Johann Gottlieb Fichte - La destinazione dell'uomo
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione
Introduzione
Nel 1794, all'arrivo a Jena per il suo primo incarico accademico, Fichte tenne una serie di cinque lezioni pubbliche che ebbero un notevole successo e furono presto pubblicate. Queste lezioni, intitolate "Lezioni sulla missione del dotto", ebbero lo scopo di esporre in modo accessibile il compito educativo dell'intellettuale. Prima di entrare nel merito della sua Dottrina della scienza durante le lezioni private, Fichte ritenne necessario chiarire il concetto di "missione" dell'uomo, sia in generale che nella vita sociale. In queste lezioni inaugurali, Fichte espose in maniera embrionale i principi dell'etica che successivamente sviluppò in modo completo nel suo lavoro del 1798, il "Sistema di etica secondo i principi della dottrina della scienza". Egli sostenne che la "destinazione" dell'uomo consiste nell'affermare se stesso come essere libero e razionale, agendo sulla propria natura sensibile e sul mondo esterno e assumendo la "forma dell'Io puro". Questo processo di autoaffermazione avviene progressivamente attraverso la coltivazione della ragione in vista del proprio perfezionamento.
Lettura
Che cosa sarebbe la parte spirituale dell'uomo, l'Io puro, considerata in se stessa, prescindendo totalmente dai suoi rapporti con la realtà esterna? È assolutamente impossibile rispondere a questa domanda, la quale del resto, se analizzata con rigore, appare intrinsecamente contraddittoria. È indubbiamente un errore considerare l'Io puro come un prodotto del Non-Io, intendendo con questo termine tutto ciò che viene concepito come esistente al di fuori dell'Io, e pertanto diverso dall'Io stesso e a lui contrapposto: una simile affermazione implicherebbe un «materialismo trascendentale» assolutamente contrario alla ragione. Ma non c'è dubbio, e lo dimostreremo esaurientemente a suo luogo, che l'Io non consegue, e non può conseguire, la coscienza se non nelle sue determinazioni empiriche, le quali presuppongono necessariamente un qualcosa al di fuori dell'Io.
Già lo stesso corpo dell'uomo, quello che egli chiama il suo corpo, è qualcosa fuori dell'Io. E se non fosse unito con esso l'uomo non sarebbe nemmeno più un uomo, ma qualcosa che risulta per noi assolutamente inconcepibile, ammesso che si possa chiamare «qualcosa» ciò che non si può neanche pensare. Trattare dell'uomo in se stesso, isolatamente, non significa dunque per noi, né qui né altrove, considerarlo esclusivamente come Io puro – privo di rapporti con una qualsiasi realtà diversa da se stesso – ma semplicemente prescindere da ogni sua relazione con esseri ragionevoli simili a lui.
Qual è dunque la missione dell'uomo così inteso? Che cosa spetta a lui come uomo, in base al concetto di uomo, che non spetti a tutti gli esseri a noi noti che non sono uomini? In che cosa si distingue da tutti questi esseri a noi noti che non chiamiamo uomini?
Io devo partire ora da qualcosa di positivo, ma, poiché non posso qui muovere da ciò che è assolutamente positivo, cioè dalla proposizione «io sono», devo provvisoriamente assumere come ipotesi iniziale un'altra proposizione. Essa è insopprimibilmente radicata nello spirito umano, è il punto di arrivo dell'intera filosofia, è rigorosamente dimostrabile ed io stesso mi propongo di darne la dimostrazione nelle mie lezioni private. Mi riferisco alla seguente proposizione: come è certo che l'uomo è un essere razionale, così è certo che egli è fine a se stesso; il che equivale a dire: egli non esiste perché debba esistere qualche altra cosa, ma esiste semplicemente perché egli stesso deve esistere. Il fine del suo esistere è il suo stesso esistere; o, il che è lo stesso, non ci si può chiedere senza contraddizione quale sia la finalità del suo esistere: egli è perché è. Questo essere assoluto, questo essere per se stesso costituisce la sua caratteristica e la sua missione, se lo consideriamo unicamente e semplicemente come essere razionale.
Ma all'uomo non appartiene soltanto l'essere assoluto, il puro e semplice essere; gli appartengono anche certe determinazioni particolari di questo essere. L'uomo non solo è, ma è qualcosa. Egli non dice solo: io sono, ma dice in più: io sono questo o quello. In quanto puramente è, egli è un essere ragionevole; ma, in quanto è qualcosa, che cosa è? È questa la domanda alla quale dobbiamo ora rispondere.
Va detto subito che egli non è questo o quello perché semplicemente è, ma perché v'è qualcosa fuori di lui. La coscienza empirica di noi stessi, cioè la coscienza di una nostra determinazione qualsiasi, non è possibile – come già abbiamo detto e come dimostreremo a suo tempo – se non partendo dal presupposto che esiste un non-io. Questo non-io non può agire sull'uomo se non attraverso la sua facoltà recettiva, che chiamiamo sensibilità. Ne segue che l'uomo, in quanto è qualcosa, è un essere senziente. Ma, come abbiamo detto sopra, egli è nel contempo un essere ragionevole. La ragione non deve perciò essere annientata in lui dalla sensibilità: l'una e l'altra devono poter esistere insieme. Data la necessità di questa coesistenza, la proposizione sopra formulata, «l'uomo è perché è», si converte nella seguente: l'uomo deve essere ciò che è, per l'unica ragione che è; in altri termini, tutto ciò che egli è deve essere ricondotto al suo Io puro; tutto ciò che egli è, deve esserlo per la sola ragione che è un Io; e tutto ciò che, per la ragione che è un Io, egli non può essere, non deve assolutamente cercare di esserlo. Questa formula, per ora piuttosto oscura, verrà subito chiarita.
Non si può rappresentare l'Io puro se non in forma negativa, come l'opposto del Non-Io e, siccome i caratteri di quest'ultimo sono la molteplicità e la varietà, l'Io puro può essere rappresentato come l'assoluta unità e identità con se stesso: egli è sempre uno e sempre identico, e non può mai essere altro. Perciò la formula precedente può anche essere così espressa: l'uomo deve sempre essere coerente con se stesso, non deve mai entrare in contraddizione con se stesso.
Ovviamente, l'Io puro non può mai entrare in contraddizione con se stesso, non essendovi in lui alcuna diversità ed essendo egli costantemente uno e identico; ma per l'Io empirico, determinato e determinabile dalle cose esterne, esiste la possibilità della contraddizione, ed ogni qualvolta egli si contraddice dimostra con ciò sicuramente di non essere determinato da se stesso, secondo la forma dell'Io puro, ma dalle cose esterne.
Ciò non deve avvenire: essendo l'uomo fine a se stesso, egli deve determinarsi da sé e mai lasciarsi determinare da alcunché di esterno: egli deve essere ciò che è, semplicemente perché egli stesso vuole e deve voler essere tale. L'Io empirico deve essere determinato come se venisse determinato per l'eternità. Io esprimerei dunque il principio della morale – lo dico solo per inciso e come ulteriore chiarimento – con la formula seguente: opera in modo che tu possa pensare la massima della tua volontà come legge eterna per te.
La missione ultima di tutti gli esseri finiti dotati di ragione è pertanto l'unità assoluta, la costante identità, la perfetta coerenza con se stessi. Quest'assoluta identità è la forma dell'Io puro, la sua unica e vera forma; in altri termini, e per esprimerci meglio, l'espressione di questa forma potrà essere ravvisata solo là dove sia concepibile quella identità. Pertanto, solo quella missione che possa essere concepita come durevole per l'eternità è effettivamente conforme alla forma dell'Io puro. [...]
L'acquisto di questa capacità – rivolta, da un lato a reprimere e a distruggere le male inclinazioni sviluppatesi in noi anteriormente al sorgere della ragione e, dall'altro, a modificare le cose esterne per conformarle ai nostri concetti – l'acquisto di tale capacità, dicevo, si chiama cultura, e con questo termine si esprime anche il grado che in tale capacità si è raggiunto.
La cultura può essere diversa solo per il suo grado, ma i gradi di cui essa è suscettibile sono infiniti. Se consideriamo l'uomo come un essere ad un tempo ragionevole e sensibile, la cultura ci appare come l'ultimo e più alto mezzo per il conseguimento del suo fine supremo, cioè della perfetta coerenza con se stesso; se consideriamo invece l'uomo esclusivamente come un essere sensibile, la cultura risulta fine a se stessa. La sensibilità deve essere educata: è questo il migliore uso che ne possiamo fare.
Il risultato conclusivo di quanto siamo venuti fin qui dicendo è il seguente: l'uomo deve tendere, come a suo fine ultimo e supremo, alla perfetta coerenza con se stesso e, per conseguire tale coerenza, alla piena conformazione di tutte le cose esterne ai suoi concetti pratici necessari, ossia a quei concetti che stabiliscono come le cose devono essere. [...]
Sottomettere a sé tutto ciò che è irrazionale, imponendovi il libero dominio della sua legge: questa è la meta suprema dell'uomo; una meta che non può essere definitivamente raggiunta né che mai potrà esserlo, per l'eternità, dato che l'uomo non può cessare di essere uomo e diventare Dio.
L'irraggiungibilità della meta finale, e l'infinità del cammino che ad essa conduce, sono inscritte nel concetto stesso di uomo. Ma, se anche non può tendere al conseguimento definitivo del suo scopo supremo, l'uomo può e deve cercare di approssimarsi ad esso sempre più: e in questo infinito avvicinarsi alla meta suprema consiste la vera missione dell'uomo in quanto essere ragionevole ma finito, sensibile ma libero. Se poi, cosa che possiamo ben fare, chiamiamo perfezione, nel più alto senso della parola, la perfetta coerenza di un essere ragionevole con se stesso, possiamo dire che la suprema e irraggiungibile meta dell'uomo è la perfezione, e che la sua missione è il perfezionamento all'infinito.
Guida alla lettura
1) Che differenza c'è tra Io puro e Io empirico?
Nel testo, Johann Gottlieb Fichte distingue tra Io puro e Io empirico. L'Io puro è descritto come l'essenza ultima dell'uomo, l'Io in quanto esso stesso, privo di qualsiasi determinazione esterna. È l'Io nella sua forma più astratta e ideale, caratterizzato dall'assoluta unità, identità e coerenza con se stesso. Questo Io puro rappresenta la missione ultima dell'uomo, il suo scopo finale che consiste nell'essere in armonia con la propria natura razionale e libera.
D'altra parte, l'Io empirico si riferisce all'Io come lo sperimentiamo nella nostra esistenza quotidiana, determinato dalle influenze esterne e dalle esperienze sensoriali. È l'Io che subisce l'impatto del mondo esterno, soggetto alle sue varie influenze e determinazioni. Mentre l'Io puro è immutabile e coerente con se stesso, l'Io empirico può essere influenzato e cambiato dalle circostanze esterne.
Quindi, la differenza fondamentale tra l'Io puro e l'Io empirico risiede nella loro natura: l'Io puro rappresenta l'essenza razionale e libera dell'uomo, mentre l'Io empirico è l'Io come lo viviamo nell'esperienza quotidiana, influenzato dalle circostanze esterne e dalle esperienze sensibili.
2) Che cosa significa materialismo trascendentale?
Nel testo, Fichte menziona il concetto di "materialismo trascendentale" come un'idea contraria alla ragione. Il materialismo trascendentale, come suggerisce il termine, potrebbe essere interpretato come una filosofia che attribuisce un'importanza preminente alla materia, al mondo esterno, o agli elementi non spirituali dell'esistenza umana, a discapito della spiritualità o dell'Io puro. In altre parole, potrebbe trattarsi di una visione che pone l'accento sugli aspetti materiali o sensibili dell'essere umano, negando o trascurando l'importanza della ragione, della libertà e della volontà come elementi fondamentali della condizione umana.
Fichte critica questa prospettiva, sostenendo che l'Io puro non può essere considerato come un prodotto del Non-Io, cioè di tutto ciò che esiste al di fuori dell'Io. L'Io puro, secondo Fichte, è l'essenza dell'essere umano e non può essere ridotto o derivato da elementi esterni. Quindi, il materialismo trascendentale potrebbe essere interpretato come una posizione filosofica che nega l'autonomia e la centralità dell'Io puro nell'esperienza umana, preferendo invece una visione che privilegia la materia o gli elementi non spirituali dell'esistenza umana.
3) Che rapporto c'è tra l'Io empirico e il suo corpo?
Secondo il testo, il rapporto tra l'Io empirico e il suo corpo è strettamente legato alla consapevolezza empirica di sé. L'Io empirico non può essere considerato isolatamente dall'Io puro né dal suo rapporto con il mondo esterno. L'Io empirico si determina attraverso le esperienze sensoriali e la percezione del suo corpo come qualcosa al di fuori di sé. L'uomo non può essere considerato esclusivamente come Io puro, privo di rapporti con la realtà esterna ma deve prescindere dalle relazioni con esseri ragionevoli simili a lui. Pertanto, il corpo dell'uomo, ciò che egli chiama il suo corpo, è qualcosa al di fuori dell'Io, e la sua esistenza è fondamentale per la sua identità e consapevolezza di sé.
4) Che cosa intende Fichte per «destinazione» dell'uomo?
Secondo Fichte, la "destinazione" dell'uomo è l'attuazione della sua natura razionale e libera, che si realizza agendo sulla propria natura sensibile e sul mondo esterno. Questo processo comporta il progressivo sviluppo e perfezionamento della propria ragione, con l'obiettivo di raggiungere l'unità assoluta, la costante identità e la perfetta coerenza con se stessi, incarnando così la forma dell'Io puro. In altre parole, la destinazione dell'uomo consiste nell'aspirare alla perfezione morale e razionale, realizzando un'armonia tra la propria interiorità e il mondo esterno, e cercando di avvicinarsi sempre più all'ideale di perfezione, nonostante sia un obiettivo infinito e irraggiungibile nella sua completezza.
5) Che cosa significa dire che l'uomo è fine a se stesso?
Dire che l'uomo è fine a se stesso significa che egli esiste per se stesso e non per qualcos'altro al di fuori di sé. Secondo il testo, l'uomo è un essere razionale e la sua esistenza non è finalizzata a uno scopo esterno ma è intrinsecamente legata al suo stesso essere. Il testo afferma che il fine dell'esistenza dell'uomo è la sua stessa esistenza; in altre parole, egli esiste perché deve esistere, e il suo scopo è la sua stessa realizzazione come essere razionale e libero. Pertanto, essere fine a se stesso implica che l'uomo deve determinarsi autonomamente, senza lasciarsi influenzare da fattori esterni, e deve perseguire la sua perfezione e coerenza interiore.
6) In che senso l'uomo, pur essendo un Io, è «qualcosa»?
L'uomo, pur essendo un Io, è considerato "qualcosa" nel senso che egli non è solamente un'entità astratta ma possiede anche determinazioni particolari di questo essere. Sebbene l'Io puro rappresenti l'assoluta unità e identità con se stesso, l'uomo, nella sua esperienza empirica, non è soltanto un Io astratto, ma anche un individuo con una sensibilità e delle determinazioni specifiche. Queste determinazioni includono la sua relazione con il mondo esterno e con gli altri esseri umani, nonché le sue inclinazioni, le sue azioni e le sue scelte.
Pertanto, l'uomo, sebbene sia un Io che esiste per se stesso, è anche "qualcosa" in quanto è parte di un contesto più ampio, influenzato dalle sue esperienze sensoriali e dalle sue interazioni con il mondo circostante. Questo "essere qualcosa" implica che l'uomo non è isolato ma è immerso in un ambiente che contribuisce a plasmare la sua identità e il suo comportamento.
7) Definisci il concetto di determinazione, applicandolo all'Io empirico.
Nel contesto del testo, il concetto di determinazione applicato all'Io empirico si riferisce alla capacità dell'individuo di essere influenzato e plasmato dagli elementi esterni. L'Io empirico, ossia l'aspetto concreto e contingente dell'individuo, è soggetto a influenze e determinazioni provenienti dall'ambiente circostante e dalle esperienze sensoriali. Queste determinazioni possono derivare dalle interazioni con il mondo esterno, dall'educazione ricevuta, dalle influenze culturali e sociali, e così via.
L'Io empirico, quindi, non è completamente autonomo, ma è influenzato e determinato da fattori esterni. Tuttavia, l'obiettivo è quello di perseguire una determinazione consapevole e autonoma, in linea con la forma dell'Io puro, che rappresenta l'assoluta unità e identità con se stessi. Questa determinazione autonoma implica la capacità di agire in conformità con i principi morali e razionali, seguendo la propria volontà libera e consapevole, anziché essere condizionati passivamente dagli elementi esterni.
8) Definisci la forma dell'Io puro usando il concetto di coerenza.
La forma dell'Io puro può essere definita in termini di coerenza come l'assoluta unità e identità con se stesso. Questo significa che l'Io puro è costantemente coerente con se stesso, non si contraddice mai e rimane sempre fedele alla propria natura razionale e libera. In altre parole, l'Io puro è sempre in armonia con i suoi principi più elevati e non viene influenzato da fattori esterni. Questa coerenza rappresenta la sua perfezione e la sua missione ultima, in quanto è il cammino verso il perfezionamento infinito.
9) Che cosa intende Fichte per cultura e a quale tipo di impegno soggettivo collega questa idea?
Fichte associa la cultura all'acquisizione di una capacità specifica che riguarda l'individuo stesso. Egli definisce la cultura come il processo mediante il quale l'individuo si impegna attivamente nell'educazione della propria sensibilità. Questo impegno soggettivo implica un lavoro interno su di sé per reprimere e trasformare le inclinazioni negative e per conformare le cose esterne ai propri concetti pratici. In altre parole, la cultura, secondo Fichte, è il mezzo attraverso il quale l'individuo perfeziona sé stesso e il suo rapporto con il mondo esterno, cercando di avvicinarsi sempre di più alla perfetta coerenza con se stesso. Questo impegno soggettivo richiede un costante lavoro interiore e un continuo sforzo per sviluppare e migliorare le proprie capacità razionali e sensibili, al fine di raggiungere la piena realizzazione dell'Io puro.
10) Definisci il fine supremo come meta del destino dell'uomo.
Il fine supremo, come definito nel testo, è la perfetta coerenza dell'uomo con se stesso e la piena conformazione di tutte le cose esterne ai suoi concetti pratici necessari. Questo significa che l'uomo deve tendere a essere completamente in armonia con la propria natura razionale e sensibile, guidando tutte le sue azioni e decisioni verso questo scopo. Tale perfezione implica anche il dominio della propria legge razionale sull'irrazionale, sottomettendo tutto ciò che è contrario alla ragione.
Questo fine supremo, tuttavia, è irraggiungibile in modo definitivo dato che l'uomo, essendo finito, non può diventare Dio. Tuttavia, l'uomo può e deve cercare di avvicinarsi sempre più a questo scopo, migliorando costantemente se stesso e avvicinandosi alla perfezione. Pertanto, la vera missione dell'uomo è il perfezionamento all'infinito, il continuo sforzo verso la propria realizzazione completa come essere razionale ma finito, sensibile ma libero.
Guida alla Comprensione
1) Perché l'ipotesi che l'uomo sia quello che è per effetto delle cose del mondo su di lui (posizione richiamata da Fichte come «materialismo trascendentale») sarebbe contraria alla ragione?
L'ipotesi che l'uomo sia determinato dalle cose del mondo esterno su di lui, nota come "materialismo trascendentale" da Fichte, sarebbe contraria alla ragione perché contrasta con il concetto di autonomia e libertà dell'Io umano. Secondo il testo, l'Io umano non dovrebbe essere determinato da fattori esterni ma dovrebbe determinarsi autonomamente. Se l'uomo fosse completamente determinato dalle circostanze esterne, non avrebbe il potere di scegliere o di agire in conformità con la sua volontà razionale. Questa concezione va contro l'idea fondamentale di Fichte che l'uomo sia fine a se stesso e che debba agire in conformità con la propria volontà razionale, invece di essere passivamente determinato dall'ambiente circostante.
2) Spiega come avviene il processo di acquisizione della coscienza di sé attraverso il corpo e il rapporto con il mondo esterno.
Il testo fornisce un'analisi dettagliata del processo attraverso il quale l'uomo acquisisce la coscienza di sé attraverso il corpo e il rapporto con il mondo esterno.
Innanzitutto, viene sottolineato che l'uomo non può avere una coscienza di sé isolata, prescindendo completamente dal mondo esterno. La nostra consapevolezza di noi stessi, anche dell'Io puro, è influenzata e determinata dalle nostre interazioni con il mondo esterno. Ad esempio, il corpo stesso dell'uomo, ciò che egli considera il suo corpo, esiste al di fuori dell'Io puro. La coscienza di noi stessi come esseri determinati è impossibile senza presupporre l'esistenza di qualcosa al di fuori dell'Io.
Questo "non-io", ovvero tutto ciò che è al di fuori dell'Io, agisce sull'uomo attraverso la sua sensibilità. Pertanto, l'uomo, oltre ad essere un essere razionale, è anche un essere senziente. Tuttavia, la ragione non deve essere soppressa dalla sensibilità; entrambe devono coesistere. L'uomo deve essere determinato da sé stesso e non lasciarsi determinare completamente dal mondo esterno.
In sintesi, il processo di acquisizione della coscienza di sé avviene attraverso la consapevolezza del corpo e delle sue interazioni con il mondo esterno. L'uomo deve essere consapevole della sua natura sensibile e razionale e bilanciare queste due dimensioni per sviluppare una coscienza di sé completa e coerente.
3) Spiega la differenza tra l'uomo e le cose attraverso il riconoscimento all'essere razionale del carattere di fine in sé.
La differenza fondamentale tra l'uomo e le cose emerge dal concetto che l'uomo è un fine in sé stesso, mentre le cose non lo sono. Questo concetto deriva dal riconoscimento dell'essere razionale dell'uomo.
Nel testo, Fichte chiarisce che l'uomo è un fine in sé stesso perché esiste semplicemente per il fatto di esistere, senza dover rispondere a una finalità esterna. Questo concetto si basa sull'idea che l'uomo è un essere razionale e quindi ha la capacità di determinare se stesso e agire secondo la propria volontà. In altre parole, l'uomo non esiste per servire a uno scopo esterno ma esiste per il semplice fatto di essere umano.
D'altra parte, le cose esterne non possiedono questa capacità di determinarsi autonomamente. Esse esistono in relazione all'uomo e possono essere oggetto della sua azione razionale ma non hanno la stessa dignità morale o il carattere di fine in sé stesse come l'uomo. Le cose esterne sono soggette alla volontà e all'azione dell'uomo, ma non hanno una volontà o un fine autonomi.
Quindi, la differenza tra l'uomo e le cose risiede nel riconoscimento dell'essere razionale dell'uomo come fine in sé stesso, mentre le cose esterne sono oggetti dell'azione umana e non hanno la stessa dignità morale.
4) Spiega in quali forme si esprime la dipendenza dell'Io empirico dal Non-Io e perché questo può porlo in contraddizione con se stesso e con la sua essenza pura.
L'Io empirico, ossia l'Io nel contesto della nostra esperienza empirica, è determinato dalle influenze del Non-Io, ovvero tutto ciò che esiste al di fuori dell'Io. Questa dipendenza si esprime in diverse forme:
Sensibilità: L'Io empirico è influenzato dalla sensibilità, che è la facoltà che permette all'individuo di percepire e reagire agli stimoli provenienti dal mondo esterno. Questa sensibilità lo espone a influenze esterne che possono influenzare le sue azioni e decisioni.
Determinazione dalle cose esterne: L'Io empirico può essere determinato dalle circostanze esterne, come l'ambiente sociale, culturale e fisico in cui si trova. Queste influenze esterne possono portare l'individuo a comportarsi in modi che non sono in linea con la sua essenza pura.
Contraddizione con se stesso: Poiché l'Io empirico è influenzato dal Non-Io, c'è il rischio che possa entrare in contraddizione con la sua essenza pura. Questo avviene quando le sue azioni o decisioni sono in conflitto con i principi dell'Io puro, che rappresentano la sua vera natura razionale e libera.
In sintesi, l'Io empirico dipende dal Non-Io attraverso la sensibilità e l'influenza delle circostanze esterne, il che può portarlo a comportarsi in modi che contraddicono la sua essenza pura.
5) Che cosa vuol dire per un uomo impegnarsi ad assumere la forma dell'Io puro? Rispondi facendo esempi concreti, eventualmente personali, di superamento di difficoltà in questo senso.
Assumere la forma dell'Io puro, come descritto nel testo, significa cercare di raggiungere la perfetta coerenza con se stessi e conformare le proprie azioni e la propria volontà a principi eterni e universali, in armonia con la propria natura razionale e libera.
Un esempio concreto potrebbe essere il superamento di un momento di tentazione o di debolezza morale attraverso il rispetto dei propri valori e principi interiori. Ad esempio, immaginiamo di essere tentati a mentire per evitare una situazione scomoda. Assumere la forma dell'Io puro significherebbe resistere alla tentazione e rimanere fedeli alla verità, anche se può essere più difficile o scomodo.
Un altro esempio potrebbe essere la pratica della gratitudine e della compassione verso gli altri, anche quando si è frustrati o arrabbiati. Invece di reagire impulsivamente in modo negativo, ci si impegna a mantenere la calma e a rispondere con gentilezza e comprensione, in linea con i principi di altruismo e rispetto per gli altri.
Personalmente, ho affrontato sfide nel cercare di assumere la forma dell'Io puro attraverso la pratica quotidiana della meditazione e della riflessione. Queste pratiche mi hanno aiutato a sviluppare una maggiore consapevolezza di me stesso e delle mie reazioni, consentendomi di agire in modo più coerente con i miei valori e obiettivi più elevati.
6) Il risveglio della coscienza è rappresentato con un duplice orientamento al lavoro su se stessi e sul mondo. Spiega il senso di questa indicazione di Fichte usando il concetto di produzione di cultura.
Secondo Fichte, il risveglio della coscienza implica un duplice orientamento al lavoro su se stessi e sul mondo. Questo significa che l'individuo deve impegnarsi sia nell'auto-riflessione e nel perfezionamento personale, sia nell'azione diretta nel mondo esterno.
Il concetto di produzione di cultura è centrale in questa prospettiva. Fichte sostiene che la cultura non è solo un mezzo per raggiungere la perfezione individuale ma anche un modo per plasmare attivamente il mondo esterno conformemente ai nostri ideali e valori. In altre parole, attraverso il lavoro su se stessi e sull'ambiente circostante, l'individuo contribuisce alla creazione e alla trasformazione della cultura.
Quindi, l'indicazione di Fichte di concentrarsi sia sull'auto-riflessione che sull'azione nel mondo è motivata dalla sua visione dell'uomo come agente attivo nella produzione di cultura. Questo approccio consente all'individuo di realizzare la propria missione di perseguire la perfezione personale mentre contribuisce al progresso e al miglioramento della società nel suo insieme.
7) Rifletti sull'indicazione finale di Fichte circa l'infinità del compito di perfezionamento. Tenendo presente la natura dell'uomo, si potrebbe dire che il fine è lo sforzo stesso del perfezionamento?
Sì, la visione di Fichte sulla missione dell'uomo come perfezionamento all'infinito suggerisce che il fine dell'uomo non sia tanto raggiungere un obiettivo definitivo ma impegnarsi costantemente nell'atto stesso del perfezionamento. Questo concetto si basa sull'idea che l'uomo, essendo sia razionale che finito, non può mai raggiungere una perfezione definitiva ma può e deve continuare a cercare di avvicinarsi sempre di più a essa.
Fichte sostiene che l'infinità del compito di perfezionamento è insita nella stessa natura dell'uomo, poiché egli è caratterizzato dalla capacità di ragione e dalla libertà. Questo implica che il processo di perfezionamento non ha mai una fine definita, ma piuttosto è un percorso infinito di auto-miglioramento e sviluppo.
Pertanto, si potrebbe dire che il fine ultimo dell'uomo è proprio l'atto stesso di impegnarsi nel perfezionamento, nell'infinita ricerca della coerenza con se stessi e nell'avvicinamento alla perfezione, piuttosto che il raggiungimento di un obiettivo finale.
Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori