Giovanni Gentile - L'unità di educatore e educando


Immagine Giovanni Gentile
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Il lavoro "Sommario di Pedagogia come scienza filosofica", pubblicato tra il 1913 e il 1914 in due volumi, riveste un'importanza fondamentale poiché rappresenta un'emanazione dell'idealismo attuale di Gentile nel campo dell'educazione. Egli condivide con Agostino di Ippona la concezione che la verità risieda nell'interiorità dell'essere umano, sottolineando che ogni atto di conoscenza è un atto creativo soggettivo. Pertanto, Gentile respinge qualsiasi approccio pedagogico basato su un presupposto dualista che separi il soggetto educante da quello educato. Per lui, tale separazione non tiene conto dell'unità assoluta dello spirito creativo. Egli concepisce il processo educativo come un fluire continuo all'interno dello spirito, inteso come un costante divenire, un atto ininterrotto di creazione e rinnovamento della realtà. L'educazione, quindi, diventa la partecipazione congiunta del maestro e del discepolo all'attività dello spirito universale, manifestandosi attraverso il linguaggio. I paragrafi presentati qui offrono un'analisi della concezione dell'unità tra educatore ed educando, che costituisce il fulcro della pedagogia gentiliana.


Lettura


Unità di educatore ed educando

Per distinguere che si voglia tra educatore ed educando, ed è certamente distinzione che non va cancellata, non è necessaria una grande riflessione per avvedersi che, parlando con proprietà, l'educatore non è chi si presume capace di educare, ma chi educa; e che l'educazione intesa non come un'idea astratta, bensì come una realtà spirituale, è una sintesi a priori, per adoperare una concettosa frase che già conosciamo: è un tale rapporto tra educatore ed educando (sempre tale educatore e tale educando), che l'uno non è concepibile senza l'altro.

Giangiacomo ed Emilio sono, indubbiamente, due uomini, che noi possiamo dividere l'uno dall'altro: ma, dividendoli, prescindiamo di considerare in Giangiacomo l'educatore di Emilio, e in Emilio l'alunno di Giangiacomo. Ciò che, quando si tratti di un'educazione ideale e ipotetica, come nell'Emilio, possiamo certamente fare: ma possiamo farlo quando si tratta dell'educazione reale, che è quella di cui si vuol sempre parlare? Il padre educatore dei suoi figliuoli si divide da loro, muore: i figliuoli restano; ma noi non potremmo mai intenderli veramente prescindendo dall'azione che il padre ebbe sull'animo loro.

Il maestro, terminata la sua lezione, lascia la scuola, si parte dagli scolari, va alle sue faccende, a' suoi studi: può anche non avere un pensiero più per la sua scuola, prima di tornarvi. Ma che perciò? Ei non si può dipartire già dalla sua anima, dalla sua mentalità, dalle sue disposizioni spirituali, da se stesso, quale s'è venuto conformando nella vita scolastica: poiché niente si perde del nostro passato, e tutto, variamente, è vivo nel nostro presente. E per altro la vera attualità vivente dell'educazione, a cui si deve guardare se si vuole intendere i due termini correlativi, non si può considerare così all'ingrosso e dall'estrinseco.

Infatti non ogni padre che ha dato la vita a' suoi figli, e li ha riconosciuti per suoi allo stato civile, o li tiene in casa e nutrisce, è il loro educatore; né ogni maestro che siede sulla cattedra, insegna. L'educatore è tale quando educa e in quanto educa. La sua realtà pertanto, assolutamente, si attua nell'educare effettivo. Che è un'azione spirituale, la quale lega indissolubilmente due spiriti.

Unificazione spirituale

Ma con ciò non s'è ancora detto nulla di veramente chiaro. Che significa un'azione spirituale che lega insieme due spiriti? Due spiriti, come due, non sono spirito; e come spirito, non sono due, se è vero quello che si disse della materia e dello spirito. E allora convien dire che gli spiriti concorrenti nell'atto dell'educare o non sono spirito, o sono uno spirito unico. Possono non essere spirito? Se guardiamo l'educare dal lato dell'educatore, che cosa egli fa, per esempio, insegnando a parlare, se non parlare egli stesso, e compiere un atto spirituale? Che se guardiamo dal lato dell'educando, che altro fa questi imparando a parlare, se non cominciare a parlare, e compiere anche lui un atto spirituale? E non abbiamo noi dimostrato che l'uomo, qualunque cosa faccia e per qualunque verso si consideri, è spirito? cioè, si tenga sempre bene a mente, processo autocreativo? L'educatore, educando, si fa educatore: e questa è opera spirituale; l'educando, profittando dell'educazione, si fa educando. La spiritualità dei termini educativi, adunque, è incontestabile; si può discutere soltanto della loro dualità.

Comunicazione da spirito a spirito

Ma la dualità educativa ci riconduce a una questione che abbiamo a suo luogo, a proposito del linguaggio, discussa e risoluta nel senso della vanità, illusorietà e assurdità del problema, che si pone nel pensiero volgare e in tutte le filosofie monadologiche della comunicazione, dello spirito a spirito. Il problema si pone quando si siano cancellati da uno spirito i caratteri della spiritualità, e quello spirito si sia ridotto a qualche cosa di vagamente intuito materialisticamente: quando, s'è detto, noi guardiamo uno spirito dal di fuori, sì che non possa vedersi più nella sua essenza spirituale; laddove il problema sparisce, cessando l'apparenza dalla molteplicità, appena si entri nello spirito e se ne intenda l'intima natura.

Nell'atto reale della educazione, che ha luogo, poniamo, quando un maestro spiega una materia d'istruzione a uno scolaro, in guisa che, adempiendosi tutte le condizioni opportune, lo scolaro intenda perfettamente e segua in tutti i suoi momenti la spiegazione del maestro, quella base materiale, su cui si appoggia la concezione dualistica, vien meno.

Risoluzione della dualità nell'atto educativo

La dualità, si badi bene, dovrebbe esserci (se ci fosse) non per un ispettore estraneo al processo educativo, bensì pel maestro o per lo scolaro, per cui il processo ha luogo. Ma il maestro che parla, non pensa ad altro che a ciò di cui parla; è tutto raccolto in quel pensiero, né può distrarsi. La scuola, l'ambiente tutto e lo scolaro non sono più niente di nuovo per lui, non fermano e non attirano più la sua attenzione; egli non se n'accorge più; tutto è stato assorbito nella sua determinata soggettività, la cui vita nuova è invece nell'argomento che gli offre materia alla presente lezione; come chi è assorto nella lettura dell'Ariosto, non solo non sente il peso dell'aria che grava su tutta la superficie del suo corpo, né quello dei panni ond'è vestito: non solo si scorda la fame, la sete, e quanti altri bisogni e guai maggiori può avere addosso; ma non vede il libro che gli porge il farmaco salutare, non ne sente il peso che pur ne regge, non bada ai caratteri, romani o elzeviri, ond'è impresso; volta le pagine senz'avvedersene; è tutto nel mondo della sua fantasia. E come, se a un tratto mancasse una pagina al suo volume o una grossa macchia impedisse il corso della lettura, o un improvviso sbatter d'usci spezzasse l'incanto, il lettore si ritroverebbe allora col suo libro in mano e s'avvedrebbe di aver letto quel libro, e di non essere già stato nel mondo lieto e meraviglioso della immaginazione ariostea; così, se qualche cosa venga a turbare quella situazione felice in cui il maestro si trova nell'atto della sua lezione, se una folata di vento dalle aperte finestre trascini seco a volo le carte d'un tavolino, o se quell'alunno che se ne stava zitto e intento come bevesse il discorso del maestro cogli occhi, rompa in uno sguaiato sbadiglio, è ovvio che il povero maestro sia smontato. La parola gli muore sulle labbra, perché il pensiero gli si è interrotto a mezzo, perché quella sua determinata soggettività si è improvvisamente rimutata di dentro.

Considerazioni uguali si possono ripetere riguardo allo scolaro: il quale, quando veramente apprende e freme e vibra nella parola del maestro, quasi sentendovi dentro suonare una voce che erompe dall'intimo del suo essere stesso, non guarda già e non vede gli occhiali o la barba del suo maestro, e la scranna su cui questi gli sta innanzi seduto, e non ode nemmeno quella sua parola come la parola di un altro, ma è tutto nell'argomento della lezione, tutto il resto rimanendo riassorbito e fuso nella sua determinata soggettività. E pur se una mosca venga inopportunamente a rompere quell'equilibrio psichico su cui si regge l'attualità della sua attenzione presente, ossia del suo presente apprendere, egli si distrae; e allora si accorge che il maestro ha continuato a parlare, ed egli non sa propriamente di che. È proprio il caso di dire che quando l'uno dei due s'accorge dell'altro, questo è già sparito, perché non è più quello di cui egli s'accorge: lo scolaro pel maestro, il maestro per lo scolaro.


Guida alla lettura


1) Secondo Gentile, l'educatore è chi crede di essere tale?
No, secondo Gentile, l'educatore non è semplicemente chi crede di essere tale ma è colui che effettivamente svolge l'atto educativo. L'educatore è definito come colui che educa e in quanto educa, e la sua realtà si attua nell'educazione effettiva. Questo concetto è espresso nel secondo pezzo del testo, dove si afferma che l'educatore è tale quando educa e in quanto educa.

2) Secondo Gentile, il maestro è tale perché a esso è affidata una cattedra?
No, secondo Gentile, il maestro non è tale semplicemente perché si trova sulla cattedra ma diventa veramente un educatore quando effettivamente educa. Come indicato nel testo, "L'educatore è tale quando educa e in quanto educa." Quindi, il fatto di essere sulla cattedra non è sufficiente per definirlo un educatore; è l'atto effettivo di educare che lo rende tale.

3) Educatore ed educando vanno concepiti come due entità distinte?
No, secondo il testo, educatore ed educando non vanno concepiti come due entità distinte. Il testo sottolinea che l'educatore non è semplicemente colui che si presume capace di educare, ma colui che effettivamente educa. Inoltre, sottolinea che l'educazione è una sintesi a priori tra educatore ed educando, tale che uno non è concepibile senza l'altro.

4) Che cosa accade all'educatore e all'educando nel corso di una vera azione educativa?
Nel corso di una vera azione educativa, sia l'educatore che l'educando subiscono un processo di profonda immersione nel momento presente e nell'oggetto della lezione. L'educatore, durante la sua lezione, è completamente assorbito nel pensiero relativo all'argomento trattato e non si distrae dalle circostanze esterne. La scuola, l'ambiente e gli scolari diventano irrilevanti per lui mentre è immerso nella sua attività di insegnamento. Allo stesso modo, l'educando, quando è coinvolto nell'apprendimento e nell'assorbimento delle parole del maestro, diventa completamente concentrato sull'argomento della lezione. La sua attenzione è interamente rivolta alla comprensione e all'assimilazione del materiale didattico, tanto che gli elementi esterni, come la presenza fisica del maestro o dell'ambiente circostante, diventano trascurabili. Entrambi, educatore ed educando, perdono la consapevolezza delle circostanze esterne e si immergono completamente nel processo educativo.


Guida alla Comprensione


1) Gentile fa una differenza tra una educazione ideale e una educazione reale. Con quali elementi distingue l'una dall'altra?
Gentile distingue tra un'educazione ideale e un'educazione reale attraverso l'analisi dell'interazione tra l'educatore e l'educando. Egli sottolinea che, nell'educazione ideale, come ad esempio quella immaginata nell'opera "Emilio", è possibile separare il padre educatore dai figli e considerare ognuno di loro indipendentemente dall'altro. Tuttavia, Gentile indica che questa separazione non è possibile nell'educazione reale, dove l'azione educativa del padre si riflette inevitabilmente nei figli e viceversa. Egli argomenta che anche dopo la separazione fisica, l'influenza educativa persiste nell'animo degli educandi, poiché nulla si perde del passato e tutto continua a influenzare il presente.

Quindi, l'elemento distintivo tra un'educazione ideale e una reale, secondo Gentile, è la necessità di considerare l'interazione dinamica e continua tra l'educatore e l'educando nell'ambito della vita scolastica effettiva, dove entrambi sono intimamente legati e influenzati reciprocamente.

2) Spiega in che modo Gentile pensa di superare il dualismo tra educatore ed educando. Perché è così importante per la sua concezione dello spirito sopprimere la distanza tra i due?
Gentile intende superare il dualismo tra educatore ed educando mediante la concezione dell'unità educatore-educando. Egli sostiene che l'educatore non è semplicemente chi presume di essere capace di educare ma colui che effettivamente educa. L'educazione non è considerata come un'idea astratta, ma piuttosto come una realtà spirituale che crea un legame inscindibile tra l'educatore e l'educando. Gentile evidenzia che l'uno non può essere concepito senza l'altro, sottolineando così l'importanza dell'unità tra i due nell'atto educativo.

Per Gentile, sopprimere la distanza tra educatore ed educando è fondamentale perché crede nell'assoluta unità dello spirito creativo. Egli afferma che il processo educativo si svolge interamente all'interno dello spirito, che è in continuo divenire e che crea e rinnova costantemente la realtà. Pertanto, eliminare la distanza tra educatore ed educando favorisce la partecipazione unitaria di entrambi all'attività dello spirito universale, che si esprime attraverso il linguaggio.

In sintesi, per Gentile, superare il dualismo tra educatore ed educando è cruciale perché permette di realizzare pienamente l'unità dello spirito creativo nel processo educativo, consentendo così una partecipazione armoniosa e sinergica tra i due attori principali.

3) Quando parla dell'unità tra educatore ed educando, Gentile fa riferimento al linguaggio come tramite e fondamento del processo. Spiega che cosa significa questa scelta, richiamando il nesso linguaggio-pensiero.
Gentile stabilisce un forte legame tra educatore ed educando attraverso il linguaggio, sottolineando che esso è il mezzo attraverso il quale avviene la comunicazione e la trasmissione del pensiero. Egli spiega che il processo educativo si basa sull'unità tra maestro e discepolo all'interno dello spirito universale, il quale si esprime proprio attraverso il linguaggio. Questo significa che il linguaggio non è solo uno strumento di trasmissione di conoscenze, ma anche il fondamento stesso del processo educativo, poiché attraverso di esso avviene la comunicazione e la comprensione reciproca tra educatore ed educando.

Il nesso tra linguaggio e pensiero è cruciale in questa prospettiva, poiché il linguaggio non è semplicemente un mezzo per esprimere il pensiero ma anche un elemento che ne plasma la struttura stessa. Nel testo, Gentile discute del fatto che quando il maestro parla, è interamente concentrato sul suo pensiero e su ciò che sta comunicando, e allo stesso modo lo studente, quando è coinvolto nell'apprendimento, è immerso nel contenuto della lezione. Il linguaggio, quindi, non è solo uno strumento di trasmissione di conoscenza ma anche un elemento che contribuisce alla creazione e alla condivisione del pensiero stesso, favorendo così l'unità tra educatore ed educando all'interno del processo educativo.

4) Su che cosa si basano, secondo Gentile, le prospettive pedagogiche che ammettono il dualismo tra educatore ed educando?
Secondo Gentile, le prospettive pedagogiche che ammettono il dualismo tra educatore ed educando si basano su un presupposto che egli rifiuta. Gentile sostiene che questo dualismo non tiene conto dell'assoluta unità dello spirito creativo. Egli afferma che il processo educativo si svolge interamente all'interno dello spirito e che ogni conoscenza è "creazione delle cose" da parte del soggetto. Pertanto, Gentile critica le prospettive pedagogiche che dividono il processo educativo in due entità separate: chi educa e chi viene educato.

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

Utenti più Affidabili:

Ultimi Articoli:

Ultimi Commenti:

Commenti:


Commenti Verificati Tutti i Commenti