Tommaso d'Aquino - Beatitudine perfetta e imperfetta


Immagine Tommaso d'Aquino
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Secondo Tommaso d'Aquino, ogni essere ha una tendenza innata verso il fine per cui è stato creato da Dio. Aristotele aveva già individuato la felicità come scopo supremo dell'umanità, in quanto risulta intimamente connessa con la natura razionale dell'essere umano. Questa felicità consiste nel pieno sviluppo dell'intelletto; poiché l'intelletto può essere diviso in due parti, una pratica (orientata all'azione) e una speculativa (orientata alla conoscenza), e dato che l'attività speculativa è considerata più nobile di quella pratica, si può dedurre che la felicità consista nell'attività delle scienze speculative.

Tuttavia, Tommaso non concorda con Aristotele sul fatto che questo sia il culmine della felicità umana. Egli sostiene che, durante questa vita, attraverso lo studio delle scienze speculative, legato comunque all'esperienza sensibile, l'uomo può giungere solo a una conoscenza dell'esistenza di Dio, l'origine di ogni cosa. Questo raggiungimento costituisce una forma di "beatitudine imperfetta". La vera "beatitudine perfetta", invece, consiste nella visione diretta dell'essenza di Dio, una possibilità riservata solo ai salvati nell'aldilà, grazie alla "luce della gloria" con la quale Dio perfeziona l'intelletto.

Tommaso esprime questi concetti nelle sue risposte ai due articoli della questione 3, parte I-II della Somma Teologica, così come nell'articolo 5 della questione 12 della parte I, dove affronta in maniera sintetica questa tematica.


Lettura


Se la beatitudine consista nell'esercizio delle scienze speculative

Rispondo: Abbiamo già detto che la felicità dell'uomo è di due specie: perfetta e imperfetta. Per beatitudine perfetta si deve intendere quella che esaurisce la vera nozione di felicità; la beatitudine imperfetta quella che non la esaurisce, ma solo partecipa un aspetto particolare di essa [...].

Per tale motivo la felicità non può consistere essenzialmente nell'esercizio delle scienze speculative. E per averne la dimostrazione si deve considerare che l'esercizio di una scienza speculativa non si estende oltre la virtualità dei suoi principi: poiché una scienza è contenuta tutta virtualmente nei suoi principi. Ma i primi principi delle scienze speculative sono appresi mediante i sensi, come Aristotele dimostra. Dunque l'esercizio delle scienze speculative può estendersi solo entro quei limiti che si possono raggiungere con la conoscenza delle cose sensibili.

Ora, l'ultima beatitudine dell'uomo, che è poi la sua perfezione suprema, non può consistere nella conoscenza delle cose sensibili. Niente infatti può essere perfezionamento da una realtà inferiore, se non in quanto quest'ultima partecipa di una realtà superiore. Ora, è evidente che l'idea della pietra, o di qualsiasi altra cosa sensibile, è inferiore all'uomo. Perciò l'intelletto non acquista perfezione alcuna dall'idea della pietra come tale, ma in quanto in essa c'è una partecipazione di qualche cosa che è al di sopra dell'intelletto umano, e cioè la luce intellettuale, o altre cose del genere.

E siccome ciò che è per partecipazione si riporta a ciò che è tale per essenza, è necessario che l'ultima perfezione dell'uomo sia attribuita alla conoscenza di qualche cosa che è al di sopra dell'intelletto umano. Perciò rimane stabilito che l'ultima felicità dell'uomo non può consistere nell'esercizio delle scienze speculative. Tuttavia, allo stesso modo che nelle idee di cose sensibili è partecipata una somiglianza delle sostanze superiori, così nell'esercizio delle scienze speculative si trova una certa partecipazione della vera e perfetta felicità.

Se la beatitudine umana consista nella visione dell'essenza divina

Rispondo: La felicità ultima e perfetta non può consistere che nella visione dell'essenza divina. Per averne la dimostrazione si impongono due considerazioni. La prima, che l'uomo è perfettamente felice fino a che gli rimane qualche cosa da desiderare e da cercare. La seconda, che la perfezione di ciascuna potenza è determinata dalla natura del proprio oggetto.

Ora, l'intelletto, come insegna Aristotele, ha per oggetto la quiddità, o essenza delle cose. Perciò la perfezione di un intelletto si misura dal suo modo di conoscere l'essenza di una cosa. Cosicché se un intelletto viene a conoscere l'essenza di un effetto, da cui non è in grado di conoscere l'essenza o quiddità della causa, non si dirà che l'intelletto può raggiungere senz'altro la causa, sebbene possa conoscerne l'esistenza mediante gli effetti.

Perciò rimane nell'uomo il desiderio naturale di conoscere la quiddità della causa, quando nel conoscere gli effetti arriva a comprendere che essi hanno una causa.Si tratta di un desiderio dovuto a meraviglia, come dice Aristotele, che stimola la ricerca. Chi, p. es., osserva le eclissi del sole, capisce la loro dipendenza da una causa, la cui natura però gli sfugge, allora si meraviglia, e mosso dalla meraviglia si pone alla ricerca. Ma questa non cessa finché non arrivi a conoscere la natura della causa.

Ora, dal momento che l'intelletto umano, conoscendo la natura di un effetto creato, arriva a conoscere solo l'esistenza di Dio; la perfezione conseguita non è tale da raggiungere davvero la causa prima, ma gli rimane ancora il desiderio naturale di indagarne la natura. Quindi non è perfettamente felice. Ma alla perfetta felicità si richiede che l'intelletto raggiunga l'essenza stessa della causa prima. E allora, avrà la sua perfezione nel possesso oggettivo di Dio, nel quale soltanto si trova la felicità dell'uomo, come abbiamo detto.

Se l'intelletto creato per vedere l'essenza di Dio necessiti di un qualche lume creato

Rispondo: Tutto ciò che viene elevato a qualche cosa che supera la sua natura, ha bisogno d'esservi disposto con una disposizione superiore a questa natura [...]. Ora, quando un intelletto creato vede Dio per essenza, la stessa essenza di Dio diventa la forma intelligibile dell'intelletto. Quindi bisogna che gli si aggiunga una disposizione soprannaturale perché possa elevarsi a tanta sublimità.

Siccome dunque la potenza naturale dell'intelletto creato è insufficiente a vedere l'essenza di Dio, come si è dimostrato, è necessario che per grazia divina gli venga accresciuta la capacità d'intendere. E questo accrescimento di potenza intellettiva la chiamiamo illuminazione dell'intelletto; come lo stesso intelligibile si chiama lume o luce. E questa è la luce, della quale si dice: «la gloria di Dio l'ha illuminata», cioè la società dei beati contemplatori di Dio. In forza di questa luce i beati diventano deiformi, cioè simili a Dio, secondo il detto della sacra Scrittura: «quando [Dio] si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo come egli è».


Guida alla lettura


1) Quali sono i limiti delle scienze speculative?
I limiti delle scienze speculative sono determinati dalla natura stessa dei loro principi, i quali sono appresi attraverso i sensi. Poiché le scienze speculative si basano sui principi che sono derivati dall'esperienza sensibile, il loro ambito di indagine è limitato alla conoscenza delle cose sensibili. Pertanto, non possono estendersi oltre i confini della conoscenza ottenuta mediante l'esperienza sensoriale.

2) Che cosa intende Tommaso d'Aquino per felicità imperfetta e perfetta?
Tommaso d'Aquino distingue tra felicità imperfetta e felicità perfetta. La felicità imperfetta è quella che partecipa solo ad alcuni aspetti della felicità, senza esaurire la sua vera nozione. Questa forma di felicità è raggiungibile attraverso l'esercizio delle scienze speculative, che consentono all'uomo di conoscere l'esistenza di Dio ma non di percepire direttamente l'essenza divina. D'altro canto, la felicità perfetta è quella che realizza completamente la nozione di felicità. Essa consiste nella visione diretta e intuitiva dell'essenza divina, che è possibile solo nel paradiso attraverso il "lume della gloria", quando l'intelletto umano è elevato al punto di vedere Dio come egli è.

3) L'intelletto ha per oggetto la quiddità o essenza delle cose: che cosa significa?
Quando si afferma che l'intelletto ha per oggetto la quiddità o essenza delle cose, si intende che la sua funzione principale è quella di comprendere la natura o l'essenza intrinseca delle cose stesse. In altre parole, l'intelletto mira a cogliere ciò che rende unico e distintivo ciascun essere o concetto. La "quiddità" si riferisce alla caratteristica essenziale o alla natura fondamentale di un oggetto, che lo definisce e lo rende ciò che è. Ad esempio, se consideriamo un albero, la sua quiddità comprende tutte le caratteristiche essenziali che lo rendono un albero, come il tronco, le foglie, le radici e così via. L'intelletto cerca di penetrare oltre le apparenze esterne per comprendere la vera natura delle cose, concentrandosi sulla loro quiddità o essenza.

4) Qual è il limite ultimo di conoscenza cui può giungere, autonomamente, l'intelletto umano?
Secondo Tommaso d'Aquino, l'intelletto umano può giungere autonomamente solo alla conoscenza dell'esistenza di Dio, che è la causa di tutte le cose. Questa conoscenza è raggiunta attraverso l'osservazione degli effetti creati e non permette di comprendere pienamente l'essenza o la quiddità di Dio. Pertanto, l'ultimo limite di conoscenza raggiungibile autonomamente dall'intelletto umano è limitato alla conoscenza dell'esistenza di Dio attraverso la contemplazione delle creature.

5) Che cos'è il lume della gloria di Dio?
Il "lume della gloria di Dio" è un concetto teologico che si riferisce alla grazia divina che illumina l'intelletto umano per consentire alla persona di comprendere l'essenza di Dio in modo diretto e completo. Secondo la teologia cristiana, l'intelletto umano, nella sua natura limitata, non è in grado di comprendere pienamente l'essenza divina. Tuttavia, attraverso la grazia divina, chiamata anche "lume della gloria", l'intelletto umano viene elevato e abilitato a percepire direttamente l'essenza di Dio, senza il filtro degli effetti creati.

Questo concetto è particolarmente importante nella teologia cattolica, soprattutto nelle dottrine relative alla visione beatifica, che è la visione diretta e piena di Dio che i beati sperano di godere nell'aldilà. Si crede che coloro che sono ammessi alla visione beatifica siano illuminati dal "lume della gloria", che trasforma l'intelletto umano consentendo loro di contemplare Dio e diventare simili a Lui. In sostanza, il "lume della gloria di Dio" rappresenta la grazia divina che rende possibile la visione diretta e piena di Dio per coloro che sono accolti nella Sua presenza dopo la morte.


Guida alla Comprensione


1) Spiega perché l'intelletto umano non può trovare la sua perfezione nella conoscenza di qualcosa di sensibile.
L'intelletto umano non può trovare la sua perfezione nella conoscenza di qualcosa di sensibile perché la sua natura e la sua capacità sono superiori a ciò che è sensibile. In altre parole, l'intelletto umano è in grado di comprendere e conoscere concetti e principi che vanno oltre la semplice percezione sensoriale. La conoscenza sensibile riguarda gli oggetti materiali e le loro qualità, mentre l'intelletto umano ha la capacità di comprendere concetti astratti, idee e principi universali che vanno oltre la realtà materiale.

Inoltre, la conoscenza sensibile è limitata e soggetta all'esperienza sensoriale, mentre l'intelletto umano è in grado di raggiungere una conoscenza più profonda e universale, indipendentemente dall'esperienza sensoriale diretta. Pertanto, la perfezione dell'intelletto umano non può essere raggiunta attraverso la conoscenza di ciò che è sensibile ma piuttosto attraverso la comprensione e la contemplazione di concetti più elevati e universali, come l'essenza divina o i principi fondamentali dell'universo.

2) Tommaso richiama il tema aristotelico della «meraviglia»: per quale ragione?
Tommaso d'Aquino richiama il tema aristotelico della "meraviglia" per sottolineare il ruolo fondamentale della curiosità intellettuale nell'ascesa verso la conoscenza di Dio e nella ricerca della felicità perfetta. La meraviglia, intesa come ammirazione di fronte alla grandezza e alla complessità dell'universo, stimola l'intelletto umano a cercare le cause prime e ultime delle cose. Questa ricerca, mossa dalla meraviglia, è un elemento essenziale nel cammino verso la perfezione e la beatitudine secondo Tommaso d'Aquino, poiché porta l'uomo a interrogarsi sulla natura ultima della realtà e a desiderare con ardore la conoscenza di Dio.

3) Spiega perché la conoscenza delle cause non soddisfa il desiderio di sapere dell'uomo.
La conoscenza delle cause non soddisfa pienamente il desiderio di sapere dell'uomo per diversi motivi. Innanzitutto, l'uomo è naturalmente incline a cercare una comprensione completa e profonda della realtà che lo circonda. Conoscere le cause degli effetti può certamente essere gratificante e illuminante, ma spesso genera un ulteriore desiderio di comprendere le cause stesse in modo più approfondito.

Inoltre, la conoscenza delle cause può rivelarsi limitata e non esaustiva. Anche se comprendiamo le cause di un fenomeno, ciò non implica necessariamente una piena comprensione dell'essenza o della natura di quelle cause. Questo lascia aperto un desiderio naturale di approfondire ulteriormente la nostra conoscenza e di comprendere la realtà in modo più completo.

Inoltre, nel contesto della ricerca della felicità ultima, la conoscenza delle cause può portare ad una consapevolezza dell'esistenza di un principio superiore, come Dio, ma non garantisce una comprensione piena e diretta della sua essenza. Questo lascia insoddisfatto il desiderio umano di conoscere l'essenza ultima e di raggiungere una piena unione con essa.

Infine, la ricerca della conoscenza delle cause può essere anche motivata dalla meraviglia e dalla curiosità umana, che sono intrinsecamente legate alla ricerca del sapere e della verità. Questo desiderio di conoscenza può essere continuo e insaziabile, poiché ogni nuova scoperta può portare ad ulteriori domande e ricerche.

4) Spiega in che modo è accessibile all'uomo la visione dell'essenza di Dio e che cosa significa diventare «deiforme».
Secondo Tommaso d'Aquino, l'uomo non può accedere direttamente alla visione dell'essenza di Dio attraverso le sue sole capacità intellettuali naturali. La visione dell'essenza di Dio è considerata l'apice della felicità umana ma richiede un intervento soprannaturale della grazia divina. Questo intervento è necessario perché la potenza intellettiva naturale dell'uomo è insufficiente per comprendere pienamente l'essenza di Dio, che è infinita e trascende la capacità umana di comprensione.

L'accesso alla visione dell'essenza di Dio avviene attraverso un processo di illuminazione dell'intelletto, che è una grazia divina. Questa illuminazione aumenta la capacità dell'intelletto umano di comprendere e percepire la verità divina. Tommaso d'Aquino utilizza l'immagine della luce per descrivere questa illuminazione: così come la luce illumina e rende visibili gli oggetti nell'ambiente fisico, la grazia divina illumina l'intelletto umano e gli permette di comprendere la verità divina in modo più profondo e chiaro.

Quando l'uomo raggiunge la visione dell'essenza di Dio, diventa "deiforme", ossia diventa simile a Dio. Questo significa che l'uomo partecipa alla natura divina in un certo senso, pur restando una creatura. Diventare "deiforme" implica una trasformazione interiore che porta l'uomo a conformarsi sempre più all'immagine e alla somiglianza di Dio. La visione diretta di Dio cambia profondamente l'uomo, portandolo a una comunione più intima con il divino e rendendolo simile a Dio nella misura in cui è possibile per una creatura. Questo concetto è supportato dalla Sacra Scrittura, che afferma che quando Dio si manifesterà, saremo simili a lui perché lo vedremo come egli è.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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