trovano piacere nella compassione verso i sofferenti poiché li fa sentire superiori.

Indifferenza agli Effetti: La logica di Nietzsche mira a escludere i giudizi morali basati sugli effetti delle azioni (bene/male) poiché queste sono sempre motivate dal desiderio di potenza. Anche i sacrifici apparentemente altruistici, come quelli dei martiri, sono visti come modi per mantenere il proprio sentimento di potenza. Quindi, l'azione non è mai moralmente neutra o pura, ma è sempre guidata da un impulso egoistico.

Relativismo dei Gusti: Nietzsche sottolinea che le preferenze individuali nel modo di esercitare potenza (in modo lento, sicuro, rischioso, ecc.) sono questioni di gusto personale e temperamento. Ciò indica che non esiste un criterio universale per giudicare moralmente le azioni, poiché ogni individuo agisce in base alle proprie inclinazioni interne.

In sintesi, Nietzsche esclude la possibilità di un giudizio morale basato sugli effetti dei comportamenti perché tutte le azioni umane, secondo lui, sono motivate dal desiderio di potenza. Questo desiderio è intrinseco e soggettivo, rendendo ogni azione un’espressione della volontà di potenza dell’individuo piuttosto che un atto moralmente giudicabile per i suoi effetti sugli altri.

2) Nota come trapeli un diverso giudizio di Nietzsche sulla qualità degli uomini, rivelata dalle loro preferenze: qual è il tipo più basso e perché?
Nel testo di Nietzsche emerge chiaramente un diverso giudizio sulla qualità degli uomini, basato sulle loro preferenze e comportamenti legati al sentimento di potenza. Secondo Nietzsche, il tipo più basso di uomo è quello che preferisce la compassione.

La compassione, infatti, è considerata da Nietzsche come il sentimento più gradito per coloro che sono scarsamente superbi e che non hanno una prospettiva di grandi conquiste. Per questi individui, la facile preda, rappresentata dai sofferenti, è qualcosa di incantevole. Nietzsche critica duramente questo atteggiamento, associandolo a una forma di debolezza e mancanza di ambizione. Egli vanta la compassione come la virtù delle donne di piacere, suggerendo che si tratta di una qualità superficiale e priva di vero valore.

In sintesi, il tipo più basso, secondo Nietzsche, è colui che trova piacere nella compassione per i sofferenti, poiché questo comportamento rivela una mancanza di forza e ambizione, nonché un'assenza di prospettive di grandi conquiste.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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