Parafrasi e Analisi: "Canto II" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto II del Paradiso si apre con un invito alla riflessione e alla consapevolezza rivolto a coloro che seguono il viaggio di Dante. In questa parte del poema, il poeta richiama l'attenzione sull'importanza del sapere e sulla necessità di affrontare il cammino verso la conoscenza con umiltà e prudenza. L'argomento del canto si sviluppa nell'ambito di un approfondimento filosofico e teologico, in cui emerge la complessità delle questioni celesti e la sfida di comprenderle appieno. Dante invita i lettori a essere preparati per il "mare aperto" della verità divina, consapevole che non tutti potrebbero avere la forza di seguire il percorso fino in fondo. L'introduzione, quindi, è un momento di avvertimento e di solenne apertura verso tematiche elevate, anticipando il tono maestoso e contemplativo del viaggio celeste.
Testo e Parafrasi
O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi d'ascoltar, seguiti dietro al mio legno che cantando varca, tornate a riveder li vostri liti: non vi mettete in pelago, ché forse, perdendo me, rimarreste smarriti. L'acqua ch'io prendo già mai non si corse; Minerva spira, e conducemi Appollo, e nove Muse mi dimostran l'Orse. Voialtri pochi che drizzaste il collo per tempo al pan de li angeli, del quale vivesi qui ma non sen vien satollo, metter potete ben per l'alto sale vostro navigio, servando mio solco dinanzi a l'acqua che ritorna equale. Que' glorïosi che passaro al Colco non s'ammiraron come voi farete, quando Iasón vider fatto bifolco. La concreata e perpetüa sete del deïforme regno cen portava veloci quasi come 'l ciel vedete. Beatrice in suso, e io in lei guardava; e forse in tanto in quanto un quadrel posa e vola e da la noce si dischiava, giunto mi vidi ove mirabil cosa mi torse il viso a sé; e però quella cui non potea mia cura essere ascosa, volta ver' me, sì lieta come bella, «Drizza la mente in Dio grata», mi disse, «che n'ha congiunti con la prima stella». Parev' a me che nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse. Per entro sé l'etterna margarita ne ricevette, com' acqua recepe raggio di luce permanendo unita. S'io era corpo, e qui non si concepe com' una dimensione altra patio, ch'esser convien se corpo in corpo repe, accender ne dovria più il disio di veder quella essenza in che si vede come nostra natura e Dio s'unio. Lì si vedrà ciò che tenem per fede, non dimostrato, ma fia per sé noto a guisa del ver primo che l'uom crede. Io rispuosi: «Madonna, sì devoto com' esser posso più, ringrazio lui lo qual dal mortal mondo m'ha remoto. Ma ditemi: che son li segni bui di questo corpo, che là giuso in terra fan di Cain favoleggiare altrui?». Ella sorrise alquanto, e poi «S'elli erra l'oppinïon», mi disse, «d'i mortali dove chiave di senso non diserra, certo non ti dovrien punger li strali d'ammirazione omai, poi dietro ai sensi vedi che la ragione ha corte l'ali. Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». E io: «Ciò che n'appar qua sù diverso credo che fanno i corpi rari e densi». Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso nel falso il creder tuo, se bene ascolti l'argomentar ch'io li farò avverso. La spera ottava vi dimostra molti lumi, li quali e nel quale e nel quanto notar si posson di diversi volti. Se raro e denso ciò facesser tanto, una sola virtù sarebbe in tutti, più e men distributa e altrettanto. Virtù diverse esser convegnon frutti di princìpi formali, e quei, for ch'uno, seguiterieno a tua ragion distrutti. Ancor, se raro fosse di quel bruno cagion che tu dimandi, o d'oltre in parte fora di sua materia sì digiuno esto pianeto, o, sì come comparte lo grasso e 'l magro un corpo, così questo nel suo volume cangerebbe carte. Se 'l primo fosse, fora manifesto ne l'eclissi del sol, per trasparere lo lume come in altro raro ingesto. Questo non è: però è da vedere de l'altro; e s'elli avvien ch'io l'altro cassi, falsificato fia lo tuo parere. S'elli è che questo raro non trapassi, esser conviene un termine da onde lo suo contrario più passar non lassi; e indi l'altrui raggio si rifonde così come color torna per vetro lo qual di retro a sé piombo nasconde. Or dirai tu ch'el si dimostra tetro ivi lo raggio più che in altre parti, per esser lì refratto più a retro. Da questa instanza può deliberarti esperïenza, se già mai la provi, ch'esser suol fonte ai rivi di vostr' arti. Tre specchi prenderai; e i due rimovi da te d'un modo, e l'altro, più rimosso, tr'ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso ti stea un lume che i tre specchi accenda e torni a te da tutti ripercosso. Ben che nel quanto tanto non si stenda la vista più lontana, lì vedrai come convien ch'igualmente risplenda. Or, come ai colpi de li caldi rai de la neve riman nudo il suggetto e dal colore e dal freddo primai, così rimaso te ne l'intelletto voglio informar di luce sì vivace, che ti tremolerà nel suo aspetto. Dentro dal ciel de la divina pace si gira un corpo ne la cui virtute l'esser di tutto suo contento giace. Lo ciel seguente, c'ha tante vedute, quell' esser parte per diverse essenze, da lui distratte e da lui contenute. Li altri giron per varie differenze le distinzion che dentro da sé hanno dispongono a lor fini e lor semenze. Questi organi del mondo così vanno, come tu vedi omai, di grado in grado, che di sù prendono e di sotto fanno. Riguarda bene omai sì com' io vado per questo loco al vero che disiri, sì che poi sappi sol tener lo guado. Lo moto e la virtù d'i santi giri, come dal fabbro l'arte del martello, da' beati motor convien che spiri; e 'l ciel cui tanti lumi fanno bello, de la mente profonda che lui volve prende l'image e fassene suggello. E come l'alma dentro a vostra polve per differenti membra e conformate a diverse potenze si risolve, così l'intelligenza sua bontate multiplicata per le stelle spiega, girando sé sovra sua unitate. Virtù diversa fa diversa lega col prezïoso corpo ch'ella avviva, nel qual, sì come vita in voi, si lega. Per la natura lieta onde deriva, la virtù mista per lo corpo luce come letizia per pupilla viva. Da essa vien ciò che da luce a luce par differente, non da denso e raro; essa è formal principio che produce, conforme a sua bontà, lo turbo e 'l chiaro». |
O voi lettori, che dentro le vostre piccole imbarcazioni, desiderosi di ascoltarmi, avete seguito la mia mia barca che, attraverso i regni dell'aldilà, vi narra in versi il mio viaggio, ritornate alle spiagge dalle quali siete partiti: non allontanatevi per mare aperto, perché forse, non riuscendo a starmi dietro, vi potreste potreste. I mari che sto solcando non sono mai stati navigati prima; Minerva (la Sapienza) mi spinge e mi guida Apollo (la Poesia), mentre le nove Muse mi danno i riferimenti necessari. Voi pochi che avete alzato gli occhi sin da giovani alla sapienza, nutrimento degli angeli, che si può gustare anche in terra ma senza che ci si possa saziare, potete voi a buona ragione condurre in mare aperto la vostra barca, seguendo la scia che ho lasciato e chi si richiude al mio passaggio. Quei gloriosi marinai, gli Argonauti, che si recarono nella Colchide, non rimasero tanto stupiti, come lo sarete voi, quando videro il loro capo Giasone trasformato in contadino. Il desiderio innato ed eterno di raggiungere il regno di Dio, l'Empireo, ci faceva salire in cielo tanto veloci quanto lo è il moto del cielo stellato. Beatrice guardava verso l'alto, io guardavo nei suoi occhi; e forse in un tempo tanto breve quanto è quello che impiega una freccia a posarsi, volare e giungere a segno, io mi vidi essere giunto dove un cosa tanto meravigliosa attirò il mio sguardo a sé; perciò Beatrice, alla quale non poteva sfuggire nessun mio pensiero o sentimento, rivoltasi a me, tanto felice quanto bella, mi disse: "Rivolgi i tuoi pensieri di gratitudine a Dio, che ci ha fatto arrivare al cielo della Luna." Mi sembrava come se fossimo coperti da una nube luminosa, densa, solida e liscia, come lo è un diamante colpito dalla luce del sole. La luna, incorruttibile gemma del cielo, ci accolse dentro di sé, così come l'acqua accoglie in sé un raggio di luce rimanendo comunque compatta. Se io ero rimasto un corpo solido, e qui sulla terra non è concepibile che una dimensione si possa fondere con un'altra, cosa che necessariamente avviene se un copro penetra in un altro, ciò dovrebbe accendere ancora di più il nostro desiderio di vedere Cristo, in cui è possibile vedere come si siano uniti la nostra natura umana e quella divina, di dio. Nel cielo potremo vedere ciò che ora crediamo per fede, e non ci sarà dimostrato, ma ci apparirà chiaro di per sé, allo stesso modo in cui ci sono ora chiare le basi della logica. Io le risposi: "Mia signora, io, con tutta la devozione di cui posso essere capace, ringrazio Dio, che mi ha allontanato dal regno mortale, dei vivi. Ma ditemi: che cosa sono le macchie scure della luna, nelle quali, laggiù sulla terra, in modo tanto fantasioso alcuni dicono di riconoscere Caino?" Beatrice sorrise un poco, poi disse: "Del fatto che errano le opinioni umane, riguardo ad argomenti per i quali i soli sensi non possono fornire la conoscenza esatta, non dovresti ormai sentirti più meravigliato, poiché vedi che la ragione non riesce ad andare molto lontano dai dati sensibili. Ma dimmi invece la tua opinione riguardo alle macchie." Dissi allora io: "Ciò che visto dalla terra appare diverso nella luna, più scuro o più luminoso, credo derivi dalla diversa densità dei corpi celesti." E lei: "Vedrai certamente da solo quanto sia completamente falsa la tua opinione, se ascolti con attenzione l'argomentazione che porterò ora a suo sfavore. L'ottavo cielo si mostra di sicuro ai vostri occhi cosparso di molti astri, che per qualità e quantità di luce appaiono tra loro differenti. Se ciò fosse dovuto ad una loro maggiore o minore densità, essi avrebbero allora tutti una sola medesima virtù, distribuita in quantità maggiore o minore in ciascuna stella. È invece necessario che virtù diverse derivino da diversi principi formali, mentre questi sarebbe uno ed uno solo seguendo il tuo ragionamento. Inoltre, se la scarsa densità fosse la ragione di quelle macchie di cui parli, o in ogni sua parte la Luna sarebbe veramente povera di materiale, o, altrimenti, così come si alternano strati grassi e magri in un corpo, essa alternerebbe, come in un volume, fogli meno spessi e fogli più spessi. Se fosse vero il primo caso, ciò sarebbe evidente durante una eclisse di sole, poiché la Luna dovrebbe lasciare trasparire la luce come avviene con qualunque altro corpo trasparente. Questo però non succede: bisogna perciò passare a valutare l'altro caso; e se dovessi arrivare a dimostrare anche la sua inesattezza, allora anche la tua opinione risulterà errata. Se è vero, come è, che la Luna non è attraversata dalla luce, allora deve necessariamente esserci un punto a partire dal quale si trova quello strato denso che non la lascia passare. e da lì il raggio di luce si riflette allo stesso modo in cui il colore di un oggetto è riflesso attraverso un vetro, grazie alla lamina di piombo che il vetro stesso nasconde dietro di sé. Potresti ora dire che il raggio di sole si mostra meno luminoso laddove lo strato riflettente si trova più in dentro, perché riflesso da un punto più lontano, meno in superficie (dando così origine alle macchie). Può liberarti da questa tua obiezione un semplice esperimento, se mai provare ad eseguirlo, che è la base, origine, delle vostri arti. Prendi tre specchi; due disponili alla stessa distanza da te e l'altro collocalo invece più lontano, in mezzo agli altri due e di fronte ai tuoi occhi. Rivolgendo ad essi il tuo sguardo, poni dietro di te un lume così che illumini i tre specchi e la sua luce ritorni riflessa a te da tutti e tre. Benché, in quanto ad intensità, non sarà uguale a quella degli altri due la luce riflessa dallo specchio più lontano, tu vedrai che sarà comunque equivalente agli altri per purezza. Come la neve, quando è esposta ai caldi raggi del sole, si scioglie e lascia quindi il suo soggetto, l'acqua, spoglio delle sue precedenti qualità, il colore ed il freddo, allo stesso modo voglio che il tuo intelletto, spogliato dalle false opinioni, venga modellato da una luce così intensa che scintillerà manifestandosi a te. Dentro l'Empireo, il cielo sede della pace divina, ruota un corpo, il Primo Mobile, nella cui virtù ha origine la vita dell'intero universo, che è contenuto al suo interno. L'ottavo cielo, adornato da tante stelle, suddivide poi questa virtù universale dell'Empireo in diverse virtù specifiche (le Stelle), da lui distinte ma in lui comunque contenute. Gli altri cieli dispongono in differenti modi le distinte virtù che hanno derivato dentro di sé dall'influsso dell'ottavo cielo, così che possano conseguire i loro effetti ed esercitare i loro influssi. Questi organi vitali del mondo procedono quindi, come ormai puoi capire, in modo gerarchico, accolgono gli influssi dal cielo superiore ed esercitano i propri su quello inferiore. Valuta attentamente il modo in cui procedo lungo questa via per svelarti la verità che tu desideri conoscere, così da saper poi percorre da solo l'ultimo tratto del cammino. Il moto e gli influssi dei cieli divini, come l'arte del martello dipende dal fabbro, da chi lo impugna, devono derivare da intelligenze angeliche; ed il cielo adornato da così tante stelle, dall'intelligenza angelica che lo muove deriva la virtù per poi diventarne a sua volta diffusore. E come l'anima si diffonde all'interno del corpo umano, attraverso i diversi organi vitali che presiedono alle diverse funzioni vitali, allo stesso modo l'intelligenza divina distribuisce la sua bontà, amplificata, attraverso le stelle, pur restando, nel suo ruotare, in se stessa una e identica. La virtù, differenziata in ciascun astro, crea una nuova amalgama con la preziosa materia a cui essa dà vita, alla quale poi si lega come l'anima al corpo umano. A causa della natura beata da cui deriva, la virtù, unita all'astro, risplende attraverso di esso così come la gioia si mostra attraverso la lucentezza degli occhi. Ed è questa virtù che fa sì che da stella a stella la luce possa sembrare differente, non una maggiore o minore densità; essa è il principio formale che produce l'oscurità o la brillantezza a seconda della sua potenza. |
Riassunto
vv. 1-18: Invito ai lettori
Dante si rivolge ai suoi lettori con un avvertimento: solo coloro che possiedono una solida conoscenza filosofica e teologica dovrebbero proseguire nel viaggio narrato in questa cantica. L'argomento che si appresta a trattare è complesso e richiede una preparazione adeguata per essere compreso appieno.
vv. 19-45: L'ascesa al cielo della Luna
Spinti dal desiderio, Dante e Beatrice ascendono rapidamente al cielo della Luna. Beatrice guarda verso l'alto, mentre Dante tiene lo sguardo fisso su di lei, seguendo il suo esempio. Qui il poeta si accorge di attraversare una superficie lucente e compatta, paragonata a un diamante che riflette la luce del sole. Questo fenomeno lo sorprende: non comprende come un corpo solido possa penetrare in un altro senza alterarlo, proprio come un raggio di luce attraversa l'acqua. In questo cielo, Dante incontrerà gli spiriti di coloro che hanno mancato ai loro voti.
vv. 46-105: Beatrice smentisce le idee di Dante sulle macchie lunari
Dopo aver ringraziato Dio per avergli permesso di attraversare i cieli, Dante pone a Beatrice una domanda sull'origine delle macchie lunari. Beatrice confuta sia l'antica credenza popolare secondo cui le macchie sarebbero legate alla punizione eterna di Caino, condannato a portare sulle spalle un fascio di spine, sia l'ipotesi scientifica dello stesso Dante, secondo cui esse deriverebbero dalla diversa densità della materia lunare.
vv. 106-148: La spiegazione metafisica di Beatrice
Beatrice offre una spiegazione più profonda e metafisica, legata agli influssi celesti. Secondo la sua interpretazione, le variazioni di luminosità degli astri, o di alcune loro parti, sono determinate dal diverso grado con cui la virtù angelica si trasmette attraverso i cieli. Questa virtù, di origine divina, è ciò che regola le caratteristiche degli astri e le loro peculiarità.
Figure Retoriche
v. 1: "O voi lettori": Apostrofe.
vv. 2-3: "Seguiti / dietro": Enjambement.
v. 3: "Al mio legno": Metonimia. La materia per l'oggetto, il mio legno anziché la mia nave.
v. 3: "Che cantando varca": Metafora. Chi canta è il poeta scrivendo un nuovo canto.
v. 10: "Drizzaste il collo": Metonimia. L'effetto per la causa, movimento del collo anziché prestare attenzione.
v. 13: "Metter potete": Anastrofe.
v. 16: "Que' gloriosi che passaro al Colco": Perifrasi.
vv. 16-18: "Que' gloriosi che passaro al Colco non s'ammiraron come voi farete, quando Iasón vider fatto bifolco": Similitudine.
vv. 19-20: "Sete / del deiforme regno": Enjambement.
vv. 20-21: "Cen portava / veloci": Enjambement.
vv. 20-21: "Cen portava veloci quasi come 'l ciel vedete": Similitudine.
vv. 23-26: "E forse in tanto in quanto un quadrel posa e vola e da la noce si dischiava, giunto mi vidi ove mirabil cosa mi torse il viso a sé": Similitudine.
vv. 23-24: "Posa e vola e da la noce si dischiava": Hysteron Proteron.
vv. 26-27: "Quella cui non potea mia cura essere ascosa": Perifrasi.
vv. 23-24: "Posa / e vola": Enjambement.
v. 28: "Sì lieta come bella": Similitudine.
v. 31: "Parev'a me": Anastrofe.
vv. 31-33: "Nube ne coprisse lucida, spessa, solida e pulita, quasi adamante che lo sol ferisse": Similitudine.
vv. 34-36: "Entro sé l'etterna margarita ne ricevette, com'acqua recepe raggio di luce permanendo unita": Similitudine.
vv. 40-41: "Il disio / di veder": Enjambement.
v. 41: "Quella essenza": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 48: "Mortal mondo": Anastrofe.
v. 57: "La ragione ha corte l'ali": Metafora.
v. 62: "Il creder tuo": Anastrofe.
vv. 64-65: "Molti / lumi": Enjambement.
vv. 70-71: "Frutti / di princìpi formali": Enjambement.
vv. 73-74: "Bruno / cagion": Enjambement.
v. 76: "Esto pianeto": Perifrasi. Per indicare la Luna.
vv. 76-78: "Sì come comparte lo grasso e 'l magro un corpo, così questo nel suo volume cangerebbe carte": Similitudine.
vv. 80-81: "Per trasparere lo lume come in altro raro ingesto": Similitudine.
vv. 82-83: "Da vedere / de l'altro": Enjambement.
vv. 86-87: "Da onde / lo suo contrario": Enjambement.
vv. 88-90: "L'altrui raggio si rifonde così come color torna per vetro lo qual di retro a sé piombo nasconde": Similitudine.
vv. 104-105: "Vedrai come convien ch'igualmente risplenda": Similitudine.
vv. 106-109: "Or, come ai colpi de li caldi rai de la neve riman nudo il suggetto e dal colore e dal freddo primai, così rimaso te ne l'intelletto": Similitudine.
v. 112: "Divina pace": Anastrofe.
vv. 127-129: "Lo moto e la virtù d'i santi giri, come dal fabbro l'arte del martello, da' beati motor convien che spiri": Similitudine.
vv. 133-138: "E come l'alma dentro a vostra polve per differenti membra e conformate a diverse potenze si risolve, così l'intelligenza sua bontate multiplicata per le stelle spiega, girando sé sovra sua unitate": Similitudine.
v. 141: "Nel qual, sì come vita in voi, si lega": Similitudine.
vv. 143-144: "Per lo corpo luce come letizia per pupilla viva": Similitudine.
Analisi ed Interpretazioni
Il secondo canto del Paradiso si apre con un invito e un avvertimento rivolto da Dante ai lettori. Egli dichiara fin da subito che l'impresa poetica che sta per intraprendere è unica e mai tentata prima. Descrivere il regno celeste richiede infatti una preparazione filosofica e teologica profonda, senza la quale i lettori rischiano di smarrirsi, proprio come accadrebbe a una piccola imbarcazione che si avventuri in mare aperto. Solo chi ha nutrito il proprio intelletto con la dottrina può affrontare il viaggio spirituale e poetico narrato in questa cantica, un percorso che Dante presenta come guidato dall'ispirazione divina: Minerva soffia venti favorevoli, Apollo tiene il timone e le Muse indicano la rotta. L'immagine della piccola barca si collega direttamente a quella già utilizzata all'inizio del Purgatorio, ma qui assume una valenza ancora più profonda: chi seguirà il viaggio vedrà cose mai viste prima, come gli Argonauti che per primi solcarono il mare.
La narrazione si concentra poi sull'ascesa di Dante e Beatrice al primo cielo, quello della Luna. Questo passaggio segna il primo esempio del carattere straordinario e trascendente del Paradiso: Dante, con il suo corpo fisico, riesce a penetrare nella materia della Luna senza che questa opponga resistenza. Tale evento, inspiegabile secondo le leggi naturali, viene descritto come un mistero destinato a essere chiarito solo in Paradiso, dove i limiti della ragione umana saranno superati dalla comprensione divina. È proprio questo il punto centrale del canto: dimostrare l'inadeguatezza della sola ragione nel comprendere i misteri del divino e sottolineare l'importanza della fede.
Il tema dell'insufficienza della ragione viene ulteriormente esplorato nella lunga discussione sull'origine delle macchie lunari. Dante espone a Beatrice la teoria già formulata nel Convivio, secondo cui le macchie sarebbero causate da una diversa densità della materia lunare. Beatrice, però, confuta questa spiegazione utilizzando argomenti scientifici e logici: attraverso un esperimento mentale con tre specchi, dimostra che la diversa densità non può essere la causa delle macchie. La spiegazione proposta da Beatrice, invece, ha un carattere metafisico e si basa sulla teoria degli influssi celesti. Secondo questa visione, la virtù divina, originata dal Primo Mobile, si distribuisce nei cieli e si manifesta con diversa intensità in base alla capacità di ricezione di ciascun astro. È questo diverso grado di ricezione che determina le variazioni di luminosità, incluse le macchie lunari.
La struttura argomentativa di Beatrice riflette il rigoroso metodo scolastico e aristotelico: prima smonta la teoria scientifica di Dante (pars destruens), poi offre una spiegazione metafisica (pars construens), mostrando come la filosofia da sola non sia sufficiente per affrontare le questioni divine. Questo passaggio rappresenta per Dante una sorta di correzione e superamento delle idee espresse nel Convivio, dove si era affidato troppo alla sola ragione. La stessa Beatrice sottolinea che i sensi e l'intelletto umano sono inadeguati a comprendere la realtà divina, poiché "dietro ai sensi... la ragione ha corte l'ali".
Il canto non è quindi un semplice intermezzo didascalico, ma una dichiarazione d'intenti. Serve a preparare il lettore al carattere immateriale e trascendente del Paradiso, dove tutto sarà spiegato non attraverso dimostrazioni scientifiche, ma per mezzo di verità evidenti di per sé. L'intera cantica, a partire da questo canto introduttivo, si presenta come una sfida unica: narrare un regno ultraterreno e completamente immateriale, dove la luce divina modella la creazione come un suggello imprime la cera. È un viaggio che richiede al lettore di abbandonare la sola ragione e di affidarsi alla fede, nutrendosi del "pan de li angeli", quella dottrina teologica che guida oltre i limiti dell'intelletto umano.
Passi Controversi
L'espressione "nove Muse" (v. 9) si riferisce chiaramente al numero delle divinità classiche e non al fatto che esse siano "nuove" in senso cristiano. Con "pan de li angeli" (v. 11), Dante allude alla teologia, utilizzando un riferimento biblico (ad esempio Sap., XVI, 20).
I versi 16-18 richiamano un episodio narrato da Ovidio nelle Metamorfosi (VII, 100), dove Giasone, giunto in Colchide, affronta una serie di prove, tra cui quella di arare un campo utilizzando due buoi mostruosi da lui domati. Tuttavia, mentre nel testo ovidiano lo stupore è attribuito ai Colchidi, qui Dante sembra trasporlo sugli Argonauti (v. 120: Mirantur Colchidi).
L'"empireo" viene descritto come il "deiforme regno" (v. 20), mentre l'espressione "'l ciel" (v. 21) sembra riferirsi al cielo nel suo insieme. La similitudine del quadrel (vv. 22-24), ovvero la freccia che viene scoccata e raggiunge rapidamente il bersaglio, contiene una figura retorica chiamata ysteron-proteron, in cui l'ordine logico degli eventi è invertito: si anticipa infatti la freccia che vola prima ancora che sia scoccata dall'arco.
Il termine "repe" (v. 39) è un latinismo che significa "penetra". L'espressione "il ver primo che l'uom crede" (v. 45) si riferisce a un principio fondamentale indimostrabile, come gli assiomi matematici, anche se alcuni lo interpretano come un riferimento diretto all'idea di Dio.
Al verso 51, Dante menziona una leggenda secondo cui le macchie lunari sarebbero il risultato della presenza di Caino, condannato sulla Luna a portare un fascio di spine (cfr. Inferno, XX, 126). Nei versi 59-60, Dante riprende un'idea già espressa nel Convivio (II, 13): le macchie lunari derivano da una rarità della materia lunare che non consente ai raggi solari di riflettersi completamente. Questa teoria, probabilmente ispirata ad Averroè (De substantia orbis, 2), viene qui superata da una visione più vicina a quella di San Tommaso (Commentarium de Caelo et Mundo, II, lect. 12).
L'espressione "nel quale e nel quanto" (v. 65) fa riferimento alla qualità e quantità delle stelle, utilizzando termini propri della filosofia aristotelica. Al verso 81, "ingesto" è un latinismo che significa "introdotto", ed è un termine unico in tutta l'opera dantesca. Il verbo "si rifonde" (v. 87) va inteso come "si riflette".
Il termine "instanza" (v. 94) appartiene al linguaggio tecnico della Scolastica e significa "obiezione". La parola "suggetto" (v. 107) rimanda al concetto scolastico di subiectum, ossia il fondamento di una cosa: come l'acqua è alla base della neve, così la mente di Dante, liberata da idee erronee, può ricevere nuove forme, analogamente alla neve che, sciolta dal sole, torna ad essere acqua per trasformarsi in altro.
Al verso 115, "le vedute" si riferiscono alle stelle del Cielo delle Stelle Fisse (l'ottavo Cielo). I "beati motor" del verso 129 rappresentano le intelligenze angeliche, responsabili del movimento dei Cieli. Infine, il verso 138, oggetto di diverse interpretazioni, probabilmente sottolinea come l'intelligenza celeste mantenga la propria unità pur nel continuo moto.
Fonti: libri scolastici superiori