Peter Singer - La sofferenza degli animali non umani


Immagine Peter Singer
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel 1975, il filosofo australiano Peter Singer pubblicò il libro "Liberazione animale", mirando a contribuire alla cessazione dell'ingiustizia umana verso gli animali. Quest'opera scatenò un vivace dibattito che perdurò nel tempo: emerse la questione di considerare gli animali come soggetti morali, dignitosi di doveri diretti da parte degli esseri umani. Singer aderì alla prospettiva utilitarista introdotta da Bentham, che promuoveva l'evitare di infliggere sofferenza a tutti gli esseri senzienti, inclusi gli animali non umani. Nel passo in esame, Singer contestò lo "specismo", ovvero l'atteggiamento che enfatizza la superiorità umana discriminando le altre specie. Egli sostenne che gli animali provano dolore e che la loro sofferenza debba essere considerata alla stessa stregua di quella umana. Singer argomentò inoltre che se attribuiamo maggior valore alla sofferenza di esseri con autocoscienza, capaci di emozioni complesse come la paura anticipata, dovremmo estendere tale considerazione anche agli animali che dimostrano tali capacità, equiparandoli a soggetti con un livello di consapevolezza superiore a quello di un neonato.


Lettura


Se un essere soffre, non può esistere nessuna giustificazione morale per rifiutarsi di prendere in considerazione tale sofferenza. Quale che sia la natura dell'essere, il principio di eguaglianza richiede che la sua sofferenza venga valutata quanto l'analoga sofferenza – fin tanto che comparazioni approssimative possono essere fatte – di ogni altro essere. Se un essere non è capace di soffrire, o di provare piacere o felicità, non vi è nulla da prendere in considerazione. È questa la ragione per cui il limite della sensibilità (impiegando questo termine come una conveniente, pur se non pienamente accurata, abbreviazione per «capacità di soffrire e/o provare piacere») costituisce l'unico confine plausibile per la considerazione degli interessi altrui. Tracciare questo confine tramite caratteristiche come l'intelligenza o la razionalità significherebbe agire in modo arbitrario. Perché non scegliere allora il colore della pelle?

Il razzista viola il principio di eguaglianza attribuendo maggior peso agli interessi dei membri della sua razza qualora si verifichi un conflitto tra gli interessi di questi ultimi e quelli dei membri di un'altra razza. Il sessista viola il principio di eguaglianza favorendo gli interessi del proprio sesso. Analogamente lo specista permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi superiori dei membri di altre specie. Lo schema è lo stesso in ciascun caso. [...]

Gli animali non umani provano dolore? Come possiamo saperlo? Ebbene, come sappiamo di chiunque, umano o non umano, se prova dolore? Noi siamo consapevoli dei fatto che noi stessi possiamo provare dolore. Lo sappiamo per la diretta esperienza del dolore che abbiamo quando, per esempio, qualcuno preme una sigaretta accesa contro il dorso della nostra mano. Ma come sappiamo che chiunque altro provi dolore? Noi non possiamo sperimentare direttamente il dolore di nessun altro, che si tratti del nostro migliore amico o di un cane randagio. Il dolore è uno stato di coscienza, un «evento mentale» e in quanto tale non può in nessun modo venire osservato. I dati del comportamento, come il contorcersi, il gridare o l'allontanare la mano dalla sigaretta accesa, non sono il dolore in se stesso; né le registrazioni che un neurologo potrebbe compiere dell'attività interna al cervello sono osservazioni del dolore in sé. Il dolore è qualcosa che sentiamo, e possiamo soltanto inferire che altri lo sentano da varie indicazioni esterne.

In teoria, potremmo sempre sbagliarci quando supponiamo che gli altri esseri umani provino dolore. È concepibile che uno dei nostri più cari amici sia in realtà un robot abilmente costruito, manovrato da un brillante scienziato in modo tale da manifestare tutti i segni del dolore, ma in realtà non più sensibile di qualsiasi altra macchina. [...]

Se è giustificabile supporre che gli altri esseri umani provino dolore come noi, c'è qualche ragione per cui una simile inferenza debba essere ingiustificabile nel caso degli altri animali? Quasi ogni segno esterno che ci induce a inferire la presenza di dolore negli altri umani si può osservare in altre specie, soprattutto in quelle più vicine a noi – tutte le specie di mammiferi e di uccelli. Gli indici comportamentali includono contorcimenti, smorfie, gemiti, guaiti o altre forme di lamento, tentativi di sottrarsi alla fonte del dolore, manifestazioni di paura di fronte alla possibilità che si ripresenti, e così via. Inoltre, noi sappiamo che questi animali hanno un sistema nervoso molto simile al nostro, che dal punto di vista fisiologico fornisce risposte analoghe quando l'animale si trova in circostanze in cui noi proveremmo dolore: un iniziale aumento della pressione sanguigna, dilatazione delle pupille, traspirazione, aumento delle pulsazioni e, se lo stimolo continua, abbassamento della pressione sanguigna. [...]

In Gran Bretagna, tre diverse commissioni governative che si sono occupate di questioni riguardanti gli animali hanno accettato la conclusione che gli animali provano dolore. Dopo aver posto l'accento sulle evidenti riprove comportamentali di tale tesi, i membri della Commissione sulla crudeltà verso gli animali selvatici, istituita nel 1951, dichiararono:

noi crediamo che l'evidenza fisiologica, e ancor più quella anatomica, giustifichino pienamente e rafforzino l'opinione comune che gli animali provano dolore.

Il rapporto della commissione concludeva inoltre l'esame del valore evolutivo del dolore ribadendone l'«evidente utilità biologica», e affermando che ciò costituisce «un terzo tipo di prova del fatto che gli animali sentono dolore». I membri della commissione passavano poi a considerare forme di sofferenza diverse dal dolore puramente fisico, e aggiungevano di essere «convinti che gli animali avvertano paura e terrore intensi». [...]

Si potrebbe ben ritenere tutto ciò sufficiente a chiudere la questione; ma è necessario considerare ancora un'obiezione. Gli esseri umani che soffrono, dopo tutto, dispongono di almeno un segnale comportamentale di cui gli animali non umani sono privi: un linguaggio sviluppato. Gli altri animali possono comunicare fra loro, ma non, a quanto sembra, nel modo complesso in cui lo facciamo noi. Alcuni filosofi, tra cui Cartesio, hanno attribuito grande importanza al fatto che, mentre gli umani possono descrivere in notevole dettaglio la propria esperienza del dolore, gli altri animali non siano in grado di farlo. [...]

Ma, come Bentham mise in evidenza molto tempo fa, l'abilità linguistica non ha rilevanza per il problema di come un essere debba venire trattato – a meno che tale abilità non possa essere connessa alla capacità di soffrire, in modo che la sua assenza getti dubbi sull'esistenza di quest'ultima. [...]. Come ha evidenziato Jane Goodall nel suo lavoro sugli scimpanzé, L'ombra dell'uomo, quando si tratta di esprimere sensazioni ed emozioni il linguaggio è meno importante di modi non linguistici di comunicazione quali un incoraggiante colpetto sulla schiena, calorosi abbracci, strette di mano e così via. I segnali fondamentali che noi usiamo per comunicare dolore, paura, rabbia, amore, gioia, sorpresa, eccitazione sessuale e molti altri stati emotivi non sono caratteristici della nostra specie. L'affermazione «io soffro» può essere una tra le prove a sostegno della conclusione che chi parla stia soffrendo, ma non è la sola prova possibile e, poiché accade che la gente menta, neppure la migliore.

Ma anche se ci fossero ragioni più valide per rifiutarsi di attribuire il dolore a chi non possiede un linguaggio, le conseguenze di tale rifiuto potrebbero indurci a respingere tale conclusione. I neonati umani e i bambini piccoli non sanno parlare. Negheremmo forse che un bambino di un anno possa soffrire? Se la risposta è no, il linguaggio non può essere decisivo. Certo, la maggior parte dei genitori comprende le reazioni dei propri figli meglio di quanto non comprenda le reazioni degli altri animali; ma questo non è che un dato riguardante la conoscenza relativamente superiore che abbiamo della nostra specie e il maggiore contatto che abbiamo con i bambini rispetto a quanto accade per gli animali. Chi ha studiato il comportamento dei membri di altre specie e chi ha degli animali come compagni presto impara a decifrarne le reazioni con una sicurezza pari a quella con cui noi decifriamo le reazioni di un neonato, e talvolta anche superiore.

Per concludere, dunque: non vi sono buone ragioni, scientifiche o filosofiche, per negare che gli animali provino dolore. Se non dubitiamo che gli altri umani provino dolore, non dobbiamo neppure dubitare che ciò valga anche per gli altri animali. Gli animali sono capaci di provare dolore. Come abbiamo già visto, non può esistere giustificazione morale per considerare il dolore (o il piacere) che provano gli animali meno importante della stessa quantità di dolore (o di piacere) provata da umani. Ma quali conseguenze pratiche derivano da tale conclusione? Per evitare malintesi spiegherò un po' più a fondo ciò che voglio dire.

Se si colpisce energicamente un cavallo sulla groppa con la mano distesa, il cavallo forse si avvierà, ma presumibilmente avvertirà poco dolore. La sua pelle è abbastanza spessa da proteggerlo da un semplice schiaffo. Se si schiaffeggia nello stesso modo un bambino, però, il bambino piangerà e presumibilmente sentirà dolore, perché la sua pelle è più sensibile. Così, è più grave dare uno schiaffo a un bambino che a un cavallo, se lo schiaffo è dato con la stessa forza. Ma esisterà qualche tipo di colpo – non so esattamente quale, forse un colpo con un pesante bastone – in grado di causare al cavallo tanto dolore quanto se ne causa ad un bambino schiaffeggiandolo con la mano. Questo è ciò che intendo per «la stessa quantità di dolore», e se consideriamo sbagliato infliggere una certa quantità di dolore ad un bambino senza buone ragioni, dobbiamo, a meno che non siamo specisti, considerare altrettanto sbagliato infliggere la stessa quantità di dolore ad un cavallo senza buone ragioni.

Vi sono tra umani e animali altre differenze che danno luogo ad ulteriori complicazioni. Gli esseri umani adulti normali hanno capacità mentali che, in determinate circostanze, fanno sì che essi soffrano più di quanto soffrirebbero gli animali nelle medesime circostanze. Se decidessimo per esempio di compiere esperimenti scientifici estremamente dolorosi o letali su adulti umani normali, rapiti a caso a questo scopo nei parchi pubblici, ogni adulto che entrasse in un parco sarebbe assalito dalla paura di essere rapito.

Il terrore che ne seguirebbe sarebbe una forma di sofferenza addizionale rispetto al dolore dell'esperimento. Gli stessi esperimenti eseguiti su animali non umani causerebbero meno sofferenza, dato che gli animali non proverebbero in anticipo il terrore di essere rapiti ed utilizzati per gli esperimenti. Questo non significa naturalmente che sarebbe giusto condurre l'esperimento sugli animali, ma soltanto che esiste una ragione non specista per preferire l'uso di animali a quello di adulti umani normali, qualora l'esperimento debba essere fatto.

Va comunque osservato che questo stesso argomento ci fornisce una ragione per preferire l'uso di infanti umani – orfani forse – o di esseri umani gravemente ritardati all'uso di adulti, dato che neppure gli infanti e i ritardati avrebbero alcuna idea di ciò che potrebbe succedere loro. Per quel che riguarda questo argomento, gli animali non umani, e gli infanti e i ritardati umani, rientrano nella stessa categoria; e se lo usiamo per giustificare esperimenti su animali non umani dobbiamo chiederci se siamo anche disposti ad ammettere esperimenti su infanti e ritardati umani; e se facciamo una distinzione fra gli animali e questi umani, quale può esserne la base, se non una sfacciata – e moralmente indifendibile – preferenza per i membri della nostra stessa specie?


Guida alla lettura


1) Che cos'è la capacità di soffrire di un essere vivente?
Secondo il testo, la capacità di soffrire di un essere vivente è definita come la capacità di provare dolore e disagio fisico o emotivo. Peter Singer sostiene che questa capacità non è limitata agli esseri umani ma si estende anche agli animali non umani. Egli argomenta che, poiché gli animali manifestano segni comportamentali e fisiologici simili a quelli umani quando esposti a stimoli dolorosi, è ragionevole concludere che essi provano dolore in modo simile agli esseri umani. Questa capacità di soffrire è cruciale per determinare come dovremmo trattare gli animali rispetto agli interessi umani, senza discriminazioni basate sulla specie (specismo).

2) Che cosa si intende per «limite della sensibilità»?
Nel contesto del testo, il "limite della sensibilità" si riferisce alla capacità di provare dolore e/o piacere, o più precisamente alla "capacità di soffrire e/o provare piacere". Questo concetto indica il confine oltre il quale è appropriato considerare gli interessi morali degli esseri senzienti, includendo sia gli esseri umani che gli animali non umani. Peter Singer sostiene che questo limite è il criterio plausibile per considerare gli interessi altrui, poiché caratteristiche come l'intelligenza o la razionalità sarebbero criteri arbitrari per tracciare tale confine.

3) Definisci il significato di «specismo», paragonandolo con gli analoghi «sessismo» e «razzismo».
Nel contesto del testo, il termine "specismo" si riferisce all'atteggiamento di attribuire superiorità morale agli esseri umani rispetto agli animali, giustificando così la discriminazione nei confronti delle altre specie. Questo concetto è paragonabile al "sessismo", dove si attribuisce maggior valore agli interessi del proprio sesso rispetto agli altri sessi, e al "razzismo", dove si dà maggior peso agli interessi della propria razza rispetto alle altre razze.

Secondo Peter Singer, autore del testo citato, lo specismo si manifesta nel privilegiare gli interessi degli esseri umani solo sulla base della loro appartenenza alla specie umana, ignorando la capacità di sofferenza e di provare piacere degli animali non umani. Questo parallelo con sessismo e razzismo aiuta a comprendere come Singer applichi principi di uguaglianza morale anche agli animali, criticando la discriminazione basata sulla specie come arbitraria e moralmente ingiustificata.

4) Da che cosa intuiamo che un essere vivente diverso da noi prova dolore? Secondo il testo, intuiamo che un essere vivente diverso da noi prova dolore principalmente attraverso indicazioni comportamentali e fisiologiche simili a quelle che noi stessi mostriamo quando proviamo dolore. Queste indicazioni includono contorcimenti, gemiti, tentativi di allontanarsi dalla fonte di dolore, e risposte fisiologiche come l'aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca. Inoltre, il testo menziona che diverse commissioni governative hanno accettato la conclusione che gli animali provano dolore sulla base di evidenze comportamentali e fisiologiche.

5) Che cosa dovremmo supporre per dubitare che qualcuno che si lamenta come noi provi dolore?
Secondo il testo, Peter Singer discute del problema di come possiamo essere sicuri che altri esseri, umani o non umani, provino dolore. Egli argomenta che, se non possiamo sperimentare direttamente il dolore degli altri, dobbiamo inferirlo da segni esterni e comportamentali. Singer sottolinea che il linguaggio sviluppato non è un requisito fondamentale per la capacità di provare dolore. Anche se gli animali non umani non possono esprimere il loro dolore attraverso un linguaggio complesso come gli esseri umani, mostrano segni comportamentali simili a quelli che noi interpretiamo come segnali di sofferenza, come contorcimenti, gemiti, e tentativi di sottrarsi alla fonte del dolore.

Quindi, per rispondere alla domanda, secondo Singer e il testo, non dovremmo necessariamente supporre che un individuo debba essere in grado di descrivere il proprio dolore dettagliatamente con il linguaggio per poter essere considerato in grado di provare dolore. I segni esterni e comportamentali che indicano sofferenza possono essere sufficienti per inferire che qualcuno o qualcosa provi dolore, indipendentemente dalla capacità di esprimere verbalmente questa esperienza.

6) In che cosa consiste l'obiezione della mancanza del linguaggio articolato negli animali?
L'obiezione della mancanza del linguaggio articolato negli animali, come evidenziato nel testo, sostiene che gli esseri umani hanno la capacità di descrivere dettagliatamente la propria esperienza del dolore grazie al linguaggio sviluppato, mentre gli animali non umani non possiedono questa capacità. Tuttavia, Peter Singer, come discusso nel testo, argomenta che l'assenza di linguaggio articolato negli animali non è rilevante per determinare se essi provano dolore. Egli suggerisce che i segnali non linguistici di dolore negli animali, come i comportamenti di contorsione, gemiti e tentativi di allontanarsi dal dolore, sono sufficienti indicazioni della loro capacità di provare sofferenza. Singer rifiuta quindi l'idea che la mancanza di linguaggio articolato negli animali giustifichi il trattamento moralemente differente rispetto agli esseri umani per quanto riguarda la considerazione del dolore.

7) Che cosa intende Singer per quantità di dolore inflitta a un essere sensibile? Come potrà essere calcolata?
Secondo Singer, la quantità di dolore inflitta a un essere sensibile deve essere considerata sulla base della capacità di provare sofferenza dell'individuo, indipendentemente dalla sua specie. Egli suggerisce che il principio di eguaglianza implica che non ci sia giustificazione morale per infliggere dolore a un essere sensibile senza buone ragioni. Questo concetto si applica sia agli esseri umani che agli animali e implica che il dolore dovrebbe essere valutato in termini di intensità e durata, piuttosto che sulla base di caratteristiche arbitrarie come l'intelligenza o la razionalità.

La quantità di dolore può essere calcolata in relazione alla reazione dell'individuo al danno fisico o psicologico inflitto, valutando la gravità delle lesioni, il livello di stress o terrore causato, e altri segni di disagio misurabili. Singer fa riferimento a esempi di situazioni in cui lo stesso grado di danno (ad esempio uno schiaffo) può essere più o meno dannoso a seconda della sensibilità e della capacità di provare dolore dell'individuo coinvolto, indipendentemente dalla sua specie.

8) Che cos'è l'autocoscienza e quali tipi diversi di sofferenza produce?
Nel contesto del testo da Peter Singer, l'autocoscienza si riferisce alla capacità di essere consapevoli di sé stessi come individui distinti, con una continuità nel tempo e una comprensione della propria esistenza e delle proprie esperienze. Questa capacità implica non solo la consapevolezza del proprio corpo e delle proprie azioni ma anche la capacità di riflettere sulle proprie emozioni, stati mentali e esperienze passate e future.

Quanto alla sofferenza, il testo suggerisce diversi tipi di sofferenza che possono essere sperimentati dagli esseri senzienti, inclusi gli animali non umani. Questi includono non solo il dolore fisico immediato ma anche emozioni più complesse come la paura anticipatoria e altri stati emotivi correlati. Singer sostiene che queste forme di sofferenza devono essere considerate con la stessa gravità di quelle sperimentate dagli esseri umani, poiché derivano dalla capacità di autocoscienza e sensibilità degli individui.

Questa risposta si basa direttamente sulle argomentazioni e le posizioni esposte nel testo di Peter Singer riguardo alla considerazione morale degli animali e alla loro capacità di provare dolore e altre forme di sofferenza.


Guida alla Comprensione


1) Come dovrebbe agire, secondo Singer, il principio di eguaglianza nella considerazione della sofferenza degli animali?
Secondo Singer, il principio di eguaglianza richiede che la sofferenza degli animali non umani sia considerata alla pari di quella degli esseri umani. Egli sostiene che se un essere è capace di provare dolore, non vi è giustificazione morale per ignorare o minimizzare tale sofferenza. Questo principio si basa sulla capacità di sentire dolore e piacere, definita come sensibilità che è il confine plausibile per la considerazione degli interessi altrui. Tracciare questo confine basandosi su caratteristiche come l'intelligenza o la razionalità, secondo Singer, sarebbe arbitrario e equiparabile a discriminazioni ingiustificate, come il razzismo o il sessismo.

2) Perché è importante stabilire che gli animali soffrono? Perché possiamo esserne certi?
Secondo il testo, è importante stabilire che gli animali provano dolore perché ciò ha implicazioni morali significative nel trattamento degli animali stessi. Peter Singer argomenta che se riconosciamo che gli esseri umani provano dolore e che questo fa sì che debbano essere trattati con rispetto e considerazione, dovremmo applicare lo stesso principio agli animali non umani. Il riconoscimento del dolore negli animali porta quindi a considerarli soggetti morali, dotati di interessi che meritano protezione.

Il testo spiega che possiamo essere certi del fatto che gli animali provano dolore attraverso diverse indicazioni. Mentre non possiamo sperimentare direttamente il dolore degli altri esseri, gli animali manifestano segnali comportamentali simili a quelli umani quando sono in situazioni dolorose, come contorcersi, gridare, e cercare di allontanarsi dalla fonte del dolore. Inoltre, studi fisiologici mostrano che gli animali hanno sistemi nervosi simili ai nostri, che reagiscono in modi analoghi alle nostre reazioni fisiologiche di fronte al dolore. Anche commissioni scientifiche hanno concluso che gli animali provano dolore, basandosi su prove fisiologiche e comportamentali.

In sintesi, è importante stabilire che gli animali soffrono perché questo ci obbliga moralmente a trattarli con rispetto e a considerare i loro interessi nel nostro comportamento. Possiamo essere certi di ciò perché le prove comportamentali e fisiologiche indicano chiaramente che gli animali non umani hanno esperienze soggettive di dolore simili alle nostre.

3) Spiega in che modo Singer argomenta per dimostrare l'irrilevanza del linguaggio verbale nella manifestazione del dolore umano. Perché questo dovrebbe spingerci a una considerazione egualitaria della sofferenza degli esseri sensibili, senza distinzione di specie?
Peter Singer argomenta che l'abilità linguistica umana non dovrebbe essere considerata rilevante nel determinare come dovremmo trattare gli esseri sensibili, inclusi gli animali. Egli sostiene che il linguaggio non è cruciale per la valutazione della capacità di provare dolore o di altri stati emotivi come la paura, la gioia o l'amore. Nel testo, Singer cita il lavoro di Jane Goodall sugli scimpanzé per evidenziare che esistono modi non linguistici di comunicazione che sono altrettanto efficaci nel trasmettere emozioni e sensazioni. Gesti come un colpetto sulla schiena, un abbraccio o altre forme di espressione non verbale possono trasmettere significati profondi, anche senza l'uso del linguaggio umano.

Questo argomento di Singer è cruciale nel promuovere una considerazione egualitaria della sofferenza degli esseri sensibili. Egli sostiene che se riconosciamo che gli esseri umani possono provare dolore e meritano considerazione morale in base a questo, non vi sono ragioni valide per negare lo stesso riconoscimento agli animali. Poiché molti segni esterni che indicano la presenza di dolore possono essere osservati anche negli animali (come contorcimenti, gemiti, tentativi di sottrarsi alla fonte del dolore, etc.), e considerando che essi hanno sistemi nervosi simili a quelli umani che rispondono in modo analogo in situazioni di dolore, Singer conclude che gli animali non umani hanno la capacità di provare dolore in modo significativo.

Di conseguenza, se accettiamo che il linguaggio non è un prerequisito essenziale per la capacità di provare dolore e altre emozioni intense, dovremmo trattare la sofferenza degli animali con la stessa serietà e considerazione morale con cui trattiamo la sofferenza umana. Questo approccio senza distinzione di specie è fondato sul principio di eguaglianza morale di Singer, secondo cui il criterio rilevante per la considerazione degli interessi altrui dovrebbe essere la capacità di provare piacere o dolore, piuttosto che caratteristiche come l'intelligenza o il linguaggio.

4) L'argomentazione di Singer sulla parità tra le specie ruota intorno all'idea che il dolore abbia lo stesso significato per ogni essere che ne sia cosciente. Perché è invece possibile, a suo parere, introdurre una differenza tra esseri che non hanno lo stesso livello di coscienza?
Secondo Singer, è possibile introdurre una differenza tra esseri che non hanno lo stesso livello di coscienza perché il principio guida non è basato su caratteristiche come l'intelligenza o la razionalità che potrebbero essere soggettive o arbitrarie. Invece, Singer utilizza il concetto di "sensibilità" come criterio fondamentale, che include la capacità di provare dolore e piacere. Questa sensibilità è vista come il confine plausibile per la considerazione degli interessi altrui. Singer argomenta che se un essere è capace di provare dolore, allora è moralmente rilevante considerare la sua sofferenza, indipendentemente dalla specie di appartenenza. Tuttavia, se un essere non è in grado di provare alcuna forma di sensibilità (come nel caso di alcune forme di vita o macchine), allora non vi è ragione morale per prendere in considerazione i suoi interessi.

Questa distinzione si basa sulla capacità di soffrire e provare piacere come criterio fondamentale, anziché su attributi che potrebbero variare significativamente tra le specie.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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