Parafrasi e Analisi: "Canto V" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Nel Canto V del Paradiso, Dante affronta uno dei temi più profondi e delicati della sua opera: il concetto di amore divino come forza che guida le anime beate. L'amore, come motore dell'universo e principio ordinatore, viene esplorato attraverso la conversazione tra Dante e Beatrice, che lo conduce a una comprensione più elevata delle leggi celesti. In questo canto, Dante si confronta con la relazione tra la volontà divina e il libero arbitrio, cercando di comprendere il mistero del bene e del male attraverso l'esperienza dei beati, che, pur conservando la loro individualità, si sono completamente fusi con la luce divina. Il canto, dunque, non solo sviluppa una riflessione teologica sulla giustizia e sulla misericordia, ma anche sulla perfezione dell'amore che governa l'armonia del cielo.
Testo e Parafrasi
«S'io ti fiammeggio nel caldo d'amore di là dal modo che 'n terra si vede, sì che del viso tuo vinco il valore, non ti maravigliar, ché ciò procede da perfetto veder, che, come apprende, così nel bene appreso move il piede. Io veggio ben sì come già resplende ne l'intelletto tuo l'etterna luce, che, vista, sola e sempre amore accende; e s'altra cosa vostro amor seduce, non è se non di quella alcun vestigio, mal conosciuto, che quivi traluce. Tu vuo' saper se con altro servigio, per manco voto, si può render tanto che l'anima sicuri di letigio». Sì cominciò Beatrice questo canto; e sì com' uom che suo parlar non spezza, continüò così 'l processo santo: «Lo maggior don che Dio per sua larghezza fesse creando, e a la sua bontate più conformato, e quel ch'e' più apprezza, fu de la volontà la libertate; di che le creature intelligenti, e tutte e sole, fuoro e son dotate. Or ti parrà, se tu quinci argomenti, l'alto valor del voto, s'è sì fatto che Dio consenta quando tu consenti; ché, nel fermar tra Dio e l'omo il patto, vittima fassi di questo tesoro, tal quale io dico; e fassi col suo atto. Dunque che render puossi per ristoro? Se credi bene usar quel c'hai offerto, di maltolletto vuo' far buon lavoro. Tu se' omai del maggior punto certo; ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, che par contra lo ver ch'i' t'ho scoverto, convienti ancor sedere un poco a mensa, però che 'l cibo rigido c'hai preso, richiede ancora aiuto a tua dispensa. Apri la mente a quel ch'io ti paleso e fermalvi entro; ché non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso. Due cose si convegnono a l'essenza di questo sacrificio: l'una è quella di che si fa; l'altr' è la convenenza. Quest' ultima già mai non si cancella se non servata; e intorno di lei sì preciso di sopra si favella: però necessitato fu a li Ebrei pur l'offerere, ancor ch'alcuna offerta sì permutasse, come saver dei. L'altra, che per materia t'è aperta, puote ben esser tal, che non si falla se con altra materia si converta. Ma non trasmuti carco a la sua spalla per suo arbitrio alcun, sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla; e ogne permutanza credi stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa come 'l quattro nel sei non è raccolta. Però qualunque cosa tanto pesa per suo valor che tragga ogne bilancia, sodisfar non si può con altra spesa. Non prendan li mortali il voto a ciancia; siate fedeli, e a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia; cui più si convenia dicer 'Mal feci', che, servando, far peggio; e così stolto ritrovar puoi il gran duca de' Greci, onde pianse Efigènia il suo bel volto, e fé pianger di sé i folli e i savi ch'udir parlar di così fatto cólto. Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: non siate come penna ad ogne vento, e non crediate ch'ogne acqua vi lavi. Avete il novo e 'l vecchio Testamento, e 'l pastor de la Chiesa che vi guida; questo vi basti a vostro salvamento. Se mala cupidigia altro vi grida, uomini siate, e non pecore matte, sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! Non fate com' agnel che lascia il latte de la sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte!». Così Beatrice a me com' ïo scrivo; poi si rivolse tutta disïante a quella parte ove 'l mondo è più vivo. Lo suo tacere e 'l trasmutar sembiante puoser silenzio al mio cupido ingegno, che già nuove questioni avea davante; e sì come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, così corremmo nel secondo regno. Quivi la donna mia vid' io sì lieta, come nel lume di quel ciel si mise, che più lucente se ne fé 'l pianeta. E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec' io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise! Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura traggonsi i pesci a ciò che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, sì vid' io ben più di mille splendori trarsi ver' noi, e in ciascun s'udia: «Ecco chi crescerà li nostri amori». E sì come ciascuno a noi venìa, vedeasi l'ombra piena di letizia nel folgór chiaro che di lei uscia. Pensa, lettor, se quel che qui s'inizia non procedesse, come tu avresti di più savere angosciosa carizia; e per te vederai come da questi m'era in disio d'udir lor condizioni, sì come a li occhi mi fur manifesti. «O bene nato a cui veder li troni del trïunfo etternal concede grazia prima che la milizia s'abbandoni, del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi; e però, se disii di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». Così da un di quelli spirti pii detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì sicuramente, e credi come a dii». «Io veggio ben sì come tu t'annidi nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, perch' e' corusca sì come tu ridi; ma non so chi tu se', né perché aggi, anima degna, il grado de la spera che si vela a' mortai con altrui raggi». Questo diss' io diritto a la lumera che pria m'avea parlato; ond' ella fessi lucente più assai di quel ch'ell' era. Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come 'l caldo ha róse le temperanze d'i vapori spessi, per più letizia sì mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa; e così chiusa chiusa mi rispuose nel modo che 'l seguente canto canta. |
«Se io risplendo come fiamma accesa (ti fiammeggio) dell'amore divino (nel caldo d'amore) in una misura che trascende (di là dal modo) quella che può vedersi in terra, così che vinco la forza (il valore) dei tuoi occhi (del viso tuo), non ti meravigliare, perché ciò deriva (procede) dalla perfetta visione intellettuale (perfetto veder), la quale (che), tanto più (come) percepisce (apprende) il sommo bene, tanto più (così) muove i suoi passi (move il piede) in quel bene conosciuto (nel bene appreso). Perciò (sì) io vedo con certezza (ben) come già risplende nel tuo intelletto la luce eterna della verità divina (l'etterna luce), la quale (che), una volta vista (vista), accende l'amore di sé in modo esclusivo (sola) e inesauribile (sempre); e se un'altra cosa suscita (seduce) il vostro amore, è solo (non è se non) perché in essa (quivi) trapela (traluce) una traccia (alcun vestigio) fraintesa (mal conosciuto) di quella luce (quella). Tu vuoi sapere se si può restituire a Dio (render), con un'altra opera di merito (con altro servigio), in cambio del voto mancato (per manco voto), un compenso tale (tanto) che metta l'anima al sicuro (che l'anima sicuri) da ogni contestazione (di letigio)». Così cominciò Beatrice questo canto; e così come un uomo che non interrompe (spezza) il proprio discorso (suo parlar), continuò così il ragionamento ('l processo) santo: «Il dono maggiore (maggior don) che Dio per la sua prodigalità (larghezza) abbia fatto (fesse) nel creare (creando), e il più conforme (più conformato) al Suo valore (bontate), e quello che egli stesso più apprezza, fu la libertà (la libertate) della volontà; di cui (di che) tutte le creature intelligenti, e tutte e queste sole (e sole) furono (fuoro) e sono dotate. Ora ti sarà chiaro (parrà), se tu partendo da queste parole (quinci) procedi per argomentazioni (argomenti), l'alto valore del voto, se è contratto (s'è sì fatto) in modo che Dio acconsenta nel momento in cui tu acconsenti; poiché, nello stringere (nel fermar) il patto tra Dio e l'uomo, si fa sacrificio (vittima fassi) di questa ricchezza (di questo tesoro), così come ti ho detto; e si fa con un atto di libera volontà (col suo atto). Dunque che si può (puossi) rendere per compenso (per ristoro)? Se credi di poter usare ancora a fin di bene (bene usar) quello che hai offerto, sarebbe come se tu volessi fare un'opera buona (buon lavoro) con il frutto di una rapina (di maltolletto). Tu sei oramai edotto (certo) sul punto più importante della questione (del maggior punto); ma sul perché la Santa Chiesa concede dispense (dispensa) in questa materia (in ciò), cosa che pare contraddirsi con la verità (contra lo ver) che io ti ho illustrato (scoverto), è necessario che tu (convienti) ti trattenga a sedere un poco alla mensa della sapienza, poiché (però che) il cibo duro da digerire (rigido) che hai preso richiede un aiuto alla tua digestione (a tua dispensa). Apri la memoria a ciò che io ti rendo manifesto (ti paleso) e fissalo dentro (fermalvi entro); poiché non costituisce vera conoscenza (non fa scïenza) aver compreso una nozione (avere inteso) senza tenerla a mente (sanza lo ritenere). Due elementi sono necessari (si convengono) a costituire l'essenza di questo sacrificio: l'una è la cosa di cui si fa sacrificio (quella di che si fa); l'altra è il patto stesso (la convenenza). Quest'ultima non si estingue (cancella) mai se non è mantenuta (se non servata); e riguardo a quest'ultima (intorno di lei) di sopra si parla (si favella) con tanta precisione (sì preciso): perciò fu fatto obbligo (necessitato fu) agli Ebrei l'offrire (l'offerere) sempre (pur) sacrifici a Dio, sebbene (ancor ch') alcuna offerta ammettesse di essere cambiata (si permutasse), come devi sapere (saver dei). L'altra cosa, che ti si è chiarita (t'è aperta) come materia, può ben essere tale che non si commette peccato (che non si falla) se la si sostituisce (si converta) con una diversa materia (con altra materia). Ma nessuno (alcun) cambi a suo piacimento (per suo arbitrio) il carico (carco) che si è addossato sulla sua spalla (a la sua spalla), senza la girata (la volta) sia (e) della chiave bianca sia (e) di quella gialla; e ritieni pure (credi) stolta ogni sostituzione (permutanza) se la cosa che viene abbandonata (dimessa) non è contenuta (non è raccolta), come il quattro nel sei, in quella assunta a sostituirla (in la sorpresa). Perciò, qualunque materia (cosa) che sia di tanto peso (tanto pesa) per il suo valore da far traboccare (che tragga) ogni bilancia, non può essere compensata (sodisfar non si può) con un'altra offerta (con altra spesa). Non prendano i mortali il voto alla leggera (a ciancia); siate fedeli, e nel fare ciò non siate sconsiderati (non bieci), come Iefte (Ieptè) alla sua prima offerta (mancia); a cui meglio sarebbe convenuto (più si convenia) dire: 'Mi comportai malamente' ('Mal feci'), piuttosto che (che), mantenendo quel voto (servando), fare peggio; e stolto allo stesso modo (così) puoi giudicare (ritrovar puoi) il gran condottiero (duca) dei Greci, per cui Ifigenia (Efigènia) pianse la sua bellezza (il suo bel volto), e fece piangere per la sua morte (di sè) gli stolti (i folli) e i sapienti (i savi) che udirono parlare di un tale atto di culto (di così fatto còlto). Siate, Cristiani, più ponderati (più gravi) nelle vostre mosse (a muovervi): non siate come penne al vento, e non crediate che ogni acqua lavi le vostre colpe (vi lavi). Avete il Nuovo e il Vecchio Testamento, e il pastore della Chiesa che vi guida; questo basti alla vostra salvezza (a vostro salvamento). Se l'avidità malvagia (mala cupidigia) vi induce (vi grida) verso cose differenti (altro), comportatevi da uomini (uomini siate), e non da pecore irragionevoli (matte), così che il Giudeo in mezzo a voi (tra voi) di voi non rida! Non fate come l'agnello che lascia il latte della madre, e in modo sciocco (semplice) e irrequieto (lascivo) a proprio piacimento (a suo piacer) combatte con se stesso (seco medesmo)». Così Beatrice disse a me, come io scrivo; poi si rivolse tutta ardente di desiderio (tutta disïante) verso quella parte da cui l'universo ('l mondo) trae più energia vitale (è più vivo). Il suo tacere e il suo trasfigurarsi ('l trasmutar sembiante) zittirono (puoser silenzio) il mio ingegno sempre avido di sapere (cupido), che già aveva davanti a sé (davante) nuove questioni; e così come la freccia (saetta) che colpisce il bersaglio (nel segno percuote) prima che la corda dell'arco (la corda) sia immobile (queta), così corremmo nel secondo cielo (regno). Là vidi la mia donna così splendente di felicità (sì lieta), non appena (come) entrò nella luce di quel cielo, che il pianeta stesso ne fu illuminato (più lucente se ne fé). E se persino la stella si trasformò e sfolgorò di letizia (rise), pensate a come (qual) mi trasformai io (mi fec' io), che per la mia stessa natura umana (pur da mia natura) sono in tutti i modi (per tutte guise) influenzabile (trasmutabile)! Come nell'acqua tranquilla e pura di una peschiera i pesci accorrono (traggonsi) verso ciò che viene da fuori purché (per modo che) lo stimino loro cibo (lor pastura), così vidi io bene più di mille luci splendenti (splendori) dirigersi (trarsi) verso di noi, e all'interno di ciascuna luce (in ciascuna) si udiva: «Ecco chi accrescerà (chi crescerà) in noi l'ardore della carità (li nostri amori)». E così come ciascuno veniva verso di noi (a noi), si vedeva, all'interno del fulgore chiaro che da lei si irradiava (che di lei uscia), l'ombra piena di letizia. Pensa, lettore, se quello che qui ha inizio ora si interrompesse (non procedesse), come tu avresti il desiderio angoscioso (angosciosa carizia) di sapere ancora (di più savere); e da te stesso vedrai come desideravo (m'era in disio) udire da questi spiriti le condizioni del loro essere beati (lor condizioni), così come mi apparvero (mi fur manifesti) davanti agli occhi. «O tu, che sei nato per la felicità eterna (bene nato), a cui la grazia concede di vedere i seggi (troni) nei quali i beati trionfano in eterno (del trïunfo etternal) prima di lasciare (s'abbandoni) la vita mortale (la milizia), noi siamo irradiati (accesi) della luce (del lume) che si spande (si spazia) per tutto il Paradiso (il ciel); e perciò, se desideri avere notizie su di noi (di noi chiarirti), a tuo piacere sazia il tuo desiderio (ti sazia). Così mi fu detto da uno di quegli spiriti pii; e da Beatrice: «Dì, dì con sicurezza (sicuramente), e credi a loro come fossero simili a Dio (come a dii)». «Io vedo bene così come tu sei tutto racchiuso (t'annidi) nella tua propria luce (nel proprio lume), e che la trai (il traggi) dagli occhi, perché essa lampeggia (corusca) non appena (sì come) tu ridi; ma non so chi tu sei, né perché tu abbia (aggi), anima degna, il grado di beatitudine di questo cielo (il grado de la spera) che agli occhi dei mortali appare offuscato (si vela) dai raggi del sole (con altrui raggi)». Questo dissi io rivolto (dritto) a quell'anima splendente (alla lumera) che prima mi aveva parlato; per cui ella si fece (fessi) più splendente (lucente più assai) di prima (di quel ch'ell'era). Così come il sole che nasconde se stesso (che si cela elli stessi) per la sua troppa luce, quando (come) il calore ha corrose (róse) le fitte nebbie (i vapori spessi) che ne temperavano lo splendore (le temperanze), per maggiore letizia l'ombra (la figura) santa mi si nascose dentro al suo stesso raggio di luce; e così interamente nascosta nella sua luce (chiusa chiusa) mi rispose nel modo che il successivo canto canta. |
Riassunto
vv. 1-39: La Risposta di Beatrice al Dubbio di Dante: Il Rapporto tra Voto e Libero Arbitrio
Dopo aver spiegato che il suo splendore deriva dalla visione perfetta di Dio, Beatrice risponde al dubbio che Dante le aveva sollevato precedentemente. Ella chiarisce che non è possibile annullare il voto, poiché esso implica il sacrificio della volontà libera, il più grande dono che Dio ha fatto all'uomo, e nulla può sostituirlo.
vv. 40-63: I Due Aspetti del Voto
Occasionalmente, però, la Chiesa può concedere la dispensa dai voti. Perché ciò sia possibile, è necessario comprendere che il voto ha due componenti: il patto, che è l'impegno verso Dio, e la materia, ovvero ciò che viene sacrificato. Mentre il patto può essere annullato solo se il voto è adempiuto, la materia può essere sostituita, a condizione che ciò che viene offerto in cambio sia di valore superiore a quanto originariamente promesso, e che sia la Chiesa a concedere la dispensa.
vv. 64-84: Ammonimento di Beatrice ai Cristiani
Beatrice si rivolge quindi ai cristiani, esortandoli a riflettere attentamente prima di fare dei voti, seguendo il più possibile gli insegnamenti delle Sacre Scritture e della Chiesa. A sostegno della sua raccomandazione, cita gli esempi di Iefte, giudice di Israele, e di Agamennone, che, per la loro leggerezza nel fare voti, dovettero sacrificare le proprie figlie agli dèi.
vv. 85-99: Ascesa al Cielo di Mercurio
Nel frattempo, i due salgono rapidamente al cielo di Mercurio, dove si trovano gli spiriti di coloro che in vita si sono distinti per il desiderio di ottenere la gloria. In questo momento, la gioia di Beatrice si manifesta con tale intensità che anche il pianeta che li accoglie diventa visibilmente più luminoso, mentre la felicità di Dante cresce notevolmente.
vv. 100-139: Incontro con l'Imperatore Giustiniano
Improvvisamente, una moltitudine di spiriti si avvicina a Dante, e uno di essi lo invita a esprimere un desiderio. Il poeta chiede chi sia e perché si trovi in questo cielo. La risposta che riceve, che rivelerà l'identità dell'anima come quella dell'imperatore romano Giustiniano, sarà il tema del canto successivo.
Figure Retoriche
v. 2: "'n terra si vede": Anastrofe.
v. 4: "Viso tuo": Anastrofe.
vv. 4-5: "Procede / da perfetto veder": Enjambement.
v. 8: "Ne l'intelletto tuo": Anastrofe.
v. 9: "Amore accende": Anastrofe.
v. 15: "Che l'anima sicuri di letigio": Perifrasi. Per indicare la giustizia divina.
v. 17: "E sì com'uom che suo parlar non spezza": Similitudine.
vv. 20-21: "La sua bontate / più conformato": Enjambement.
v. 22: "De la volontà la libertate": Anastrofe.
vv. 26-27: "S'è sì fatto / che Dio": Enjambement.
v. 29: "Questo tesoro": Perifrasi. Per indicare il libero arbitrio.
v. 34: "Tu se' omai del maggior punto certo": Anastrofe.
v. 37: "Convienti ancor sedere un poco a mensa, però che 'l cibo rigido c'hai preso, richiede ancora aiuto a tua dispensa": Metafora.
v. 42: "Sanza lo ritenere, avere inteso": Anastrofe.
vv. 43-44: "L'essenza / di questo sacrificio": Enjambement.
vv. 44-45: "L'una è quella / di che si fa": Enjambement.
v. 51: "Come saver dei": Anastrofe.
vv. 56-57: "Sanza la volta e de la chiave bianca e de la gialla": Perifrasi.
vv. 58-60: "E ogne permutanza credi stolta, se la cosa dimessa in la sorpresa come 'l quattro nel sei non è raccolta": Similitudine.
vv. 61-62: "Pesa / per suo valor": Enjambement.
v. 63: "Sodisfar non si può": Anastrofe.
vv. 65-66: "E a ciò far non bieci, come Ieptè a la sua prima mancia": Similitudine.
v. 69: "Ritrovar puoi": Anastrofe.
v. 69: "Il gran duca de' Greci": Perifrasi.
v. 74: "Non siate come penna ad ogne vento": Similitudine.
v. 77: "'l pastor de la Chiesa": Perifrasi. Per indicare il Papa.
v. 80: "Uomini siate": Anastrofe.
v. 81: "Di voi tra": Anastrofe.
vv. 82-84: "Non fate com'agnel che lascia il latte de la sua madre, e semplice e lascivo seco medesmo a suo piacer combatte": Similitudine.
vv. 82-83: "Il latte / de la sua madre": Enjambement.
v. 90: "Che già nuove questioni avea davante": Anastrofe.
vv. 91-93: "E sì come saetta che nel segno percuote pria che sia la corda queta, così corremmo nel secondo regno": Similitudine.
v. 94: "Donna mia": Anastrofe.
vv. 97-99: "E se la stella si cambiò e rise, qual mi fec'io che pur da mia natura trasmutabile son per tutte guise": Similitudine.
vv. 100-104: "Come 'n peschiera ch'è tranquilla e pura traggonsi i pesci a ciò che vien di fori per modo che lo stimin lor pastura, sì vid'io ben più di mille splendori trarsi ver' noi": Similitudine.
v. 100: "Tranquilla e pura": Endiadi.
v. 108: "Folgór chiaro": Anastrofe.
v. 115: "O bene nato": Apostrofe.
vv. 115-116: "Li troni / del triunfo etternal": Enjambement.
vv. 118-119: "Del lume che per tutto il ciel si spazia noi semo accesi": Iperbato.
v. 125: "E che de li occhi il traggi": Anastrofe.
vv. 128-129: "La spera che si vela a' mortai con altrui raggi": Perifrasi.
vv. 131-132: "Fessi / lucente": Enjambement.
vv. 133-137: "Sì come il sol che si cela elli stessi per troppa luce, come 'l caldo ha róse le temperanze d'i vapori spessi, per più letizia sì mi si nascose dentro al suo raggio la figura santa": Similitudine.
vv. 134-135: "Ha róse / le temperanze": Enjambement.
vv. 136-137: "Si nascose / dentro": Enjambement.
Analisi ed Interpretazioni
Nel Canto, l'intero discorso è dedicato a Giustiniano, che risponde alle domande di Dante, rivelando la sua identità e approfondendo la condizione degli spiriti nel secondo cielo. La sua risposta prende una piega più ampia con una riflessione sulla storia dell'Impero romano, che si inserisce nel tema politico centrale di questo Canto, simile a quello del VI in ogni Cantica. Dante esplora, attraverso la visione di Giustiniano, la cattiva condotta dei Guelfi e dei Ghibellini, che, opponendosi e appropriandosi dell'aquila simbolo dell'Impero, contribuiscono al caos e alla frammentazione politica in Italia e in Europa, minando l'autorità centrale dell'Impero. La soluzione che Dante propone per questi mali è l'Impero universale, che con la sua forza potrebbe ristabilire l'ordine e garantire la giustizia, ponendo fine all'anarchia, specialmente in Italia.
Questa riflessione sulla funzione provvidenziale dell'Impero è legata alla figura di Giustiniano, il quale, pur essendo imperatore d'Oriente, aveva emanato il Corpus iuris civilis, un'opera giuridica che Dante considerava fondamentale per il diritto del Medioevo. Giustiniano, inoltre, aveva tentato di restaurare l'unità dell'Impero con la riconquista di Roma e dell'Italia, ma il trasferimento della capitale a Bisanzio sotto Costantino viene visto da Dante come una rottura con la natura dell'Impero, che era stato simboleggiato dall'aquila in volo dall'Occidente all'Oriente, un segno contro natura. Questo cambio di capitale, legato anche alla donazione di Costantino, è per Dante causa dei mali della Chiesa, nonostante Costantino stesso fosse beato e inserito tra gli spiriti giusti.
Nel suo discorso, Giustiniano esamina la storia di Roma, partendo dalle origini mitiche troiane di Enea, passando attraverso il periodo monarchico e la creazione della Repubblica, fino all'arrivo di Cesare e Augusto, i cui regni sono considerati da Dante come provvidenziali, voluti da Dio per unificare il mondo e preparare la venuta di Cristo. La crocifissione di Cristo, sotto il dominio di Tiberio, è vista come un atto che punisce il peccato originale e il disegno provvidenziale si completa con la distruzione di Gerusalemme da parte di Tito, un episodio che Dante storicamente attribuisce erroneamente a Tito, mentre in realtà avvenne sotto Vespasiano. La storia prosegue con il declino dell'Impero, culminato nel trasferimento della capitale a Bisanzio e nella divisione tra Oriente e Occidente, che Giustiniano cercò di risanare temporaneamente. La conclusione di questa riflessione storica arriva a Carlo Magno, considerato da Dante come l'erede legittimo dell'autorità imperiale, capace di ristabilire l'ordine contro i Longobardi.
L'analisi di Giustiniano culmina con una forte critica ai Guelfi e ai Ghibellini, che, con i loro conflitti, violano il sacrosanto simbolo dell'Impero e sono responsabili dei mali politici dell'Europa di inizio Trecento. Il riferimento più diretto è a Carlo II d'Angiò, visto da Dante come il rappresentante di una monarchia francese che non può sostituire l'autorità dell'Impero romano, simile alla polemica contro Filippo il Bello di Francia. Giustiniano conclude la sua riflessione sulla condizione degli spiriti che, pur operando per la gloria terrena, godono di un grado di beatitudine inferiore ma senza rimpianti, confermando così il pensiero già espresso da Piccarda Donati.
In parallelo, Beatrice affronta la questione dei voti, tema che si collega alla libertà dell'uomo, trattata precedentemente nel Purgatorio. Dante, attraverso la figura di Beatrice, evidenzia la responsabilità dell'uomo nel legare la propria volontà a Dio, un impegno che diventa essenziale nel rapporto tra la dimensione terrena e quella eterna. La superficialità umana, disposta a tradire facilmente i propri voti, è messa in contrasto con l'imparzialità divina, che non abbandona mai la sua giustizia. In questo contesto, Dante sottolinea la distanza tra la misericordia divina e l'incapacità dell'uomo di perseverare nella fede, ma anche come, attraverso questa riflessione, il poema non sia solo un'esperienza estetica o filosofica, ma un'opera con un forte messaggio etico e politico. La rilettura della storia dell'Impero, ad esempio, diventa il veicolo per Dante per manifestare il suo pensiero sul ruolo del potere e sulla giustizia divina, temi che risuonano in tutto il poema.
Passi Controversi
I versi 1-3 fanno riferimento al trasferimento della capitale imperiale da Roma a Bisanzio, realizzato da Costantino, che portò l'aquila, simbolo dell'Impero, dall'Occidente all'Oriente. Questo spostamento è visto come contrario al percorso fatto da Enea, che da Troia arrivò nel Lazio, dove sposò Lavinia. Alcuni studiosi interpretano questa inversione come una critica nei confronti di Costantino. Tra quel momento e l'incoronazione di Giustiniano passarono meno di duecento anni (v. 4), ma Dante probabilmente segue la cronologia di Brunetto Latini, che nel Trésor segnala gli anni 333 e 539, con un intervallo di 206 anni.
I monti citati nel v. 6 si trovano nella Troade, la regione legata alla mitologia di Troia. Al v. 10, l'imperatore Giustiniano si presenta in un elegante chiasmo, dicendo: "Cesare fui... son Iustiniano", con un uso differente dei tempi verbali per sottolineare il suo ruolo di imperatore e la sua identità personale (un parallelismo con quanto detto nel Purgatorio, v. 88: "Io fui di Montefeltro, io son Bonconte"). Il "primo amor" (v. 11) che ispirò Giustiniano nella sua opera legislativa è lo Spirito Santo.
Papa Agapito (v. 16) fu pontefice dal 533 al 536 e si recò a Costantinopoli per negoziare la pace con i Goti. Durante questo viaggio, sarebbe riuscito a convincere Giustiniano dell'errore del monofisismo, come riportato nel Trésor. Nel v. 21, Giustiniano afferma di vedere chiaramente le verità di fede, come Dante vede in un giudizio che una frase è vera e l'altra falsa (riferendosi al principio aristotelico di "non contraddizione").
Nel lungo passaggio che riguarda l'Impero (vv. 34-96), il protagonista è l'aquila, simbolo dell'autorità imperiale. Il v. 39 fa riferimento alla leggenda degli Orazi e dei Curiazi, che, secondo Tito Livio, si affrontarono per risolvere il conflitto tra Roma e Alba Longa. I versi 43-45 evocano le guerre di Roma contro i Galli di Brenno (387 a.C.), contro Pirro (282-272 a.C.) e contro altre potenze dell'Italia centrale. Torquato e Quinzio (v. 46) si riferiscono rispettivamente a T. Manlio Torquato, che sconfisse i Galli e i Latini, e a L. Quinzio Cincinnato, che vinse contro gli Equi. L'errore nel v. 46 riguardo la chioma di Quinzio nasce forse da un'interpretazione errata di Uguccione da Pisa.
Al v. 49, i Cartaginesi, rappresentati da Annibale, vengono erroneamente definiti "Aràbi", come accade per i genitori di Virgilio, che Dante chiama "Lombardi" (Inf., I, 68). Il colle menzionato al v. 53 è Fiesole, che secondo la leggenda fu distrutta dai Romani dopo la guerra con Catilina. I fiumi dei versi 58-60 sono quelli della Gallia e sono associati alle campagne di Cesare: il Varo e il Reno segnavano i confini occidentale e settentrionale, mentre l'Isara è l'Isère e l'Era probabilmente la Loira (o forse la Saône, nota come Arar in latino).
I versi 67-69 fanno riferimento alla deviazione di Cesare verso la Troade per visitare il sepolcro di Ettore mentre inseguiva Pompeo in Egitto, con il fiume Simoenta che scorreva vicino a Troia e il porto di Antandro da cui salpò Enea. Al v. 73, "bàiulo" indica il "portatore", un termine latinizzato. Il "lito rubro" (v. 79) è il Mar Rosso, simbolo della conquista di Ottaviano sull'Egitto.
Il "terzo Cesare" (v. 86) è Tiberio, considerato da Dante il terzo imperatore, dopo Cesare e Augusto. I vv. 91-93 ricordano la distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte di Tito nel 70 d.C., un castigo secondo la visione medievale per la crocifissione di Cristo, anche se Tito non era ancora salito al trono al momento di questi eventi.
Nel v. 106, "Carlo novello" si riferisce a Carlo II d'Angiò, figlio di Carlo I, e successore al trono. I vv. 109-110 sono difficili da interpretare, poiché Dante ammirava i figli di Carlo II, in particolare Carlo Martello, suo amico. Non sembra che Dante intenda profetizzare le loro sventure come punizione per il padre, quindi questa affermazione potrebbe essere di carattere generale. Al v. 118, "gaggi" significa "premi" o "riconoscimenti", un termine di origine francese.
Le quattro figlie di Raimondo Berengario IV (v. 133) furono Margherita, Eleonora, Sancia e Beatrice, tutte sposate con figure di rilievo europeo. Secondo la tradizione citata da Dante, questi matrimoni furono organizzati da Romeo di Villanova. Infine, l'espressione "a frusto a frusto" (v. 141) significa "a pezzi", riferendosi alla miseria a cui Romeo fu ridotto nel suo ultimo periodo, mentre mendicava il pane.
Fonti: libri scolastici superiori