Parafrasi e Analisi: "Canto IX" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto IX del Paradiso di Dante Alighieri si inserisce nel percorso dell'ascesa celeste del poeta, approfondendo le tematiche legate alla giustizia divina e alla corruzione terrena. In questo canto, Dante continua la sua esplorazione dell'armonia celeste, ponendo particolare attenzione al rapporto tra virtù e potere, tra purezza d'animo e corruzione politica ed ecclesiastica.
Attraverso le parole delle anime beate, il poeta riflette sulla condizione dell'umanità e sulle deviazioni morali che impediscono agli uomini di elevarsi spiritualmente. Il canto si distingue per il tono appassionato e critico con cui viene denunciata la decadenza di coloro che, invece di guidare il popolo verso il bene, si lasciano sedurre dalle ricchezze e dagli interessi materiali.
In questo contesto, Dante prosegue la sua costruzione di un universo divino perfettamente ordinato, in cui le anime beate esprimono il loro giudizio sulle vicende terrene, offrendo al lettore una prospettiva più alta e illuminata. Il Canto IX, quindi, non è solo un'esaltazione della giustizia divina, ma anche un monito per chi, sulla Terra, dimentica i valori della rettitudine e della fede.
Testo e Parafrasi
Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, m'ebbe chiarito, mi narrò li 'nganni che ricever dovea la sua semenza; ma disse: «Taci e lascia muover li anni»; sì ch'io non posso dir se non che pianto giusto verrà di retro ai vostri danni. E già la vita di quel lume santo rivolta s'era al Sol che la rïempie come quel ben ch'a ogne cosa è tanto. Ahi anime ingannate e fatture empie, che da sì fatto ben torcete i cuori, drizzando in vanità le vostre tempie! Ed ecco un altro di quelli splendori ver' me si fece, e 'l suo voler piacermi significava nel chiarir di fori. Li occhi di Bëatrice, ch'eran fermi sovra me, come pria, di caro assenso al mio disio certificato fermi. «Deh, metti al mio voler tosto compenso, beato spirto», dissi, «e fammi prova ch'i' possa in te refletter quel ch'io penso!». Onde la luce che m'era ancor nova, del suo profondo, ond' ella pria cantava, seguette come a cui di ben far giova: «In quella parte de la terra prava italica che siede tra Rïalto e le fontane di Brenta e di Piava, si leva un colle, e non surge molt' alto, là onde scese già una facella che fece a la contrada un grande assalto. D'una radice nacqui e io ed ella: Cunizza fui chiamata, e qui refulgo perché mi vinse il lume d'esta stella; ma lietamente a me medesma indulgo la cagion di mia sorte, e non mi noia; che parria forse forte al vostro vulgo. Di questa luculenta e cara gioia del nostro cielo che più m'è propinqua, grande fama rimase; e pria che moia, questo centesimo anno ancor s'incinqua: vedi se far si dee l'omo eccellente, sì ch'altra vita la prima relinqua. E ciò non pensa la turba presente che Tagliamento e Adice richiude, né per esser battuta ancor si pente; ma tosto fia che Padova al palude cangerà l'acqua che Vincenza bagna, per essere al dover le genti crude; e dove Sile e Cagnan s'accompagna, tal signoreggia e va con la testa alta, che già per lui carpir si fa la ragna. Piangerà Feltro ancora la difalta de l'empio suo pastor, che sarà sconcia sì, che per simil non s'entrò in malta. Troppo sarebbe larga la bigoncia che ricevesse il sangue ferrarese, e stanco chi 'l pesasse a oncia a oncia, che donerà questo prete cortese per mostrarsi di parte; e cotai doni conformi fieno al viver del paese. Sù sono specchi, voi dicete Troni, onde refulge a noi Dio giudicante; sì che questi parlar ne paion buoni». Qui si tacette; e fecemi sembiante che fosse ad altro volta, per la rota in che si mise com' era davante. L'altra letizia, che m'era già nota per cara cosa, mi si fece in vista qual fin balasso in che lo sol percuota. Per letiziar là sù fulgor s'acquista, sì come riso qui; ma giù s'abbuia l'ombra di fuor, come la mente è trista. «Dio vede tutto, e tuo veder s'inluia», diss' io, «beato spirto, sì che nulla voglia di sé a te puot' esser fuia. Dunque la voce tua, che 'l ciel trastulla sempre col canto di quei fuochi pii che di sei ali facen la coculla, perché non satisface a' miei disii? Già non attendere' io tua dimanda, s'io m'intuassi, come tu t'inmii». «La maggior valle in che l'acqua si spanda», incominciaro allor le sue parole, «fuor di quel mar che la terra inghirlanda, tra ' discordanti liti contra 'l sole tanto sen va, che fa meridïano là dove l'orizzonte pria far suole. Di quella valle fu' io litorano tra Ebro e Macra, che per cammin corto parte lo Genovese dal Toscano. Ad un occaso quasi e ad un orto Buggea siede e la terra ond' io fui, che fé del sangue suo già caldo il porto. Folco mi disse quella gente a cui fu noto il nome mio; e questo cielo di me s'imprenta, com' io fe' di lui; ché più non arse la figlia di Belo, noiando e a Sicheo e a Creusa, di me, infin che si convenne al pelo; né quella Rodopëa che delusa fu da Demofoonte, né Alcide quando Iole nel core ebbe rinchiusa. Non però qui si pente, ma si ride, non de la colpa, ch'a mente non torna, ma del valor ch'ordinò e provide. Qui si rimira ne l'arte ch'addorna cotanto affetto, e discernesi 'l bene per che 'l mondo di sù quel di giù torna. Ma perché tutte le tue voglie piene ten porti che son nate in questa spera, proceder ancor oltre mi convene. Tu vuo' saper chi è in questa lumera che qui appresso me così scintilla come raggio di sole in acqua mera. Or sappi che là entro si tranquilla Raab; e a nostr' ordine congiunta, di lei nel sommo grado si sigilla. Da questo cielo, in cui l'ombra s'appunta che 'l vostro mondo face, pria ch'altr' alma del trïunfo di Cristo fu assunta. Ben si convenne lei lasciar per palma in alcun cielo de l'alta vittoria che s'acquistò con l'una e l'altra palma, perch' ella favorò la prima gloria di Iosüè in su la Terra Santa, che poco tocca al papa la memoria. La tua città, che di colui è pianta che pria volse le spalle al suo fattore e di cui è la 'nvidia tanto pianta, produce e spande il maladetto fiore c'ha disvïate le pecore e li agni, però che fatto ha lupo del pastore. Per questo l'Evangelio e i dottor magni son derelitti, e solo ai Decretali si studia, sì che pare a' lor vivagni. A questo intende il papa e ' cardinali; non vanno i lor pensieri a Nazarette, là dove Gabrïello aperse l'ali. Ma Vaticano e l'altre parti elette di Roma che son state cimitero a la milizia che Pietro seguette, tosto libere fien de l'avoltero». |
Dopo che tuo padre Carlo, o bella Clemenza, mi ebbe chiarito il dubbio, mi raccontò le insidie che avrebbe dovuto affrontare suo figlio; ma disse: "non dire ora ciò che ti ho rivelato, ma lascia passar tempo"; così che io non posso dire di più se non che un giusto castigo seguirà alle ingiustizie che avete subito. E l'anima di quella luce santa, si era già rivolta a Dio, sole che la investe di sua luce, come quel sommo bene che soddisfa ogni creatura. Ahi anime traviate e creature perverse, che da questo suddetto bene allontanate i cuori, rivolgendo verso la vanità i vostri volti! Ed ecco che un'altra di quelle luci mi si avvicinò, e mi manifestò la sua volontà di compiacermi mostrandomi il suo splendore più intenso. Gli occhi di Beatrice, che erano fissi su di me, come prima, mi rassicurarono di prezioso assenso al mio desiderio di parlare. "Beh, esaudisci presto la mia volontà di conoscerti, anima beata", dissi, "e rendimi capace di comunicarti i miei pensieri senza parlare!" Perciò l'anima che ancora mi era sconosciuta, dal suo interno, da dove essa prima cantava, mi obbedì subito come colui che trova piacere nel far del bene: "In quella regione di terra corrotta italiana che si estende tra Venezia e le sorgenti del Brenta e del Piave, si alza un colle, e non sorge molto alto, là da dove nacque una un uomo impetuoso come una fiaccola che ordinò un grande assalto al circondario. Sia io sia lui nascemmo dagli stessi genitori: mi chiamarono Cunizza, e in questo cielo brillo di luce perché in vita mi dominò l'influsso di Venere; ma gioiosamente perdono a me stessa la ragione della mia sorte e ciò non mi addolora; sebbene sembrerà ai mortali difficile da comprendere. Di questo luminoso e prezioso gioiello del nostro cielo che mi è più vicino, rimase grande fama sulla Terra; e prima che scompaia, passeranno almeno altri cinque secoli: vedi se conviene all'uomo di farsi eccellente in vita, così che la vita terrena lasci dietro di quella della buona fama. A ciò non pensa la popolazione presente che vive tra i fiumi Tagliamento ed Adige, né, per quanto sia colpita da sciagure, si pente; ma presto accadrà che Padova tingerà di sangue l'acqua della palude che bagna Vicenza, a causa dell'essere queste popolazioni restie al dovere; e dove si congiungono il Sile e il Cagnan, a Treviso, un tale signoreggia e cammina superbo, contro il quale è già pronta la rete per catturarlo. Si pentirà anche Feltre per la colpa del suo empio vescovo, che sarà così turpe che un reato simile mai fu punito con la galera. Sarebbe troppo largo il recipiente in cui ricevere il sangue dei ferraresi versato per questa colpa, e si stancherebbe chi lo volesse pesare oncia a oncia, il quale sangue questo prete generoso donerà per dimostrarsi fedele ai guelfi; e doni simili saranno conformi alle usanze di tutta Italia. In alto ci sono le anime celesti, chiamate Troni da voi, dalle quali si riflette su di noi il giudizio giusto di Dio così che queste mie parole sembrano degne di fede". A questo punto tacque; e mi mostrò di essersi rivolta ad altro, ritornando alla danza da cui si era mossa prima. L'altra anima beata, che mi era già stata indicata come un prezioso gioiello, divenne ai miei occhi scintillante come un rubino esposto al Sole. In Paradiso la gioia si dimostra col crescere della luce, così come in Terra con il sorriso; ma quaggiù il corpo mortale si rabbuia quando la mente è triste. "Dio vede tutto e la tua vista penetra in Lui" dissi io, "o anima beata, così che nessun desiderio ti può essere nascosto. Dunque la tua voce, che rallegra il cielo sempre assieme al canto dei Serafini che di sei ali si avvolgono come in un saio, perché non soddisfa il mio desiderio di conoscerti? Non aspetterei io la tua domanda se io potessi penetrare nel tuo pensiero come tu nel mio". "Il più grande bacino in cui si espande l'acqua, il Mediterraneo," iniziarono allora le sue parole "al di fuori dell'Oceano che circonda la Terra, si estende tanto tra coste opposte di Africa ed Europa, in direzione opposta rispetto al sole, che ha per meridiano quello stesso cerchio celeste che, all'estremità occidentale, è orizzonte. Io fui abitante di quel mare interno tra i fiumi Ebro e Magra, che per breve tratto divide le terre di Genova e Toscana. Bougie e la città dove fui nato io, Marsiglia, la quale macchiò il porto con il sangue dei suoi cittadini, si trovano quasi sullo stesso meridiano. Folco mi chiamava quella gente a cui il mio nome fu noto; e questo cielo risplende della mia luce, come io feci con la sua in vita: poiché Didone non arse di passione, oltraggiando le ceneri di Sicheo, suo marito, e di Creusa, moglie di Enea, più di me, finchè l'età giovane me lo permise; né la famosa Rodopea, che fu delusa da Demofonte, né Ercole quando ebbe rinchiusa Iole nel suo cuore. Non per ciò in Paradiso ci si pente, ma ci si rallegra, non della colpa, che non torna nella mente, ma della virtù divina che ordinò e provvide per noi. Qui si contempla l'arte divina che adorna cotanta perfezione, e si comprende il bene per il quale i Cieli influiscono sulla Terra. Ma per colmare tutte le tue voglie di sapienza che ti sono nate in questo Cielo, mi conviene continuare ancora a spiegare. Tu vuoi sapere chi c'è in questa luce che luccica così tanto vicino a me, come un raggio di sole nell'acqua limpida. Ora sappi che là dentro così beata c'è Raab; e unita al nostro ordine in questo cielo, lo fa risplendere della sua luce in sommo grado. Fu accolta da questo cielo, in cui si proietta l'ombra che crea il mondo terreno, prima di ogni altra anima che fu redenta dal trionfo di Cristo. Fu ben giusto lasciare lei in uno dei cieli, per testimonianza dell'alta vittoria che Cristo conquistò con la crocifissione, perché essa favorì la prima conquista ottenuta da Giosuè in Terra Santa, che poco interessa alla memoria del Papa. La tua città, Firenze, che è origine di Lucifero, colui che prima girò le spalle al suo creatore e la cui invidia verso Dio causa tanto dolore, conia e diffonde il maledetto fiorino che ha traviato il gregge dei fedeli, poiché ha trasformato in lupo il pastore. Per ciò il Vangelo e i grandi padri della Chiesa sono dimenticati, e si studiano solo i testi di diritto canonico, così come appare nei margini. A questo si dedicano il Papa e i cardinali: i loro pensieri non vanno a Nazareth, là dove l'arcangelo Gabriele aprì le ali. Ma il Vaticano e gli altri illustri quartieri di Roma che sono stati testimoni dei martìri dei seguaci di Pietro saranno presto liberi da questo adulterio". |
Riassunto
vv. 1-12 – Profezia di Carlo Martello
Proseguendo il suo discorso, Carlo Martello predice le ingiustizie che colpiranno la sua discendenza, ma chiede a Dante di non rivelare dettagli specifici, se non il fatto che ai torti subiti seguirà una giusta retribuzione. Dante, a sua volta, ammonisce gli uomini per la loro inclinazione a lasciarsi sedurre dai beni materiali, dimenticando il solo vero bene.
vv. 13-63 – Incontro con Cunizza da Romano
Successivamente appare l'anima di Cunizza da Romano, sorella di Ezzelino III, noto signore della Marca Trevigiana. Cunizza racconta di essere stata influenzata dall'amore terreno durante la sua vita e poi indica un altro spirito al suo fianco, un'anima che in vita ha lasciato un'eredità di valore, sebbene i contemporanei della Marca Trevigiana sembrino non curarsene. Preannuncia infine gravi sciagure per la sua terra.
vv. 64-108 – Folchetto di Marsiglia
Lo spirito menzionato da Cunizza è Folchetto di Marsiglia, poeta provenzale divenuto vescovo di Tolosa nel 1205, noto per il suo coinvolgimento nella crociata contro gli Albigesi. Egli racconta di aver ceduto in gioventù all'influsso dell'amore terreno, ma di aver successivamente rivolto il suo cuore verso Dio.
vv. 109-126 – Folchetto indica lo spirito di Raab
Folchetto richiama poi l'attenzione su un'altra anima presente accanto a lui: Raab, la prostituta di Gerico che guadagnò la salvezza eterna per aver aiutato Giosuè nella conquista della Terra Promessa. Egli lamenta come la sua memoria sia ormai trascurata dalla Chiesa.
vv. 127-142 – Invettiva di Folchetto
Sfruttando questa osservazione, Folchetto lancia un duro attacco contro l'alto clero, accusandolo di essere dedito esclusivamente all'accumulo di ricchezze. Conclude la sua invettiva con una profezia: la Provvidenza divina interverrà presto per porre fine alla corruzione che affligge Roma.
Figure Retoriche
v. 1: "Carlo tuo": Anastrofe.
v. 3: "Ricever dovea": Anastrofe.
vv. 5-6: "Pianto / giusto": Enjambement.
v. 7: "La vita di quel lume santo": Perifrasi.
v. 8: "Sol": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 14: "Ver' me si fece": Anastrofe.
vv. 17-18: "Caro assenso / al mio disio": Enjambement.
v. 24: "Seguette come a cui di ben far giova": Similitudine.
v. 24: "Ben far": Anastrofe.
vv. 25-26: "La terra prava / italica": Enjambement.
v. 29: "Facella": Perifrasi.
v. 31: "D'una radice nacqui e io ed ella": Metafora.
v. 32: "Cunizza fui chiamata": Anastrofe.
v. 33: "D'esta stella": Perifrasi. Per indicare Venere.
vv. 38-39: "Di questa luculenta e cara gioia del nostro cielo che più m'è propinqua": Perifrasi. Per indicare Folchetto di Marsiglia.
vv. 38-39: "Gioia / del nostro cielo": Enjambement.
v. 39: "Grande fama rimase": Anastrofe.
v. 47: "Che Vincenza bagna": Anastrofe.
v. 47: "L'acqua che Vincenza bagna": Perifrasi. Per indicare il fiume Bacchiglione.
v. 49: "Dove Sile e Cagnan s'accompagna": Perifrasi.
v. 50: "Tal signoreggia e va con la testa alta": Perifrasi. Per indicare Rizzardo da Camino.
v. 51: "Si fa la ragna": Metafora.
vv. 52-53: "La difalta / de l'empio suo pastor": Enjambement.
v. 60: "Conformi fieno": Anastrofe.
vv. 67-68: "Già nota / per cara cosa": Enjambement.
v. 69: "Qual fin balasso in che lo sol percuota": Similitudine.
vv. 71-72: "Per letiziar là sù fulgor s'acquista, sì come riso qui": Similitudine.
vv. 71-72: "S'abbuia / l'ombra di fuor": Enjambement.
v. 74: "Beato spirto": Anastrofe.
vv. 74-75: "Nulla / voglia": Enjambement.
v. 76: "Voce tua": Anastrofe.
v. 76: "'l ciel trastulla": Anastrofe.
v. 77: "Quei fuochi pii": Perifrasi.
v. 81: "S'io m'intuassi, come tu t'inmii": Similitudine.
v. 82: "La maggior valle in che l'acqua si spanda": Perifrasi. Per intendere il Mediterraneo.
vv. 86-87: "Che fa meridiano là dove l'orizzonte pria far suole": Perifrasi. Per indicare Gerusalemme.
v. 88: "Di quella valle": Perifrasi. Per indicare il Mediterraneo.
v. 89: "Cammin corto": Anastrofe.
v. 91: "Ad un occaso quasi e ad un orto": Perifrasi. Per dire che sono poste sullo stesso meridiano.
v. 93: "Sangue suo": Anastrofe.
vv. 94-95: "Quella gente a cui / fu noto il nome mio": Enjambement.
vv. 95-96: "E questo cielo di me s'imprenta, com'io fe' di lui": Similitudine.
v. 96: "Di me s'imprenta": Anastrofe.
vv. 97-99: "Più non arse la figlia di Belo, noiando e a Sicheo e a Creusa, di me, infin che si convenne al pelo": Similitudine.
v. 102: "Nel core ebbe rinchiusa": Anastrofe.
vv. 106-107: "Ch'addorna / cotanto affetto": Enjambement.
vv. 113-114: "Così scintilla, come raggio di sole in acqua mera": Similitudine.
vv. 115-116: "Si tranquilla / Raab": Enjambement.
vv. 124-125: "La prima gloria / di Iosuè": Enjambement.
v. 126: "Al papa la memoria": Anastrofe.
vv. 127-128: "Di colui è pianta che pria volse le spalle al suo fattore": Perifrasi. Per indicare Lucifero, che si ribellò a Dio.
v. 131: "Le pecore e li agni": Metafora. Per indicare il gregge dei fedeli cristiani.
vv. 133-134: "L'Evangelio e i dottor magni / son derelitti": Enjambement.
vv. 134-135: "Solo ai Decretali / si studia": Enjambement.
v. 138: "Dove Gabriello aperse l'ali": Metonimia.
vv. 139-140: "Elette / di Roma": Enjambement.
v. 142: "Tosto libere fien": Anastrofe.
Analisi ed Interpretazioni
Nel Canto VII del Paradiso, Beatrice affronta un complesso discorso teologico per sciogliere i dubbi di Dante riguardo alla giustizia divina nella redenzione dell'umanità. Il cuore della sua spiegazione è il sacrificio di Cristo, visto come atto che unisce giustizia e misericordia. Se da un lato la crocifissione è stata una punizione giusta per l'umanità caduta nel peccato originale, dall'altro si tratta di un'ingiustizia estrema poiché Cristo, in quanto innocente e figlio di Dio, non meritava tale destino. Beatrice chiarisce come la storia umana sia guidata dalla Provvidenza, ma anche soggetta alla volontà libera degli uomini, che spesso deviano dal percorso divino, un tema che verrà ulteriormente sviluppato nei canti successivi.
Il Canto VIII introduce un'altra figura chiave, Carlo Martello d'Angiò, il quale denuncia il malgoverno della sua famiglia e profetizza le ingiustizie che subiranno i suoi discendenti, in particolare l'usurpazione del trono di Napoli da parte del fratello Roberto ai danni di Caroberto. Questo tema si inserisce nel più ampio discorso sulla corruzione politica e sulla degenerazione del potere, riflettendo le tensioni storiche dell'epoca di Dante. L'idea centrale che emerge è che la volontà divina stabilisce un ordine perfetto nella natura e nelle inclinazioni degli uomini, ma questi ultimi spesso lo distorcono con le loro scelte errate, come sottolineato dalla chiusura del canto, dove si afferma che l'uomo devia dalla "giusta traccia" della natura.
Nel Canto IX, la riflessione sulla storia e la politica si intreccia con quella sull'amore e la redenzione, tema dominante nel Cielo di Venere. Qui compaiono figure emblematiche come Cunizza da Romano e Folchetto di Marsiglia, entrambi legati all'amore sensuale nella loro vita terrena, ma poi redenti grazie alla consapevolezza e al ravvedimento. Cunizza, sorella del tiranno Ezzelino III da Romano, si distingue per una vita sentimentale libera e passionale, mentre Folchetto, un tempo poeta trobadorico, si fa vescovo e partecipa alla crociata contro gli Albigesi. Entrambi testimoniano come le inclinazioni impresse dagli astri non siano un destino inevitabile, ma possano essere orientate al bene attraverso il libero arbitrio.
La loro presenza nel Paradiso serve a dimostrare che il passato peccaminoso non preclude la salvezza, purché l'anima trovi la via del pentimento. Questo tema si rafforza con l'ultima figura citata nel canto: Raab, la meretrice di Gerico che aiutò Giosuè a conquistare la città e che, grazie alla sua fede, fu la prima anima a salire in cielo dopo la redenzione di Cristo. La sua vicenda, come quelle di Traiano e Rifeo, sottolinea l'imperscrutabilità della giustizia divina, che può accogliere nel Paradiso anche chi, secondo il giudizio umano, sembrerebbe escluso.
Accanto alla riflessione sull'amore, il canto sviluppa una critica feroce alla degenerazione politica ed ecclesiastica. Cunizza denuncia le ingiustizie della Marca Trevigiana, teatro di violenze e tradimenti: la sconfitta dei Guelfi padovani a opera di Cangrande della Scala nel 1314, l'assassinio del signore di Treviso Rizzardo da Camino nel 1312 e il tradimento del vescovo di Feltre, Alessandro Novello, che consegnò alcuni esuli ferraresi al vicario angioino, condannandoli a morte. Questi eventi storici riflettono il disordine dell'Italia, una terra privata di un'autorità forte che possa ristabilire la giustizia.
Ma è Folchetto a lanciare la più dura invettiva, rivolta direttamente alla Chiesa corrotta e a Firenze, accusata di diffondere il "maledetto fiore", ovvero il fiorino, simbolo dell'avidità che ha contaminato la curia romana. I papi, invece di guidare i fedeli e difendere la Terra Santa, si preoccupano solo di accumulare ricchezze, trasformando il Vaticano in una cloaca di interessi terreni. Questa denuncia richiama le accuse già mosse da Dante in Inferno XIX contro i papi simoniaci e anticipa le parole di San Pietro nel Canto XXVII, dove il principe degli apostoli condannerà aspramente la Chiesa del suo tempo.
Il filo conduttore che lega questi canti è il contrasto tra l'ordine perfetto voluto dalla Provvidenza e il caos generato dall'uomo attraverso il peccato e la corruzione. Dante denuncia con forza le deviazioni dalla giustizia divina, ma al tempo stesso afferma la possibilità di redenzione, purché si riconosca il proprio errore e si torni sulla via del bene. La speranza della restaurazione della giustizia rimane viva nel poema, sebbene avvolta da profezie oscure e allusioni enigmatiche, che alimentano l'attesa di un rinnovamento spirituale e politico del mondo.
Passi Controversi
Clemenza (v. 1) potrebbe riferirsi sia alla moglie sia alla figlia di Carlo Martello, rendendo incerta l'identità della donna cui Dante si rivolge. Tuttavia, l'espressione Carlo tuo sembra suggerire un legame coniugale. La parola 'nganni (v. 2) fa riferimento alla controversa successione al trono di Napoli: Roberto, fratello di Carlo Martello, ne usurpò il regno a discapito del figlio Caroberto. Questa scelta, sebbene supportata da Carlo II d'Angiò, venne ratificata da papa Bonifacio VIII e successivamente da Clemente V, entrambi condannati da Dante nell'Inferno (canto XIX).
Al v. 19, il termine compenso è usato nel senso di "contrappeso", con Dante che chiede a Cunizza di riequilibrare il proprio desiderio, quasi fosse una bilancia. Il colle menzionato al v. 28 è quello di Romano, vicino a Bassano del Grappa, dove si trovava il castello degli Ezzelini. Nel v. 29, la facella (torcia) è un'allegoria di Ezzelino, noto per il suo dominio tirannico sulla Marca Trevigiana. L'immagine richiama il sogno di Ecuba, che vide in sogno di partorire una fiaccola, presagio della futura rovina portata da Paride. Una leggenda simile esisteva anche sulla madre di Ezzelino, come riportato dal commentatore Pietro di Dante.
Nel v. 40, l'espressione questo centesimo anno ancor s'incinqua suggerisce che l'anno giubilare del 1300 si ripeterà cinque volte (ossia cinque secoli) prima che la fama di Folchetto si dissolva. Il verbo s'incinqua è un neologismo dantesco, simile a s'addua (VII, 6), s'intrea (XIII, 57) e s'inmilla (XXVIII, 93).
Il v. 44 menziona i fiumi Tagliamento e Adige, che delimitano la Marca Trevigiana. Nei vv. 46-48, Dante allude alla sconfitta subita dai Guelfi di Padova il 17 dicembre 1314 contro i Ghibellini di Vicenza, appoggiati da Cangrande Della Scala: il Bacchiglione sarà arrossato dal sangue dei caduti. Alcuni interpretano il passo come un riferimento al tentativo dei Vicentini di deviare il corso del fiume per motivi bellici.
Al v. 49, Dante cita i fiumi Sile e Cagnano (oggi Botteniga), che si uniscono a Treviso. Il signore della città, Rizzardo da Camino, succeduto al padre nel 1306, verrà assassinato in una congiura nel 1312. Nei vv. 52-54, si parla del vescovo di Feltre, Alessandro Novello, che nel 1314 consegnò tre esuli ferraresi a Pino della Tosa, il quale li fece giustiziare. Il termine malta (v. 54) significa "prigione", un termine diffuso nella letteratura medievale e associato a diverse carceri, tra cui una sul lago di Bolsena destinata agli ecclesiastici, che potrebbe essere quella indicata da Cunizza.
I Troni (v. 61) sono il terzo ordine angelico, con il compito di amministrare la giustizia divina nel VII Cielo di Saturno. Il balasso (v. 69), un tipo di rubino, deriva dal termine arabo balaksh e si importava dalla regione di Balascam, come riportato da Marco Polo nel Milione.
Il verbo s'inluia (v. 73) è un altro neologismo dantesco, che significa "penetrare in lui", simile a m'intuassi e m'inmii (v. 80), con il corrispettivo t'inlei (XXII, 127). I fuochi pii con sei ali (vv. 80-81) sono i Serafini, il cui nome in ebraico significa "ardenti". L'immagine delle sei ali richiama la descrizione biblica in Isaia (VI, 2).
Il v. 82 si riferisce all'estensione del Mediterraneo da ovest a est per novanta gradi, anche se in realtà si estende per quarantadue. Al v. 92, Buggea (oggi Bougie, in Algeria) è citata per la sua posizione geografica, essendo quasi sullo stesso meridiano di Marsiglia, con il sole che sorge e tramonta nello stesso momento. Il v. 93 allude al massacro dei Marsigliesi per mano di Bruto durante la guerra civile, un episodio narrato da Lucano nella Farsaglia (III, 572-573).
Al v. 97, la figlia di Belo è Didone, mentre la Rodopea (v. 100) è Fillide, figlia del re di Tracia Sitone. Innamoratasi di Demofoonte e da lui abbandonata, si tolse la vita impiccandosi, venendo poi trasformata in mandorlo (Ovidio, Heroides, II).
I vv. 106-108 sono di difficile interpretazione, con alcune varianti nei manoscritti. Una possibile lettura intende affetto come l'amore di Dio, mentre il verbo torna (v. 108), in rima equivoca con torna del v. 104, avrebbe il senso di "tornia", cioè "dare forma".
Nei vv. 117-118, si accenna alla credenza astronomica secondo cui l'ombra della Terra si estende fino al Cielo di Venere. Il termine palma al v. 121 significa "testimonianza", mentre nel v. 123 (con rima equivoca) si riferisce alle mani inchiodate di Cristo sulla croce. Alcuni commentatori vedono qui un riferimento a Giosuè, che pregando con entrambe le mani ottenne la vittoria su Gerico.
Il v. 132 anticipa le parole di san Pietro nell'invettiva del canto XXVII: In vesta di pastor lupi rapaci / si veggion di qua sù per tutti i paschi. Infine, i Decretali (v. 134) sono i testi del diritto canonico, i cui vivagni ("margini") sono logori per il frequente uso, segno di come la Chiesa li abbia interpretati in modo opportunistico per trarre profitto dalle indulgenze e da altre concessioni simili.
Fonti: libri scolastici superiori