Parafrasi e Analisi: "Canto VIII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


L'ottavo canto del Paradiso segna un momento significativo nel viaggio di Dante attraverso i cieli, approfondendo il tema dell'influenza astrale sulle inclinazioni umane e sul libero arbitrio. In questa parte del poema, il poeta si trova nel Cielo di Venere, tradizionalmente associato all'amore e all'affetto, e affronta una riflessione sull'armonia tra le sfere celesti e le disposizioni dell'anima.

Dante esplora il rapporto tra destino e virtù, interrogandosi su quanto le inclinazioni naturali siano determinate dagli influssi astrali e quanto, invece, la volontà umana sia capace di elevarsi al di sopra di essi. Il canto si inserisce così nella più ampia meditazione dantesca sul libero arbitrio e sulla giustizia divina, temi centrali nella Commedia.

Attraverso il dialogo con le anime beate, emerge inoltre una visione della nobiltà non più legata esclusivamente al lignaggio, ma fondata sulle qualità morali e sulle scelte individuali. Questo passaggio riflette il pensiero politico e filosofico di Dante, che contrappone la virtù alla decadenza delle istituzioni terrene.


Testo e Parafrasi


Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;

per che non pur a lei faceano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche ne l'antico errore;

ma Dïone onoravano e Cupido,
quella per madre sua, questo per figlio,
e dicean ch'el sedette in grembo a Dido;

e da costei ond' io principio piglio
pigliavano il vocabol de la stella
che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio.

Io non m'accorsi del salire in ella;
ma d'esservi entro mi fé assai fede
la donna mia ch'i' vidi far più bella.

E come in fiamma favilla si vede,
e come in voce voce si discerne,
quand' una è ferma e altra va e riede,

vid' io in essa luce altre lucerne
muoversi in giro più e men correnti,
al modo, credo, di lor viste interne.

Di fredda nube non disceser venti,
o visibili o no, tanto festini,
che non paressero impediti e lenti

a chi avesse quei lumi divini
veduti a noi venir, lasciando il giro
pria cominciato in li alti Serafini;

e dentro a quei che più innanzi appariro
sonava 'Osanna' sì, che unque poi
di rïudir non fui sanza disiro.

Indi si fece l'un più presso a noi
e solo incominciò: «Tutti sem presti
al tuo piacer, perché di noi ti gioi.

Noi ci volgiam coi principi celesti
d'un giro e d'un girare e d'una sete,
ai quali tu del mondo già dicesti:

'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete';
e sem sì pien d'amor, che, per piacerti,
non fia men dolce un poco di quïete».

Poscia che li occhi miei si fuoro offerti
a la mia donna reverenti, ed essa
fatti li avea di sé contenti e certi,

rivolsersi a la luce che promessa
tanto s'avea, e «Deh, chi siete?» fue
la voce mia di grande affetto impressa.

E quanta e quale vid' io lei far piùe
per allegrezza nova che s'accrebbe,
quando parlai, a l'allegrezze sue!

Così fatta, mi disse: «Il mondo m'ebbe
giù poco tempo; e se più fosse stato,
molto sarà di mal, che non sarebbe.

La mia letizia mi ti tien celato
che mi raggia dintorno e mi nasconde
quasi animal di sua seta fasciato.

Assai m'amasti, e avesti ben onde;
che s'io fossi giù stato, io ti mostrava
di mio amor più oltre che le fronde.

Quella sinistra riva che si lava
di Rodano poi ch'è misto con Sorga,
per suo segnore a tempo m'aspettava,

e quel corno d'Ausonia che s'imborga
di Bari e di Gaeta e di Catona,
da ove Tronto e Verde in mare sgorga.

Fulgeami già in fronte la corona
di quella terra che 'l Danubio riga
poi che le ripe tedesche abbandona.

E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo
che riceve da Euro maggior briga,

non per Tifeo ma per nascente solfo,
attesi avrebbe li suoi regi ancora,
nati per me di Carlo e di Ridolfo,

se mala segnoria, che sempre accora
li popoli suggetti, non avesse
mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!".

E se mio frate questo antivedesse,
l'avara povertà di Catalogna
già fuggeria, perché non li offendesse;

ché veramente proveder bisogna
per lui, o per altrui, sì ch'a sua barca
carcata più d'incarco non si pogna.

La sua natura, che di larga parca
discese, avria mestier di tal milizia
che non curasse di mettere in arca».

«Però ch'i' credo che l'alta letizia
che 'l tuo parlar m'infonde, segnor mio,
là 've ogne ben si termina e s'inizia,

per te si veggia come la vegg' io,
grata m'è più; e anco quest' ho caro
perché 'l discerni rimirando in Dio.

Fatto m'hai lieto, e così mi fa chiaro,
poi che, parlando, a dubitar m'hai mosso
com' esser può, di dolce seme, amaro».

Questo io a lui; ed elli a me: «S'io posso
mostrarti un vero, a quel che tu dimandi
terrai lo viso come tien lo dosso.

Lo ben che tutto il regno che tu scandi
volge e contenta, fa esser virtute
sua provedenza in questi corpi grandi.

E non pur le nature provedute
sono in la mente ch'è da sé perfetta,
ma esse insieme con la lor salute:

per che quantunque quest' arco saetta
disposto cade a proveduto fine,
sì come cosa in suo segno diretta.

Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine
producerebbe sì li suoi effetti,
che non sarebbero arti, ma ruine;

e ciò esser non può, se li 'ntelletti
che muovon queste stelle non son manchi,
e manco il primo, che non li ha perfetti.

Vuo' tu che questo ver più ti s'imbianchi?».
E io: «Non già; ché impossibil veggio
che la natura, in quel ch'è uopo, stanchi».

Ond' elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio
per l'omo in terra, se non fosse cive?».
«Sì», rispuos' io; «e qui ragion non cheggio».

«E puot' elli esser, se giù non si vive
diversamente per diversi offici?
Non, se 'l maestro vostro ben vi scrive».

Sì venne deducendo infino a quici;
poscia conchiuse: «Dunque esser diverse
convien di vostri effetti le radici:

per ch'un nasce Solone e altro Serse,
altro Melchisedèch e altro quello
che, volando per l'aere, il figlio perse.

La circular natura, ch'è suggello
a la cera mortal, fa ben sua arte,
ma non distingue l'un da l'altro ostello.

Quinci addivien ch'Esaù si diparte
per seme da Iacòb; e vien Quirino
da sì vil padre, che si rende a Marte.

Natura generata il suo cammino
simil farebbe sempre a' generanti,
se non vincesse il proveder divino.

Or quel che t'era dietro t'è davanti:
ma perché sappi che di te mi giova,
un corollario voglio che t'ammanti.

Sempre natura, se fortuna trova
discorde a sé, com' ogne altra semente
fuor di sua regïon, fa mala prova.

E se 'l mondo là giù ponesse mente
al fondamento che natura pone,
seguendo lui, avria buona la gente.

Ma voi torcete a la religïone
tal che fia nato a cignersi la spada,
e fate re di tal ch'è da sermone;

onde la traccia vostra è fuor di strada».
Nel passato gli uomini erano soliti credere, con loro danno,
che il pianeta della bella dea Venere irradiasse la terra con
l'amore sensuale muovendosi nell'epiciclo del terzo cielo;

perciò non solo le dedicavano
sacrifici e preghiere votive
gli antichi, che non conoscevano la vera fede;

ma onoravano anche Dione e Cupido,
rispettivamente la madre ed il figlio della dea Venere,
e dicevano che quest'ultimo sedette in grembo a Didone;

e dal nome di questa dea, con la quale inizio questo canto,
chiamarono anche il pianeta
che il sole vede ora dinnanzi a sé ed ora dietro a sé.

In non mi accorsi di stare salendo nel terzo cielo;
ma mi rese poi certo di trovarmi là
il vedere Beatrice ancora più bella e splendente.

E come all'interno di una fiamma si vedono le scintille,
o in un coro si riesce a distinguere una singola voce,
quando una tiene la nota mentre l'altra gorgheggia,

così io riuscì a vedere nella luce del terzo cielo altre luci
che si muovevano andando in giro più o meno veloci,
a seconda, credo, della loro minore o maggiore capacità di vedere Dio.

Mai da una fredda nube discesero
fulmini o vortici d'aria tanto rapidi
da non sembrare comunque frenati e lenti

a chi avesse visto, in confronto, quelle luci divine
che si avvicinavano a noi, abbandonando il loro movimento
circolare iniziato nel cielo Empireo, sede degli angeli Serafini;

e dalle anime che per prime ci apparvero
risuonava un 'Osanna', tanto dolce che per sempre poi
non riuscii a liberarmi dal desiderio di udirlo di nuovo.

Da quella schiera uscì e si avvicinò a noi
un'anima, e cominciò a dire: "Siamo tutti pronti a soddisfare
ogni tuo desiderio, così che tu gioisca del nostro incontro.

Noi giriamo in uno stesso circolo, con lo stesso ritmo ed
assetati da uno stesso ardore di contemplazione, insieme al
coro angelico dei Principati, sui quali tu hai già scritto dal mondo

'Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete';
ed abbiamo così tanta carità che, per farti piacere,
non ci dispiace di fermare un poco per te il nostro moto."

Dopo che i miei occhi si furono rivolti verso Beatrice
per chiedere rispettosamente il permesso, e dopo che lei
li ebbe appagati e rassicurati della sua approvazione,

mi rivolsi alla luce che mi aveva rivolto la sua offerta
tanto generosamente e chiesi "Chi siete?"
con una voce piena di grande affetto.

E quanto e come la vidi accrescersi
per la nuova gioia che andò ad aggiungersi,
quando parlai, alla sua normale felicità!

Diventata così luminosa, quell'anima (Carlo Martello) mi disse:
"La mia vita sulla terra fu breve; e se vi fossi rimasta di più,
si sarebbero potuti evitati tanti mali che invece di verificheranno.

Ti impedisce di riconoscermi la mia gioia,
che si irradia da me e mi avvolge
quasi come fa il bozzolo di un baco da seta.

Mi hai avuto tanto in simpatia e ne avevi motivo;
perché se fossi vissuto più a lungo, ti avrei mostrato
il mio affetto non solo nelle parole ma anche nei fatti.

La Provenza, sulla riva sinistra bagnata dal fiume Rodano,
dopo che questo ha ricevuto le acqua dalla Sorga,
da tanto tempo mi aspettava come suo signore,

così come quell'angolo d'Italia compreso
tra Bari, Gaeta e Catona,
a partire dalle foci dei fiumi Tronto e Verde.

Mi brillava già sulla fronte la corona
d'Ungheria, quella terra che il fiume Danubio bagna
dopo aver abbandonato le terre tedesche.

E la bella Sicilia, che si ricopre di nebbia
tra capo Pachino e capo Peloro, lungo il golfo
che è investito con maggior forza dallo scirocco,

non perché vi sia rinchiuso il gigante Tifeo ma a causa delle
miniere di zolfo, avrebbe ancora atteso i suoi re,
miei discendenti attraverso Carlo e Rodolfo d'Asburgo,

se il cattivo governo, che è solito opprimere
i popoli sottomessi, non avesse
spinto Palermo a gridare: "A morte, a morte!"

E se mio fratello riflettesse bene sulle pericolose conseguenze,
eviterebbe l'ingorda povertà dei Catalani,
così che non gli possa poi essere nociva;

perché davvero è necessario che lui,
o un altro al suo posto, faccia in modo di non appesantire
ulteriormente la barca già carica di avidità.

Il suo carattere, avaro pur discendendo da generosi
antenati, avrebbe bisogno del supporto di funzionari
che non pensassero solo ad accumulare ricchezze per sé."

"Poiché credo che la profonda gioia
che mi procura il tuo parlare, o mio signore,
sia vista da te in Dio, origine e fine ultimo di ogni bene,

con la stessa chiarezza con cui la vedo io,
la gradisco ancora di più; ed anche questo, che si accresca,
mi fa piacere, perché tu lo comprendi guardando in Dio.

Mi hai reso felice, ma chiariscimi ora un dubbio,
poiché le tue parole mi hanno spinto a domandarmi
come possa nascere un frutto amaro da un seme dolce."

Dissi questo a lui; e lui mi rispose: "Se io riesco
a spiegarti una verità, la risposta a ciò che mi domandi
potrai averla chiara davanti a te e non più alle tue spalle.

Dio, il sommo bene che tutto il regno che stai attraversando
muove ed allieta, fa sì che la sua Provvidenza diventi
in questi corpi celesti virtù, capace di influire sul mondo.

E non solo le varie nature sono determinate
dalla mente divina, assolutamente perfetta in sé,
ma insieme ad esse anche la loro capacità di realizzarsi nel piano divino universale, per il loro benessere:

perciò tutto quello che questi cieli dispensano
cade secondo il fine preordinato da Dio,
come un freccia verso il suo bersaglio.

Se così non fosse, il cielo che stai attraversano
produrrebbe come effetti tali,
che non sarebbero creazioni ordinate ma disastri;

ma così non può essere, a meno che le intelligenze
che muovono queste stelle siano imperfette ed imperfetto
sia anche il Primo Motore, che non le ha create perfette.

Vuoi che questa verità ti sia meglio chiarita?"
Risposi io: "No certo; poiché vedo che è impossibile
che la natura commetta errori laddove domina il dovere."

Continuo pertanto l'anima: "Ora dimmi, sarebbe peggio
per l'uomo se sulla terra non ci fosse un ordine civile?"
"Sì", risposi io; "e di questo non ti chiedo spiegazioni."

"E ci potrebbe essere un organizzazione civile se giù sulla
terra non si esercitassero in modo diverso funzioni diverse?
Non di certo, se Aristotele scrive cose giuste."

Procedette così nel suo ragionamento fino a questo punto;
infine concluse dicendo: "Devono essere allora differenti le
attitudini che vi spingono a svolgere mansioni diverse:

per cui uno nasce legislatore come Solone e l'altro re come
Serse, l'altro sacerdote come Melchisedech e l'altro artista
come Dedalo, il cui figlio Icaro morì nel tentativo di volare.

I cieli, che imprimono il marchio della loro virtù
sugli uomini, esercitano in modo adeguato la loro arte,
ma senza prestare attenzione ai diversi casati.

Da ciò deriva il fatto che Esaù abbia sin dalla nascita
un carattere molto diverso da quello del gemello Giacobbe;
e che Romolo nasca da un padre tanto ignobile che alla fine si preferì attribuire la sua paternità a Marte.

La natura dei figli ricalcherebbe
sempre quella dei padri
se non intervenisse la Provvidenza divina.

Ora la verità nascosta ti è stata svelata: ma perché
tu possa capire quanta gioia mi dia la tua presenza, ti svelerò
un'altra verità, così che possa arricchire il tuo sapere.

Sempre la natura, se incontra una sorte a lei
avversa, come ad esempio quando un seme viene piantato
in un terreno non adatto, non dà buoni frutti.

E se il mondo laggiù tenesse bene a mente
l'attitudine che la natura imprime in ciascun uomo,
e la rispettasse anche, ci sarebbero solo persone di valore.

Ma voi uomini, ad esempio, costringete uno a prendere i voti
anche se è nato per essere un soldato,
e fate re uno che è invece nato per fare il predicatore;

sono pertanto i vostri passi a portarvi fuori strada."



Riassunto


vv. 1-12 – L'influsso di Venere e le credenze antiche
Dante richiama l'errata convinzione degli antichi secondo cui il pianeta Venere influenzerebbe le passioni amorose e viene menzionata la sua associazione con la dea omonima, considerata madre di Amore.

vv. 13-30 – L'ingresso nel cielo di Venere e gli spiriti amanti
Il poeta si eleva al cielo di Venere, senza accorgersi del passaggio dal secondo al terzo cielo se non attraverso il mutato splendore di Beatrice. Qui lo accolgono le anime degli spiriti amanti, che si manifestano sotto forma di luci e intonano un canto melodioso di Osanna.

vv. 31-84 – L'incontro con Carlo Martello
Uno degli spiriti si fa avanti e dichiara di essere pronto a rispondere ai desideri di Dante. Con il permesso di Beatrice, il poeta gli chiede di rivelare la sua identità. Lo spirito, senza dichiarare esplicitamente il proprio nome, lascia intendere di essere Carlo Martello d'Angiò (1271-1295). Egli ricorda il legame di amicizia con Dante e si rammarica di non aver potuto rafforzarlo ulteriormente a causa della sua morte prematura. Fa poi riferimento ai domini che avrebbe dovuto ereditare, come la Provenza e il Regno di Napoli, e critica duramente il fratello Roberto per la sua avarizia.

vv. 85-148 – L'ordine divino e la diversità delle inclinazioni umane
Dante si chiede come sia possibile che da un sovrano generoso possa nascere un figlio avaro. Carlo risponde spiegando che la Provvidenza divina distribuisce alle anime inclinazioni differenti affinché l'umanità possa assolvere a compiti diversi all'interno della società. L'influsso dei cieli agisce sulle persone fin dalla nascita, indipendentemente dalle caratteristiche dei genitori. Tuttavia, se le predisposizioni naturali non trovano un contesto favorevole, possono trasformarsi in elementi di discordia e disordine. Carlo conclude denunciando la corruzione sulla terra, dove spesso si impongono ruoli inadatti: chi sarebbe portato per la guerra viene indirizzato al sacerdozio, mentre chi avrebbe una vocazione religiosa viene elevato al trono come sovrano.


Figure Retoriche


v. 2: "La bella Ciprigna": Perifrasi. Per indicare la dea Venere.
vv. 2-3: "Il folle amore / raggiasse": Enjambement.
vv. 10-11: "Principio piglio pigliavano": Allitterazione della P e G.
vv. 11-12: "La stella che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio": Perifrasi.
v. 15: "Donna mia": Anastrofe.
vv. 16-19: "E come in fiamma favilla si vede, e come in voce voce si discerne, quand'una è ferma e altra va e riede, vid'io in essa luce altre lucerne": Similitudine.
vv. 22-26: "Di fredda nube non disceser venti, o visibili o no, tanto festini, che non paressero impediti e lenti a chi avesse quei lumi divini veduti a noi venir": Similitudine.
v. 24: "Impediti e lenti": Endiadi.
v. 26: "A noi venir": Anastrofe.
v. 27: "Alti Serafini": Perifrasi. Per indicare il Primo Mobile.
vv. 32-33: "Sem presti / al tuo piacer": Enjambement.
v. 35: "D'un giro e d'un girare e d'una sete": Polisindeto.
v. 40: "Occhi miei": Anastrofe.
v. 42: "Contenti e certi": Endiadi.
v. 42: "Fatti li avea": Anastrofe.
v. 45: "Voce mia": Anastrofe.
v. 48: "A l'allegrezze sue": Anastrofe.
vv. 49-50: "M'ebbe / giù": Enjambement.
vv. 53-54: "Mi nasconde quasi animal di sua seta fasciato": Similitudine.
v. 55: "Assai m'amasti": Anastrofe.
v. 56: "Fossi giù stato": Anastrofe.
vv. 56-57: "Ti mostrava / di mio amor": Enjambement.
v. 57: "Di mio amor più oltre che le fronde": Metafora.
vv. 58-59: "Si lava / di Rodano": Enjambement.
v. 60: "Per suo segnore": Similitudine.
v. 61: "Corno d'Ausonia": Metafora.
vv. 61-63: "Quel corno d'Ausonia che s'imborga di Bari e di Gaeta e di Catona da ove Tronto e Verde in mare sgorga": Perifrasi. Per indicare il Regno di Napoli che ha come città Bari, Gaeta e Catona, da dove i fiuim Tronto e Liri sfociano in mare.
vv. 64-65: "La corona / di quella terra": Enjambement.
v. 65: "Quella terra": Perifrasi. Per indicare l'Ungheria.
vv. 67-68: "Che caliga / tra Pachino e Peloro": Enjambement.
v. 71: "Attesi avrebbe": Anastrofe.
vv. 73-74: "Che sempre accora / li popoli suggetti": Enjambement.
vv. 74-75: "Non avesse / mosso Palermo": Enjambement.
v. 76: "Questo antivedesse": Anastrofe.
vv. 80-81: "Barca / carcata": Enjambement.
vv. 80-81: "Barca carcata": Metafora.
vv. 82-83: "Larga parca / discese": Enjambement.
v. 86: "Segnor mio": Anastrofe.
v. 87: "'ve ogne ben si termina e s'inizia": Perifrasi.
v. 89: "Grata m'è più": Anastrofe.
v. 93: "Com'esser può": Anastrofe.
vv. 94-95: "Posso / mostrarti": Enjambement.
v. 97: "Lo ben": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 103-105: "Quest'arco saetta disposto cade a proveduto fine, sì come cosa in suo segno diretta": Similitudine.
v. 109: "Esser non può": Anastrofe.
v. 111: "Il primo": Perifrasi. Il primo intelletto è Dio.
v. 120: "Maestro vostro": Anastrofe e Perifrasi.
v. 124-125: "Per ch'un nasce Solone e altro Serse, altro Melchisedèch": Metonimia.
vv. 125-126: "Quello che, volando per l'aere, il figlio perse": Perifrasi. Per indicare Dedalo.
v. 128: "Cera mortal": Metafora.
vv. 130-131: "Si diparte / per seme": Enjambement.
v. 136: "Or quel che t'era dietro t'è davanti": Metafora. Per dire che ora gli è tutto chiaro perché ha chiarito i suoi dubbi.
vv. 140-141: "Com'ogne altra semente fuor di sua region, fa mala prova": Similitudine.
v. 144: "Buona la gente": Anastrofe.


Analisi ed Interpretazioni


Carlo Martello è il protagonista centrale del Canto VIII del Paradiso, inserito da Dante tra gli spiriti amanti del terzo cielo, quello di Venere. La scelta del poeta di collocarlo in questa sfera celeste non è del tutto chiara, ma è probabile che Dante lo considerasse un modello ideale di sovrano, guidato dalla carità piuttosto che dalla cupidigia, come esplicitato nella Monarchia (I, 11). La sua figura si affianca ad altri incontri con amici e conoscenti di Dante nel Purgatorio, come Casella, Nino Visconti e Forese Donati, sebbene il tono qui sia più solenne e meno colloquiale. Il suo ingresso tra i beati, a pochi anni dalla morte, contrasta con gli esempi di Cunizza e Folchetto, personaggi che in vita avevano sperimentato l'amore sensuale prima di convertirsi a un amore spirituale. Dante chiarisce che l'influenza del cielo di Venere non è da intendersi come impulso alla passione carnale, come credevano i pagani, ma come fiamma della carità che avvicina a Dio, concetto già affrontato nel Convivio, seppur con differenze dottrinali rispetto alla Commedia.

L'incontro tra Dante e Carlo Martello si articola in due momenti distinti. Nella prima parte, il beato si presenta con tono alto e solenne, come si addice al suo rango, rievocando la sua amicizia con il poeta e il rimpianto di non aver potuto vivere più a lungo per dimostrare la sua benevolenza e garantire un governo migliore ai territori degli Angioini. Senza mai nominarsi direttamente, Carlo descrive i domini che avrebbe dovuto ereditare – Provenza, Napoli e Ungheria – attraverso perifrasi geografiche raffinate, mentre la Sicilia, persa a seguito dei Vespri, è evocata con riferimenti classici e mitologici. L'attacco più duro è rivolto al fratello Roberto d'Angiò, accusato di avarizia e cattiva amministrazione, in contrasto con la generosità dei predecessori. Questa critica si inserisce nel più ampio disegno politico dantesco, che condanna l'ingerenza della Chiesa nel governo temporale e il malgoverno degli Angioini, già aspramente criticati in altri punti della Commedia, come nei canti VII e XX del Purgatorio.

Nella seconda parte del discorso, Carlo Martello affronta il tema delle inclinazioni individuali, ricollegandosi alla questione degli influssi astrali, più volte trattata nei primi canti del Paradiso. Dante aveva già chiarito nel Purgatorio (XVI) che le stelle non determinano il destino umano, ma orientano le inclinazioni naturali di ciascun individuo. Carlo spiega che la Provvidenza non assegna necessariamente ai figli dei re la virtù del buon governo, motivo per cui i successori al trono spesso si rivelano inadeguati. Questa riflessione, pur collegata alla critica contro Roberto d'Angiò, assume un valore più ampio: Dante denuncia il sistema dinastico come una delle cause principali del malgoverno nell'Italia del suo tempo.

L'inserimento di Carlo Martello nel cielo di Venere è introdotto da un ammonimento di Dante sulla devozione erronea degli antichi per la dea dell'amore. Tuttavia, il poeta stesso aveva iniziato il proprio percorso letterario con la poesia amorosa dedicata a Beatrice nella Vita Nuova, un tema richiamato dall'espressione da costei ond'io principio piglio (v. 10). Questo verso può essere letto non solo come un riferimento all'inizio del canto, ma anche come un'indicazione dell'evoluzione biografica e poetica di Dante. Emblematica è la citazione di Carlo Martello alla canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete (v. 37), la prima delle tre canzoni commentate nel Convivio e ultima delle auto-citazioni della Commedia, dopo quelle di Amor che ne la mente mi ragiona (Purg. II) e Donne ch'avete intelletto d'amore (Purg. XXIV). Questa canzone rappresentava un momento di crisi interiore per Dante dopo la morte di Beatrice, segnando il passaggio dallo studio della filosofia alla riflessione morale e politica. Se nel Convivio Beatrice veniva contrapposta alla "Donna Filosofia", nella Commedia Dante supera questa dicotomia, proponendo una concezione dell'amore più elevata. Il Paradiso rilegge e corregge alcune affermazioni del Convivio, come la sostituzione degli angeli Troni con i Principati nel governo del terzo cielo, segnando un'evoluzione del pensiero dantesco.

In questo modo, l'incontro con Carlo Martello non è solo un'occasione per esaltare un modello di sovrano virtuoso, ma diventa un punto di riflessione sulle cause del malgoverno e sulla crescita intellettuale e poetica dello stesso Dante.


Passi Controversi


La bella ciprigna (v. 2) è la dea Venere, così detta perché secondo il mito era nata dalle acque del mare intorno all'isola di Cipro.

Il terzo epiciclo (v. 3) vale «terzo cielo» e indica la sfera minore che gli astronomi medievali immaginavano inserita nella più ampia sfera del Cielo, dove appunto ruotava l'astro. Tale concezione era necessaria per quadrare i calcoli della rotazione dei pianeti intorno alla Terra, che si immaginava immobile mentre ovviamente non è così.

Il v. 9 allude al passo dell'Eneide (I, 657 ss.) in cui Cupido, prese le sembianze di Ascanio, il figlio di Enea, siede in grembo alla regina Didone e la ferisce con una freccia, facendola innamorare dell'eroe troiano. Anche Folchetto dirà che il folle amore di Didone danneggiò Creusa e Sicheo, rispettivamente la prima moglie di Enea e il primo marito di Didone (IX, 97-98).

Venere è indicata ai vv. 11-12 come la stella / che 'l sol vagheggia or da coppa or da ciglio, cioè il pianeta che è corteggiato dal Sole alle sue spalle oppure di fronte, a seconda che Venere sia mattutino o vespertino. Ciò non avviene nello stesso giorno, ovviamente, ma in diversi momenti dell'anno.

I vv. 17-18 alludono al canto polifonico, in cui spesso c'è una voce che mantiene la stessa nota (riferimento analogo in Purg., XXVIII, 18).

I venti... visibili (vv. 22-23) sono i lampi, mentre quelli invisibili sono i turbini: entrambi si generavano, secondo la fisica del tempo, dall'urto di vapori caldi e secchi all'interno delle «fredde nubi».

Al v. 27 in li alti Serafini indica probabilmente il Primo Mobile, dove questi spiriti sono passati lasciando la loro sede nell'Empireo e dove hanno iniziato la loro danza circolare. Altri commentatori intendono invece lo stesso Empireo, dove però i beati sono fermi.

Al v. 34 i prìncipi celesti sono i Principati, l'intelligenza angelica che governa il III Cielo: Dante corregge quindi l'opinione espressa in Conv., II, 5, dove il Cielo di Venere era associato ai Troni (il poeta segue qui una diversa angelologia, per cui si veda la Guida al Canto XXVIII). Il verso citato poi da Carlo Martello al v. 37 è l'incipit della canzone commentata da Dante nel II Trattato del Convivio.

Al v. 61 Ausonia è l'antico nome classico dell'Italia, mentre il corno è rappresentato da Calabria e Puglia che formano una specie di mezzaluna. Le città citate dopo (Bari, Gaeta, Catona) indicano le località più periferiche rispetto a Napoli (Catona era in Calabria, oggi vicino a Reggio: alcuni mss. leggono Crotona).

Al v. 67 la Trinacria è ovviamente la Sicilia, indicata col nome classico ma, forse, anche con un riferimento al titolo di «re di Trinacria» assunto da Federico d'Aragona dopo i Vespri. Caliga vuol dire «è coperta di caligine», con allusione alle frequenti eruzioni dell'Etna che, nel mito classico, erano attribuite al gigante Tifeo sepolto sotto il vulcano.

Al v. 72 Carlo e Ridolfo sono, probabilmente, Carlo I d'Angiò e Rodolfo d'Asburgo, padre della moglie di Carlo Martello.

Il grido "Mora, mora!" (v. 75) allude alla rivolta che il 30 marzo 1282 mosse i Siciliani contro gli Angioini, a causa del sopruso di un soldato francese all'ora del Vespro il lunedì di Pasqua.

L'avara povertà di Catalogna (v. 77) che Roberto d'Angiò deve fuggire indica probabilmente solo l'indole gretta e avara del fratello di Carlo Martello e non, come si è pensato, un'allusione ai ministri catalani di cui il sovrano si sarebbe circondato nel governo di Napoli: è vero invece che Roberto ebbe al soldo dei mercenari catalani, gli Almogaveri, di cui c'è forse un accenno nella milizia del v. 83 e la cui avidità avrebbe danneggiato il regno. Carlo parla al presente (già fuggeria) nonostante Roberto diventerà re solo nel 1309, quindi è probabile che il beato parli proprio dell'indole del fratello degenere rispetto ai suoi antenati.

Al v. 102 salute vuol dire «fine», «scopo» delle varie nature.

Il maestro vostro citato al v. 120 è Aristotele.

Solone (v. 124) è il celebre riformatore ateniese del VI sec. a.C., mentre Serse è il gran re persiano che mosse guerra alla Grecia nel 480-479 a.C.; Melchisedèch (v. 125) è il primo grande sacerdote di Israele (Gen., XIV, 18-20), mentre quello / che, volando per l'aere, il figlio perse è Dedalo, il cui figlio Icaro morì volando troppo vicino al Sole con le ali di cera da lui fabbricate.

Quirino (v. 131) è Romolo, figlio in realtà del pastore Faustolo ma attribuito a Marte per nobilitarne l'origine.

Fonti: libri scolastici superiori

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