Ludwig Feuerbach - L'infinita potenza del genere


Immagine Ludwig Feuerbach
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nelle prime pagine de "L'Essenza del Cristianesimo", si sottolinea una distinzione fondamentale tra l'uomo e gli animali: la coscienza. Questa coscienza, secondo il testo, non è soltanto un'acquisizione generica ma si identifica piuttosto con la consapevolezza dell'infinito o dei generi. In altre parole, è la consapevolezza della propria essenza. Feuerbach, nel proseguo del suo discorso, approfondisce il concetto di questa essenza, identificandola nelle facoltà razionali, nella volontà e nel sentimento umano. Queste facoltà non solo appartengono all'uomo ma lo superano e lo dominano, poiché sono intrinsecamente infinite. È solo in relazione a queste potenze che l'individuo prende coscienza dei suoi limiti. Tra queste, emerge il "sentimento", definito come l'"organo del divino", il quale, pur avendo un oggetto specifico al quale è rivolto, possiede un valore intrinseco infinito.


Lettura


La religione si basa sulla differenza essenziale dell'uomo dall'animale – gli animali non hanno religione. [...] Ma qual è questa differenza essenziale tra l'uomo e l'animale? La risposta più semplice e più universale, come anche la più popolare, a questa domanda è: la coscienza – ma coscienza in senso stretto; poiché coscienza nel senso di sentimento di sé, della facoltà di distinguere nell'ambito della sensibilità, della percezione e addirittura del giudizio sulle cose esterne in base a determinati caratteri percepibili dai sensi, tale coscienza non può essere negata all'animale.

Coscienza nel senso più stretto è solo là dove un ente ha ad oggetto il suo genere, la sua essenzialità. L'animale è certamente oggetto a se stesso in quanto individuo – perciò ha sentimento di sé – ma non è oggetto a se stesso in quanto genere – perciò gli manca la coscienza, che trae il proprio nome da scire. Dove c'è coscienza, c'è capacità di scienza. La scienza è la coscienza dei generi. Nella vita abbiamo a che fare con individui, nella scienza con generi. Ma solo un ente per cui è oggetto il suo proprio genere, la sua essenzialità, può rendersi oggetto altre cose o altri enti secondo la loro natura essenziale.

L'animale perciò ha soltanto una vita semplice, l'uomo una vita doppia: nell'animale la vita interiore è una cosa sola con quella esteriore – l'uomo ha una vita interiore e una esteriore. La vita interiore dell'uomo è la vita nella relazione con il suo genere, con la sua essenza. L'uomo pensa, cioè conversa, parla con se stesso. L'animale non può compiere nessuna funzione generica senza un altro individuo al di fuori di lui; l'uomo invece può compiere la funzione generica del pensare, del parlare – infatti pensare, parlare sono vere funzioni generiche autentiche – senza un altro. L'uomo è, nello stesso momento, per se stesso, Io e Tu; può porre se stesso al posto dell'altro, proprio per il fatto che gli sono oggetto il suo genere, la sua essenza e non solo la sua individualità.

L'essenza dell'uomo, a differenza dell'animale, non è soltanto il fondamento, bensì anche l'oggetto della religione. Ma la religione è la coscienza dell'infinito; essa allora è e non può essere nient'altro che la coscienza che l'uomo ha della sua essenza, e non, certamente, di una essenza finita, limitata, bensì infinita. Un ente veramente finito non ha più la lontana idea, e tanto meno la coscienza, di un'essenza infinita, poiché il limite dell'essenza è anche il limite della coscienza. La coscienza del bruco, la cui vita ed essenza è limitata a una determinata specie di piante, neppure si inoltra al di là di questo campo limitato; egli certo distingue questa pianta dalle altre piante, ma di più non sa. Una tale coscienza limitata, ma proprio per questa limitatezza, infallibile, sicura, noi neppure la chiamiamo coscienza, ma istinto. Coscienza, in senso stretto o proprio, e coscienza dell'infinito sono inseparabili; una coscienza limitata non è in alcun modo coscienza; la coscienza è essenzialmente di natura onnicomprensiva, infinita. La coscienza dell'infinito non è nient'altro che la coscienza dell'infinità della coscienza. Oppure: nella coscienza dell'infinito, a colui che ha coscienza è oggetto l'infinità della propria essenza.

Ma che cos'è, allora, l'essenza dell'uomo, della quale egli è cosciente, oppure che cosa costituisce il genere, la vera e propria umanità nell'uomo? La ragione, la volontà, il cuore. La forza del pensare, la forza del volere, la forza del cuore appartengono a un uomo compiuto. La forza del pensare è la luce della conoscenza, la forza della volontà è l'energia del carattere, la forza del cuore è l'amore.

Ragione, amore, forza di volontà sono perfezioni, sono le forze superiori, sono l'essenza assoluta dell'uomo in quanto uomo, e il fine del suo Esserci. L'uomo esiste per conoscere, per amare, per volere. Ma qual è il fine della ragione? La ragione. Dell'amore? L'amore. Della volontà? La libertà del volere. Noi conosciamo per conoscere, amiamo per amare, vogliamo per volere, cioè per essere liberi. Ente vero è un ente che pensa, che ama, che vuole. Vero, perfetto, divino è soltanto ciò che è per volere proprio. Ma così è l'amore, così la ragione, così la volontà.

La trinità divina nell'uomo, che sta oltre l'uomo individuale, è l'unità di ragione, amore, volontà. Ragione (forza d'immaginazione, fantasia, rappresentazione, opinione), volontà, amore o cuore non sono forze che l'uomo ha – infatti egli è nulla senza di esse, egli è ciò che è soltanto tramite loro –; esse sono, invece, gli elementi che fondano la sua essenza, essenza che egli non ha, né fa; sono le potenze che lo animano, determinano, dominano – potenze divine, assolute, alle quali non può opporre nessuna resistenza. [...]

Non possiamo provare nient'altro, senza provare noi stessi. E poiché volere, sentire, pensare sono perfezioni, essenzialità, realtà, è impossibile che noi sentiamo o percepiamo come una forza limitata, finita, cioè nulla, la ragione, il sentimento, la volontà, o che sentiamo e percepiamo la ragione con la sola ragione, il sentimento con il solo sentimento, la volontà con la sola volontà. [...] Ma è impossibile che noi prendiamo coscienza della volontà, del sentimento, della ragione come forze finite, poiché ogni perfezione, ogni forza e ogni essenzialità è l'immediata verifica e convalida di se stessa. Non si può amare, non si può volere, non si può pensare senza sentire queste attività come perfezioni; non si può percepire di essere un ente che ama, che vuole, che pensa senza sentirne un'infinita gioia. Coscienza è l'essere-oggetto-a-se-stesso di un ente; di conseguenza non è qualcosa di particolare, qualcosa di differente dall'ente che è cosciente di se stesso. Altrimenti come potrebbe essere cosciente di se stesso? Per questo è impossibile prendere coscienza di una perfezione come se fosse una imperfezione; impossibile sentire il sentimento come limitato; impossibile pensare il pensare come limitato.

Coscienza è conferma di sé, autoaffermazione, amor di sé, gioia della propria perfezione. Coscienza è il segno caratteristico di un ente perfetto. Coscienza si trova soltanto in un ente appagato, perfetto. Persino la vanità umana conferma questa verità. L'uomo si guarda nello specchio; si compiace del suo aspetto. Questo compiacersi è una conseguenza necessaria, involontaria della perfezione, della bellezza della sua forma. La bella forma è in sé paga, trova necessariamente gioia in sé, si rispecchia necessariamente in se stessa. Vanità è soltanto quando l'uomo si compiace della sua propria forma individuale, ma non quando ammira la forma umana. Egli deve ammirarla; egli non può rappresentarsi una forma più bella, più sublime di quella umana. Senza dubbio ogni ente ama se stesso, il suo Essere; e deve amarlo. L'Essere è un bene. Dice Bacon: «Tutto ciò che è degno di Essere, è anche degno di Sapere». Tutto ciò che è ha valore, è un ente che si distingue; perciò afferma e conferma se stesso. Ma la forma suprema dell'autoaffermazione, la forma che di per se stessa è un segno di eccellenza, una perfezione, una felicità, un bene, è la coscienza.

Ogni limitazione della ragione o dell'essenza dell'uomo in genere si basa su un inganno, su un errore. Certamente l'individuo umano può e addirittura deve sentire e conoscere se stesso come limitato – e in ciò consiste la sua differenza dall'animale. Può, però, prendere coscienza dei suoi limiti, della sua finitezza, soltanto perché la perfezione, l'infinità del genere gli è oggetto, indipendentemente dal fatto che sia oggetto del sentimento, o della coscienza morale, o della coscienza pensante. Se, tuttavia, fa dei suoi limiti i limiti del genere, ciò è dovuto all'inganno di sentirsi una cosa sola con il genere – un inganno che è intimamente connesso con l'indolenza, la pigrizia, la vanità e l'egoismo dell'individuo. Infatti, un limite che conosco come limite esclusivamente mio, mi umilia, mi fa provare vergogna, e mi rende inquieto. Perciò per liberarmi da questo senso di vergogna, da questa inquietudine, trasformo i limiti della mia individualità in limiti dell'essenza umana stessa. [...]

Così, da quando si è fatto del sentimento la cosa principale della religione, il contenuto di fede del cristianesimo, che una volta era così sacro, è diventato indifferente. E se ancora si attribuisce valore all'oggetto, anche dal punto di vista del sentimento, questo avviene solo grazie a quel sentimento che all'oggetto si lega forse solo per motivi accidentali; se un altro oggetto suscitasse gli stessi sentimenti sarebbe altrettanto benvenuto.

Ma l'oggetto del sentimento diventa appunto indifferente solo per il fatto che, una volta affermato che il sentimento è l'essenza soggettiva della religione, esso ne è, di fatto, anche l'essenza oggettiva, anche se non viene affermato, almeno direttamente, come tale. Dicevo direttamente, poiché senza alcun dubbio questo viene indirettamente confermato dal fatto che il sentimento è dichiarato in quanto tale come religioso, e così è superata la differenza tra sentimenti propriamente religiosi e sentimenti irreligiosi o almeno non religiosi.


Guida alla lettura


1) Qual è la differenza essenziale dell'uomo dall'animale?
La differenza essenziale tra l'uomo e l'animale, come indicato nel testo, è la coscienza. In particolare, si parla di una coscienza intesa in senso stretto, come la coscienza dell'infinito o dei generi. L'animale ha una forma di coscienza limitata all'individuo, mentre l'uomo è in grado di comprendere e percepire il proprio genere e la propria essenza, oltre a essere cosciente della sua finitezza e dei suoi limiti.

Se ci basiamo sul testo, possiamo aggiungere che l'uomo ha la capacità di ragionare, amare e volere, mentre l'animale vive principalmente una vita semplice, senza la dualità interiore ed esteriore dell'uomo.

L'analisi di questa differenza essenziale è fondamentale per comprendere il contesto filosofico e religioso trattato, in particolare riguardo alla natura della religione e della coscienza umana.

2) Qual è l'oggetto proprio della coscienza?
L'oggetto proprio della coscienza, secondo il testo, è l'infinità della propria essenza. La coscienza dell'infinito è la coscienza che l'uomo ha della sua essenza, non limitata o finita ma infinita. Questa idea è supportata dalla citazione: "La coscienza del bruco, la cui vita ed essenza è limitata a una determinata specie di piante, neppure si inoltra al di là di questo campo limitato; egli certo distingue questa pianta dalle altre piante, ma di più non sa." La coscienza dell'infinito è quindi quella che va oltre i limiti dell'individuo e si estende alla comprensione della propria essenza in termini infiniti.

3) Come nasce l'apertura al Tu nella vita interiore?
Nel testo, l'apertura al "Tu" nella vita interiore emerge attraverso la consapevolezza dell'essenza umana e della propria individualità. L'uomo, contrariamente all'animale, ha una vita interiore e una esteriore. Questa vita interiore è caratterizzata dalla relazione con il suo genere, la sua essenza. L'uomo pensa, parla con se stesso e può compiere funzioni generiche come il pensare e il parlare senza la necessità di un altro individuo esterno. Questo atteggiamento verso la propria essenza e il proprio genere apre la porta all'interiorità, all'auto-riflessione e alla consapevolezza di sé come un individuo in relazione con il mondo e con gli altri.

4) Qual è il contenuto dell'essenza umana?
Il contenuto dell'essenza umana comprende la ragione, la volontà e il cuore. Queste sono descritte come le forze superiori che costituiscono l'essenza assoluta dell'uomo in quanto uomo. La ragione è associata alla luce della conoscenza, la volontà all'energia del carattere e il cuore all'amore. Queste tre componenti sono considerate perfezioni e forze che animano, determinano e dominano l'essenza umana. Inoltre, si afferma che l'uomo esiste per conoscere, amare e volere, e che la trinità divina nell'uomo è l'unità di ragione, amore e volontà.

5) In che senso le facoltà sono fini in sé e oggetti a se stesse?
Le facoltà umane, come la ragione, l'amore e la volontà, sono considerate fini in sé e oggetti a sé stessi perché costituiscono l'essenza stessa dell'uomo. Secondo il testo, la ragione, l'amore e la volontà sono descritte come potenze divine, assolute, che fondano l'essenza dell'uomo. Esse non sono semplicemente delle capacità che l'uomo possiede, ma sono gli elementi che lo animano, determinano e dominano. In altre parole, queste facoltà non solo appartengono all'uomo ma lo definiscono profondamente. Pertanto, sono considerate fini in sé perché sono intrinsecamente legate alla natura umana e sono gli obiettivi stessi dell'esistenza umana: conoscere, amare e volere. Essendo fondamentali e costitutive per l'uomo, sono anche oggetti a sé stessi, poiché sono ciò su cui l'uomo riflette, agisce e si basa per definire la propria identità e scopo.

6) In quale rapporto si trova l'individuo con l'infinità del genere?
L'individuo si trova in un rapporto in cui la percezione della propria finitezza e dei propri limiti è correlata all'infinità del genere umano. Secondo il testo, l'individuo può prendere coscienza dei suoi limiti solo perché l'infinità del genere umano è oggetto della sua coscienza, indipendentemente dal fatto che questa coscienza sia rivolta al sentimento, alla coscienza morale o alla coscienza pensante. In altre parole, la consapevolezza dell'infinità del genere umano consente all'individuo di riconoscere i propri limiti e la propria finitezza. Tuttavia, il testo suggerisce che l'individuo può cadere nell'inganno di considerare i suoi limiti come i limiti stessi dell'essenza umana, trasformando così i limiti della sua individualità in limiti dell'essenza umana nel suo complesso.

7) Qual è il vero oggetto dell'amore di sé?
Il vero oggetto dell'amore di sé, secondo il testo fornito, è l'essenza stessa dell'uomo. L'individuo umano ama sé stesso in quanto rappresentante dell'essenza umana, delle forze superiori come la ragione, l'amore e la volontà. Questo amore di sé non si limita alla singola individualità, ma si estende alla percezione e all'apprezzamento delle perfezioni e delle potenze che costituiscono l'essenza umana.

8) Quali effetti derivano dalla proclamazione dell'infinità del sentimento?
La proclamazione dell'infinità del sentimento porta a diversi effetti, come descritto nel testo:

Indifferenza dell'oggetto del sentimento: Quando il sentimento viene considerato l'essenza soggettiva della religione, l'oggetto del sentimento diventa indifferente. Questo significa che l'importanza dell'oggetto stesso diventa meno rilevante, poiché il valore religioso è attribuito principalmente al sentimento stesso, piuttosto che all'oggetto che lo suscita.
Riduzione del contenuto di fede religiosa: La proclamazione dell'infinità del sentimento porta ad una riduzione del contenuto di fede religiosa. Ciò significa che ciò che una volta era considerato sacro nel cristianesimo diventa indifferente o meno importante. Il testo suggerisce che se l'oggetto del sentimento fosse diverso, suscitando gli stessi sentimenti, sarebbe altrettanto accettato.
Superamento della differenza tra sentimenti religiosi e non religiosi: La proclamazione dell'infinità del sentimento tende a superare la differenza tra sentimenti religiosi e non religiosi, o almeno a renderli meno distinti. Ciò implica che i sentimenti che sono considerati religiosi vengono equiparati a quelli che non lo sono, o che la differenza tra i due diventa meno significativa.

In sintesi, la proclamazione dell'infinità del sentimento tende a ridurre l'importanza dell'oggetto del sentimento stesso, portando a una diminuzione del contenuto di fede religiosa e al superamento della distinzione tra sentimenti religiosi e non religiosi.


Guida alla Comprensione


1) Perché, a giudizio di Feuerbach, si deve supporre che l'essenza umana sia infinita?
Secondo Feuerbach, si deve supporre che l'essenza umana sia infinita perché la coscienza dell'infinito è ciò che caratterizza l'essenza stessa dell'uomo. Feuerbach argomenta che la coscienza dell'infinito è la coscienza che l'uomo ha della propria essenza, e questa coscienza non si riferisce a un'essenza finita o limitata, ma piuttosto a un'essenza infinita. Egli sostiene che ogni ente che è oggetto a se stesso, che è cosciente di se stesso, ha in realtà come oggetto l'infinità della propria essenza. In altre parole, la coscienza dell'infinito è la coscienza dell'infinità della coscienza stessa.

Feuerbach spiega che ogni perfezione, ogni forza e ogni essenzialità è l'immediata verifica e convalida di se stessa. Pertanto, poiché il pensare, il sentire e il volere sono perfezioni, essenzialità e realtà, è impossibile per l'uomo percepire queste attività come limitate o finite. La coscienza è l'essere-oggetto-a-se-stesso di un ente, e non è qualcosa di separato dall'ente che è cosciente di se stesso.

Quindi, secondo Feuerbach, l'essenza umana deve essere considerata infinita perché la coscienza dell'infinito è intrinsecamente connessa alla natura stessa dell'uomo, e la coscienza è un segno caratteristico di un ente perfetto, che si trova soltanto in un ente appagato e perfetto.

2) Ricostruisci i passaggi attraverso cui l'uomo fa esperienza, nella vita interiore della coscienza, di ciò che apre la sua limitata individualità alle caratteristiche infinite del genere.
Nel testo, l'uomo fa esperienza della sua limitata individualità attraverso la consapevolezza dei suoi limiti, dei suoi confini personali. Questo senso di limitazione emerge quando l'individuo confronta la propria esistenza e capacità con quelle degli altri esseri umani o con ciò che percepisce come ideale o perfetto. Tuttavia, la coscienza dell'essere limitato è superata quando l'uomo si rende conto che la sua essenza non è soltanto quella individuale ma fa parte di un genere più ampio e infinito.

Questo passaggio avviene grazie alla consapevolezza della propria essenza, che include ragione, volontà e cuore. La ragione permette all'uomo di discernere la sua individualità e i suoi limiti, ma anche di comprendere che esiste un'essenza più ampia e infinita a cui appartiene. La volontà gli consente di agire in accordo con questa comprensione, aspirando a realizzare l'ideale rappresentato da questa essenza più vasta. Infine, il cuore, inteso come l'amore, gli permette di collegarsi emotivamente a questa realtà più ampia, aprendo così la sua limitata individualità alle caratteristiche infinite del genere umano.

In sintesi, l'uomo fa esperienza della sua limitata individualità tramite la consapevolezza dei suoi limiti ma supera questa limitazione attraverso la percezione e l'esperienza della sua essenza come parte di un genere umano più vasto e infinito.

3) Perché l'individuo prende i suoi limiti per limiti del genere?
L'individuo prende i suoi limiti per limiti del genere a causa di un inganno derivante dalla tendenza umana all'egoismo e alla vanità. Questo inganno è strettamente legato all'identificazione dell'individuo con il genere umano stesso. Feuerbach spiega che l'individuo umano, per liberarsi dal senso di vergogna e inquietudine derivante dal riconoscimento dei suoi limiti personali, tende a trasformare tali limiti in limiti dell'essenza umana in generale. Questo processo avviene perché, erroneamente, l'individuo si identifica con il genere umano e, di conseguenza, i suoi limiti diventano erroneamente considerati limiti intrinseci dell'intera umanità.

4) Perché il contenuto della fede cristiana, secondo Feuerbach, è diventato indifferente?
Secondo Feuerbach, il contenuto della fede cristiana è diventato indifferente perché si è fatto del sentimento la cosa principale della religione. Questo ha portato a un cambiamento nel valore attribuito all'oggetto della fede. Una volta che il sentimento è diventato l'essenza soggettiva della religione, l'oggetto della fede cristiana ha perso la sua centralità e sacralità. In altre parole, il valore dell'oggetto della fede dipende dal sentimento che vi è associato, e se un altro oggetto potesse suscitare gli stessi sentimenti, sarebbe altrettanto accettabile. Questo cambiamento è avvenuto perché il sentimento è stato considerato come l'essenza soggettiva e, indirettamente, anche l'essenza oggettiva della religione. Questo ha eliminato la distinzione tra sentimenti propriamente religiosi e sentimenti non religiosi o irreligiosi.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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