Parafrasi e Analisi: "Canto VII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Nel Canto VII del Paradiso, Dante affronta uno dei temi teologici più complessi della Divina Commedia: il mistero della Redenzione e della Giustizia divina. Il canto si apre con un inno intonato da Beatrice, che celebra il sacrificio di Cristo, introducendo così la riflessione sulla necessità della Crocifissione per la salvezza dell'umanità. Attraverso il dialogo tra Dante e Beatrice, viene approfondita la concezione medievale del peccato originale, della giustizia divina e della misericordia, mettendo in relazione la caduta di Adamo e il riscatto operato dal sacrificio di Cristo. Il discorso si sviluppa seguendo un rigoroso impianto filosofico e teologico, fondato sulle dottrine di Sant'Anselmo e San Tommaso d'Aquino, e pone l'accento sulla perfetta armonia tra giustizia e amore nell'ordine divino.
Testo e Parafrasi
«Osanna, sanctus Deus sabaòth, superillustrans claritate tua felices ignes horum malacòth!». Così, volgendosi a la nota sua, fu viso a me cantare essa sustanza, sopra la qual doppio lume s'addua; ed essa e l'altre mossero a sua danza, e quasi velocissime faville mi si velar di sùbita distanza. Io dubitava e dicea 'Dille, dille!' fra me, 'dille' dicea, 'a la mia donna che mi diseta con le dolci stille'. Ma quella reverenza che s'indonna di tutto me, pur per Be e per ice, mi richinava come l'uom ch'assonna. Poco sofferse me cotal Beatrice e cominciò, raggiandomi d'un riso tal, che nel foco faria l'uom felice: «Secondo mio infallibile avviso, come giusta vendetta giustamente punita fosse, t'ha in pensier miso; ma io ti solverò tosto la mente; e tu ascolta, ché le mie parole di gran sentenza ti faran presente. Per non soffrire a la virtù che vole freno a suo prode, quell' uom che non nacque, dannando sé, dannò tutta sua prole; onde l'umana specie inferma giacque giù per secoli molti in grande errore, fin ch'al Verbo di Dio discender piacque u' la natura, che dal suo fattore s'era allungata, unì a sé in persona con l'atto sol del suo etterno amore. Or drizza il viso a quel ch'or si ragiona: questa natura al suo fattore unita, qual fu creata, fu sincera e buona; ma per sé stessa pur fu ella sbandita di paradiso, però che si torse da via di verità e da sua vita. La pena dunque che la croce porse s'a la natura assunta si misura, nulla già mai sì giustamente morse; e così nulla fu di tanta ingiura, guardando a la persona che sofferse, in che era contratta tal natura. Però d'un atto uscir cose diverse: ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte; per lei tremò la terra e 'l ciel s'aperse. Non ti dee oramai parer più forte, quando si dice che giusta vendetta poscia vengiata fu da giusta corte. Ma io veggi' or la tua mente ristretta di pensiero in pensier dentro ad un nodo, del qual con gran disio solver s'aspetta. Tu dici: "Ben discerno ciò ch'i' odo; ma perché Dio volesse, m'è occulto, a nostra redenzion pur questo modo". Questo decreto, frate, sta sepulto a li occhi di ciascuno il cui ingegno ne la fiamma d'amor non è adulto. Veramente, però ch'a questo segno molto si mira e poco si discerne, dirò perché tal modo fu più degno. La divina bontà, che da sé sperne ogne livore, ardendo in sé, sfavilla sì che dispiega le bellezze etterne. Ciò che da lei sanza mezzo distilla non ha poi fine, perché non si move la sua imprenta quand' ella sigilla. Ciò che da essa sanza mezzo piove libero è tutto, perché non soggiace a la virtute de le cose nove. Più l'è conforme, e però più le piace; ché l'ardor santo ch'ogne cosa raggia, ne la più somigliante è più vivace. Di tutte queste dote s'avvantaggia l'umana creatura, e s'una manca, di sua nobilità convien che caggia. Solo il peccato è quel che la disfranca e falla dissimìle al sommo bene, per che del lume suo poco s'imbianca; e in sua dignità mai non rivene, se non rïempie, dove colpa vòta, contra mal dilettar con giuste pene. Vostra natura, quando peccò tota nel seme suo, da queste dignitadi, come di paradiso, fu remota; né ricovrar potiensi, se tu badi ben sottilmente, per alcuna via, sanza passar per un di questi guadi: o che Dio solo per sua cortesia dimesso avesse, o che l'uom per sé isso avesse sodisfatto a sua follia. Ficca mo l'occhio per entro l'abisso de l'etterno consiglio, quanto puoi al mio parlar distrettamente fisso. Non potea l'uomo ne' termini suoi mai sodisfar, per non potere ir giuso con umiltate obedïendo poi, quanto disobediendo intese ir suso; e questa è la cagion per che l'uom fue da poter sodisfar per sé dischiuso. Dunque a Dio convenia con le vie sue riparar l'omo a sua intera vita, dico con l'una, o ver con amendue. Ma perché l'ovra tanto è più gradita da l'operante, quanto più appresenta de la bontà del core ond' ell' è uscita, la divina bontà che 'l mondo imprenta, di proceder per tutte le sue vie, a rilevarvi suso, fu contenta. Né tra l'ultima notte e 'l primo die sì alto o sì magnifico processo, o per l'una o per l'altra, fu o fie: ché più largo fu Dio a dar sé stesso per far l'uom sufficiente a rilevarsi, che s'elli avesse sol da sé dimesso; e tutti li altri modi erano scarsi a la giustizia, se 'l Figliuol di Dio non fosse umilïato ad incarnarsi. Or per empierti bene ogne disio, ritorno a dichiararti in alcun loco, perché tu veggi lì così com' io. Tu dici: "Io veggio l'acqua, io veggio il foco, l'aere e la terra e tutte lor misture venire a corruzione, e durar poco; e queste cose pur furon creature; per che, se ciò ch'è detto è stato vero, esser dovrien da corruzion sicure". Li angeli, frate, e 'l paese sincero nel qual tu se', dir si posson creati, sì come sono, in loro essere intero; ma li alimenti che tu hai nomati e quelle cose che di lor si fanno da creata virtù sono informati. Creata fu la materia ch'elli hanno; creata fu la virtù informante in queste stelle che 'ntorno a lor vanno. L'anima d'ogne bruto e de le piante di complession potenzïata tira lo raggio e 'l moto de le luci sante; ma vostra vita sanza mezzo spira la somma beninanza, e la innamora di sé sì che poi sempre la disira. E quinci puoi argomentare ancora vostra resurrezion, se tu ripensi come l'umana carne fessi allora che li primi parenti intrambo fensi». |
"Salve, o santo Dio degli eserciti, che con la tua sovrabbondante luce illumini dall'alto i beati splendori di questi regni!". Così, girando su se stessa al ritmo del suo canto, mi parve che cantasse quest'anima, al di sopra della quale splende una doppia luce; ed essa e le altre anime si mossero a ritmo della sua danza, e come scintille velocissime mi si scomparvero dagli occhi a causa della improvvisa distanza. Io ero preso dal dubbio e dicevo 'dille, dille!' tra me, 'dille' dicevo, 'alla mia donna che mi disseta con dolci gocce'. Ma il rispetto che s'impadronisce di me, al solo udire Be o Ice, mi faceva chinare il capo come accade all'uomo assonnato. Beatrice sopportò poco me in quello stato e iniziò, illuminandomi di un sorriso tale, che farebbe felice persino un uomo in mezzo all'Inferno: "secondo il mio parere infallibile, ti ha messo in pensiero il fatto che una giusta vendetta fosse punita con giustizia; ma io ti libererò subito la mente; e tu ascolta, perché le mie parole ti faranno dono di una grande verità. Per non aver sopportato di porre alla volontà quel freno per suo vantaggio, quell'uomo che non nacque (perché creato da Dio), condannando se stesso, condannò tutta la sua discendenza; per la qual cosa la specie umana, malata, rimase prostrata per molti secoli nel peccato, finchè al figlio di Dio non piacque scendere sulla Terra dove la natura umana, che dal suo creatore si era allontanata, si unì in un'unica persona con la natura divina con la sola virtù dello Spirito Santo, eterno amore. Ora rivolgi la tua attenzione a ciò su cui ora si ragiona: questa natura unita al suo creatore, come nell'atto della creazione, fu senza peccato e pura; ma a causa di sé stessa fu ella cacciata dal paradiso, perché si era allontanata dalla strada della verità e dalla sua vera vita. Dunque se si valuta la pena che la croce assegnò in rapporto alla natura umana assunta da Dio, nessuna pena mai colpì così giustamente come questa; e così non ci fu nulla di più ingiusto, considerando la persona che la patì, nella quale tale natura umana si era congiunta. Perciò da uno stesso atto derivano diverse sorti: poiché a Dio e agli Ebrei piacque la morte di Cristo; e per questa morte la terra tremò e il cielo si aprì. Non ti deve ormai sembrare più arduo da capire, quando si afferma che una giusta vendetta in seguito fu punita dalla corte di giustizia divina. Ma io vedo ora che la tua mente di pensiero in pensiero è rimasta avvolta dentro un nodo, dal quale con grande desiderio aspetta di essere liberata. Tu dici "Riconosco chiaramente ciò che io sento; ma mi è oscuro il motivo per cui Dio volle redimerci proprio in questo modo". Questa decisione, fratello, rimane nascosta agli occhi di coloro la qual mente non è stata educata e nutrita nella fiamma di amore divino. Tuttavia, poiché intorno a questa questione si cerca molto la soluzione e poco si ricava, spiegherò perché questo modo fu ritenuto da Dio il più adatto. La bontà divina, che respinge da se ogni odio, ardendo in se stessa, risplende a tal punto che diffonde le sue eterne bellezze. Ciò che da essa deriva senza l'aiuto di cause secondarie non ha mai fine, perché non si muove la sua impronta divina quando Dio la suggella. Ciò che da essa direttamente discende è perfettamente libero, perché non è soggetto all'influsso delle cose nuove create. E' più conforme a Lui, e perciò più è gradito; perché il santo splendore che illumina ogni cosa, è più vivace nella più somigliante a Lui. Di tutte queste doti si avvantaggia l'uomo, e se una sola dote manca, necessariamente cade dalla sua posizione privilegiata. Solo il peccato è ciò che la priva di questa libertà e la rende dissimile dal sommo bene, Dio, per la qual cosa essa s'illumina poco della sua luce; e non ritorna più nella sua dignità originaria, se non riempie il vuoto prodotto dalla colpa, con un'adeguata pena contro il cattivo diletto. La natura umana, quando tutta peccò nel suo progenitore, da queste dignità, così come da paradiso, fu allontanata; né si potevano ricoverare, se tu fai attenzione molto sottilmente, attraverso nessuna via, senza un altro modo se non quello di passare per una di queste due vie: o che Dio soltanto per sua benevolenza avesse perdonato, o che l'uomo da se stesso avesse riparato al suo errore. Rivolgi ora lo sguardo dentro la profondità delle divine decisioni, quanto più puoi al mio ragionamento tenendoti stretto. L'uomo nei suoi limiti non avrebbe potuto mai riparare al peccato, dal momento che non poteva umiliarsi, obbedendo poi con umiltà, quanto aveva presunto nella sua folle superbia di innalzarsi disubbidendo; e questa è la ragione per la quale l'uomo fu escluso dal poter redimersi da solo. Perciò toccava a Dio attraverso le sue vie di misericordia e giustizia reintegrare l'uomo nella pienezza della sua condizione originaria, usando una via sola oppure entrambe. Ma poiché l'opera è tanto più gradita da colui che la compie, quanto più manifesta la bontà del cuore dal quale è nata, la divina bontà che impronta di sé il mondo, fu contenta di procedere per entrambe le sue vie per risollevare l'umanità dal peccato. Dal principio alla fine del mondo una così sublime e magnifica operazione, data dall'una o dall'altra via, fu o sarà fatta: perché più generoso fu Dio ad offrire se stesso per rendere l'uomo capace di risollevarsi dal peccato, di quanto non sarebbe stato se lo avesse solo perdonato per il suo peccato; e tutti gli altri metodi di redenzione erano insufficienti per la giustizia divina, se il Figlio di Dio non si fosse abbassato ad incarnarsi nella natura umana. Ora per saziare fino in fondo ogni desiderio, ritorno ad illustrarti meglio alcuni punti, affinché li veda chiaramente come li vedo io. Tu dici: "Io vedo l'acqua, io vedo il fuoco, l'aria e la terra e tutti i corpi composti da questi elementi essere corruttibili, e vivere poco; eppure anche queste cose furono create da Dio; per la qual cosa, se è vero ciò che è stato detto, dovrebbero essere immuni da corruzioni". Gli angeli, fratello, e il cielo puro nel quale tu ti trovi, si possono dire creati così come sono, nella pienezza del loro essere; ma gli elementi che tu hai citato e quelle cose da essi derivate ricevono la loro forma dall'influsso dei cieli. La materia della quale son fatti è stata creata da Dio; da Lui fu creata la forza che dà loro forma, che si trova in questi corpi celesti che girano intorno alle creature. L'anima sensitiva degli animali e quella vegetativa delle piante, la luce e il moto dei cieli estraggono dalla materia che in potenza è disposta a ciò; ma la somma bontà di Dio infonde direttamente nell'uomo l'anima intellettiva, e la fa innamorare di sè in modo che poi senta sempre il desiderio del suo Creatore. E da ciò puoi dedurre anche la verità della risurrezione dei corpi, se tu consideri come si fece il corpo umano nel momento in cui vennero fatti i primi progenitori, Adamo ed Eva. |
Riassunto
L'inno di Giustiniano e i dubbi di Dante (vv. 1-18)
Dopo aver concluso il suo lungo discorso, Giustiniano si allontana intonando un inno di lode a Dio. Tuttavia, le sue parole lasciano Dante con diversi interrogativi, che lo spingono a riflettere profondamente.
Il concetto di doppia "vendetta" in Cristo (vv. 19-51)
Beatrice, capace di leggere nei pensieri di Dante, comprende subito le sue perplessità. Il primo dubbio riguarda il fatto che la crocifissione di Cristo sia stata, allo stesso tempo, un atto giusto e un crimine da punire. Beatrice spiega che la morte di Gesù fu giusta in relazione alla sua natura umana, poiché aveva accettato il sacrificio per la redenzione dell'umanità, ma allo stesso tempo fu un atto sacrilego nei confronti della sua natura divina, e per questo meritò la punizione della distruzione di Gerusalemme.
La redenzione dell'umanità (vv. 52-120)
Il secondo dubbio di Dante riguarda il motivo per cui Dio abbia scelto proprio la morte del Figlio come mezzo di redenzione per l'umanità. Beatrice chiarisce che l'uomo, nel momento della sua creazione, era dotato di libertà, incorruttibilità e somiglianza con Dio. Tuttavia, il peccato originale lo privò di questa perfezione, rendendolo incapace di riscattarsi da solo. Solo l'intervento divino poteva riportarlo alla grazia, e questo avvenne attraverso l'incarnazione di Cristo, che rappresentò sia la suprema misericordia (donando se stesso all'umanità), sia la suprema giustizia (espiazione del peccato attraverso la croce).
La corruttibilità degli elementi e la resurrezione dei corpi (vv. 121-148)
Beatrice aveva affermato che tutto ciò che Dio crea è incorruttibile, ma Dante si chiede come ciò possa conciliarsi con la natura transitoria degli elementi materiali. Beatrice risponde che la contraddizione è solo apparente: Dio ha creato direttamente la materia prima, gli angeli e l'uomo, mentre gli elementi derivano dalla materia e, per questo, non possiedono la perfezione assoluta. L'anima, invece, è immortale perché creata direttamente da Dio, così come lo erano i corpi di Adamo ed Eva prima della caduta. Questo spiega perché, dopo la morte, i corpi risorgeranno, riacquistando la loro condizione originaria.
Figure Retoriche
v. 1: "Osanna, sanctus Deus sabaòth": Apostrofe.
v. 2: "Claritate tua": Anastrofe.
v. 4: "Nota sua": Anastrofe.
v. 6: "Doppio lume s'addua": Anastrofe.
vv. 8-9: "E quasi velocissime faville, mi si velar": Similitudine.
vv. 13-14: "S'indonna / di tutto me": Enjambement.
v. 15: "Mi richinava come l'uom ch'assonna": Similitudine.
vv. 17-18: "Raggiandomi d'un riso tal, che nel foco faria l'uom felice": Ossimoro.
vv. 20-21: "Giustamente / punita": Enjambement.
v. 24: "Di gran sentenza ti faran presente": Enjambement.
v. 26: "Quell'uom che non nacque": Perifrasi. Per indicare Adamo, l'uomo non generato.
v. 29: "Per secoli molti": Anastrofe.
v. 30: "Discender piacque": Anastrofe.
vv. 30-31: "Discender piacque / u' la natura": Enjambement.
vv. 31-32: "Che dal suo fattore / s'era allungata": Enjambement.
v. 33: "Etterno amore": Perifrasi. Per indicare lo Spirito Santo.
v. 35: "Al suo fattore unita": Anastrofe.
v. 36: "Sincera e buona": Endiadi.
v. 36: "Questa natura al suo fattore unita, qual fu creata, fu sincera e buona": Similitudine.
vv. 37-38: "Sbandita / di paradiso": Enjambement.
v. 42: "Sì giustamente morse": Anastrofe.
v. 44: "La persona che sofferse": Perifrasi.
v. 54: "Con gran disio solver s'aspetta": Anastrofe.
vv. 58-59: "Sta sepulto / a li occhi di ciascuno": Enjambement.
v. 64: "Divina bontà": Anastrofe.
vv. 64-65: "Sperne / ogne livore": Enjambement.
vv. 71-72: "Non soggiace / a la virtute": Enjambement.
vv. 76-77: "S'avvantaggia / l'umana creatura": Enjambement.
v. 78: "Di sua nobilità convien che caggia": Anastrofe.
v. 80: "Sommo bene": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 81: "Lume suo": Anastrofe.
v. 81: "Del lume suo poco s'imbianca": Perifrasi. Per indicare la grazia divina.
v. 86: "Seme suo": Anastrofe.
vv. 86-87: "Da queste dignitadi, come di paradiso, fu remota": Similitudine e Iperbato.
v. 88: "Né ricovrar potiensi": Anastrofe.
vv. 88-89: "Se tu badi / ben sottilmente": Enjambement.
v. 91: "Dimesso avesse": Anastrofe.
v. 96: "Al mio parlar distrettamente fisso": Anastrofe.
v. 97: "Termini suoi": Anastrofe.
vv. 101-102: "Fue da poter sodisfar per sé dischiuso": Iperbato.
v. 103: "Con le vie sue": Anastrofe.
v. 105: "Dico con l'una, o ver con amendue": Perifrasi. Per indicare il perdono e la punizione divina.
vv. 118-119: "Erano scarsi / a la giustizia": Enjambement.
v. 129: "Esser dovrien": Anastrofe.
v. 129: "Da corruzion sicure": Anastrofe.
v. 130: "'l paese sincero": Perifrasi. Per indicare il Cielo.
v. 132: "Essere intero": Anastrofe.
vv. 143-144: "La innamora / di sé": Enjambement.
vv. 145-146: "Ancora / vostra resurrezion": Enjambement.
v. 147: "Umana carne": Anastrofe.
v. 148: "Primi parenti": Perifrasi.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto VII del Paradiso si sviluppa interamente attraverso un monologo di Beatrice, il cui discorso risponde ai dubbi che Dante nutre ma non osa esprimere. Il tema centrale è l'incarnazione e la crocifissione di Cristo come riscatto del peccato originale, con particolare attenzione alla giustizia divina che si manifesta sia nella redenzione dell'umanità sia nella punizione di Gerusalemme con la sua distruzione da parte dell'Impero romano sotto Tito. Beatrice scioglie l'apparente contraddizione attraverso la distinzione tra la doppia natura di Cristo: umana e divina. Nella sua natura umana, la crocifissione rappresenta un atto di giustizia, in quanto riscatta il peccato dell'uomo; nella sua natura divina, invece, è un atto di estrema ingiustizia.
Il canto funge da momento di riflessione teologica successivo al discorso di Giustiniano nel Canto VI, dove l'imperatore afferma che la crocifissione fu una giusta punizione per l'umanità, così come la distruzione di Gerusalemme lo fu per il deicidio. Questo concetto, radicato nel pensiero medievale, riflette l'antigiudaismo teologico diffuso all'epoca, sebbene Dante non cada in un pregiudizio etnico o razziale. Il poeta si limita ad adottare le convinzioni cristiane del suo tempo, senza peraltro giustificare le persecuzioni antisemite, che nel Trecento cominciavano a emergere con sempre maggiore violenza.
Beatrice prosegue il suo discorso affrontando un'altra questione: perché Dio ha scelto proprio il sacrificio del Figlio per redimere l'umanità? La risposta si basa sulla dottrina scolastica: il peccato originale ha portato l'uomo a decadere dalla sua condizione originaria, e nessun atto umano avrebbe potuto compensare questa caduta. Dio avrebbe potuto semplicemente punire o perdonare l'uomo, ma con il sacrificio di Cristo ha scelto una via che manifestasse pienamente sia la giustizia sia la misericordia divina.
L'ultima parte del discorso di Beatrice riguarda la natura corruttibile del mondo fisico e l'incorruttibilità dell'anima umana. Ella spiega che solo Dio crea direttamente la materia prima e le anime umane, mentre gli elementi naturali e i corpi mortali sono soggetti alla corruzione. Tuttavia, l'anima umana, essendo creata da Dio, è immortale e destinata alla resurrezione finale, quando, nel Giudizio Universale, si ricongiungerà con il proprio corpo.
Dante, con questo canto, si addentra in temi complessi della teologia cristiana, seguendo una struttura rigorosa che richiama i metodi della Scolastica. La sua visione della giustizia divina anticipa le questioni che verranno approfondite nel prosieguo del Paradiso, consolidando il concetto che la storia umana e l'ordine cosmico rispondano a un disegno provvidenziale voluto da Dio.
Passi Controversi
L'inno intonato da Giustiniano nei primi tre versi è una creazione originale di Dante. L'espressione Osanna sanctus Deus richiama il Sanctus della Messa, mentre termini di origine scritturale come Osanna, sabaoth (che significa "degli eserciti") e malacoth (ossia "dei regni", sebbene nella Vulgata fosse riportato come mamlacoth) rafforzano il tono solenne del canto. Il termine superillustrans è anch'esso un'invenzione dantesca, poiché in latino medievale era attestato solo l'aggettivo superillustris, utilizzato come titolo onorifico.
Il significato dell'espressione doppio lume (v. 6), riferita all'anima di Giustiniano, è oggetto di diverse interpretazioni. Alcuni studiosi ritengono che indichi la luce del beato unita a quella divina, altri vedono un riferimento alla combinazione tra la beatitudine celeste e la dignità imperiale. Un'ulteriore ipotesi suggerisce che rappresenti la sintesi tra il valore guerriero e la saggezza del legislatore, in relazione all'operato dell'imperatore. Il verbo s'addua (v. 6) è un neologismo coniato da Dante, simile ad altre creazioni linguistiche presenti nella Commedia, come s'incinqua (IX, 40), s'intrea (XIII, 57) e s'inmilla (XXVIII, 93).
Nel verso 14, Dante esprime una tale venerazione per Beatrice che gli basta sentir pronunciare la prima o l'ultima sillaba del suo nome per provare un profondo rispetto.
L'espressione l'uom che non nacque (v. 26) si riferisce ad Adamo, il primo uomo, che non venne al mondo attraverso la nascita naturale.
Il verso 48, costruito con una struttura a chiasmo, rievoca il momento della crocifissione di Cristo: il sacrificio del Redentore permise la salvezza dell'umanità, aprendo le porte del Paradiso, mentre la Terra tremò come segno del castigo imminente per il popolo ebraico.
Nel verso 60, il termine adulto non indica semplicemente la maturità anagrafica, ma il concetto di crescita e nutrimento, riprendendo il significato originario del verbo latino adolesco.
L'espressione la virtute de le cose nove (v. 72) si riferisce all'influenza esercitata dai Cieli sul mondo terreno. Questi sono detti "nuovi" per distinguerli da Dio, che è la causa prima di ogni cosa.
L'espressione nel seme suo (v. 86) indica Adamo, considerato il seme originario da cui discende l'intera umanità.
Nel verso 133, la parola alimenti non si riferisce al cibo, bensì agli elementi naturali, un significato attestato anche nei primi testi della tradizione italiana.
La creata virtù (v. 135) rappresenta l'influenza esercitata dai corpi celesti, i quali modellano la materia prima, creata direttamente da Dio.
L'espressione complession potenziata (v. 140) è un termine tecnico della filosofia scolastica e indica la combinazione degli elementi naturali predisposta a ricevere una forma specifica.
Infine, i primi parenti (v. 148) si riferisce ai progenitori dell'umanità, Adamo ed Eva, da cui discende l'intero genere umano.
Fonti: libri scolastici superiori