Niccolò Machiavelli - Le qualità del principe


Immagine Niccolò Machiavelli
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Dopo aver esaminato i vari tipi di principato e i diversi metodi per "acquistarli", Machiavelli si sofferma sui doveri del governante nei confronti dei suoi sudditi nei capitoli centrali de Il Principe. Questi capitoli sono celebri per la loro analisi delle tradizionali virtù cristiane, che Machiavelli confronta con la necessità per un principe "prudente" di poter utilizzare, se necessario, mezzi spietati e ingannevoli. Nel capitolo XVIII, Machiavelli usa la metafora del "centauro" per illustrare il comportamento che un principe deve adottare, a seconda delle circostanze, sia umano che animalesco, agendo come un leone o una volpe. Questo capitolo si conclude sostenendo che il fine della conquista e della preservazione dello Stato giustifica l'uso di mezzi che potrebbero essere considerati immorali dalla morale comune. Nel capitolo XXV, precedente all'epilogo che si rivolge ai Medici di Firenze, Machiavelli riflette sul ruolo della fortuna e della virtù nella vita umana. Questo tema, già affrontato nell'antichità e ripreso nel Rinascimento da pensatori come Leon Battista Alberti, viene utilizzato da Machiavelli per incoraggiare i Medici a cogliere le opportunità storiche favorevoli per intraprendere azioni politiche e militari.


Lettura


XVIII. Quanto sia laudabile in uno principe il mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende; nondimanco si vede per esperienza ne' nostri tempi quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto e che hanno saputo con l'astuzia aggirare e' cervelli delli uomini: e alla fine hanno superato quelli che si sono fondati in su la realtà.

Dovete adunque sapere come sono dua generazioni di combattere: l'uno, con le leggi; l'altro, con la forza. Quel primo è proprio dello uomo; quel secondo, delle bestie. Ma perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo: pertanto a uno principe è necessario sapere bene usare la bestia e lo uomo.

Questa parte è suta insegnata alli principi copertamente da li antichi scrittori, e' quali scrivono come Achille e molti altri di quelli principi antichi furno dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li custodissi. Il che non vuole dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia e mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura: e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione: perché el lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi: coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere.

E se li uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono: ma perché e' sono tristi e non la osserverebbono a te, tu etiam non l'hai a osservare a loro; né mai a uno principe mancorno cagioni legittime di colorire la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni e mostrare quante pace, quante promisse sono state fatte irrite e vane per la infidelità de' principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire14 ed essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare.

Io non voglio delli esempli freschi tacerne uno. Alessandro sesto non fece mai altro, non pensò mai ad altro che a ingannare uomini, e sempre trovò subietto da poterlo fare: e non fu mai uomo che avessi maggiore efficacia in asseverare, e con maggiori iuramenti affermassi una cosa, che la osservassi meno; nondimeno sempre gli succederno gl'inganni ad votum, perché conosceva bene questa parte del mondo.

A uno principe adunque non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualità, ma è bene necessario parere di averle; anzi ardirò di dire questo: che, avendole e osservandole sempre, sono dannose, e, parendo di averle, sono utili; come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, ed essere; ma stare in modo edificato con lo animo che, bisognando non essere, tu possa e sappia diventare il contrario. E hassi a intendere questo, che uno principe e massime uno principe nuovo non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono chiamati buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo Stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla religione. E però bisogna che egli abbia uno animo disposto a volgersi secondo che e' venti della fortuna e la variazione delle cose gli comandano; e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato.

Debbe adunque uno principe avere gran cura che non gli esca mai di bocca cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità; e paia, a udirlo e vederlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione: e non è cosa più necessaria a parere di avere, che questa ultima qualità. E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi: ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se'; e quelli pochi non ardiscono opporsi alla opinione di molti che abbino la maestà dello Stato che gli difenda; e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de' principi, dove non è iudizio a chi reclamare24, si guarda al fine.

Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo Stato: e' mezzi sempre fieno iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati; perché el vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa27: e nel mondo non è se non vulgo, e' pochi non ci hanno luogo quando gli assai hanno dove appoggiarsi. Alcuno principe de' presenti tempi, il quale non è bene nominare, non predica mai altro che pace e fede, e dell'una e dell'altra è inimicissimo: e l'una e l'altra, quando e' l'avessi osservata, gli arebbe più volte tolto e la riputazione e lo Stato. [...]

XXV. È non mi è incognito come molti hanno avuto e hanno opinione che le cose del mondo sieno in modo governate, da la fortuna e da Dio, che li uomini con la prudenza loro non possino correggerle, anzi non vi abbino remedio alcuno; e per questo potrebbono iudicare che non fussi da insudare molto nelle cose, ma lasciarsi governare alla sorte. Questa opinione è suta più creduta ne' nostri tempi per le variazione grande delle cose che si sono viste e veggonsi ogni dì, fuora di ogni umana coniettura.

A che pensando io qualche volta, mi sono in qualche parte inclinato nella opinione loro. Nondimanco, perché il nostro libero arbitrio non sia spento, iudico potere essere vero che la fortuna sia arbitra della metà delle azioni nostre, ma che etiam lei ne lasci governare l'altra metà, o presso, a noi.

E assimiglio quella a uno di questi fiumi rovinosi che, quando si adirano, allagano e' piani, rovinano li arbori e li edifizi, lievano da questa parte terreno, pongono da quella altra: ciascuno fugge loro dinanzi, ognuno cede all'impeto loro sanza potervi in alcuna parte ostare. E, benché sieno così fatti, non resta però che gli uomini, quando sono tempi queti, non vi potessino fare provedimento e con ripari e con argini: in modo che, crescendo poi, o eglino andrebbono per uno canale o l'impeto loro non sarebbe né sì dannoso né sì licenzioso. Similmente interviene della fortuna, la quale dimostra la sua potenza dove non è ordinata virtù a resisterle: e quivi volta e' sua impeti, dove la sa che non sono fatti gli argini né e' ripari a tenerla.

E se voi considerrete la Italia, che è la sedia di queste variazioni e quella che ha dato loro il moto, vedrete essere una campagna sanza argini e sanza alcuno riparo: che, s'ella fussi riparata da conveniente virtù, come è la Magna, la Spagna e la Francia, o questa piena non arebbe fatto le variazioni grande che la ha, o la non ci sarebbe venuta. E questo voglio basti aver detto, quanto allo opporsi alla fortuna, in universali.


Guida alla lettura


1) Spiega il significato della metafora del centauro Chirone, che compare all'inizio del primo brano.
La metafora del centauro Chirone, utilizzata da Machiavelli all'inizio del brano, rappresenta simbolicamente l'idea che un principe deve essere in grado di combinare e utilizzare efficacemente due nature diverse: quella umana e quella animalesca.

Chirone, nella mitologia greca, era un centauro che si distingueva dagli altri per la sua saggezza e la sua conoscenza. Machiavelli fa riferimento a Chirone per illustrare che un principe deve essere in grado di adottare entrambe le "naturi" umane e animali a seconda delle circostanze. Questo significa che il principe deve essere capace di essere gentile e umano quando la situazione lo richiede, anche feroce e spietato se necessario per garantire la sua sicurezza e la stabilità del suo stato.

In sostanza, la metafora del centauro Chirone indica che un principe deve essere un "ibrido" tra l'uomo e l'animale, capace di adattarsi e agire in modo appropriato in base alle esigenze del momento.

2) Quali qualità incarnano, rispettivamente, la volpe e il leone?
Nel contesto de "Il Principe" di Machiavelli, la volpe e il leone rappresentano due aspetti del comportamento che un principe deve adottare per mantenere il potere e governare efficacemente:

La Volpe: Rappresenta l'astuzia e la capacità di adattarsi alle circostanze mutevoli. Il principe deve essere in grado di agire con furbizia, utilizzando la diplomazia, la manipolazione e la capacità strategica per raggiungere i suoi obiettivi.
Il Leone: Simboleggia la forza e la fermezza. Il principe deve anche essere capace di mostrare determinazione e autorità, e talvolta essere spietato nel perseguire i suoi interessi e nel reprimere eventuali minacce al suo potere.

Quindi, mentre la volpe rappresenta l'abilità politica e l'ingegnosità, il leone incarna la forza e la risolutezza. Un principe efficace deve essere in grado di bilanciare queste due qualità secondo le necessità della situazione.

3) Quale personaggio è portato a esempio per la sua capacità di simulare e dissimulare?
Nel testo, Machiavelli porta ad esempio Alessandro VI (Alessandro sesto), il papa della famiglia Borgia. Machiavelli descrive come Alessandro VI fosse abile nel manipolare e ingannare gli altri, riuscendo sempre a trovare persone disposte a essere ingannate. Anche se faceva promesse e giuramenti, tendeva a non mantenerli, ma nonostante ciò riusciva comunque a trarre vantaggio dalle sue azioni ingannevoli.

4) Che cosa intende Machiavelli per «fortuna»?
Per Machiavelli, il concetto di "fortuna" si riferisce alla forza imprevedibile e indipendente che influenza gli eventi umani. È una forza che agisce al di là del controllo umano e che può determinare il successo o il fallimento di un individuo o di un governo. Machiavelli considera la fortuna come un elemento importante nella politica e nella vita in generale, e riconosce che essa può influenzare profondamente gli esiti delle azioni umane, anche quando queste sono guidate dalla prudenza e dalla virtù.


Guida alla Comprensione


1) A Machiavelli viene correntemente attribuita la tesi che il fine giustifica i mezzi. È un'interpretazione che si può sottoscrivere incondizionatamente? Si può dire che per lui tutti i fini si equivalgono?
Machiavelli è spesso associato all'idea che "il fine giustifica i mezzi", ma è importante considerare che questa interpretazione può essere troppo semplificata. Machiavelli non suggerisce che tutti i mezzi sono giustificati per raggiungere un fine, ma piuttosto che un principe deve essere disposto a utilizzare tutti i mezzi necessari per garantire il mantenimento del suo potere e dello Stato. Tuttavia, egli non nega l'importanza della moralità, ma piuttosto afferma che il principe deve essere pragmatico e flessibile nelle sue azioni politiche.

Inoltre, Machiavelli non sostiene che tutti i fini si equivalgano. Egli crede che il fine supremo di un principe debba essere il bene dello Stato e la sua stabilità, ciò non implica che tutti gli obiettivi siano ugualmente validi. Al contrario, Machiavelli esorta il principe a considerare attentamente i suoi obiettivi e ad agire in modo strategico per raggiungerli, anche se ciò comporta l'uso di mezzi considerati immorali o discutibili.

In breve, mentre Machiavelli valorizza l'efficacia politica e la stabilità dello Stato, non sostiene un moral relativism incondizionato o l'idea che tutti i fini si equivalgano. La sua filosofia politica è incentrata sulla realpolitik e sulla necessità di adattarsi alle circostanze politiche e sociali del momento per mantenere il potere e il controllo.

2) Quale concezione dell'uomo, e in particolare dell'uomo del popolo, emerge dal primo brano? Rappresenta l'ultima parola di Machiavelli in proposito? Rispondi utilizzando anche le informazioni contenute nella parte manualistica.
Nel primo brano emergono diverse concezioni dell'uomo, in particolare dell'uomo del popolo, secondo Machiavelli. Emerge un'immagine degli uomini come esseri che possono essere influenzati dalla forza e dall'astuzia del principe. Machiavelli suggerisce che, se necessario, il principe deve essere capace di utilizzare mezzi spietati e fraudolenti per mantenere e proteggere il suo Stato. Questo suggerisce una visione dell'uomo come suscettibile alle influenze esterne e agli interessi personali, piuttosto che guidato da principi morali assoluti.

Nel contesto del manuale, Machiavelli offre consigli pratici su come un principe dovrebbe comportarsi per mantenere e rafforzare il suo potere. Questi consigli riflettono una visione realistica e cinica della natura umana e delle dinamiche del potere politico. Machiavelli non vede l'uomo come un essere intrinsecamente buono o altruista, piuttosto come motivato dal proprio interesse e dalla ricerca del potere. Pertanto, l'idea di utilizzare la forza e l'astuzia per manipolare e influenzare gli altri si inserisce in questa visione più ampia dell'uomo e del suo comportamento politico.

Quanto all'ultima parola di Machiavelli su questo argomento, potrebbe essere difficile determinarlo con certezza, poiché le sue opere sono ricche di sfumature e possono essere interpretate in modi diversi. Tuttavia, nel "Principe" emerge chiaramente la sua convinzione che il fine giustifichi i mezzi, una visione che ha suscitato ampio dibattito e controversie nel corso dei secoli.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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