Edmund Husserl - Messa fuori causa del tempo obiettivo


Immagine Edmund Husserl
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel 1917, Husserl iniziò a lavorare sulla rielaborazione di alcuni suoi appunti riguardanti il tempo, frutto di lezioni tenute a Gottinga dieci anni prima. Questo lavoro fu reso possibile grazie alla collaborazione attiva della sua assistente, Edith Stein. I risultati di questa rielaborazione furono pubblicati da Martin Heidegger nel 1928 sugli "Annali per la filosofia e la ricerca fenomenologica", la rivista ufficiale del cenacolo fenomenologico. Il titolo dell'opera era "Lezioni di Edmund Husserl per la fenomenologia della coscienza interna del tempo". Sebbene Husserl fosse influenzato dall'approccio di Brentano sull'argomento del tempo, la sua trattazione non può essere vista semplicemente come un'estensione delle ricerche del maestro. Un contributo originale di Husserl è l'idea di una dinamicità intrinseca al tempo, che suggerisce di considerare il presente non come un punto statico ma come un'esperienza continua di flusso. Inoltre, un'analisi fenomenologica del tempo richiede la sospensione preliminare di tutte le conoscenze relative al "tempo obiettivo", utilizzate dalle scienze naturali, per concentrarsi progressivamente sulla "durata che appare in quanto tale", l'unico elemento indubitabilmente fondamentale su cui si basa ogni concetto di tempo oggettivo.


Lettura


Ciò che intendiamo fare è un'analisi fenomenologica del tempo. Questo implica, come in tutte le analisi del genere, la totale esclusione di supposizioni, affermazioni, convinzioni quali che siano, relative al tempo obbiettivo (cioè, di tutte le presupposizioni trascendenti di alcunché d'esistente). Da un punto di vista obbiettivo ogni vissuto, come ogni essere o momento d'essere reale, può benissimo avere il suo posto nell'uno e unico tempo obbiettivo – quindi, anche il vissuto stesso della percezione e rappresentazione di tempo. Chiunque è padrone di interessarsi alla determinazione del tempo di un vissuto, quindi anche di un vissuto costitutivo di tempo. E inoltre può ben essere un'interessante ricerca quella di stabilire quale sia il rapporto tra il tempo che in una coscienza di tempo è posto come obbiettivo, e il tempo obbiettivo reale, se le estimazioni di intervalli di tempo corrispondano agli intervalli di tempo obbiettivamente reali, o se ne discostino. I compiti della fenomenologia non sono però questi. Come la cosa reale, il mondo reale, non è un dato fenomenologico, così non lo è neppure il tempo mondano, il tempo reale, il tempo della natura nel senso delle scienze della natura, né quello della stessa psicologia in quanto scienza naturale dello psichico.

Ora, per la verità, può sembrare che parlando di analisi della coscienza del tempo, o di carattere temporale degli oggetti di percezione, ricordo, aspettazione, noi assumiamo già il decorso obbiettivo del tempo per studiare poi, in sostanza, soltanto le condizioni soggettive di possibilità di un'intuizione del tempo e di una autentica conoscenza del tempo.

Ciò che noi accogliamo non è l'esistenza di un tempo mondano, l'esistenza di una durata cosale e simili, bensì il tempo che appare, la durata che appare in quanto tale. Queste però sono datità assolute, di cui sarebbe insensato dubitare. In effetti, finiamo anche con l'assumere un tempo che è, ma questo non è il tempo del mondo dell'esperienza bensì il tempo immanente del flusso di coscienza. Che la coscienza di un processo sonoro, di una melodia che sto sentendo, esibisca una successione, è cosa di cui abbiamo un'evidenza tale da far apparire ogni dubbio ed ogni negazione come privi di senso.

Che cosa significhi metter fuori causa il tempo obbiettivo, risulta forse ancora più chiaro se facciamo il parallelo con lo spazio, dato che spazio e tempo mostrano analogie, tanto spesso osservate quanto significative. Della sfera del dato fenomenologico fa parte la coscienza di spazio, cioè il vissuto nel quale si compie l'«intuizione» di spazio come percezione e fantasia. Se apriamo gli occhi, quello in cui guardiamo è lo spazio obbiettivo – ossia (come la considerazione riflessiva ci mostra): abbiamo contenuti sensibili visivi che fondano un'apparizione spaziale, un'apparizione di cose determinate, disposte spazialmente in un certo modo.

Se facciamo astrazione da ogni interpretazione trascendente e riduciamo l'apparizione percettiva ai contenuti primari dati, ecco che questi costituiscono il continuo del campo visuale, che è quasi-spaziale, ma non lo spazio né una superficie dello spazio: in una parola, si tratta di una duplice molteplicità continua. Vi troviamo bensì l'«accanto», il «sopra», il «dentro», e le linee chiuse che delimitano completamente una porzione del campo ecc. Ma questi non sono i rapporti spaziali obbiettivi. Non ha alcun senso dire, per esempio, che un punto del campo visivo dista un metro dall'angolo di questo tavolo, o che è accanto ad esso, o sopra ecc. Naturalmente, neppure l'apparizione di cosa ha un posto nello spazio, o una qualche relazione spaziale: l'apparizione di una casa non è accanto, sopra la casa, distante un metro da essa, e così via.

Ebbene, questo vale anche per il tempo. Dati fenomenologici sono le apprensioni di tempo, i vissuti nei quali qualcosa di temporale in senso obbiettivo appare. Altrettanto fenomenologicamente dati sono quei momenti del vissuto che fondano l'apprensione di tempo come tale, e cioè, eventualmente, i contenuti apprensionali specificamente temporali (ciò che l'innatismo moderato chiama il temporale originario). Nulla di tutto questo è però tempo obbiettivo. Per mezzo della analisi fenomenologica non si può trovare neanche una briciola di tempo obbiettivo. Il «campo temporale originario» non è qualcosa come una porzione di tempo obbiettivo, l'«ora» vissuto, in sé preso, non è un punto del tempo obbiettivo, e così via. Spazio obbiettivo, tempo obbiettivo e, con essi, il mondo obbiettivo delle cose e degli eventi reali – queste sono tutte trascendenze. Sia ben chiaro, trascendenti sono, lo spazio e la realtà, non già in un qualche senso mistico, come «cose in sé», ma proprio come spazio fenomenale e come realtà spazio-temporale fenomenale: la figura spaziale che appare, la figura temporale che appare. Tutte cose che non sono dei vissuti. E i contesti ordinati che si possono trovare nei vissuti come autentiche immanenze, non si possono incontrare nell'ordine obbiettivo, empirico, non vi si inseriscono.

Fare una fenomenologia dello spaziale vorrebbe dire fare anche una ricerca dei dati di località (che l'innatismo assume in atteggiamento psicologico) i quali costituiscono l'ordine immanente del «campo di sensibilità visiva» e questo campo stesso. Essi stanno ai luoghi obbiettivi che appaiono, come i dati di qualità alle qualità apparenti obbiettive. Se per i primi si parla di segni di luogo, per i secondi bisognerebbe parlare di segni di qualità. Il «rosso» sentito è un dato fenomenologico che, animato da una certa funzione apprensionale, espone una qualità obbiettiva; non è esso stesso una qualità. Una qualità in senso proprio, ossia un carattere costitutivo della cosa che appare, non è il «rosso» sentito ma quello percepito. Il «rosso» sentito, solo equivocamente si chiama rosso, giacché rosso è il nome di una qualità reale. Se in certe occasioni fenomenologiche si parla di una «coincidenza» tra l'uno e l'altro, bisogna fare attenzione, che il «rosso» sentito acquista solo grazie all'apprensione il valore di momento in cui si espone la qualità di una cosa, ma in sé considerato non ne contiene nulla; inoltre, la «coincidenza» dell'esponente e dell'esposto non è affatto la coincidenza di una coscienza di identità il cui correlato si dice «uno e medesimo».

Se diciamo sentito un dato fenomenologico il quale, dato per apprensione in carne ed ossa, rende coscienti di qualcosa di obbiettivo che, quindi, diremo obbiettivamente percepito, allora dovremo distinguere analogamente qualcosa di temporale «sentito» e qualcosa di temporale percepito. Quest'ultimo significa il tempo obbiettivo. Il primo invece non è esso stesso tempo obbiettivo (o un posto nel tempo obbiettivo), ma è il dato fenomenologico, attraverso la cui appercezione empirica si costituisce il riferimento a un tempo obbiettivo. Dei dati di tempo o, se vogliamo, dei segni di tempo non sono tempora essi stessi. Il tempo obbiettivo rientra nel contesto dell'oggettualità d'esperienza. I dati di tempo «sentiti» non sono semplicemente sentiti, ma comportano altresì dei caratteri apprensionali cui competono, a loro volta, certe pretese e legittimazioni a commisurare l'un l'altro i tempi e i rapporti di tempo che, in base ai dati sentiti, appaiono, a imporre loro questo o quell'ordine obbiettivo, a selezionare secondo determinati criteri ordini reali e ordini apparenti. Ciò che allora si costituisce come essere obbiettivamente valido è, in ultima analisi, quell'uno e infinito tempo obbiettivo in cui tutte le cose e gli eventi, i corpi e le loro proprietà fisiche, le anime e i loro stati psichici, hanno i loro posti temporali determinati e determinabili per mezzo di un cronometro.

Può darsi – ma la cosa in questa sede non ci riguarda – che la base ultima di tali determinazioni obbiettive sia dovuta e constatazioni di differenze e relazioni tra i dati di tempo, o semplicemente a un'immediata adeguazione a tali dati. Ma non c'è dubbio che, per esempio, un «simultaneamente» sentito non è simultaneità obbiettiva; eguaglianza sentita di distanze fenomenologico-temporali non è eguaglianza obbiettiva di distanze di tempo ecc.; l'assoluto dato di tempo, sentito, non è senz'altro l'esser-vissuto di un tempo obbiettivo (e questo vale anche per il dato assoluto dell'«ora»). Afferrare e afferrare in evidenza un contenuto, così come esso è vissuto, non significa afferrare una obbiettività in senso empirico, una realtà obbiettiva nel senso in cui si parla di cose, eventi, situazioni obbiettive, di posizione obbiettiva nello spazio e nel tempo, di forma spaziale e temporale obbiettivamente reale ecc.

Guardiamo un pezzo di gesso; chiudiamo ed apriamo gli occhi. Abbiamo così due percezioni. Diciamo allora che vediamo lo stesso gesso due volte. Abbiamo qui contenuti temporalmente separati, avvertiamo bensì uno stacco, una separazione, fenomenologica, temporale, ma nell'oggetto non c'è alcuna separazione, è sempre lo stesso: nell'oggetto durata, nel fenomeno cambiamento. Allo stesso modo, possiamo sentire soggettivamente una successione temporale là dove, obbiettivamente, bisogna constatare una coesistenza. Il contenuto vissuto viene «obbiettivato», ed ecco che l'oggetto è costituito, nel modo dell'apprensione, in base al materiale dei contenuti vissuti. L'oggetto non è però la semplice somma o il complesso di questi «contenuti», che non vi rientrano affatto, esso è più che un contenuto e, in certo modo, altra cosa. L'obbiettività appartiene all'«esperienza» e precisamente all'unità dell'esperienza, a quello che, in base alle leggi dell'esperienza, è il contesto della natura. In termini fenomenologici: non è nei contenuti «primari» che si costituisce l'obbiettività, ma nei caratteri apprensionali e nelle legalità d'essenza ad essi inerenti. Sviscerare e comprendere tutto ciò è, appunto, il compito di una fenomenologia della conoscenza.


Guida alla lettura


1) L'indagine fenomenologica, secondo Husserl, è interessata al tempo «oggettivo» delle scienze naturali?
No, secondo Husserl, l'indagine fenomenologica non è interessata al tempo "oggettivo" delle scienze naturali. L'analisi fenomenologica del tempo richiede la totale esclusione delle supposizioni relative al tempo obiettivo, utilizzato dalle scienze della natura. Husserl sostiene che l'indagine fenomenologica deve invece prendere le mosse dalla sospensione di tutte le conoscenze relative al tempo obiettivo e concentrarsi sulla "durata che appare in quanto tale", che è unica e realmente apodittica.

2) La fenomenologia si interessa, kantianamente, delle condizioni soggettive che ci permettono di conoscere il tempo «oggettivo»?
No, la fenomenologia non si interessa delle condizioni soggettive che ci permettono di conoscere il tempo "oggettivo". Essa si concentra piuttosto sulle condizioni soggettive che ci permettono di percepire il tempo fenomenologicamente, escludendo qualsiasi presupposizione riguardo al tempo obiettivo.

3) Qual è l'oggetto di indagine della fenomenologia?
L'oggetto di indagine della fenomenologia, secondo il testo fornito, è la coscienza fenomenica e la sua relazione con il tempo e lo spazio. La fenomenologia si occupa di analizzare i dati fenomenologici, cioè le esperienze coscienti dirette, senza presupporre alcuna conoscenza a priori. In particolare, nel testo si evidenzia come la fenomenologia escluda le supposizioni e le convinzioni relative al tempo oggettivo e allo spazio oggettivo, concentrandosi invece sullo studio dei fenomeni della coscienza temporale e spaziale come appaiono nella percezione soggettiva.


Guida alla Comprensione


1) Che cosa sono le «apprensioni di tempo»?
Le "apprensioni di tempo" sono i vissuti nei quali qualcosa di temporale in senso obbiettivo appare. Sono dati fenomenologici attraverso i quali si costituisce il riferimento a un tempo obbiettivo ma non sono essi stessi il tempo obbiettivo.

2) In che senso la realtà oggettiva, per Husserl, è «trascendente»?
Per Husserl, la realtà oggettiva è considerata "trascendente" nel senso che va al di là dell'ambito della coscienza fenomenologica. Nel testo, Husserl distingue tra ciò che è fenomenologicamente dato, cioè ciò che appare nella coscienza come oggetto della percezione o dell'esperienza diretta, e ciò che è "trascendente", ossia al di là di ciò che appare fenomenicamente. La realtà oggettiva, che comprende lo spazio, il tempo e il mondo delle cose e degli eventi reali, è trascendente nel senso che esiste al di fuori dell'esperienza soggettiva e delle sue strutture. Husserl sottolinea che non si tratta di una trascendenza mistica o metafisica, piuttosto di una trascendenza fenomenologica, in quanto la realtà oggettiva si presenta come fenomeno all'interno dell'esperienza ma va oltre l'ambito immediato della coscienza.

3) In che modo il tempo obiettivo si costituisce a partire dal dato fenomenologico?
Il tempo obiettivo si costituisce a partire dal dato fenomenologico attraverso l'apprensione empirica dei dati temporali. Questi dati fenomenologici, che includono le percezioni soggettive del tempo, non sono essi stessi il tempo obiettivo ma costituiscono il riferimento attraverso il quale si giunge al tempo obiettivo. La percezione soggettiva del tempo fornisce dei dati fenomenologici che comportano caratteri apprensionali, i quali a loro volta legittimano e permettono di stabilire relazioni e ordinamenti temporali obiettivi. Tuttavia, è importante distinguere tra il tempo "sentito" soggettivamente e il tempo "percepito" obiettivamente. Mentre i dati temporali "sentiti" costituiscono il fondamento per la percezione del tempo obiettivo, essi stessi non sono il tempo obiettivo, il quale è definito come l'uno e infinito tempo nel quale tutte le cose e gli eventi hanno i loro posti temporali determinati e determinabili. Questo processo di apprensione empirica dei dati temporali consente quindi la costruzione del tempo obiettivo sulla base delle esperienze soggettive del tempo.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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