Parafrasi, Analisi e Commento di: "Il sogno del prigioniero" di Eugenio Montale
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
Scheda dell'Opera
Autore: Eugenio Montale
Titolo dell'Opera: La bufera e altro
Prima edizione dell'opera: 1956
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: Versi liberi
Introduzione
"Il sogno del prigioniero" è una poesia di Eugenio Montale inclusa nella raccolta La bufera e altro (1956). In questa lirica, Montale esplora il tema della prigionia, non solo fisica ma anche esistenziale, evocando immagini potenti di angoscia e speranza. Il prigioniero, protagonista della poesia, vive un’esperienza onirica in cui il desiderio di libertà si scontra con la realtà della reclusione. Il sogno diventa il mezzo per sondare la complessità dell’animo umano, dove l’aspirazione alla fuga si intreccia con la consapevolezza dell’ineluttabilità del destino. La poesia riflette la cifra stilistica di Montale, fatta di simboli, ambiguità e una profondità meditativa che invita a riflettere sulla condizione dell’uomo contemporaneo.
Testo e Parafrasi puntuale
1. Albe e notti qui variano per pochi segni. 2. Lo zigzag degli storni sui battifredi 3. nei giorni di battaglia, mie sole ali, 4. un filo d’aria polare, 5. l’occhio del capo guardia dallo spioncino, 6. crac di noci schiacciate, un oleoso 7. sfrigolìo dalle cave, girarrosti 8. veri o supposti – ma la paglia è oro, 9. la lanterna vinosa è focolare 10. se dormendo mi credo ai tuoi piedi. 11. La purga dura da sempre, senza un perché. 12. Dicono che chi abiura e sottoscrive 13. può salvarsi da questo sterminio d’oche, 14. che chi obiurga se stesso, ma tradisce 15. e vende carne d’altri, afferra il mestolo 16. anzi che terminare nel pâté 17. destinato agl’Iddii pestilenziali. 18. Tardo di mente, piagato 19. dal pungente giaciglio mi sono fuso 20. col volo della tarma che la mia suola 21. sfarina sull’impiantito 22. coi kimoni cangianti delle luci 23. sciorinate all’aurora dai torrioni, 24. ho annusato nel vento il bruciaticcio 25. dei buccellati dai forni, 26. mi son guardato attorno, ho suscitato 27. iridi su orizzonti di ragnateli 28. e petali sui tralicci delle inferriate, 29. mi sono alzato, sono ricaduto 30. nel fondo dove il secolo è il minuto- 31. e i colpi si ripetono ed i passi, 32. e ancora ignoro se sarò al festino 33. farcitore o farcito. L’attesa è lunga, 34. il mio sogno di te non è finito. |
1. [In carcere] le albe e le notti si differenziano per pochi particolari. 2. Il movimento degli stormi d’uccelli attorno alle torri di guardia 3. nei giorni di guerra, mia unica possibilità di movimento, 4. un filo d’aria ghiacciata, 5. lo sguardo del capoguardia dallo spioncino, 6. il rumore che si fa quando si schiacciano le noci, 7. lo sfrigolio dell’olio (=oleoso del v. 6) della cucina, 8-9-10. veri o presunti girarrosti, – ma, se mentre dormo m’immagino ai tuoi piedi, la paglia diventa oro, la lanterna dalla fiamma di colore rosso è un focolare. 11. Questa epurazione dura da sempre, senza un perché. 12. Si dice che chi sconfessa la propria fede e ne sottoscrive un’altra 13. può salvarsi da questo sterminio di oche; 14. che chi rimprovera se stesso, ma tradisce 15. e vende la pelle altrui, afferra il mestolo [dei carnefici] 16. anziché finire nel paté 17. destinato agli Dei tirannici. 18. Lento di mente, coperto di piaghe 19. a causa del mio pungente giaciglio, mi sono fuso 20. con il volo di una tarma che la mia suola 21. spiaccica sul pavimento, 22. con i giochi di luce – simili a kimoni variopinti 23. che l’aurora disegna sulle torri, 24. ho annusato nell’aria l’odore di bruciato 25. delle ciambelle dolci proveniente dai forni, 26. mi sono guardato attorno, ho creato 27. arcobaleni su orizzonti di ragnatele, 28. e ho immaginato petali sui tralicci delle inferriate, 29. mi sono alzato, sono crollato 30. dove un minuto dura un secolo – 31. e i passi e i colpi si ripetono, 32. e ancora non so se al festino 33. sarò vittima o carnefice. L’attesa è lunga, 34. il mio sogno di te non è finito. |
Parafrasi discorsiva
[In carcere] le albe e le notti si differenziano per pochi particolari.
Il movimento degli stormi d’uccelli attorno alle torri di guardia nei giorni di guerra, mia unica possibilità di movimento, un filo d’aria ghiacciata, lo sguardo del capoguardia dallo spioncino, il rumore che si fa quando si schiacciano le noci, lo sfrigolio dell’olio della cucina, veri o presunti girarrosti, – ma, se mentre dormo m’immagino ai tuoi piedi, la paglia diventa oro, la lanterna dalla fiamma di colore rosso è un focolare.
Questa epurazione dura da sempre, senza un perché. Si dice che chi sconfessa la propria fede e ne sottoscrive un’altra può salvarsi da questo sterminio di oche; che chi rimprovera se stesso, ma tradisce e vende la pelle altrui, afferra il mestolo [dei carnefici] anziché finire nel paté destinato agli Dei tirannici.
Lento di mente, coperto di piaghe a causa del mio pungente giaciglio, mi sono fuso con il volo di una tarma che la mia suola spiaccica sul pavimento, con i giochi di luce – simili a kimoni variopinti che l’aurora disegna sulle torri, ho annusato nell’aria l’odore di bruciato delle ciambelle dolci proveniente dai forni, mi sono guardato attorno, ho creato arcobaleni su orizzonti di ragnatele, e ho immaginato petali sui tralicci delle inferriate, mi sono alzato, sono crollato dove un minuto dura un secolo – e i passi e i colpi si ripetono, e ancora non so se al festino sarò vittima o carnefice. L’attesa è lunga, il mio sogno di te non è finito.
Figure Retoriche
Analogia: vv. 2-3: "Lo zigzag degli storni sui battifredi/ nei giorni di battaglia".
Enjambements: v. 6, vv. 6-7, vv. 7-8, vv. 16-17, vv. 18-19, vv. 20-21, vv. 22-23, vv. 24-25, vv. 26-27, vv. 29-30, vv. 30-31, vv. 32-33: "crac di noci schiacciate, un oleoso/ sfrigolìo dalle cave", "girarrosti/ veri o supposti", "anzi che terminare nel pâté/ destinato agl’Iddi pestilenziali", "piagato/ dal pungente giaciglio", "mi sono fuso/ col volo", "che la mia suola/ sfarina", "coi kimoni cangianti delle luci/ sciorinate", "ho annusato nel vento il bruciaticcio/ dei buccellati", "ho suscitato/ iridi", "sono ricaduto/ nel fondo", "è il minuto/ e i colpi si ripetono ed i passi", "e ancora ignoro se sarò al festino/ farcitore o farcito".
Metafore: vv. 2-3, v. 9, v. 13, v. 16: "Lo zigzag degli storni sui battifredi/ nei giorni di battaglia", "mie sole ali", "la lanterna vinosa è focolare", "può salvarsi da questo sterminio d’oche", "terminare nel pâté".
Onomatopea: v. 6: "crac di noci schiacciate".
Analisi e Commento
La bufera e altro raccoglie le poesie scritte tra il 1940 e il 1954 che raccontano l’orrore del secondo conflitto mondiale e la barbarie del nazifascismo. Si tratta di una raccolta varia per tempi di composizione e temi e comprende una sessantina di poesie ripartite in sette sezioni. La bufera, come ci rivela lo stesso Montale in una lettera del 29 novembre 1965 all’amico Silvio Guarnieri, è la guerra, «in ispecie quella guerra dopo quella dittatura; ma è anche guerra cosmica, di sempre e di tutti».
Il poeta ritiene che questa raccolta sia il suo libro migliore «sebbene non si possa penetrarlo senza rifare tutto il precedente itinerario. Nella Bufera è vivo il riflesso della mia condizione storica, della mia attualità d’uomo».
Clizia è la figura femminile allegorica alla quale si fa riferimento nella raccolta, ed è la nuova Beatrice, in quanto portatrice di speranza nella vita del poeta, ma non tramite verso un approdo religioso. La donna è Irma Brandeis, un’ebrea americana amata dal poeta e che dovette tornare in America in seguito alle persecuzioni razziali. È la Clizia alla quale sono dedicati i Mottetti della raccolta Le occasioni.
La lirica Il sogno del prigioniero è il testo conclusivo della Bufera e altro, appartenente alla sezione Conclusioni provvisorie e risalente al 1954. La poesia è stata, dunque, scritta negli anni in cui, dopo la caduta del fascismo, in Italia vi è l’avvento della società di massa e del comunismo e nel mondo impera la guerra fredda tra l’Ovest filoamericano e l’Est filosovietico. In questa lirica sono, infatti, evidenti i riferimenti alla guerra fredda e ai terribili crimini perpetrati dalle dittature totalitarie del Novecento.
Il prigioniero a cui allude il titolo stesso è, secondo i critici, un recluso dei campi di concentramento nazisti o dei gulag di staliniana memoria, la cui storia viene alla luce proprio in questo periodo. In realtà si può ritenere che il protagonista sia lo stesso poeta o un qualsiasi intellettuale al quale, in un mondo così crudele, non resta che rifugiarsi nel sogno.
La condizione di prigionia in fondo è vissuta dall’intera umanità ed è un’allegoria della stessa condizione storica.
Il prigioniero della poesia fa riferimento a immagini grottesche di morte e utilizza delle metafore culinarie (crac di noci schiacciate, un oleoso/ sfrigolio dalle cave, girarrosti/ veri o supposti, etc.) per fare riferimento ai campi di sterminio. Queste immagini fanno inevitabilmente pensare alle Malebolge di Dante: «Non altrimenti i cuoci a’lor vassalli/ fanno attuffare in mezzo la caldaia/ la carne con li uncini, perché non galli» [D. Alighieri, Inferno, a cura di N. Sapegno, Scandicci, La Nuova Italia, canto XXI. vv. 55-57].
Montale paragona gli uomini imprigionati alle oche abbattute per contentare il palato dei potenti e fa riferimento alle pratiche di menzogna e tradimento alle quali devono ricorrere i prigionieri per sfuggire alla morte e non finire nel pâté destinato agl’Iddii pestilenziali.
In particolare la purga a cui si accenna al verso 11 fa riferimento alle campagne di Stalin per reprimere il dissenso interno nell’Unione Sovietica, attraverso l’istituzione dei Gulag, e i forni a cui si allude al verso 25 sono i tristemente noti forni crematori dei campi di sterminio nazisti. I suoni aspri usati dal poeta ricordano le immagini più violente della Divina Commedia.
L’unica speranza di via di fuga elargita al poeta è data dalla visione di Clizia, che fa sì che il prigioniero veda la paglia trasformata in oro, la luce della lanterna convertita in focolare, le ragnatele mutate in arcobaleni e dei petali comparire sulle grate del carcere. Il mondo è sì violento e terribile, ma la donna è l’unica capace di mantenere viva la speranza nella mente del poeta che conclude il Il sogno del prigioniero scrivendo: L’attesa è lunga,/ il mio sogno di te non è finito.
Fonti: libri scolastici superiori