Parafrasi e Analisi: "Canto IV" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Nel Canto IV del Paradiso, Dante affronta un tema di grande complessità filosofica e teologica: il libero arbitrio e la condizione delle anime nel cielo della Luna. Attraverso il dialogo con Beatrice, il poeta si confronta con i dubbi nati dall'apparente incoerenza tra giustizia divina e destino umano, interrogandosi sulla responsabilità delle scelte individuali e sulle conseguenze morali degli atti compiuti sotto costrizione.
In questo canto, si intrecciano riflessioni di carattere razionale e metafisico, basate su concetti aristotelici e tomistici, che Beatrice espone con la sua consueta chiarezza. Il discorso si sviluppa in una dimensione speculativa, offrendo al lettore una meditazione sulla volontà, sul rapporto tra merito e circostanze esterne, e sulla perfetta armonia che regola la giustizia divina.
Testo e Parafrasi
Intra due cibi, distanti e moventi d'un modo, prima si morria di fame, che liber' omo l'un recasse ai denti; sì si starebbe un agno intra due brame di fieri lupi, igualmente temendo; sì si starebbe un cane intra due dame: per che, s'i' mi tacea, me non riprendo, da li miei dubbi d'un modo sospinto, poi ch'era necessario, né commendo. Io mi tacea, ma 'l mio disir dipinto m'era nel viso, e 'l dimandar con ello, più caldo assai che per parlar distinto. Fé sì Beatrice qual fé Danïello, Nabuccodonosor levando d'ira, che l'avea fatto ingiustamente fello; e disse: «Io veggio ben come ti tira uno e altro disio, sì che tua cura sé stessa lega sì che fuor non spira. Tu argomenti: "Se 'l buon voler dura, la vïolenza altrui per qual ragione di meritar mi scema la misura?". Ancor di dubitar ti dà cagione parer tornarsi l'anime a le stelle, secondo la sentenza di Platone. Queste son le question che nel tuo velle pontano igualmente; e però pria tratterò quella che più ha di felle. D'i Serafin colui che più s'india, Moïsè, Samuel, e quel Giovanni che prender vuoli, io dico, non Maria, non hanno in altro cielo i loro scanni che questi spirti che mo t'appariro, né hanno a l'esser lor più o meno anni; ma tutti fanno bello il primo giro, e differentemente han dolce vita per sentir più e men l'etterno spiro. Qui si mostraro, non perché sortita sia questa spera lor, ma per far segno de la celestïal c'ha men salita. Così parlar conviensi al vostro ingegno, però che solo da sensato apprende ciò che fa poscia d'intelletto degno. Per questo la Scrittura condescende a vostra facultate, e piedi e mano attribuisce a Dio e altro intende; e Santa Chiesa con aspetto umano Gabrïel e Michel vi rappresenta, e l'altro che Tobia rifece sano. Quel che Timeo de l'anime argomenta non è simile a ciò che qui si vede, però che, come dice, par che senta. Dice che l'alma a la sua stella riede, credendo quella quindi esser decisa quando natura per forma la diede; e forse sua sentenza è d'altra guisa che la voce non suona, ed esser puote con intenzion da non esser derisa. S'elli intende tornare a queste ruote l'onor de la influenza e 'l biasmo, forse in alcun vero suo arco percuote. Questo principio, male inteso, torse già tutto il mondo quasi, sì che Giove, Mercurio e Marte a nominar trascorse. L'altra dubitazion che ti commove ha men velen, però che sua malizia non ti poria menar da me altrove. Parere ingiusta la nostra giustizia ne li occhi d'i mortali, è argomento di fede e non d'eretica nequizia. Ma perché puote vostro accorgimento ben penetrare a questa veritate, come disiri, ti farò contento. Se vïolenza è quando quel che pate nïente conferisce a quel che sforza, non fuor quest' alme per essa scusate: ché volontà, se non vuol, non s'ammorza, ma fa come natura face in foco, se mille volte vïolenza il torza. Per che, s'ella si piega assai o poco, segue la forza; e così queste fero possendo rifuggir nel santo loco. Se fosse stato lor volere intero, come tenne Lorenzo in su la grada, e fece Muzio a la sua man severo, così l'avria ripinte per la strada ond' eran tratte, come fuoro sciolte; ma così salda voglia è troppo rada. E per queste parole, se ricolte l'hai come dei, è l'argomento casso che t'avria fatto noia ancor più volte. Ma or ti s'attraversa un altro passo dinanzi a li occhi, tal che per te stesso non usciresti: pria saresti lasso. Io t'ho per certo ne la mente messo ch'alma beata non poria mentire, però ch'è sempre al primo vero appresso; e poi potesti da Piccarda udire che l'affezion del vel Costanza tenne; sì ch'ella par qui meco contradire. Molte fïate già, frate, addivenne che, per fuggir periglio, contra grato si fé di quel che far non si convenne; come Almeone, che, di ciò pregato dal padre suo, la propria madre spense, per non perder pietà si fé spietato. A questo punto voglio che tu pense che la forza al voler si mischia, e fanno sì che scusar non si posson l'offense. Voglia assoluta non consente al danno; ma consentevi in tanto in quanto teme, se si ritrae, cadere in più affanno. Però, quando Piccarda quello spreme, de la voglia assoluta intende, e io de l'altra; sì che ver diciamo insieme». Cotal fu l'ondeggiar del santo rio ch'uscì del fonte ond' ogne ver deriva; tal puose in pace uno e altro disio. «O amanza del primo amante, o diva», diss' io appresso, «il cui parlar m'inonda e scalda sì, che più e più m'avviva, non è l'affezion mia tanto profonda, che basti a render voi grazia per grazia; ma quei che vede e puote a ciò risponda. Io veggio ben che già mai non si sazia nostro intelletto, se 'l ver non lo illustra di fuor dal qual nessun vero si spazia. Posasi in esso, come fera in lustra, tosto che giunto l'ha; e giugner puollo: se non, ciascun disio sarebbe frustra. Nasce per quello, a guisa di rampollo, a piè del vero il dubbio; ed è natura ch'al sommo pinge noi di collo in collo. Questo m'invita, questo m'assicura con reverenza, donna, a dimandarvi d'un'altra verità che m'è oscura. Io vo' saper se l'uom può sodisfarvi ai voti manchi sì con altri beni, ch'a la vostra statera non sien parvi». Beatrice mi guardò con li occhi pieni di faville d'amor così divini, che, vinta, mia virtute diè le reni, e quasi mi perdei con li occhi chini. |
Posto tra due cibi che si trovano alla stessa distanza e che stimolano l'appetito allo stesso modo, morirebbe di fame un uomo di libero arbitrio prima di riuscire a scegliere quale dei due mangiare; ugualmente immobile starebbe un agnello posto tra due lupi famelici e crudeli, temendoli nella stessa misura; ugualmente starebbe un cane venuto a trovarsi tra due daini: non posso quindi rimproverarmi se stavo zitto, stretto dai miei dubbi di eguale forza, e non posso neanche lodarmi, perché era una situazione inevitabile. Io tacevo, ma avevo il desiderio chiaramente dipinto in volto, ed insieme era visibile anche la domanda, in modo più intenso che se l'avessi espressa apertamente con le parole. Beatrice fece come il profeta Danieleche, con l'arte dell'interpretazione dei sogni, placò l'ira di Nabuccodonosor, che l'aveva fatto diventare ingiustamente feroce; e disse: "Capisco bene come tu sia tormentato tra un desiderio e l'altro, tanto che la tua ansia di sapere, divisa tra due desideri, si ingarbuglia e non riesce a manifestarsi. Tu ragioni in questo modo: "Se la mia volontà resta salda nei buoni propositi, perché la violenza compiuta da altre persone deve diminuire il mio merito di fronte a Dio?" Ti dà inoltre motivo di dubitare il fatto che le anime sembrano ritornare alle stelle, al cielo, dopo la morte, come sostiene la teoria di Platone (le anime prima di incarnarsi si trovano nelle stelle e ci ritornano dopo la morte). Queste sono le due domande che premono sulla tua volontà con eguale forza; risponderò però prima a quella più velenosa (perché contro il credo cristiano). Quell'angelo dell'ordine dei Serafini che sta più vicino a Dio, Mosè, Samuele, e quel Giovanni, quale dei due vuoi considerare, Battista o Evangelista, chiunque tranne Maria, non abitano un cielo diverso rispetto a quello abitato da queste anime beate che ti sono appena apparse, e non vi rimarranno per un tempo superiore o inferiore; ma tutte le anime partecipano a rendere più bello l'Empireo, e godono in misura differente della beatitudine in quanto sentono diversamente l'ardore di carità suscitato dallo Spirito Santo. Quelle anime beate si sono mostrate qui, nel cielo della Luna, non perché sia stato loro assegnato questo cielo, ma per darti evidenza del fatto che il loro è il minore stato di beatitudine. Per farsi capire dalla mente umana è necessario usare questo linguaggio perché solo partendo da dati sensibili essa comprende ciò che poi diviene oggetto dell'elaborazione intellettuale. Per questo motivo la Sacra Scrittura si piega alle vostre capacità di comprensione, donando piedi e mani a Dio pur volendo comunicare altro; e la Santa Chiesa raffigura con sembianze umano gli arcangeli Gabriele e Michele, ed anche quell'altro, Raffaele, che fece guarire Tobia. Ciò che viene sostenuto nel Timeo di Platone non è ciò che si vede qui nel cielo della Luna, poiché pare che egli pensi proprio quello che dice (le sue parole vanno prese alla lettera). Sostiene che ogni anima faccia ritorno alla propria stella di origine, credendo che quella sia stata strappata da lì allorché la natura le ha assegnato un corpo; ma forse le sue parole sono da intendere in un altro modo, non in modo letterale, come sono scritte, ed è possibile che il significato che lui gli volesse attribuire fosse degno di nota. Se Platone ha voluto intendere che torna al cielo (a loro onore) l'onore o il rimprovero ricevuti dagli influssi astrali, allora forse ha toccato una parte di quella che è la verità. Questa dottrina degli influssi astrali, male interpretata, deviò quasi tutti gli uomini, a tal punto che iniziarono ad invocare, per ottenere benefici, i pianeti di Giove, Mercurio e Marte. L'altro dubbio che ti angoscia è meno velenoso, meno pericoloso, poiché una tua errata opinione non potrebbe comunque allontanarti troppo da me (dalla fede facendoti commettere una eresia). In fatto che la giustizia divina possa apparire ingiusta agli occhi degli uomini, è un prova di fede e non la prova di un atteggiamento eretico. Mai poiché l'intelligenza umana può comprendere perfettamente questa verità, soddisferò il tuo desiderio di sapere, ti accontenterò. Se la vera violenza si verifica solamente quando chi la subisce non contribuisce minimamente all'atto di chi la compie, allora queste anime non possono essere completamente scusate. poiché la volontà, se veramente si oppone, non può essere piegata, ma fa come il fuoco che per sua natura si innalza sempre al cielo, qualunque sia il modo in cui si tenti di forzarlo altrimenti. Per cui, se la volontà viene meno, poco o tanto che sia, contribuisce alla violenza; e così fecero queste anime, pur potendo trovare rifugio nel loro monastero. Se la loro volontà fosse stata tenuta saldamente, come la tenne salda Lorenzo posto sulla graticola, e fece anche Muzio Scevola quando punì con severità la propria mano destra, allora le avrebbe ricondotte su quella strada dalla quale erano state strappate, non appena libere dalla violenza materiale; ma una volontà così forte è molto rara a trovarsi. E con queste mie parole, se le hai ascoltate con la giusta attenzione, viene cancellato anche l'ultimo dubbio, che avrebbe potuto darti noia anche in molte altre situazioni. Ma un altro ostacolo ti si presenta ora dinnanzi agli occhi, tale che da solo non riusciresti ad affrontarlo: ti stancheresti prima. Io ti ho fatto già capire come è assolutamente impossibile che le anime beate possano mentire, dal momento che sono sempre vicine all'origine della Verità, Dio; ed hai potuto successivamente ascoltare da Piccarda che l'imperatrice Costanza tenne vivo il desiderio di osservare il voto dato; così che sembra ora contraddire quanto ti avevo in precedenza spiegato. Molte volte, fratello, è già successo che per fuggire da un pericolo, sia pure controvoglia, l'uomo scelga di fare qualcosa di non conveniente; come fece Almeone, che, su preghiera di suo padre Anfiarao, uccise la propria madre, divenne spietato per non venir meno all'obbligo di devozione verso il padre. A questo punto voglio che tu riesca a comprendere come la violenza si mischi con la volontà di chi la subisce, facendo sì che non possano essere perdonati i peccati che ne derivano. Un forte volontà, una volontà assoluta, non acconsente al male; ma vi acconsente in modo relativo per la paura di andare incontro ad un pericolo maggiore opponendo resistenza. Perciò, quando Piccarda parla del desiderio di Costanza di osservare il voto, si riferisce alla volontà assoluta, io mi riferisco invece a quella condizionata; così che entrambe diciamo il vero." Questo su il discorso di Beatrice, questo il fluente corso di quel santo fiume che sgorgò dalla fonte che è origine di ogni verità; tale il discorso che mise in pace l'uno e l'altro desiderio di sapere. "Oh donna amata da Dio, origine dell'Amore, oh dea", dissi io subito dopo, "le cui parole irrigano la mia mente arida e scaldano il mio cuore tanto da darmi sempre più energia, il mio sentimento di gratitudine non è sufficiente per riuscire a ricompensarvi adeguatamente; possa Dio, che vede la mia volontà ed ha il potere di esprimerla, supplire alla mia mancanza. Comprendo bene come non riesca a saziarsi mai la mente umana, se non è illuminata da Dio, il Vero al di fuori del quale nessuna verità può esistere. L'intelletto umano trova riposo in esso, sul Vero, come un animale nella sua tana dopo averla raggiunta; ed ha le capacità per raggiungerla: altrimenti ogni suo desiderio sarebbe vano. Per questo desiderio nasce nella mente umana un nuovo dubbio, come fosse un germoglio, ai piedi della verità appena raggiunta; ed è questo un istinto naturale, che ci spinge a salire di colle in colle fino alla più vetta più alta. Questa mia consapevolezza mi stimola e mi dà il coraggio, o mia signora, per rivolgervi, con grande rispetto, una altra domanda su un'altra questione che mi è oscura. Vorrei sapere se l'uomo può compensare i voti non mantenuti con altre opere meritorie, che non risultino di scarso peso secondo la bilancia della vostra giustizia." Beatrice mi guardò con occhi tanto pieni d'amore e tanto divini, che la mia capacità visiva, sconfitta, dovette battere in ritirata, e quasi mi smarrii tenendo gli occhi fissi a terra. |
Riassunto
I due dubbi di Dante (vv. 1-27)
Le parole di Piccarda nel canto precedente lasciano Dante con due interrogativi. Il primo riguarda l'effetto della violenza subita da chi ha preso i voti: se una persona mantiene la volontà di restare fedele al proprio giuramento, come può la coercizione altrui diminuirne il merito? Il secondo dubbio nasce dal fatto che le anime appaiono nei diversi cieli, dando l'impressione che la dottrina platonica sia corretta, ovvero che dopo la morte le anime tornino a risiedere negli astri.
Beatrice risolve il secondo dubbio (vv. 28-63)
Beatrice sceglie di affrontare per primo il secondo problema, considerandolo più insidioso dal punto di vista dottrinale. Spiega a Dante che, in realtà, tutte le anime beate dimorano nell'Empireo e non nei cieli stellati. Se gli appaiono distribuite nei vari cieli, è solo per aiutarlo a comprendere meglio i diversi gradi di beatitudine. L'intelletto umano, infatti, può afferrare la verità solo attraverso ciò che percepisce con i sensi. Per lo stesso motivo, la Bibbia rappresenta Dio e gli angeli con sembianze umane. Beatrice aggiunge infine che Platone, nel Timeo, non intendeva affermare che le anime abitano gli astri, ma piuttosto che questi influenzano la vita umana, un concetto che non si discosta troppo dalla verità.
Beatrice risolve il primo dubbio (vv. 64-117)
Passando alla questione della violenza subita da chi ha preso i voti, Beatrice chiarisce che tali persone non sono del tutto prive di colpa. Anche se costrette a lasciare il chiostro, avrebbero potuto cercare di tornarvi in seguito. Il fatto che non lo abbiano fatto dimostra che la loro volontà non era assoluta ed eroica, come quella di figure leggendarie quali San Lorenzo o Muzio Scevola. Tuttavia, Beatrice sottolinea che questi sono casi eccezionali.
Un nuovo dubbio di Dante (vv. 118-142)
Dante, ancora incuriosito, pone un'ultima domanda: è possibile rimediare a un voto non mantenuto compiendo un'altra opera buona? Beatrice, felice di poter soddisfare la sua richiesta, lo guarda con un tale splendore da costringerlo ad abbassare lo sguardo.
Figure Retoriche
vv. 1-6: "Intra due cibi, distanti e moventi d'un modo, prima si morria di fame, che liber'omo l'un recasse ai denti;sì si starebbe un agno intra due brame di fieri lupi, igualmente temendo; sì si starebbe un cane intra due dame": Similitudine.
vv. 4-5: "Due brame / di fieri lupi": Enjambement.
vv. 13-15: "Beatrice qual fé Daniello, Nabuccodonosor levando d'ira, che l'avea fatto ingiustamente fello": Similitudine.
v. 18: "Sé stessa lega": Anastrofe.
v. 23: "Tornarsi l'anime": Anastrofe.
v. 28: "D'i Serafin colui che più s'india": Perifrasi. Per indicare tutti coloro che si affidano a Dio.
vv. 37-38: "Sortita / sia": Anastrofe ed Enjambement.
v. 48: "E l'altro che Tobia rifece sano": Perifrasi. Per indicare Raffaele.
v. 52: "A la sua stella riede": Anastrofe.
v. 60: "In alcun vero suo arco percuote": Metafora.
vv. 61-62: "Torse / già": Enjambement.
vv. 68-69: "Argomento / di fede": Enjambement.
vv. 77-78: "Ma fa come natura face in foco, se mille volte violenza il torza": Similitudine.
vv. 79-81: "Per che, s'ella si piega assai o poco, segue la forza; e così queste fero possendo rifuggir nel santo loco": Similitudine.
vv. 82-84: "Se fosse stato lor volere intero, come tenne Lorenzo in su la grada, e fece Muzio a la sua man severo": Similitudine.
vv. 88-89: "Ricolte / l'hai": Anastrofe ed Enjambement.
vv. 100-101: "Addivenne / che": Enjambement.
vv. 102-105: "Si fé di quel che far non si convenne; come Almeone, che, di ciò pregato dal padre suo, la propria madre spense, per non perder pietà, si fé spietato": Similitudine.
v. 107: "Al voler si mischia": Anastrofe.
vv. 107-108: "Fanno / sì": Enjambement.
vv. 115-116: "Cotal fu l'ondeggiar del santo rio ch'uscì del fonte ond'ogne ver deriva": Metafora.
v. 116: "Del fonte ond'ogne ver deriva": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 118: "O amanza del primo amante, o diva": Perifrasi. Per indicare Beatrice, la prediletta, e il primo amante, cioè Dio.
v. 123: "Quei che vede e puote": Perifrasi. Per indicare Dio, cioè colui che tutto vede e tutto può.
vv. 127-128: "Posasi in esso, come fera in lustra": Similitudine.
v. 128: "Giunto l'ha": Anastrofe.
v. 130: "A guisa di rampollo": Similitudine.
v. 131: "A piè del vero il dubbio": Ellissi.
vv. 139-140: "Pieni / di faville d'amor": Enjambement.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto III del Paradiso introduce la prima schiera di beati che Dante incontra nel Cielo della Luna, tra cui spicca Piccarda Donati. La giovane spiega al poeta le ragioni per cui lei e le altre anime si trovano in questo cielo e il principio che regola la distribuzione dei beati nei vari gradi di beatitudine.
La presenza di Piccarda in questo luogo era già stata anticipata dal fratello Forese nel Purgatorio (XXIV, 13-15), dove la descrive come una donna che ha già raggiunto la gloria celeste, in netto contrasto con il destino dannato di Corso Donati. Dante, pur avendola conosciuta in vita, inizialmente non la riconosce, giustificandosi con il fatto che le anime beate appaiono in una forma diversa da quella terrena. In effetti, gli spiriti del Cielo della Luna, detti "difettivi" perché non hanno portato a compimento i loro voti, si manifestano con un aspetto evanescente, simile a un riflesso nell'acqua. Per rendere questa immagine più suggestiva, Dante utilizza due raffinate similitudini: la prima paragona le anime a volti riflessi su un vetro o in uno specchio d'acqua, mentre la seconda richiama la tradizione delle giovani nobili dell'epoca di indossare perle sulla fronte, aggiungendo così un tocco di eleganza alla descrizione.
Il tema dell'acqua è una metafora ricorrente nel Paradiso: il viaggio di Dante verso la conoscenza è spesso descritto come una navigazione in mare aperto, e più avanti la scomparsa di Piccarda sarà paragonata a un sasso che sprofonda nell'acqua. Beatrice chiarisce che questi spiriti si trovano nel Cielo della Luna perché non hanno rispettato i voti pronunciati in vita. Tuttavia, nel corso del Paradiso verrà precisato che i beati risiedono tutti nell'Empireo e che le loro apparizioni nei diversi cieli rappresentano simbolicamente l'influenza ricevuta da quei corpi celesti durante la loro esistenza terrena.
Dante, incuriosito, chiede a Piccarda se le anime in questo cielo desiderino una beatitudine maggiore. La sua domanda suscita un sorriso nelle anime, poiché il desiderio di qualcosa di diverso da ciò che Dio ha disposto sarebbe incompatibile con la loro condizione di beatitudine. Piccarda spiega che, essendo completamente pervasi dalla carità, i beati accettano la volontà divina senza alcun contrasto. Questo concetto, derivato dalla filosofia scolastica, sottolinea che l'amore assoluto per Dio porta naturalmente all'adesione perfetta alla sua volontà.
Nell'ultima parte del canto, Piccarda racconta la sua storia personale. Racconta di essere stata rapita dal convento per volere del fratello Corso Donati, che la costrinse a sposarsi contro la sua volontà, impedendole così di rispettare il voto di castità preso entrando nell'ordine di Santa Chiara. Tuttavia, Piccarda parla del suo passato con sereno distacco, senza rancore per l'ingiustizia subita, limitandosi a dire: "Iddio si sa qual poi mia vita fusi" ("Dio sa com'è finita la mia vita"). Questo verso enigmatico è stato accostato ad altre celebri chiuse di personaggi danteschi, come Ulisse e il conte Ugolino, e ha ispirato in seguito anche il celebre passo manzoniano sulla monaca di Monza.
Piccarda indica poi un'altra anima al suo fianco: si tratta di Costanza d'Altavilla, madre di Federico II, anch'essa costretta ad abbandonare la vita monastica per volere della famiglia. Dante accoglie la leggenda secondo cui Costanza sarebbe stata obbligata a sposare Enrico VI, da cui nacque Federico II, figura controversa e spesso accusata dalla propaganda guelfa di essere l'Anticristo. Nonostante l'infondatezza storica di questa diceria, Dante colloca Costanza in Paradiso, ribadendo che la salvezza dell'anima non dipende necessariamente dal giudizio della Chiesa, un tema che tornerà più volte nel Paradiso.
Il canto si conclude con Dante che, colpito dalla spiegazione di Piccarda, rimane con due nuovi dubbi: uno sull'inadempienza del voto e uno sulla reale collocazione dei beati in Paradiso. Tuttavia, prima che possa formulare le sue domande a Beatrice, la luce intensa della sua guida lo lascia esitante, rimandando le risposte ai canti successivi.
Passi Controversi
Gli esempi citati da Dante ai vv. 1-6 sono affini a quello cosiddetto dell'«asino di Buridano», attribuito al filosofo scolastico francese del XIV sec. secondo cui un asino, posto tra due mucchi di fieno ugualmente distanti e appetibili, morirebbe di fame non sapendo quale scegliere. Dante sostituisce all'asino l'uomo, ovvero un essere dotato di intelletto e non spinto solo dagli appetiti sensibili.
Ai vv. 13-15 si allude al racconto biblico (Dan., II, 1 ss.) in cui il profeta Daniele interpretò il sogno del re babilonese Nabucodonosor, che l'aveva dimenticato e, adirato, voleva condannare a morte i saggi che non erano riusciti a soddisfare le sue richieste.
Al v. 27 felle significa «fiele» e, per estensione, veleno (Beatrice indica che tale opinione è pericolosa sul piano dell'ortodossia).
Al v. 28 s'india è neologismo dantesco e vuol dire «penetra in Dio».
Il v. 33 allude alla dottrina platonica per cui l'anima permarrebbe più o meno a lungo nell'astro a seconda dei meriti.
Ai vv. 43-45 Dante si rifà a san Tommaso, Summa theol., I, q. I, a. 9: conveniens est Sacrae Scripturae divina et spiritualia sub similitudine corporalium tradere... Est autem naturale homini ut per sensibilia ad intellegibilia veniat: quia omnis nostra cognitio a sensu initium habet («è necessario che la Sacra Scrittura tramandi le cose divine e spirituali attraverso similitudini fisiche; del resto è naturale per l'uomo giungere alla conoscenza intellettiva attraverso immagini sensibili, poiché ogni nostra conoscenza prende inizio dai sensi»).
L'altro che Tobia rifece sano (v. 48) è l'arcangelo Raffaele, che guarì Tobia dalla cecità (Tob., III, 25; VI, 16).
Al v. 53 decisa è latinismo e vuol dire «separata» (da decĭdo, «tagliare»).
Al v. 68 argomento è stato variamente interpretato, poiché può voler dire «prova», «dimostrazione», oppure «motivo». Forse Beatrice indica semplicemente che la giustizia divina è argumentum fidei, ovvero materia inconoscibile all'intelletto e che può essere solo oggetto di fede.
I due esempi ai vv. 82-84 sono relativi a san Lorenzo, il martire spagnolo arso vivo su una graticola nel 258 d.C. durante le persecuzioni dell'imperatore Valeriano, e a Gaio Mucio Scevola, il giovane romano che tentò di uccidere il re di Chiusi Porsenna e, avendo fallito, bruciò la mano destra per punirla (Livio, Ab Urbe condita, II, 12). Da osservare che i due esempi sono tratti dalla tradizione cristiana e pagana.
Ai vv. 103-105 Dante allude al mito di Alcmeone, il figlio di Anfiarao che uccise la madre Erifile poiché questa aveva rivelato il nascondiglio del padre (Stazio, Theb., VII, 787-788; Ovidio, Met., IX, 408). Qui Dante dice in maniera imprecisa che era stato Anfiarao a chiedere al figlio di vendicarlo.
Al v. 118 amanza è provenzalismo e vale «prediletta».
La formula esse frustra (v. 129) nel senso di «essere invano» è propria del linguaggio della Scolastica.
L'espressione mia virtute diè le reni (v. 141) indica che la virtù visiva di Dante, sopraffatta dall'aspetto di Beatrice, batte in ritirata, cioè viene meno.
Fonti: libri scolastici superiori