Parafrasi, Analisi e Commento di: "A mia madre" di Eugenio Montale


Immagine Eugenio Montale
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento

Scheda dell'Opera


Autore: Eugenio Montale
Titolo dell'Opera: La bufera e altro
Prima edizione dell'opera: 1956
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Tre strofe di versi liberi tutti endecasillabi (compreso il 6^ al quale va sommato il 7^). Rime: rotta-lotta; cedi-credi; ombra-sgombra; stessa-essa; clivi-vivi



Introduzione


La poesia "A mia madre" di Eugenio Montale è un componimento toccante e profondo, dedicato alla figura materna e contenuto nella raccolta Ossi di seppia (1925). In questa lirica, Montale riflette sul rapporto intimo e universale tra madre e figlio, esplorando temi come la perdita, il dolore e il ricordo. Attraverso un linguaggio sobrio e essenziale, il poeta esprime la difficoltà di elaborare il lutto e l'impossibilità di trovare consolazione piena nella morte. La figura della madre assume una dimensione simbolica, rappresentando non solo il legame affettivo ma anche un senso di continuità con la vita passata, ormai irrimediabilmente spezzata.


Testo e Parafrasi puntuale


1. Ora che il coro delle coturnici
2. ti blandisce nel sonno eterno, rotta
3. felice schiera in fuga verso i clivi
4. vendemmiati del Mesco, or che la lotta
5. dei viventi più infuria, se tu cedi
6. come un'ombra la spoglia
7.___________________ (e non è un'ombra,
8. o gentile, non è ciò che tu credi)

9. chi ti proteggerà? La strada sgombra
10. non è una via, solo due mani, un volto,
11. quelle mani, quel volto, il gesto d'una
12. vita che non è un'altra ma se stessa,
13. solo questo ti pone nell'eliso
14. folto d'anime e voci in cui tu vivi;

15. e la domanda che tu lasci è anch'essa
16. un gesto tuo, all'ombra delle croci.
1. Adesso che il canto delle coturnici [= le coturnici sono uccelli simili ai fagiani che migrano in autunno; la madre del poeta era morta nel mese di novembre]
2. allieta il tuo sonno eterno,
3. volando a schiera sopra la tua tomba, diretta verso le pendici
4. vendemmiate del Mesco, adesso che la guerra
5. fra gli uomini infuria maggiormente [= si riferisce alla Seconda Guerra Mondiale], se cedi il tuo corpo
6. come se fosse un'ombra
7. (e non è un'ombra,
8. o gentile, non è ciò che tu credi)

9. chi ti proteggerà? La strada vuota
10. non è una via che ci guida in qualche luogo [= secondo il poeta la fede in una vita ultraterrena non è veritiera], solo due mani, un volto,
11. quelle mani, quel volto, il gesto di una
12. vita che non è un'altra ma se stessa,
13. solo questo ti distingue nel mio ricordo
14. dall'immagine di altre anime e voci nelle quali vivi.

15. E anche la domanda che tu mi lasci [= la domanda che la madre lascia al poeta è di non curarsi del corpo ma dell'anima] è anch'essa
16. tipicamente tua, ti distingue dalle altre persone morte.



Parafrasi discorsiva


Adesso che il canto delle coturnici [= uccelli simili ai fagiani che migrano in autunno; la madre del poeta era morta nel mese di novembre] allieta il tuo sonno eterno, volando a schiera sopra la tua tomba, diretta verso le pendici vendemmiate del Mesco, adesso che la guerra fra gli uomini infuria maggiormente [= si riferisce alla Seconda Guerra Mondiale], se cedi il tuo corpo come se fosse un'ombra (e non è un'ombra, o gentile, non è ciò che tu credi) chi ti proteggerà? La strada vuota non è una via che ci guida in qualche luogo [= secondo il poeta la fede in una vita ultraterrena non è veritiera], solo due mani, un volto, quelle mani, quel volto, il gesto di una vita che non è un'altra ma se stessa, solo questo ti distingue nel mio ricordo dall'immagine di altre anime e voci nelle quali vivi. E anche la domanda che tu mi lasci [= la domanda che la madre lascia al poeta è di non curarsi del corpo ma dell'anima] è anch'essa tipicamente tua, ti distingue dalle altre persone morte.


Figure Retoriche


Enjambements: vv. 1-2, vv. 3-4, vv. 4-5, vv. 9-10, vv. 11-12, vv. 13-14, vv. 15-16: "Ora che il coro delle coturnici/ ti blandisce nel sonno eterno", "felice schiera in fuga verso i clivi/ vendemmiati", "or che la lotta/ dei viventi più infuria", "La strada sgombra/ non è una via", "il gesto di una/ vita che non è un'altra ma se stessa", "solo questo ti pone nell'esilio/ folto", "e la domanda che tu lasci è anch'essa/ un gesto tuo".

Allitterazioni: v. 1: Della "r" e della "c": "Ora che il coro delle coturnici".

Similitudini: v. 6: "come un'ombra la spoglia".

Apostrofi: v. 8: "o gentile".

Ripetizione: v. 11: "quelle", "quel".


Analisi e Commento


La bufera e altro raccoglie le poesie scritte tra il 1940 e il 1954 che raccontano l'orrore del secondo conflitto mondiale e la barbarie del nazifascismo. Si tratta di una raccolta varia per tempi di composizione e temi e comprende una sessantina di poesie ripartite in sette sezioni.

La bufera, come ci rivela lo stesso Montale in una lettera del 29 novembre 1965 all'amico Silvio Guarnieri, è la guerra, «in ispecie quella guerra dopo quella dittatura; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti». Il poeta ritiene che questa raccolta sia il suo libro migliore «sebbene non si possa penetrarlo senza rifare tutto il precedente itinerario. Nella Bufera è vivo il riflesso della mia condizione storica, della mia attualità d'uomo».

Clizia è la figura femminile allegorica alla quale si fa riferimento nella raccolta, ed è la nuova Beatrice, in quanto portatrice di speranza nella vita del poeta, ma non tramite verso un approdo religioso. La donna è Irma Brandeis, un'ebrea americana amata dal poeta e che dovette tornare in America in seguito alle persecuzioni razziali. È la Clizia alla quale sono dedicati i Mottetti della raccolta Le occasioni.

La lirica A mia madre chiude la sezione Finisterre, con la quale si apre La bufera e altro, e introduce il tema del rapporto coi morti, fondamentale in tutta la raccolta. Nonostante sia stata scritta prima di altre poesie la lirica è posta in fondo alla raccolta e, col suo valore commemorativo, ha anche una funzione di dedica.

La poesia è stata scritta durante gli anni della seconda guerra mondiale (vv. 4-5: or che la lotta/ dei viventi più infuria) e rappresenta un dialogo con la madre del poeta, da poco defunta (la morte è avvenuta il 25 ottobre del 1942). Montale vuole mettere in luce l'amore che lui nutre nei confronti della donna che gli ha dato la vita: un amore capace di sopravvivere alla morte, rafforzato dal ricordo dei suoi gesti e delle sue parole.

La questione sulla quale il poeta si sofferma vede in disaccordo lui e la madre, in quanto la donna sosteneva che alla morte sopravvivesse l'anima, invece Montale sostiene che a sopravvivere sia la memoria del corpo sepolto, dei gesti e del volto. È evidentemente la ripresa di un tema foscoliano secondo il quale non c'è vita ultraterrena e la morte è il definitivo annullamento dell'individuo, con l'unica possibilità di sopravvivenza affidata al ricordo, appunto a quei pochi caratteristici frammenti dell'esistenza che restano nella memoria dei vivi.

Il poeta si domanda chi potrà mai proteggere la donna se ella deciderà di rinunciare al suo corpo, come se fosse la prigione della sua anima. Egli, infatti, come già anticipato, ritiene che non ci sia un'esistenza dopo la morte, se non nel ricordo. Secondo il poeta la via che conduce all'aldilà non esiste e il solo modo per durare in eterno è quello di rammentare a chi sopravvive i connotati fisici delle persone morte (quelle mani, quel volto). Ed è questo l'unico modo che conosce il poeta di distinguere nel ricordo la madre dalla folta schiera di anime meno intensamente ricordate.

Fonti: libri scolastici superiori

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