Gottfried Wilhelm von Leibniz - Il problema della sofferenza


Immagine Gottfried Wilhelm von Leibniz
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nella sua opera "Saggi di Teodicea", Leibniz si dedica principalmente a difendere Dio dall'accusa di essere la causa del male morale umano. Per quanto riguarda la sofferenza, ovvero ciò che gli esseri umani affrontano come male nella loro vita, Leibniz segue un approccio simile a quello di Agostino, sostenendo che il male è intrinseco alle creature in quanto sono imperfette, commettono errori e ne subiscono le conseguenze (come illustrato nel primo brano). Tuttavia, Leibniz offre una prospettiva differente quando esamina le sofferenze che non sono direttamente legate agli errori umani: nel secondo brano, egli afferma che il dolore è parte delle interazioni naturali tra gli esseri nel mondo, evidenziando che Dio non ha concesso un trattamento preferenziale all'umanità o al singolo individuo rispetto alle altre creature.


Lettura


Resta però ancora da rispondere alle difficoltà più speculative e più metafisiche, delle quali si è fatto menzione, e che concernono la causa del male. Si domanda in primo luogo: da dove viene il male? Si Deus est, unde malum? si non est, unde bonum? Gli antichi attribuivano la causa del male alla materia, che essi credevano incerta e indipendente da Dio; ma noi che deriviamo ogni essere da Dio, dove troveremo la fonte del male? La risposta è che dev'esser cercata nella natura ideale della creatura, in quanto siffatta natura è racchiusa nelle verità eterne che sono nell'intelletto di Dio, indipendentemente dalla sua volontà. Bisogna considerare infatti che c'è un'imperfezione originale nella creatura, prima del peccato, poiché la creatura è essenzialmente limitata. E da ciò consegue che essa non può saper tutto, e che si può sbagliare e commettere altri errori. [...] È per questo che gli scolastici usano chiamare deficiente la causa del male. [...]

«Poiché una bontà infinita ha guidato il Creatore nella produzione del mondo, tutti i caratteri di scienza, di abilità, di potere e di grandezza che risplendono nella sua opera sono destinati alla felicità delle creature intelligenti. Egli ha voluto far conoscere le sue perfezioni soltanto affinché questa specie di creature trovasse la propria felicità nella conoscenza, nell'ammirazione e nell'amore per l'Essere supremo».
Questa massima non mi pare del tutto esatta. Concordo sul fatto che la felicità delle creature intelligenti sia la parte principale dei disegni di Dio, poiché esse gli somigliano più di ogni altra cosa: non vedo però come si possa provare che sia il suo unico scopo.

È vero che il regno della natura deve servire al regno della grazia, ma dal momento che tutto è legato nel grande disegno divino, bisogna credere che il regno della grazia sia anch'esso, in qualche modo, accomodato a quello della natura, in modo che quest'ultimo conservi il massimo di ordine e bellezza, per rendere il composto di entrambi il più perfetto possibile.

E non c'è motivo di ritenere che Dio, per qualche male morale in meno, sarebbe disposto a rovesciare tutto l'ordine della natura. Ciascuna perfezione o imperfezione nella creatura ha il proprio prezzo, ma non ce n'è alcuna che abbia un prezzo infinito. Così il bene e il male morale o fisico delle creature razionali non supera infinitamente il bene e il male che è soltanto metafisico, quello cioè che consiste nella perfezione delle altre creature: il che bisognerebbe invece dire, se la presente massima fosse vera in senso rigoroso.

Quando Dio spiegò al profeta Giona il motivo del perdono che aveva accordato agli abitanti di Ninive, accennò anche all'interesse delle bestie che sarebbero rimaste coinvolte nella distruzione di questa grande città. Nessuna sostanza è disprezzabile o preziosa in senso assoluto al cospetto di Dio. E l'abuso o l'estensione della presente massima sembra essere in parte la fonte delle difficoltà che Bayle propone. È certo che Dio tiene in maggior conto un uomo che un leone, tuttavia non so se si può essere sicuri che preferisca, sotto tutti i riguardi, un solo uomo all'intera specie dei leoni. Quand'anche però le cose stessero così, non seguirebbe affatto che l'interesse di un certo numero di uomini prevalga rispetto alla considerazione di un disordine generale diffuso in un numero infinito di creature. Questa opinione sarebbe un residuo dell'antica massima, assai screditata, secondo la quale tutto è fatto unicamente per l'uomo.


Guida alla lettura


1) Ricava dal testo il motivo per cui la creatura non può che essere imperfetta.
Nel testo, Leibniz spiega che la creatura non può che essere imperfetta basandosi sull'idea che c'è un'imperfezione originale nella creatura, presente anche prima del peccato. Questa imperfezione deriva dalla limitatezza essenziale della creatura. Poiché ogni creatura è essenzialmente limitata, non può sapere tutto, quindi è suscettibile di sbagliare e di commettere errori. Inoltre, Leibniz afferma che quest'idea dell'imperfezione intrinseca è riconosciuta nel concetto scolastico che la chiama deficiente, intesa come causa del male. La limitazione intrinseca delle creature, quindi, è la fonte fondamentale della loro imperfezione, essendo incapaci di raggiungere la completezza o la perfezione dell'essere supremo, Dio.

2) Spiega qual è il fine della creazione secondo la massima riportata e criticata da Leibniz.
Secondo la massima riportata e criticata da Leibniz nel testo, il fine della creazione è la felicità delle creature intelligenti, che sono descritte come quelle che più somigliano a Dio. La massima sostiene che tutte le perfezioni osservate nella creazione – scienza, abilità, potere, e grandezza – sono destinate a promuovere la felicità di queste creature intelligenti attraverso la conoscenza, l'ammirazione e l'amore per l'Essere supremo.

Tuttavia, Leibniz critica questa visione affermando che non appare corretto dire che la felicità delle creature intelligenti sia l'unico scopo della creazione. Egli riconosce che, sebbene la felicità di tali creature sia una parte importante del disegno divino, non si può affermare che sia l'unico fine. Questo, secondo Leibniz, sarebbe un errore che sminuirebbe l'importanza di altri aspetti del mondo creato, tra cui la perfezione e l'ordine naturale che, a loro volta, contribuiscono al complesso disegno del regno della grazia e della natura.


Guida alla Comprensione


1) A chi è attribuita la responsabilità del male morale?
Nel testo fornito, Leibniz attribuisce la responsabilità del male morale non a Dio ma alle creature stesse, che sono imperfette. Afferma che le creature sono limitate e possono quindi commettere errori, il che porta al male morale. Leibniz utilizza il concetto di "imperfezione originale nella creatura" per spiegare che prima anche del peccato, le creature non sono perfette, e questa imperfezione intrinseca è la causa del male morale.

2) Rintraccia nel testo gli elementi di critica alla visione antropocentrica del mondo espressa dalla massima.
Nel testo che hai fornito, Leibniz esprime chiaramente una critica alla visione antropocentrica del mondo, ossia l'idea che tutto nell'universo sia stato creato esclusivamente per l'uomo. Gli elementi di critica si possono individuare in particolare nel secondo e nel terzo messaggio che hai condiviso.

Critica alla concezione di un mondo creato esclusivamente per l'uomo: Leibniz argomenta contro l'idea che Dio abbia come unico scopo la felicità delle creature intelligenti (e quindi umane), suggerendo che non si può provare che sia l'unico suo scopo. Questo mette in discussione la visione che colloca l'umanità al centro del disegno divino.
Interazione tra regni diversi: Il filosofo parla di un equilibrio tra il regno della natura e il regno della grazia, indicando che entrambi devono essere accomodati reciprocamente nel grande disegno divino per conservare ordine e bellezza. Questo suggerisce che l'importanza dell'uomo deve essere vista in un contesto più ampio che include altre forme di vita e aspetti dell'esistenza.
Rilativizzazione dell'importanza dell'uomo rispetto ad altre creature: Esplicitamente, Leibniz afferma che "Nessuna sostanza è disprezzabile o preziosa in senso assoluto al cospetto di Dio", mettendo in discussione la supremazia assoluta dell'uomo sulle altre creature. Egli sottolinea anche che non è sicuro che Dio preferisca un uomo all'intera specie dei leoni, ulteriormente relativizzando la posizione dell'uomo nell'ordine naturale.
Critica alle concezioni antropocentriche passate: Nell'ultimo paragrafo, Leibniz menziona una "antica massima, assai screditata", secondo la quale tutto è fatto unicamente per l'uomo. Egli critica questa massima come parte di un errore di concezione più ampio che ha influenzato negativamente il pensiero filosofico e teologico.

Questi elementi nel testo di Leibniz rappresentano una chiara critica alla visione antropocentrica del mondo, suggerendo una più complessa interdipendenza tra umano e non umano, e proponendo una visione più umile dell'umanità nell'ambito del creato.

3) Che cosa significa che l'ordine della natura non è per Dio meno importante dell'ordine della grazia (ambito morale)?
Nel testo fornito, Leibniz discute il rapporto tra l'ordine della natura e l'ordine della grazia, sottolineando che nonostante l'ordine della grazia (ambito morale) sia di grande importanza, esso non ha una preminenza assoluta rispetto all'ordine della natura. In altre parole, Dio non privilegia il regno della grazia (il bene morale e spirituale delle creature razionali) a tal punto da ignorare o sminuire l'ordine e la bellezza intrinseca del regno della natura.

Leibniz afferma che, nel grande disegno divino, il regno della grazia è in qualche modo "accomodato" a quello della natura. Questo significa che anche se il regno della grazia è fondamentale, esso deve comunque essere in armonia con l'ordine naturale, preservando così un equilibrio che contribuisce alla perfezione complessiva del creato. Leibniz respinge l'idea che Dio possa rovesciare l'intero ordine naturale per evitare qualche male morale, poiché ciò comprometterebbe l'armonia e la bellezza generale del mondo.

In conclusione, il significato è che per Dio, l'importanza dell'ordine della natura è paragonabile a quella dell'ordine della grazia; entrambi contribuiscono a un ordine universale che è espressione della sua perfezione e bontà. Dio cerca di bilanciare questi ordini in modo da preservare il massimo di ordine e bellezza in tutto il creato.

4) In che senso Dio può avere a cuore la specie dei leoni? Rispondi cercando di immaginare quali limiti stia ponendo Leibniz all'intervento divino nel mondo.
Nel contesto del pensiero di Leibniz, Dio ha a cuore la specie dei leoni (e altre creature) in quanto parte integrante e necessaria del disegno complessivo dell'universo, che è governato da principi di perfezione, ordine e bellezza. Secondo Leibniz, Dio non favorisce l'uomo a scapito delle altre creature, piuttosto cerca un equilibrio e una coesistenza armoniosa tra tutte le forme di vita, ciascuna delle quali contribuisce alla bellezza e alla perfezione del mondo.

Quando Leibniz discute di come Dio possa considerare gli interessi delle bestie, come nel caso degli animali di Ninive citato nel testo, si evidenzia che nessuna creatura è considerata in senso assoluto più preziosa o trascurabile di altre di fronte a Dio. Questo pone un limite all'intervento divino nel mondo, in quanto Dio, secondo Leibniz, non interviene per favorire una specie a discapito di altre, opera secondo principi di giustizia e armonia universale. Ciò significa che le azioni divine sono guidate da un bilanciamento tra i vari aspetti dell'esistenza, senza privilegi assoluti per l'uomo o per qualsiasi altra creatura, mantenendo così l'ordine e la bellezza del disegno complessivo.

In definitiva, Leibniz mette in discussione l'antropocentrismo, l'idea che tutto nell'universo sia creato esclusivamente per l'uomo, sostenendo piuttosto che l'umanità è solo una parte di un ordine cosmico più ampio, nel quale ogni creatura ha il suo posto e il suo valore.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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