Parafrasi, Analisi e Commento di: "La mia sera" di Giovanni Pascoli
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi puntuale
4) Parafrasi discorsiva
5) Figure Retoriche
6) Analisi e Commento
7) Confronti
8) Domande e Risposte
Scheda dell'Opera
Autore: Giovanni Pascoli
Titolo dell'Opera: Canti di Castelvecchio
Prima edizione dell'opera: 1903
Genere: Poesia lirica
Forma metrica: 5 strofe di otto versi di cui sette novenari e l'ultimo senario, a rima alternata, con schema ABABCDCd. Vi sono alcuni versi non regolarmente rimati.
Introduzione
L'introduzione del testo "La mia sera" di Giovanni Pascoli è caratterizzata da un profondo senso di malinconia e contemplazione. In questa poesia, l'autore descrive il momento serale, un tempo di riflessione e di ritorno ai ricordi, in cui la natura e il paesaggio si tingono di tonalità calde e serene. Pascoli utilizza immagini suggestive e simboliche per trasmettere le sue emozioni, evocando un'atmosfera di pace ma anche di nostalgia. La sera diventa un momento di connessione con la memoria e con le esperienze passate, rivelando il legame profondo tra l'individuo e il mondo che lo circonda.
Testo e Parafrasi puntuale
1. Il giorno fu pieno di lampi; 2. ma ora verranno le stelle, 3. le tacite stelle. Nei campi 4. c'è un breve gre gre di ranelle. 5. Le tremule foglie dei pioppi 6. trascorre una gioia leggiera. 7. Nel giorno, che lampi! che scoppi! 8. Che pace, la sera! 9. Si devono aprire le stelle 10. nel cielo sì tenero e vivo. 11. Là, presso le allegre ranelle, 12. singhiozza monotono un rivo. 13. Di tutto quel cupo tumulto, 14. di tutta quell'aspra bufera, 15. non resta che un dolce singulto 16. nell'umida sera. 17. È, quella infinita tempesta, 18. finita in un rivo canoro. 19. Dei fulmini fragili restano 20. cirri di porpora e d'oro. 21. O stanco dolore, riposa! 22. La nube nel giorno più nera 23. fu quella che vedo più rosa 24. nell'ultima sera. 25. Che voli di rondini intorno! 26. che gridi nell'aria serena! 27. La fame del povero giorno 28. prolunga la garrula cena. 29. La parte, sì piccola, i nidi 30. nel giorno non l'ebbero intera. 31. Nè io... e che voli, che gridi, 32. mia limpida sera! 33. Don... Don... E mi dicono, Dormi! 34. mi cantano, Dormi! sussurrano, 35. Dormi! bisbigliano, Dormi! 36. là, voci di tenebra azzurra... 37. Mi sembrano canti di culla, 38. che fanno ch'io torni com'era... 39. sentivo mia madre... poi nulla... 40. sul far della sera. |
1. La giornata è stata colpita da un temporale fitto di fulmini e tuoni, 2. ma adesso appariranno le stelle, 3. le stelle silenziose. Nei campi 4. ci sono rapidi gracidii di ranocchie. 5. Le foglie tremolanti dei pioppi 6. sono trapassate da una lieve gioia di piccole gocce. 7. Durante il giorno, che lampi! Che scoppi! 8. Che pace invece, la sera! 9. Le stelle sono in procinto di comparire 10. nel cielo così tenero e vitale. 11. Là, vicino alle allegre ranocchiette 12. un ruscello gorgoglia sempre uguale. 13. Di tutto quel fragoroso caos, 14. di tutta quella forte tempesta 15. non rimane che un dolce singhiozzo, una lieve traccia 16. nella sera umida. 17. Quella tempesta che sembrava inesauribile 18. è andata a spegnersi nelle note di un ruscello che scorre. 19. Dei fulmini di breve durata ora restano soltanto 20. nuvolette colorate di porpora e oro. 21. Cessa, dolore ormai stanco di essere tale! 22. La nuvola che di giorno (cioè durante la vita) mi sembrava più minacciosa, 23. è quella che ora mi appare più rosea 24. nell'ultima sera (cioè alla fine della vita) 25. Che svolazzare di rondini intorno! 26. Che versi nell'aria tranquilla! 27. La fame patita durante il giorno povero di cibo 29. rende più lunga la gioiosa cena. 29. La loro piccola razione di cibo i piccoli uccelli 30. durante il giorno non l'hanno avuta completamente. 31. E neppure io... e che svolazzare, che versi, 32. mia sera serena e luminosa! 33. Rintoccano le campane ... e mi dicono di dormire, 34. mi cantano di dormire, mi sussurrano di dormire, 35. mi bisbigliano di dormire! 36. Là, in lontananza, alcune voci riempiono l'oscurità bluastra del paesaggio 37. mi ricordano i canti della mamma al suo bambino, 38. che mi fanno tornare com'ero da piccolo... 39. Sentivo la voce di mia madre... e poi più nulla... 40. al calare della sera. |
Parafrasi discorsiva
La giornata è stata colpita da un temporale fitto di fulmini e tuoni, ma adesso appariranno le stelle, le stelle silenziose. Nei campi ci sono rapidi gracidii delle ranocchie. Le foglie tremolanti dei pioppi sono trapassate da una lieve gioia di piccole gocce.
Durante il giorno, che lampi! Che scoppi! Che pace invece, la sera!
Le stelle sono in procinto di comparire nel cielo così tenero e vitale. Là, vicino alle allegre ranocchiette, un ruscello gorgoglia sempre uguale. Di tutto quel fragoroso caos, di tutta quella forte tempesta non rimane che un dolce singhiozzo, una lieve traccia nella sera umida.
Quella tempesta che sembrava inesauribile è andata a spegnersi nelle note di un ruscello che scorre. Dei fulmini di breve durata ora restano soltanto nuvolette colorate di porpora e oro. Cessa, dolore ormai stanco di essere tale! La nuvola che di giorno (cioè durante la vita) mi sembrava più minacciosa, è quella che ora mi appare più rosea nell'ultima sera (cioè alla fine della vita). Che svolazzare di rondini intorno! Che versi nell'aria tranquilla! La fame patita durante il giorno povero di cibo rende più lunga la gioiosa cena. La loro piccola razione di cibo i piccoli uccelli durante il giorno non l'hanno avuta completamente. E neppure io... e che svolazzare, che versi, mia sera serena e luminosa!
Rintoccano le campane ... e mi dicono di dormire, mi cantano di dormire, mi sussurrano di dormire, mi bisbigliano di dormire! Là, in lontananza, alcune voci riempiono l'oscurità bluastra del paesaggio... mi ricordano i canti della mamma al suo bambino, che mi fanno tornare com'ero da piccolo... Sentivo la voce di mia madre e poi più nulla al calare della sera.
Figure Retoriche
Allitterazioni: v. 3, v. 4, v. 11, vv. 13-14, v. 19, vv. 34 e 37, v. 39: "tacite stelle", "gre gre di ranelle", "allegre ranelle", "Di tutto quel cupo tumulto, / di tutta quell'aspra bufera,", "fulmini fragili", "cantano...canti...culla", "mia madre". Pascoli attua un sapiente uso della figura per riprodurre il quadro del temporale giornaliero e quello serale anche dal punto di vista sonoro.
Analogie: v. 36, v. 39: "là voci di tenebra azzurra". La figura accosta l'immagine dell'oscurità dalla quale provengono voci a quella della morte che richiama la voce dei cari defunti, "nulla". Il sonno del Pascoli bambino è accostato alla sera e alla morte..
Anafore: vv. 13-14, vv. 33-35: "di tutto / di tutta" (con lieve variatio), "dormi". La figura enfatizza la vanità della tempesta che si spegne nella sera così come i dolori della vita che svaniscono nel momento della morte.
Anastrofi: vv. 5-6, vv. 17-18, vv. 29-30: "le tremule foglie dei pioppi / percorre una gioia leggera", "è quella infinita tempesta / finita in un rivo canoro", "la parte sì piccola i nidi / nel giorno non l'ebbero intera". Le inversioni sintattiche hanno l'effetto di creare l'atmosfera sonora che anima la sera pascoliana.
Antitesi: v. 17-18: "infinita tempesta / finita". Si sottolinea la paura di fronte al temporale (che per analogia richiama i dolori della vita) e la loro vanità nel momento in cui finiscono.
Apostrofi: v. 21, v. 32: "o stanco dolore", "mia limpida sera". Il poeta si rivolge a due diversi destinatari lungo il componimento e li pone in opposizione. Lo stanco dolore viene da una vita di affanni che si spegne nella serenità della morte serena (la limpida sera).
Chiasmi: vv. 7-8, vv. 22-24: "Nel giorno, che lampi! che scoppi! / Che pace, la sera!", "La nube nel giorno più nera / fu quella che vedo più rosa / nell'ultima sera.". Le figure chiudono la prima e la terza strofa e oppongono di nuovo il fracasso del temporale (e della vita) e la serenità della sera (e la morte).
Climax: vv. 33-35: "dicono ... cantano ... sussurrano ... bisbigliano". Il suono delle campane nell'oscurità si rivolge al poeta con suono sempre più fioco in lontananza.
Enjambements: vv. 5-6, vv. 17-18, vv. 19-20, vv. 22-23, vv. 27-28, vv. 29-30: "pioppi / trascorre", "tempesta / finita", "restano / cirri", "nera / fu", "giorno / prolunga", "i nidi / nel giorno". Le figure pongono in risalto alcuni termini chiave come "tempesta", "nera", "nidi" (sempre chiave in Pascoli, associati all'analogia su cui la poesia è fondata.
Epanalessi: vv. 2-3, vv. 25-26-31, vv. 33-35: "le stelle, / le tacite stelle", "Che voli [...] / Che gridi [...] Che voli! Che gridi!", "E mi dicono, Dormi! / mi cantano, Dormi! sussurrano, / Dormi! bisbigliano, Dormi!".La ripetizione dei termini crea enfasi sui luoghi emotivamente forti del componimento, conferendogli un'atmosfera intima ed espressiva dell'interiorità del poeta.
Epifore: "sera" (in chiusura di tutte le strofe): la parola è ripetuta già dal titolo e chiude tutte le strofe. Per analogia la sera richiama la morte, che chiude le sofferenze personali e umane.
Epifrasi: vv. 27-28: "La fame del povero giorno / prolunga la garrula cena.". La frase riassume il senso dei versi precedenti e il tono morale del componimento, secondo il quale la serenità più grande arriva solo dopo le più grandi sofferenze.
Metafore: v. 9, v. 20, vv. 5-6: "si devono aprire le stelle". Le stelle sono descritte come stessero preparandosi a mostrarsi, "cirri di porpora ed oro". Il colore delle nuvole ricorda oro e porpora al momento del tramonto, "le tremule foglie dei pioppi / trascorre una gioia leggera". La gioia leggera è quelle delle ultime goccioline di pioggia che, come lacrime di commozione, cadono senza fretta scorrendo sulle foglie dopo il temporale.
Metonimia: v. 21, v. 27, v. 28: "stanco dolore". Il dolore del corpo è reso attraverso la sensazione di stanchezza, "la fame del povero giorno", "la garrula cena". Si indicano il mancato pasto del giorno ripagato dalla ricca cena.
Ossimori: v. 36, v. 19: "tenebra azzurra". L'oscurità della sera viene accostato al colore del cielo diurno, "fulmini fragili". La forza e la paura che incutono i fulmini è contrappuntata dalla brevità della loro durata.
Onomatopea: v. 4, v. 33, v. 34, v. 35: "gre gre", "don don", "sussurrano", "bisbigliano". La figura riproduce i rumori sommessi e notturni che provengono dall'oscurità.
Perifrasi: v. 1: "pieno di lampi". Il temporale del giorno viene invocato attraverso un giro di parole riferito ai lampi da esso generati.
Personificazione: v. 12, v. 21: "singhiozza monotono un rivo". Il ruscello emette un rumore simile al singhiozzo umano, "stanco dolore". La sensazione di stanchezza, tipica di un corpo umano o animale, viene riferita al dolore.
Parallelismi: vv. 13-14: "Di tutto quel cupo tumulto, / di tutta quell'aspra bufera,". La figura rafforza il senso di paura generato dal temporale poi spento dall'arrivo del sereno.
Prosopopea: vv. 33-35: "E mi dicono, Dormi! / mi cantano, Dormi! sussurrano, / Dormi! bisbigliano, Dormi!". Il poeta riferisce la propria sensazione al suono delle campane attribuendo loro parole in discorso diretto.
Reticenza: "che fanno ch'io torni com'era... / sentivo mia madre... poi nulla...". Il finale della poesia riporta a un racconto d'infanzia subito interrotto dal sopraggiungere del sonno nel Pascoli bambino.
Similitudini: v. 37: "mi sembrano canti di culla". Il paragone tra le voci ascoltate nell'oscurità esplicita il ricordo infantile della ninnananna cantata dalla madre al poeta.
Sineddoche: v. 29, v. 37: "nidi". Con il termine (dall'alto valore metaforico in Pascoli) vengono indicati i piccoli di rondine, "canti di culla". La ninnananna è indicata con la culla, ovvero l'oggetto che contiene il bambino al quale essa viene cantata.
Sinestesia: v. 3, v. 6, v. 19, v. 36: "tacite stelle", "gioia leggera", "fulmini fragili", "voci di tenebra azzurra". Si associano sensazioni sensoriali differenti nella descrizione del quadro pascoliano cos' da rendere vivida l'immagine evocata.
Analisi e Commento
Storico-letterario
La mia sera fa parte dei Canti di Castelvecchio (1903), seconda raccolta poetica di Giovanni Pascoli, nella quale l'autore volle proseguire il progetto poetico di Myricae (1891), il libro con il quale egli si affermò come poeta riconosciuto: i paesaggi naturali evocano per analogia i complessi ossessivi della tragedia familiare e personale del poeta e, di conseguenza, temi tipici della produzione poetica dell'autore come l'eros e la morte.
Si tratta di una successione di liriche disposte secondo l'ordine delle stagioni e metaforicamente dello scorrere naturale del tempo della vita. Il titolo evoca quello dei Canti di Giacomo Leopardi, poeta dal quale Pascoli si lasciò ispirare ma di cui fu anche aspro critico, e il paese Castelvecchio Pascoli (comune toscano che oggi prende il nome dal poeta), dove egli viveva, nella villa Cardosi-Carrara che aveva acquistato, nel periodo in cui la raccolta fu composta.
Sappiamo da una lettera ad Alfredo Caselli datata 15 ottobre 1900 che Pascoli scrisse La mia sera come consolazione in un periodo di "profonde tribolazioni" ed essa tratta infatti in lunghe parti descrittive il seguito serale di un forte temporale, fitto di lampi e tuoni, che ha imperversato durante la giornata spegnendosi però in un sereno tramonto. La descrizione, secondo il consueto meccanismo del simbolismo pascoliano, si discosta ampiamente dal piano concreto e, per analogia, evoca la sera che porta serenità dopo una giornata di tempesta per accomunarla alla vecchiaia e la vicinanza della morte. Inoltre, l'aggettivo possessivo "mia" del titolo rafforza da un lato la soggettività della lirica mentre dall'altro accosta le sensazioni intime dell'autore a un significato esistenziale e comune all'intera condizione umana.
Tematico
La mia sera può essere suddivisa in due sezioni perfettamente simmetriche. I primi 20 versi descrivono il paesaggio naturale rasserenato dopo il temporale del giorno; la seconda parte del componimento si concentra sull'analogia posta tra il trambusto del giorno conclusosi con un'inaspettata e rassicurante quiete e la condizione spirituale e personale del poeta («O stanco dolore, riposa!», si legge infatti nel v. 21). Pascoli analizza la propria esistenza giunta alla parte finale sorprendentemente serena dopo il tormento interiore che l'aveva caratterizzata sin dalla più tenera età.
L'analogia tra paesaggio e individualità poggia su un'umanizzazione della natura, descritta come insieme di elementi capaci di provare e condividere emozioni con l'Io-poetico. Le prime due strofe ci immettono nella confortante comunione del poeta con essa, richiamando la tempesta diurna come evento lontano e quasi dimenticato. Del timore e la paura generati da lampi e rombi di tuono giganteschi è rimasto solo un rassicurante e costante gorgoglio di un ruscello in cui le rane si affacciano quiete e scherzose. Con l'allusione alle vicende personali del v. 21 si scende poi nello scioglimento dell'analogia concettuale fondante della poesia e si passa dalla descrizione paesaggistica a una riflessione sul proprio sé e sugli esseri umani da parte dell'autore. Nella "sera" della propria vita, posti nel passato i grandi dolori e le tragedie, anche la più acre disperazione finisce per smorzarsi nei ricordi dolci. Gli ultimi versi infatti vedono descritta, attraverso una reticenza, vv. 38-40, una scena dell'infanzia del poeta, ossia la memoria della ninnananna cantatagli dalla madre mentre egli era nella culla, che lo accompagnava dolcemente al sonno. Il sonno è appunto il "nulla", la morte che egli si appresta ad affrontare immerso in una pace inaspettata dopo tanto dolore.
La serenità richiama la classica metafora del "nido" pascoliano, la dolcezza degli affetti domestici e familiari, al poeta per tutta la vita negati a causa della morte prematura del padre, ai quali nell'ultimo frangente della sua esistenza – e di questo componimento – egli si abbandona malinconicamente.
Stilistico
La mia sera si compone di 5 strofe di otto versi (sette novenari più un senario conclusivo), a rima alternata, con schema ABABCDCd. Vi sono alcuni versi non regolarmente rimati e inoltre l'ultimo verso di ogni strofa si conclude in epifora con la ripetizione della parola "sera", su cui, come si è detto, poggia il significato simbolico dell'intero componimento.
Il componimento contiene tutti gli elementi tipici della poesia pascoliana: la sera che scende quieta non ci è descritta solo graficamente, ma il poeta mira a immergerci totalmente nell'atmosfera in cui esso si trova utilizzando una serie di figure di suono come allitterazioni ("tacite stelle" (v. 3); "gre gre di ranelle" (v. 4) "allegre ranelle" (v. 11); vv. 13-14 "Di tutto quel cupo tumulto, / di tutta quell'aspra bufera,"; "fulmini fragili" (v. 19) e onomatopee ("gre gre" (v. 4); "don don" (v. 33); "sussurrano" (v. 34); "bisbigliano" (v. 35).
A livello semantico è invece costruita un'identificazione tra le circostanze esterne e lo stato d'animo dell'io poetico, ciò che Pascoli sente fuori egli lo sente anche dentro e ciò contribuisce a creare un'atmosfera quasi fiabesca pregna di pathos. Lo si vede dalle frequenti esclamazioni a cui l'autore si lascia andare nel descrivere il clima di pace in cui si trova immerso o ad esempio nell'utilizzo di figure retoriche che enfatizzano la commozione personale come le apostrofi ("o stanco dolore" (v. 21); "mia limpida sera" (v. 32), il climax discendente ("dicono ... cantano ... sussurrano ... bisbigliano" (vv. 33-35), l'epanalessi (vv. 2-3: "le stelle, / le tacite stelle"; vv. 25-26-31 "Che voli [...] / Che gridi [...] Che voli! Che gridi!") o la prosopopea (vv. 33-35 "E mi dicono, Dormi! / mi cantano, Dormi! sussurrano, / Dormi! bisbigliano, Dormi!").
Lo scioglimento dell'analogia tra la sera e la vecchiaia si situa appunto nell'intreccio tra una profonda attenzione per la descrizione impressionistica del paesaggio, che ne coglie suoni, movimenti e colori, e quella espressionistica dell'interiorità del poeta che trova consolazione nello stato d'animo trasmessogli dal paesaggio stesso.
Confronti
La mia sera contiene specifici riferimenti a precedenti componimenti e temi pascoliani, sempre espressi in chiave simbolica, già sviluppati dall'autore all'interno della sua prima raccolta, Myricae (1891). La paura della tempesta è trattata nel trittico di poesie Temporale, Il lampo, Il tuono, in cui il poeta prende il fenomeno atmosferico come simbolo della paura e del dolore e lo descrive nello sviluppo dei suoi elementi. Il tuono, che chiude la sequenza, riporta al passaggio finale di La mia sera:
4. [il tuono] rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo,
5. e tacque, e poi rimareggiò rinfranto,
6. e poi vanì. Soave allora un canto
7. s'udì di madre, e il moto di una culla.
Il temporale spaventoso (che anche nelle poesie precedenti viene collocato nel buio della notte) è spento dall'immagine di una madre che corre a consolare il bambino per la paura e lo riporta alla serenità. Si tratta di una madre generica, che però con La mia sera vediamo ricondotta alla figura della madre di Pascoli, figura che si occupò di prendersi cura del poeta e dei suoi fratelli e sorelle dopo l'assassinio di Ruggiero Pascoli, padre del poeta, la cui morte ne segnò indelebilmente l'esistenza. In La mia sera troviamo riproposta di nuovo la classica metafora pascoliana del "nido", formulata nella celeberrima lirica X agosto (vv. 5-8 "Ritornava una rondine al tetto: / l'uccisero: cadde tra i spini; / ella aveva nel becco un insetto: / la cena dei suoi rondinini."). La rondine è appunto il padre del poeta, ucciso mentre rincasava. Nella nostra lirica vediamo che Pascoli si accomuna di nuovo alle rondini che hanno saltato il loro pasto diurno a causa del temporale, ma si vede finalmente consolato dalla serenità dalla vecchiaia, come esprime nell'epifrasi "La fame del povero giorno / prolunga la garrula cena".
L'uso sentenzioso della frase riporta ai modelli che Pascoli utilizzò per condurre il ragionamento della sua lirica. Da un punto di vista filosofico, egli si pone in contrasto con quanto afferma l'amato-odiato Leopardi nel componimento dal comune tema La quiete dopo la tempesta:
42. O natura cortese,
43. son questi i doni tuoi,
44. questi i diletti sono
45. che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
46. è diletto fra noi.
Il bersaglio di Leopardi, com'è noto, è la Natura matrigna, e nella lirica egli afferma appunto ironicamente che l'unico paradossale motivo di gioia degli uomini è il poter uscire momentaneamente dal dolore. Di tutt'altro avviso Pascoli, che appunto trova nell'immersione naturale, che quasi ricorda il panismo del coevo D'Annunzio, la consolazione alle sofferenze affettive della vita. In ciò egli ricorda il celebre precedente foscoliano di Alla sera:
1. Forse perché della fatal quïete
2. Tu sei l'immago a me sí cara vieni,
3. O Sera! [...]
13. E mentre io guardo la tua pace, dorme
14. Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
Le liriche di Foscolo e Pascoli sono formalmente collegate (anche dallo stesso titolo) e vedono un rapporto di rielaborazione e attualizzazione delle parole di Foscolo come critica alle posizioni leopardiane da parte di Pascoli. La sera, nei due autori, è simbolo dell'ultima parte della vita e di un'oscurità piacente e consolante in cui i dolori appassiscono per sempre prima dell'istante fatale, ma sereno, della morte.
Domande e Risposte
Qual è il tema principale di La mia sera?
Il tema principale della lirica è la consolazione della vecchiaia e della morte dopo le grandi sofferenze della vita.
Di quale raccolta fa parte la lirica?
La lirica fa parte dei Canti di Castelvecchio (1903)
Qual è la forma metrica del componimento?
La mia sera si compone di 5 strofe di otto versi (sette novenari più un senario conclusivo), a rima alternata, con schema ABABCDCd.
Dove si trova il paesaggio descritto nella lirica?
Il paesaggio si trova a Castelvecchio Pascoli, in Toscana.
Qual è il fenomeno descritto nella poesia?
Il fenomeno descritto è la tranquillità della sera dopo un giorno di violenta tempesta.
Quale lirica leopardiana tratta l'identico tema di questo componimento?
Pascoli scrisse La mia sera anche per confutare l'ideologia espressa da Leopardi in La quiete dopo la tempesta.
Fonti: libri scolastici superiori