Parafrasi e Analisi: "Canto XXVIII" - Inferno - Divina Commedia - Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XXVIII dell'Inferno si colloca nell'VIII Cerchio, all'interno della IX Bolgia, luogo destinato ai seminatori di discordia e di scandalo. Qui Dante affronta il tema della frammentazione morale e sociale causata da coloro che, con parole o azioni, hanno volutamente diviso comunità, famiglie o istituzioni. La punizione dei dannati riflette la gravità del loro peccato: le loro pene, espressione del contrappasso, incarnano il disfacimento e la lacerazione che essi hanno inflitto al tessuto umano e spirituale.
In questo canto, Dante continua la sua esplorazione della complessità della colpa umana, approfondendo il legame tra azioni terrene e conseguenze ultraterrene, e solleva interrogativi sul potere della parola, della fede e dell'autorità. L'ambientazione e il linguaggio vibrano di un'intensa drammaticità, sottolineando l'impatto devastante del peccato che spezza l'unità.
Testo e Parafrasi
Chi poria mai pur con parole sciolte dicer del sangue e de le piaghe a pieno ch'i' ora vidi, per narrar più volte? Ogne lingua per certo verria meno per lo nostro sermone e per la mente c'hanno a tanto comprender poco seno. S'el s'aunasse ancor tutta la gente che già in su la fortunata terra di Puglia, fu del suo sangue dolente per li Troiani e per la lunga guerra che de l'anella fé sì alte spoglie, come Livïo scrive, che non erra, con quella che sentio di colpi doglie per contastare a Ruberto Guiscardo; e l'altra il cui ossame ancor s'accoglie a Ceperan, là dove fu bugiardo ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo, dove sanz'arme vinse il vecchio Alardo; e qual forato suo membro e qual mozzo mostrasse, d'aequar sarebbe nulla il modo de la nona bolgia sozzo. Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com'io vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla. Tra le gambe pendevan le minugia; la corata pareva e 'l tristo sacco che merda fa di quel che si trangugia. Mentre che tutto in lui veder m'attacco, guardommi, e con le man s'aperse il petto, dicendo: «Or vedi com'io mi dilacco! vedi come storpiato è Mäometto! Dinanzi a me sen va piangendo Alì, fesso nel volto dal mento al ciuffetto. E tutti li altri che tu vedi qui, seminator di scandalo e di scisma fuor vivi, e però son fessi così. Un diavolo è qua dietro che n'accisma sì crudelmente, al taglio de la spada rimettendo ciascun di questa risma, quand'avem volta la dolente strada; però che le ferite son richiuse prima ch'altri dinanzi li rivada. Ma tu chi se' che 'n su lo scoglio muse, forse per indugiar d'ire a la pena ch'è giudicata in su le tue accuse?». «Né morte 'l giunse ancor, né colpa 'l mena», rispuose 'l mio maestro, «a tormentarlo; ma per dar lui esperïenza piena, a me, che morto son, convien menarlo per lo 'nferno qua giù di giro in giro; e quest'è ver così com'io ti parlo». Più fuor di cento che, quando l'udiro, s'arrestaron nel fosso a riguardarmi per maraviglia, oblïando il martiro. «Or dì a fra Dolcin dunque che s'armi, tu che forse vedra' il sole in breve, s'ello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, ch'altrimenti acquistar non saria leve». Poi che l'un piè per girsene sospese, Mäometto mi disse esta parola; indi a partirsi in terra lo distese. Un altro, che forata avea la gola e tronco 'l naso infin sotto le ciglia, e non avea mai ch'una orecchia sola, ristato a riguardar per maraviglia con li altri, innanzi a li altri aprì la canna, ch'era di fuor d'ogni parte vermiglia, e disse: «O tu cui colpa non condanna e cu' io vidi in su terra latina, se troppa simiglianza non m'inganna, rimembriti di Pier da Medicina, se mai torni a veder lo dolce piano che da Vercelli a Marcabò dichina. E fa saper a' due miglior da Fano, a messer Guido e anco ad Angiolello, che, se l'antiveder qui non è vano, gittati saran fuor di lor vasello e mazzerati presso a la Cattolica per tradimento d'un tiranno fello. Tra l'isola di Cipri e di Maiolica non vide mai sì gran fallo Nettuno, non da pirate, non da gente argolica. Quel traditor che vede pur con l'uno, e tien la terra che tale qui meco vorrebbe di vedere esser digiuno, farà venirli a parlamento seco; poi farà sì, ch'al vento di Focara non sarà lor mestier voto né preco». E io a lui: «Dimostrami e dichiara, se vuo' ch'i' porti sù di te novella, chi è colui da la veduta amara». Allor puose la mano a la mascella d'un suo compagno e la bocca li aperse, gridando: «Questi è desso, e non favella. Questi, scacciato, il dubitar sommerse in Cesare, affermando che 'l fornito sempre con danno l'attender sofferse». Oh quanto mi pareva sbigottito con la lingua tagliata ne la strozza Curïo, ch'a dir fu così ardito! E un ch'avea l'una e l'altra man mozza, levando i moncherin per l'aura fosca, sì che 'l sangue facea la faccia sozza, gridò: «Ricordera'ti anche del Mosca, che disse, lasso!, "Capo ha cosa fatta", che fu mal seme per la gente tosca». E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»; per ch'elli, accumulando duol con duolo, sen gio come persona trista e matta. Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, e vidi cosa ch'io avrei paura, sanza più prova, di contarla solo; se non che coscïenza m'assicura, la buona compagnia che l'uom francheggia sotto l'asbergo del sentirsi pura. Io vidi certo, e ancor par ch'io 'l veggia, un busto sanza capo andar sì come andavan li altri de la trista greggia; e 'l capo tronco tenea per le chiome, pesol con mano a guisa di lanterna: e quel mirava noi e dicea: «Oh me!». Di sé facea a sé stesso lucerna, ed eran due in uno e uno in due; com'esser può, quei sa che sì governa. Quando diritto al piè del ponte fue, levò 'l braccio alto con tutta la testa per appressarne le parole sue, che fuoro: «Or vedi la pena molesta, tu che, spirando, vai veggendo i morti: vedi s'alcuna è grande come questa. E perché tu di me novella porti, sappi ch'i' son Bertram dal Bornio, quelli che diedi al re giovane i ma' conforti. Io feci il padre e 'l figlio in sé ribelli; Achitofèl non fé più d'Absalone e di Davìd coi malvagi punzelli. Perch'io parti' così giunte persone, partito porto il mio cerebro, lasso!, dal suo principio ch'è in questo troncone. Così s'osserva in me lo contrapasso». |
Chi potrebbe (poria) mai rappresentare adeguatamente (dicer... a pieno), anche in prosa (pur con parole sciolte), se anche ripetesse più volte la narrazione (per narrar più volte), l'orrore del sangue e delle ferite che io vidi in questa bolgia? Ogni forma espressiva (lingua) verrebbe (verria) meno a causa (per) del nostro linguaggio (sermone) e del nostro intelletto (mente), che hanno poca capacità (seno) di contenere (comprender) simili cose (a tanto). Se anche (S'el... ancor) si radunasse (s'aunasse) tutta la gente che un tempo (già), nella sfortunata (fortunata) Italia meridionale (terra di Puglia), fu martoriata (fu del suo sangue dolente) a causa dei Troiani (Troiani) e del lungo conflitto che, come scrive Livio esattamente (che non erra), portò a un enorme bottino (sì alte spoglie) di anelli, insieme a quella (gente) caduta (che sentio di colpi doglie) per contrastare (contastare) Roberto il Guiscardo; e quella le cui spoglie (ossame) giacciono ancora (s'accoglie) a Ceprano (Ceperan), dove tutti i baroni (ciascun Pugliese) si comportarono da traditori (fu bugiardo), e (a quella le cui spoglie giacciono) nei pressi (là da) di Tagliacozzo, dove il vecchio Alardo vinse anche senza armi; e se ciascuno (di quei morti) mostrasse le proprie membra ferite (forato) e quelle mozzate (mozzo), sarebbe in ogni caso impossibile (nulla) eguagliare (d'aequar) la ripugnante condizione (modo... sozzo) della nona bolgia. Una botte (veggia), che abbia perduto (per... perdere) il mezzule o la lulla, non appare così sfasciata (così non si pertugia) quanto un dannato che io vidi, squarciato (rotto) dal mento fino all'ano (dove si trulla). Le interiora (minugia) pendevano in mezzo alle gambe; apparivano (pareva) gli organi del torace e dell'addome (corata) e il ripugnante (tristo) sacco (lo stomaco) che trasforma (fa) in merda ciò che si mangia (trangugia). Mentre ero tutto concentrato (m'attacco) ad osservarlo (in lui veder), mi guardò e si aprì il petto con le mani, dicendo: «Guarda come mi divarico (mi dilacco)! guarda come è deturpato (storpiato) Maometto! Davanti a me va piangendo Alì, col volto tagliato (fesso) dal mento alla fronte (ciuffetto). E tutti gli altri che tu vedi qui intorno furono (fuor) sulla terra (vivi) seminatori di discordia (scandalo) e di divisione (scisma), e per questo sono tagliati in questo modo. Qua dietro vi è un diavolo che ci concia (n'accisma) così ferocemente, sottoponendo di nuovo (rimettendo) ciascuno di questa schiera (risma) al taglio della spada, ogni volta che abbiamo compiuto il giro (volta) della bolgia (strada) dolorosa; dal momento che le ferite si richiudono prima che ciascuno gli ricompaia (rivada) davanti. Ma chi sei tu che te ne stai a guardare (muse) sul ponte della bolgia (scoglio), forse per ritardare (indugiar) di andare (ire) alla pena che ti è stata assegnata (giudicata) sulla base della tua confessione (in su le tue accuse)?» «La morte non l'ha ancora raggiunto ('l giunse), né alcuna colpa lo conduce ('l mena)», rispose il maestro, «a subire tormenti; ma per consentirgli una completa conoscenza (esperïenza piena) del male, è necessario (convien) che io, che sono morto, lo accompagni (menarlo) di cerchio (giro) in cerchio giù nell'Inferno; e ciò è vero come è vero che ti sto parlando». Furono (fuor) più di cento i dannati che, quando l'ebbero udito (l'udiro), si fermarono nella bolgia (fosso) a guardarmi fissamente (riguardarmi) per lo stupore, dimenticandosi (oblïando) della propria pena (martiro). «Tu che forse tra poco (in breve) ritornerai a vedere (vedra') la luce del sole, riferisci (dì) a fra Dolcino, se questi non vuole al più presto (tosto) seguirmi (seguitarmi) quaggiù, che si provveda (s'armi) di vettovaglie (vivanda), in modo che l'assedio (stretta) della neve non conceda la vittoria all'esercito di Novara (Noarese), cosa che altrimenti non sarebbe (saria) facile (leve) ottenere». Maometto mi disse queste parole dopo aver sollevato (sospese) un piede per andarsene (girsene); quindi lo posò a terra per allontanarsi (a partirsi). Un altro spirito, che aveva la gola squarciata (forata) e il naso tagliato (tronco) fin sotto le ciglia, e aveva soltanto (mai ch'una) un orecchio, ed era rimasto (ristato) a guardare stupito (per maraviglia) insieme agli altri, prima degli altri aprì (per parlare) la gola (canna), che era scoperta (di fuor), rossa di sangue (vermiglia) in ogni parte, e disse: «Tu che non sei condannato da alcuna colpa (cui colpa non condanna) e che io, se una quasi totale (troppa) somiglianza (con qualcun altro) non m'inganna, ho conosciuto in Italia (terra latina), ricordati (rimembriti) di Pier da Medicina, con l'augurio (se mai) che tu possa ritornare a vedere la dolce pianura che da Vercelli scende (dichina) fino a Marcabò. E fa sapere ai due più insigni (miglior) di Fano, a messer Guido e anche ad Angiolello, che, se in questo luogo non è fallace (vano) il vedere in anticipo il futuro (l'antiveder), essi saranno gettati fuori dalla loro nave (vasello) e fatti annegare (mazzerati) presso Cattolica a causa del tradimento di un tiranno crudele (fello). In tutto il Mediterraneo (Tra l'isola di Cipri e di Maiolica [Maiorca]) Nettuno non vide mai un delitto (fallo) così grande, né da parte di pirati (non da pirate), né di Greci (gente argolica). Quel traditore, che vede solo (pur) con un occhio (l'uno) e che governa (tien) la terra che un tale qui vicino a me vorrebbe non aver visto mai (vorrebbe di vedere esser digiuno), li farà andare incontro (a parlamento) con lui (seco); poi farà in modo (sì) che essi non avranno bisogno (non sarà lor mestier) né di voto né di preghiera (preco) [per scampare] al vento di Focara». Ed io a lui: «Dimmi con chiarezza (Dimostrami e dichiara), se vuoi (vuo') che rechi notizia (novella) di te sulla terra (sù), chi è lo spirito a cui fu dannoso l'aver visto quella terra (da la veduta amara)». Allora pose (puose) la mano sulla mascella di un suo compagno vicino e gli aprì la bocca gridando: «È proprio costui (Questi è desso), e non può parlare (non favella). Costui, esiliato (da Roma), pose fine (sommerse) all'esitazione (dubitar) di Cesare, affermando che chi è pronto ad agire ('l fornito) ha tollerato (sofferse) sempre con suo danno l'attesa (l'attender)». Oh quanto mi sembrava smarrito (sbigottito), con la lingua tagliata nella gola (strozza), Curione (Curïo), che (allora) fu così audace (ardito) a parlare! E un altro, che aveva entrambe le mani mozzate (mozza), alzando i moncherini nell'aria tenebrosa (fosca), così che il sangue (che colava) gli sporcava (facea... sozza) di sangue la faccia, gridò: «Dovrai ricordarti (Ricordera'ti) anche del Mosca, che disse, purtroppo (lasso)!, "Cosa fatta capo ha", che fu l'origine della divisione (fu mal seme) del popolo fiorentino (gente tosca)». E io aggiunsi: «E della rovina (morte) della tua stirpe (schiatta)»; per cui egli, aggiungendo dolore (duol) a dolore, se ne andò (sen gio) avvilito (come persona trista) e fuori di sé (matta). Io invece restai a guardare la schiera dei dannati (stuolo), e vidi una cosa che avrei paura a raccontarla (contarla) da solo, senza altra testimonianza (sanza più prova); mi assicura tuttavia la coscienza (di dire il vero), la buona compagna che rende sicuro (francheggia) l'uomo sotto il riparo (asbergo = scudo) del sentirsi priva di colpa (pura). Vidi con certezza, e mi sembra (par) ancora di vederlo (veggia), un corpo senza testa andare allo stesso modo in cui andavano gli altri della misera schiera (trista greggia); e teneva per i capelli la propria testa mozzata, sospesa (pesol) in mano come (a guisa) di una lanterna: e quella testa (quel) guardava (mirava) noi e diceva: «Misero me!». Con i suoi occhi (Di sé = di una parte di sé) faceva luce (lucerna) a se stesso, e queste due parti appartenevano a uno stesso individuo (due in uno) e questo individuo era diviso in due (uno in due); come questo può accadere, lo sa soltanto Dio (quei... che sì governa). Quando giunse (fue) esattamente (diritto) ai piedi del ponte, levò in alto il braccio insieme alla testa, per indirizzarci (appressarne) le sue parole, che furono (fuoro): «Guarda questa pena avvilente (molesta), tu che vai visitando il regno dei morti (vai veggendo i morti) ancora vivo (spirando = respirando): guarda se mai ve ne è un'altra così grande. E affinché tu possa riportare notizia (novella) di me, sappi che sono Bertran de Born, colui che diede al re giovane i perfidi (ma') suggerimenti (conforti). Io resi (feci) tra loro nemici (in sé ribelli) il padre e il figlio; Achitofel, con i suoi malvagi incitamenti (punzelli), non operò peggio di me (non fé più) nei confronti di David e Assalonne (Absalone). Poiché io divisi (parti') persone così unite (così giunte), sono ora costretto a portare, misero me!, il mio cervello (cerebro) separato (partito) dal midollo spinale (suo principio), che si trova in questo busto troncato (troncone). In questo modo viene applicato (s'osserva) in me il principio del contrappasso. |
Riassunto
La Nona Bolgia: Orrore Inesprimibile (vv. 1-21)
La nona bolgia presenta uno scenario così terrificante che il linguaggio umano fatica a descriverlo. Neanche sommando i feriti e i morti delle più cruente battaglie del Sud Italia nel corso dei secoli si potrebbe rendere giustizia a tale raccapriccio.
Maometto e la Pena dei Fomentatori di Discordia (vv. 22-63)
Un dannato, dilaniato dal mento all'inguine con le viscere esposte, si presenta come Maometto. Accanto a lui c'è Alì, con il volto spaccato fino alla fronte. Entrambi subiscono tali mutilazioni a opera di un diavolo, mentre sono costretti a camminare in cerchio nella bolgia, ripresentandosi alla spada ogni volta. Scoprendo che Dante è vivo, Maometto lo incarica di avvisare fra Dolcino di prepararsi con scorte di cibo per resistere all'assedio dei nemici.
Pier da Medicina e il Tradimento di Rimini (vv. 64-90)
Dopo Maometto, appare un'anima con la gola squarciata, Pier da Medicina, che mette in guardia Dante riguardo al tradimento ordito da Malatestino da Rimini contro Guido del Cassero e Angiolello da Carignano. Lo invita a trasmettere loro questo avvertimento.
Curione e la Lingua Mozzata (vv. 91-102)
Pier da Medicina indica poi Caio Curione, il tribuno che incitò Cesare a varcare il Rubicone, scatenando la guerra civile. Per il suo consiglio, ora Curione ha la lingua mozzata e mostra a Dante il suo supplizio aprendo la bocca.
Mosca dei Lamberti e le Faide Fiorentine (vv. 103-111)
Si avvicina un altro dannato, Mosca dei Lamberti, che alza i moncherini insanguinati. Fu il suo suggerimento di uccidere Buondelmonte dei Buondelmonti a innescare le lotte tra Guelfi e Ghibellini a Firenze. Quando Dante gli racconta della rovina che queste faide hanno portato anche alla sua famiglia, Mosca si allontana in preda al dolore.
Bertram dal Bornio e il Suo Castigo (vv. 112-142)
Infine, si presenta un'anima che tiene in mano la propria testa recisa come fosse una lanterna. È Bertram dal Bornio, colpevole di aver fomentato la discordia tra Enrico II d'Inghilterra e suo figlio. La sua pena consiste nel portare con sé la testa, staccata dal corpo, per il resto dell'eternità.
Figure Retoriche
v. 1: "Chi poria mai": Anastrofe.
vv. 1-2: "Chi poria mai pur con parole sciolte dicer": Iperbato.
v. 9: "Di Puglia": Sineddoche. La parte per il tutto, di Puglia invece di dire meridione o sud d'Italia.
v. 12: "Come Livio scrive": Anastrofe.
v. 18: "Dove sanz'arme vinse il vecchio Alardo": Anastrofe.
vv. 19-21: "E qual forato suo membro e qual mozzo mostrasse, d'aequar sarebbe nulla il modo de la nona bolgia sozzo": Iperbole.
vv. 22-24: "Già veggia, per mezzul perdere o lulla, com'io vidi un, così non si pertugia, rotto dal mento infin dove si trulla": Similitudine.
v. 24: "Dal mento infin dove si trulla": Metonimia. L'effetto per la causa, "fino a dove si scorreggia" anziché dire "fino all'ano".
vv. 35-36: "Seminator di scandalo e di scisma fuor vivi": Anastrofe. Cioè: "in vita furono seminatori di scandali e scismi".
v. 61: "L'un piè per girsene sospese": Anastrofe.
v. 64: "Che forata avea la gola": Anastrofe.
v. 65: "E tronco 'l naso": Anastrofe.
v. 79: "Gittati saran": Anastrofe.
v. 85: "Quel traditor che vede pur con l'uno": Perifrasi. Per indicare Malatestino I Malatesta, soprannominato dell'Occhio o il Guercio per il fatto che aveva perso un occhio.
v. 93: "Veduta amara": Sinestesia. Sfera sensoriale della vista e del gusto.
vv. 100-102: "Oh quanto mi pareva sbigottito con la lingua tagliata ne la strozza Curio": Iperbato.
v. 106: "Ricordera'ti": Anastrofe.
v. 111: "Trista e matta": Endiadi.
v. 120: "Greggia": Sineddoche. Il singolare per il plurale.
v. 126: "Quei sa che sì governa": Perifrasi.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto XXVIII dell'Inferno di Dante Alighieri si concentra sulla punizione dei seminatori di discordia, ossia coloro che in vita hanno provocato divisioni religiose, politiche o sociali. La pena che li attende nella nona Bolgia dell'ottavo cerchio è il contrappasso evidente: un diavolo armato di spada li mutila orribilmente, riducendo i loro corpi a pezzi, in simbolico riflesso delle lacerazioni che hanno inflitto al tessuto umano e sociale.
Un'introduzione alla Bolgia: lo stupore di Dante
Dante apre il canto con la dichiarazione della sua incapacità di rendere giustizia, attraverso le parole, all'orrore delle scene che si presentano davanti a lui. Nemmeno evocando i caduti delle guerre che hanno insanguinato il Sud Italia sarebbe possibile descrivere adeguatamente il crudo spettacolo. Questa impossibilità espressiva, analoga a quella che tornerà nel Paradiso di fronte alla visione divina, introduce una descrizione volutamente aspra e dura, caratterizzata da dettagli raccapriccianti e un linguaggio incisivo e spietato.
Maometto e gli altri dannati
Tra i primi peccatori incontrati c'è Maometto, presentato da Dante secondo una tradizione medievale che lo dipinge come un rinnegato cristiano e promotore di divisioni all'interno della Cristianità. La sua punizione è descritta con immagini violente e grottesche: il suo corpo è squarciato dal mento fino all'ano, le interiora gli pendono tra le gambe e lo stomaco, definito "triste sacco", lascia intravedere il suo contenuto. Accanto a Maometto, il cugino e successore Alì è punito con una mutilazione complementare, un taglio dalla fronte al mento. La condanna di Maometto riflette la visione distorta e parziale che l'Occidente medievale aveva dell'Islam, visto come una dolorosa scissione interna al Cristianesimo.
Gli altri seminatori di discordia
Dante prosegue presentando una serie di peccatori che incarnano diverse forme di discordia. Fra essi spiccano Pier da Medicina, che profetizza la tragica fine di due notabili italiani, e Mosca dei Lamberti, la cui mano mozzata rappresenta il suo ruolo nell'istigazione di faide cittadine a Firenze. Mosca, che aveva già ricevuto una condanna profetica nel Canto VI, si allontana tra il rimorso e la disperazione, simbolo del danno irreparabile causato dalle rivalità familiari.
Tra i dannati emerge anche Bertran de Born, celebre trovatore provenzale, che sconta la colpa di aver seminato discordia tra Enrico II d'Inghilterra e suo figlio Enrico III, incitandoli alla lotta fratricida. La sua pena, particolarmente suggestiva, lo vede camminare con la testa mozzata che tiene in mano come una lanterna, una rappresentazione emblematica del contrappasso. È lo stesso Bertran a spiegare il significato della sua condanna, affermando che la sua separazione fisica riflette quella che aveva causato tra padre e figlio.
La guerra e il tema della discordia
Il Canto XXVIII è permeato dal tema della guerra, considerata da Dante una delle principali conseguenze delle divisioni seminate dagli uomini. Vengono richiamati conflitti storici di grande portata, come le guerre puniche, la guerra civile tra Cesare e Pompeo, e le battaglie del Sud Italia durante il XIII secolo, ma anche lotte locali, come quelle tra Guelfi e Ghibellini a Firenze, che agli occhi del poeta hanno uguale rilevanza. Dante utilizza questa Bolgia per denunciare l'odio umano e le sue devastanti conseguenze, un tema che percorre l'intera Commedia.
La legge del contrappasso
Il principio del contrappasso, che regola il sistema punitivo dell'Inferno, trova in questo Canto una delle sue espressioni più esplicite. Il corpo mutilato dei dannati riflette il danno morale e sociale da loro inflitto. Questa relazione tra colpa e pena è sottolineata in particolare dalle parole di Bertran de Born, che esplicitamente dichiara: "Così s'osserva in me lo contrapasso". Il corpo, degradato in Inferno, troverà una sua redenzione in Paradiso, dove sarà trasfigurato in luce, sottolineando il contrasto tra la corruzione terrena e la purezza celeste.
Dante e l'Islam
L'atteggiamento di Dante verso l'Islam è complesso. Da un lato, lo condanna come una divisione interna al mondo cristiano, responsabile di guerre e lacerazioni; dall'altro, ammira grandi pensatori musulmani come Avicenna e Averroè, che inserisce tra gli "spiriti magni" del Limbo per il loro contributo alla filosofia medievale. Questa ambivalenza riflette il contesto culturale del Trecento, segnato da un confronto costante con il mondo arabo, ma anche dalla consapevolezza del valore intellettuale di alcune sue figure.
Conclusione
Il Canto XXVIII si presenta dunque come una rappresentazione intensa e drammatica delle conseguenze della discordia, intrecciando denuncia politica, riflessione morale e una spettacolare descrizione poetica. La giustizia divina, attraverso il contrappasso, espone in modo crudo le responsabilità dei peccatori, invitando implicitamente il lettore a riflettere sulle devastanti conseguenze dell'odio e della divisione, che ancora al tempo di Dante affliggevano l'Italia e il mondo cristiano.
Passi Controversi
I versi 7-18 ricordano le numerose guerre che hanno coinvolto l'Italia meridionale, indicata genericamente come Puglia. I Troiani simboleggiano in realtà i Romani, discendenti di Enea, mentre la lunga guerra fa riferimento alla Seconda Guerra Punica, con particolare attenzione alla devastante sconfitta di Canne. Livio narra che i Cartaginesi accumularono un enorme mucchio di anelli tolti dai cadaveri dei soldati romani. Dante menziona inoltre i conflitti contro i Normanni di Roberto il Guiscardo e le guerre contro gli Angioini, culminate nelle battaglie di Benevento (1266) e Tagliacozzo (1268). Ceperano è identificabile con la città laziale di Ceprano, dove alcuni baroni pugliesi, posti a difesa da Manfredi, tradirono consegnandola a Carlo I d'Angiò. Il vecchio Alardo è Alardo di Valéry, stratega che suggerì a Carlo di riservare una schiera con cui sconfiggere Corradino.
I versi 22-24 descrivono una botte vecchia (veggia) priva del mezzule, la doga centrale del fondo, e delle due lulle, doghe laterali a mezzaluna. Al verso 37, il verbo accisma assume un tono sarcastico, significando "prepara" o "acconcia", derivando dall'antico francese acesmer, utilizzato in modo analogo da Bertran de Born in una sua composizione.
Il Noarese (v. 59) rappresenta collettivamente i Novaresi e i Vercellesi, coinvolti nell'assedio contro Dolcino, e non il vescovo di Novara. I versi 74-75 richiamano la Pianura Padana, identificata con i suoi estremi geografici: Vercelli e il castello di Marcabò presso il delta del Po.
La profezia dei versi successivi riguarda Guido del Cassero e Angiolello da Carignano, personaggi di cui si sa poco, se non che furono vittime di Malatestino di Verrucchio, definito "tiranno fello". Quest'ultimo è citato da Guido da Montefeltro nel Canto XXVII e descritto come "il traditor che vede pur con l'uno", essendo guercio. Il termine Maiolica (v. 82) si riferisce all'isola di Maiorca, punto occidentale del Mediterraneo in contrapposizione a Cipro, rappresentante l'estremo orientale.
La "gente argolica (v. 84) indica i Greci, visti nel Medioevo come pirati e predoni. Focara (v. 89) è una località tra Cattolica e Pesaro, nota per il forte vento che rendeva la navigazione difficoltosa. Tuttavia, i personaggi di Fano non arriveranno a pregare prima di attraversarla, poiché saranno uccisi prima.
I versi 98-99 riprendono un passaggio di Lucano (Pharsalia, I, 281): Tolle moras: semper nocuit differre paratis ("Poni fine agli indugi: rimandare ha sempre nuociuto a chi era pronto ad agire"). Al verso 123, l'esclamazione "Oh me!" rappresenta una rima composta, come già in Inferno VII, 28. Il "re giovane" (v. 135) è Enrico III, figlio del duca d'Aquitania; alcune varianti manoscritte indicano "re Giovanni", ma questa appare una correzione per adattarsi al ritmo inconsueto dell'endecasillabo. Infine, Achitofel (v. 137) è il consigliere del re David che si schierò con il figlio Assalonne, come raccontato nella Bibbia (II Re, capitoli 15-18).
Fonti: libri scolastici superiori