John Locke - Sui limiti della conoscenza umana


Immagine John Locke
1) Introduzione
2) Lettura
3) Guida alla lettura
4) Guida alla Comprensione

Introduzione


Nel quarto libro del "Saggio sull'intelletto umano", Locke dedica ampio spazio a discutere la natura della conoscenza e della probabilità. Egli illustra come, in realtà, gli esseri umani siano limitati a una comprensione piuttosto modesta del mondo, avendo accesso diretto a solo un piccolo numero di verità assolute. Locke poi passa ad esplorare il dominio molto più ampio della probabilità, dove le persone si affidano al loro giudizio per formare collegamenti tra idee basandosi su indizi, testimonianze e confronti analogici. In questo contesto, molte affermazioni vengono accettate come plausibili e sono attribuiti vari gradi di probabilità. Tuttavia, esiste una categoria di proposizioni che richiede un livello di consenso eccezionalmente alto, nonostante sia al di fuori dell'ambito della pura razionalità: sono le verità di fede, le quali si impongono su di noi e alle quali ci si sottomette quasi inevitabilmente.


Lettura


Poiché le facoltà intellettuali non sono state date all'uomo solo per la speculazione ma anche per condurre la propria vita, l'uomo si troverebbe proprio perso se per indirizzarsi non avesse altro che la certezza della vera conoscenza. Poiché la conoscenza è assai limitata e scarsa, come abbiamo visto, spesso egli si troverebbe del tutto nell'oscurità e, nel condurre la maggior parte delle azioni della sua vita, del tutto immobilizzato se non avesse nulla a guidarlo in assenza di una conoscenza chiara e certa. Chi non volesse mangiare fino ad avere la dimostrazione che il cibo lo nutrirà, chi non volesse muoversi prima di conoscere infallibilmente che il compito nel quale si impegnerà andrà a buon fine, avrebbe poco altro da fare se non sedere immobile e perire.

Di conseguenza, poiché Dio ha posto alcune cose in piena luce e poiché ci ha dato qualche conoscenza determinata, seppure limitata se confrontata al resto, probabilmente come fosse un assaggio di ciò di cui sono capaci le creature intellettuali e per suscitare in noi il desiderio di una migliore condizione seguente e lo sforzo per conseguirla, così per la maggior parte del nostro interesse egli ci ha offerto, se così posso dire, solo il crepuscolo della probabilità, adeguata, credo, allo stato di mediocrità e di noviziato in cui ha voluto porci in questo mondo, dove, col mettere alla prova la nostra tracotanza e presunzione, potessimo acquisire, con l'esperienza di ogni giorno, consapevolezza della nostra miopia e soggezione all'errore, affinché tale consapevolezza fosse per noi un monito per impiegare i giorni di questo nostro pellegrinaggio con impegno e attenzione alla ricerca e nel perseguimento della via verso una condizione di maggiore perfezione. E cosa altamente ragionevole ritenere, pur se a tal proposito la rivelazione fosse muta, che, a seconda di come gli uomini impiegano quei talenti che Dio ha donato a ciascuno, essi riceveranno in modo conforme la propria ricompensa al finire della giornata, quando il loro sole tramonterà e la notte porrà fine alle loro fatiche.

Il giudizio è la facoltà che Dio ha dato all'uomo per supplire alla mancanza di una conoscenza chiara e certa nei casi in cui non la possa conseguire: col giudizio la mente presume che le sue idee siano in accordo o in disaccordo o, che è la medesima cosa, che una proposizione qualsiasi sia vera o falsa, senza percepire un'evidenza dimostrativa nelle prove. La mente talvolta esercita la facoltà del giudicare per necessità, qualora le prove dimostrative e la conoscenza certa non si possano conseguire, e talvolta per indolenza, imperizia o precipitosità anche nel caso in cui si possano avere quelle prove dimostrative.

Spesso gli uomini non si soffermano con attenzione a esaminare l'accordo o il disaccordo di due idee rispetto a cui abbiano desiderio di conoscenza o siano a esse interessati, ma, o perché incapaci di una simile attenzione, come si richiede in una lunga sequenza di passi successivi, o per l'impazienza di soffermarsi, gettano occhiate fugaci sulle prove o le trascurano del tutto, e così, senza elaborare la dimostrazione, stabiliscono l'accordo o il disaccordo di due idee, per così dire, con un solo sguardo dato da lontano e assumono che si tratti dell'una cosa o dell'altra, a seconda di ciò che sembra loro più probabile dopo un esame così approssimativo. Quando si esercita immediatamente questa facoltà della mente in relazione alle cose, essa viene chiamata giudizio; quando invece riguarda verità espresse con le parole, più comunemente, viene chiamata assenso o dissenso, e poiché questa è la maniera più usuale con cui la mente ha occasione di esercitare questa facoltà, tratterò ancora di ciò adoperando questi termini che nel nostro linguaggio sono meno soggetti all'equivoco.

Pertanto la mente possiede due facoltà relative alla verità e alla falsità. Primo, la conoscenza mediante la quale percepisce con certezza ed è persuasa al di là di ogni dubbio dell'accordo o del disaccordo di idee qualsiasi. Secondo, il giudizio che consiste nel combinare insieme nella mente le idee o nel separarle l'una dall'altra, qualora non si percepisca in modo certo il loro accordo o disaccordo ma lo si supponga solamente: il che significa, come esprime la parola, assumere che sia così prima che si mostri con certezza. Se la mente le unisce o le separa come esse sono in realtà, si ha un giudizio corretto.

Come la dimostrazione consiste nel mostrare l'accordo o il disaccordo di due idee mediante l'intervento di una o più prove che hanno una connessione visibile, immutabile e costante l'una con l'altra, così la probabilità non è altro che l'apparenza di un simile accordo o disaccordo, mediante l'intervento di prove la cui connessione non è costante e immutabile o almeno non viene percepita in tal modo, ma è o appare tale nella maggior parte dei casi, e ciò è sufficiente per indurre la mente a giudicare che la proposizione sia vera o falsa, piuttosto che il contrario.

Per esempio, nella dimostrazione del teorema un uomo percepisce la connessione immutabile e certa dell'uguaglianza che sussiste fra tre angoli di un triangolo e i passaggi intermedi ai quali si ricorre per mostrare la loro uguaglianza a due angoli retti, e così, mediante una conoscenza intuitiva dell'accordo o del disaccordo delle idee intermedie in ciascun passo del procedimento, l'intera serie procede con evidenza ed essa mostra con chiarezza l'accordo o il disaccordo di quei tre angoli nella loro uguaglianza a due angoli retti: in tal modo si ottiene una conoscenza certa che sia così.

Ma un altro uomo che non si sia mai preoccupato di esaminare la dimostrazione, sentendo che un matematico, una persona quindi degna di fiducia, afferma che i tre angoli di un triangolo sono uguali a due angoli retti, concede il proprio assenso a questa affermazione, ossia la accoglie come vera. In quel caso il fondamento del suo assenso è la probabilità della cosa, poiché la dimostrazione di essa è tale che nella maggior parte dei casi comporta la verità: la testimonianza in base alla quale egli accoglie tale proposizione è fornita da una persona che di solito non afferma cosa alcuna contraria o estranea alla sua conoscenza, specialmente a proposito di questioni di tal genere. Di conseguenza, ciò che determina il suo assenso alla proposizione i tre angoli di un triangolo sono uguali a due angoli retti, quel che gli fa ritenere che queste idee si trovino in accordo, senza sapere che sia proprio così, è la consueta veracità, dimostrata in altri casi, di colui che parla o la sua presunta veracità in questo caso.

Poiché la nostra conoscenza, come è stato mostrato, è assai limitata e noi non siamo fortunati a sufficienza da scoprire la verità certa in ogni cosa che abbiamo occasione di considerare, la maggior parte delle proposizioni alle quali noi pensiamo, su cui ragioniamo o delle quali discorriamo, anzi a partire dalle quali operiamo, sono tali che non possiamo avere una conoscenza indubitabile della loro verità. D'altro canto, alcune di esse si discostano così poco dalla certezza, che a loro riguardo non abbiamo affatto alcun dubbio e l'assenso che si concede loro è così saldo e l'agire conformemente a quell'assenso è altrettanto risoluto come se esso fosse stato dimostrato in modo infallibile e come se la nostra conoscenza di tali verità fosse perfetta e certa. Ma in questa conoscenza vi sono dei gradi che partono da ciò che si trova assai vicino alla certezza e alla dimostrazione fino ad arrivare all'estremo inferiore dell'improbabilità e dell'inverosimiglianza, anzi ai confini dell'impossibilità, e vi sono anche i gradi dell'assenso che partono dalla piena sicurezza e fiducia e giungono fino alla congettura, al dubbio e alla sfiducia. Ora verrò (avendo scoperto, come ritengo, i confini della conoscenza umana e della certezza) a considerare, come passo successivo, i molteplici gradi e i fondamenti della probabilità e dell'assenso, vale a dire della fede.

La probabilità consiste nella somiglianza alla verità: infatti il significato stesso del termine designa una proposizione per la quale esistono argomenti o dimostrazioni così che sia scambiata o accolta come fosse una proposizione vera. L'atteggiamento con cui la mente tratta questo genere di proposizioni si chiama credenza, assenso o opinione, e consiste nell'ammettere o ricevere una qualsiasi proposizione in base ad argomenti o prove che ci persuadono ad accoglierla come vera, senza una conoscenza certa che sia così. In questo risiede la differenza fra probabilità e certezza, fede e conoscenza, ossia che in tutte le parti della conoscenza vi è intuizione: ogni idea immediata, ogni passo ha la sua connessione visibile e certa, ma nella credenza non è così. Ciò che mi consente di credere è qualcosa di estraneo alla cosa stessa in cui credo, qualcosa che non si trova connesso in modo evidente da entrambi i lati a quelle idee in esame e che non dimostra in modo manifesto la loro concordanza o discordanza.

Dunque la probabilità, poiché deve supplire al difetto della nostra conoscenza e guidarci dove essa fallisce, è sempre relativa a proposizioni a proposito delle quali non abbiamo alcuna certezza, ma solo qualche buon motivo per accoglierle come vere. In breve i due fondamenti della probabilità sono:

Primo, la conformità di una cosa qualsiasi alla nostra conoscenza, osservazione ed esperienza.
Secondo, la testimonianza di altri che garantiscono della loro osservazione ed esperienza.

Nella testimonianza di altri si deve considerare: il numero; l'integrità; l'abilità del testimone; l'intenzione dell'autore, qualora si tratti di una testimonianza tratta da un libro; la coerenza delle parti e le circostanze della relazione; le testimonianze contrarie.

Dal momento che la probabilità manca di quell'evidenza intuitiva che determina in modo infallibile l'intelletto e produce conoscenza certa, se la mente intende procedere razionalmente deve esaminare tutti i fondamenti della probabilità e osservare in che modo essi contribuiscano, più o meno, a favore o contro una qualsiasi proposizione probabile, prima di assegnarle il proprio assenso o dissenso e, a seguito di un debito confronto, respingerla oppure accoglierla con un assenso più o meno saldo, proporzionalmente alla preponderanza dei più solidi fondamenti di probabilità da un lato o dall'altro. [...]

Oltre alle proposizioni fin qui menzionate, ne esiste un altro tipo che esige il più alto grado del nostro assenso sulla base della pura testimonianza, sia che la cosa proposta sia conforme oppure no alla comune esperienza e al corso ordinario delle cose. La ragione di ciò è che la testimonianza proviene da Uno che non può ingannare, né può essere ingannato, ossia da Dio stesso. Questo comporta una sicurezza al di là di ogni dubbio, un'evidenza senza eccezioni. Tale testimonianza viene chiamata col nome particolare di rivelazione, e il nostro assenso a essa si chiama fede, la quale determina in modo assoluto tanto le nostre menti quanto, in modo altrettanto perfetto, la nostra conoscenza ed esclude ogni esitazione; e come non possiamo dubitare del nostro essere, così non possiamo dubitare che sia vera una qualsiasi rivelazione che ci proviene da Dio. In questo modo la fede è un principio stabilito e sicuro di assenso e di sicurezza, e in nessun modo lascia spazio al dubbio o all'esitazione. Dobbiamo solo essere certi che si tratti di una rivelazione divina e che noi la comprendiamo in modo corretto, altrimenti, se avremo fede e sicurezza in ciò che non è una rivelazione divina, ci esporremo a ogni stravaganza dell'entusiasmo e a tutti gli errori che discendono da principi errati. Pertanto in questi casi il nostro assenso non può essere razionalmente più elevato della prova che si tratta di una rivelazione e che questo è il significato delle espressioni mediante cui essa è manifestata. Se la prova del suo essere una rivelazione o che questo è il suo vero senso è fondata solo su prove probabili, il nostro assenso non potrà spingersi oltre una sicurezza o una diffidenza che sorge dalla più o meno apparente probabilità delle prove.


Guida alla lettura


1) Che cosa possiamo fare con la facoltà del giudizio?
Basandoci sul testo di Locke che hai fornito, possiamo usare la facoltà del giudizio per:

Supplire alla mancanza di conoscenza certa: Locke sostiene che il giudizio è la facoltà data da Dio all'uomo per colmare la mancanza di una conoscenza chiara e certa. È impiegata quando le prove dimostrative e la conoscenza certa non sono disponibili.
Decidere l'accordo o il disaccordo delle idee: La mente, tramite il giudizio, presume che le sue idee siano in accordo o disaccordo (che una proposizione sia vera o falsa) anche quando non percepisce un'evidenza dimostrativa nelle prove.
Operare nella probabilità: Oltre alla conoscenza certa, esiste il vasto regno della probabilità. Usiamo il giudizio per navigare in questo regno, assumendo connessioni tra idee sulla base di indizi, testimonianze e ragionamenti per analogia.
Gestire l'incertezza quotidiana: Il giudizio ci permette di operare nelle azioni quotidiane che non richiedono certezze assolute. Per esempio, se uno dovesse attendere la certezza assoluta per ogni piccola decisione quotidiana (come mangiare solo dopo avere la dimostrazione certa che il cibo nutrirà), si troverebbe paralizzato dall'inazione.
Valutare la verosimiglianza delle proposizioni basate sulla testimonianza: Nel caso delle informazioni ricevute da altri, come nel caso di un matematico che afferma un principio matematico, usiamo il giudizio per decidere se accettare quella informazione come vera basandoci sulla probabilità che ciò che dice sia corretto.
Esaminare e pesare le prove per una decisione razionale: Locke sostiene che se la mente intende procedere razionalmente deve esaminare tutti i fondamenti della probabilità prima di assegnare il proprio assenso o dissenso a una proposizione.

In sintesi, la facoltà del giudizio ci consente di navigare un mondo pieno di incertezze e incompletezze, permettendoci di fare scelte razionali anche in assenza di conoscenza piena e certa.

2) Definisci i concetti di «dimostrazione» e «probabilità».
Nel testo di Locke, i concetti di dimostrazione e probabilità sono definiti in modo chiaro e distinto per sottolineare la differenza tra conoscenza certa e credenze basate su evidenze meno dirette e definitive.

Dimostrazione: Locke descrive la dimostrazione come un processo attraverso il quale si mostra l’accordo o il disaccordo di due idee mediante l’intervento di una o più prove che hanno una connessione visibile, immutabile e costante l’una con l’altra. Questo tipo di processo permette di ottenere una conoscenza certa, perché ogni passo del procedimento è chiaro e le connessioni tra le idee sono direttamente percepibili e non variabili. Ad esempio, in matematica, la dimostrazione di un teorema fornisce una certezza assoluta riguardo alla verità di una proposizione, poiché ogni passo della dimostrazione è supportato da logica rigorosa e principi ben stabiliti.
Probabilità: Al contrario della dimostrazione, la probabilità non si basa su una connessione immutabile e costante tra le prove, ma piuttosto su una connessione che non è costante, immutabile o che almeno non viene percepita come tale. La probabilità emerge quando le prove non sono sufficientemente definitive per fornire una conoscenza certa, ma suggeriscono comunque un certo grado di accordo o disaccordo tra idee. La probabilità è basata sull'apparenza di un accordo o disaccordo e non su una evidenza dimostrativa. Si affida a indizi, testimonianze e ragionamenti per analogia che non sono infallibili ma che sono sufficientemente persuasivi per indurre la mente a formare un giudizio. Locke sottolinea che la probabilità serve per guidare il comportamento e le decisioni umane nelle situazioni in cui manca una conoscenza certa, basandosi sulle somiglianze con esperienze passate o sulla credibilità di fonti esterne.

In sintesi, mentre la dimostrazione fornisce una certezza indiscutibile basata su legami logici e immutabili tra le idee, la probabilità opera nel regno dell'incertezza, fornendo un fondamento meno solido ma spesso praticamente necessario per prendere decisioni in condizioni di conoscenza limitata.

3) Quali sono i due fondamenti della probabilità?
Nel testo di Locke, i due fondamenti della probabilità sono:

La conformità di una cosa qualsiasi alla nostra conoscenza, osservazione ed esperienza. Questo significa che giudichiamo probabili le proposizioni che si accordano con ciò che abbiamo già osservato o sperimentato in precedenza.
La testimonianza di altri che garantiscono della loro osservazione ed esperienza. La credibilità di una proposizione può anche essere rafforzata dalla testimonianza di altri, soprattutto quando questi individui sono ritenuti affidabili e competenti nel loro campo.

Questi fondamenti aiutano la mente a determinare il grado di probabilità di una proposizione quando non si dispone di una conoscenza certa e diretta.

4) Quali sono gli elementi da prendere in considerazione, secondo Locke, per valutare una testimonianza?
Secondo Locke, per valutare una testimonianza bisogna considerare diversi elementi che influenzano la credibilità e l'affidabilità del testimone e del contenuto della testimonianza stessa. Ecco gli elementi principali da prendere in considerazione, come descritti nel testo:

Il numero dei testimoni: Il numero di persone che confermano un certo fatto può influenzare la credibilità della testimonianza. Maggiore è il numero dei testimoni che concordano su un particolare evento o affermazione, maggiore è la probabilità che tale testimonianza sia affidabile.
L'integrità del testimone: Si riferisce alla moralità, all'onestà e alla rettitudine del testimone. Un testimone che è generalmente considerato onesto e affidabile ha maggiore probabilità di fornire una testimonianza credibile.
L'abilità del testimone: Questo aspetto considera la competenza e la conoscenza del testimone riguardo alla materia di cui testimonia. Se il testimone è esperto o ha una conoscenza diretta degli eventi, la sua testimonianza è presumibilmente più affidabile.
L'intenzione dell’autore: Se la testimonianza proviene da un testo scritto, è importante valutare l'intenzione dell'autore del testo. Questo include comprendere il contesto in cui il testo è stato scritto e le motivazioni dell'autore.
La coerenza delle parti: La coerenza interna della testimonianza è fondamentale. Se le varie parti della testimonianza si contraddicono o se ci sono incongruenze, ciò riduce la sua affidabilità.
Le circostanze della relazione: Comprende il contesto e le condizioni sotto le quali la testimonianza è stata data. Circostanze insolite o inappropriate possono influenzare la veridicità della testimonianza.
Le testimonianze contrarie: È essenziale considerare anche eventuali testimonianze che contraddicono la testimonianza in questione. La presenza di testimonianze contrarie può mettere in dubbio l'affidabilità della testimonianza originale.

Questi elementi aiutano a formare un giudizio sulla probabilità che una testimonianza sia vera, e sono parte integrante del processo di valutazione critica che Locke suggerisce quando non si dispone di conoscenza certa e si deve fare affidamento sulla probabilità.


Guida alla Comprensione


1) In che senso, secondo Locke, la nostra «conoscenza» è limitata e non sufficiente a condurci nella vita ordinaria?
Secondo Locke, la nostra "conoscenza" è limitata in quanto abbiamo solo una conoscenza chiara e certa su un numero molto ristretto di cose. La maggior parte delle situazioni e decisioni della vita quotidiana non possono essere guidate dalla conoscenza certa, poiché semplicemente non disponiamo di prove dimostrative definitive per molte delle questioni che incontriamo. Questa limitatezza ci lascia spesso nell'oscurità, senza sufficienti dati o certezze su cui fondare le nostre scelte e azioni.

Locke argomenta che se dipendessimo unicamente dalla conoscenza certa per agire, saremmo spesso immobilizzati, incapaci di prendere decisioni quotidiane. Per esempio, cita l'esagerazione di non voler mangiare senza una dimostrazione che il cibo ci nutrirà, o di non muoversi senza la certezza che un'azione avrà successo. In tali circostanze, una persona sarebbe costretta a non fare nulla, rimanendo immobile fino a perire.

Per compensare questa insufficienza, Dio ci ha fornito il giudizio, una facoltà che ci permette di navigare la vita quotidiana anche in assenza di conoscenza certa. Il giudizio ci consente di fare supposizioni e di accettare proposizioni come probabili piuttosto che certe, basandoci su indizi, testimonianze e analogie. In questo modo, possiamo agire nonostante l'incertezza, guidati da una sorta di "crepuscolo" di probabilità che è adeguato allo stato di "mediocrità" in cui ci troviamo in questo mondo.

In sintesi, secondo Locke, la nostra conoscenza è troppo limitata per fornirci una guida sicura in tutte le circostanze della vita, motivo per cui dobbiamo affidarci al giudizio e alla probabilità per prendere la maggior parte delle nostre decisioni.

2) Perché, secondo Locke, Dio ci ha collocati nel crepuscolo della probabilità?
Secondo Locke, Dio ha collocato l'umanità nel "crepuscolo della probabilità" principalmente per motivi educativi e di sviluppo morale. Egli afferma che, sebbene Dio ci abbia fornito alcune conoscenze certe e determinate, queste sono limitate se confrontate con l'intero ambito di ciò che potrebbe essere conosciuto. Dio ha fatto questo probabilmente come un "assaggio" di ciò di cui le creature intellettuali sono capaci, per suscitare il desiderio di una condizione migliore e lo sforzo per conseguirla.

Inoltre, Dio ci ha collocati in questo stato di "mediocrità e di noviziato" per testare la nostra umiltà e presunzione, permettendoci di acquisire, attraverso l'esperienza quotidiana, la consapevolezza della nostra limitatezza e della nostra predisposizione all'errore. Questa consapevolezza dovrebbe servirci da monito per impiegare i nostri giorni con impegno e attenzione, alla ricerca e nel perseguimento di una condizione di maggiore perfezione.

Locke suggerisce quindi che questo stato di probabilità, dove le verità non sono completamente certe ma basate su evidenze meno dirette, ci costringe a esercitare il giudizio, a fare scelte e a vivere in un modo che considera non solo ciò che è dimostrabilmente vero, ma anche ciò che è verosimile, stimolando così il nostro sviluppo intellettuale e morale.

3) Perché Locke pensa che spesso esercitiamo la facoltà del giudizio in maniera superficiale?
Locke ritiene che spesso esercitiamo la facoltà del giudizio in maniera superficiale per diverse ragioni, tra cui l'indolenza, l'imperizia e la precipitosità. Questi fattori influenzano la mente umana portandola a non impegnarsi a fondo nell'esaminare le prove o le argomentazioni a supporto di una data proposizione.

Nel testo, Locke descrive come, invece di seguire una lunga sequenza di ragionamenti che richiederebbe una maggiore attenzione e pazienza, gli uomini spesso si limitano a "gettar occhiate fugaci sulle prove o le trascurano del tutto". Di conseguenza, stabiliscono l'accordo o il disaccordo tra due idee quasi istantaneamente, basandosi su ciò che sembra loro più probabile dopo un esame approssimativo.

Questa tendenza a operare in modo superficiale è aggravata dall'incapacità di alcuni di sostenere l'attenzione richiesta per un'analisi dettagliata, così come dall'impazienza di arrivare rapidamente a una conclusione. In sostanza, molti preferiscono appoggiarsi alla probabilità piuttosto che impegnarsi nell'ottenere una conoscenza certa e dimostrabile.

4) Seguendo l'esempio riportato da Locke, spiega che cosa determina l'assenso dato da un uomo privo di conoscenze specifiche a una dimostrazione geometrica fornita da un matematico.
Nell'esempio riportato da Locke, l'assenso di un uomo privo di conoscenze specifiche a una dimostrazione geometrica fornita da un matematico è determinato principalmente dalla probabilità piuttosto che dalla certezza basata su una conoscenza diretta. Questo uomo si affida alla testimonianza di un'autorità ritenuta affidabile (il matematico), anziché comprendere e verificare personalmente la dimostrazione.

Locke spiega che, in assenza di una conoscenza diretta e certa delle prove dimostrative, l'uomo si basa sulla sua percezione della credibilità del matematico. Questa credibilità può derivare da vari fattori, come la reputazione generale del matematico, la fiducia che la comunità ripone in lui, e la sua notorietà nel campo specifico della geometria. L'assenso dell'uomo alla veridicità della proposizione matematica ("i tre angoli di un triangolo sono uguali a due angoli retti") è quindi un esempio di credenza basata sulla probabilità, in cui si presume l'accordo tra le idee sulla base dell'autorità del testimone, piuttosto che su una comprensione diretta o un'analisi critica delle prove.

Questo processo di assenso basato sulla testimonianza di altri rientra nella discussione più ampia di Locke sulla probabilità come strumento che supplisce alle lacune della nostra conoscenza, guidandoci in situazioni in cui la certezza diretta è inaccessibile. Locke sottolinea l'importanza di considerare la qualità e la fiabilità delle fonti quando ci affidiamo alla probabilità per formare le nostre credenze.

5) Come ci dobbiamo comportare, secondo Locke, di fronte alla rivelazione divina contenuta nelle Sacre Scritture?
Secondo Locke, quando si tratta di rivelazione divina, come quella contenuta nelle Sacre Scritture, è fondamentale che il nostro assenso sia regolato da un elevato grado di sicurezza, poiché la fonte di tale rivelazione è Dio stesso, "che non può ingannare, né può essere ingannato". Tuttavia, Locke sottolinea anche l'importanza di essere certi che ciò a cui stiamo dando il nostro assenso sia veramente una rivelazione divina e che la comprendiamo correttamente.

Locke mette in guardia dal rischio di credere ciecamente a qualcosa che si presume sia una rivelazione divina senza una solida prova di tale natura. Afferma che il nostro assenso deve essere proporzionale alla prova che abbiamo dell'autenticità della rivelazione e del corretto significato delle espressioni usate per comunicarla. Se la prova dell'autenticità della rivelazione si basa solo su evidenze probabilistiche, allora anche il nostro assenso dovrebbe essere temperato da un grado di sicurezza o diffidenza proporzionale alla forza probante di tali evidenze.

In sintesi, Locke invita a un approccio critico e razionale anche quando si tratta di fede e rivelazione divina: è essenziale assicurarsi che ciò che si accetta come rivelazione divina sia verificabile come tale e correttamente interpretato, per evitare errori e il rischio di credere in "ogni stravaganza dell'entusiasmo e a tutti gli errori che discendono da principi errati".

Fonti: Zanichetti, libri scolastici superiori

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