Parafrasi e Analisi: "Canto XIII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XIII del Paradiso si colloca nella sfera del Sole, il cielo degli spiriti sapienti, dove Dante prosegue il suo viaggio attraverso la conoscenza e la sapienza divina. In questo canto, la riflessione si concentra sul tema della sapienza come dono divino e sull'importanza del discernimento nella comprensione della verità. Attraverso le parole di San Tommaso d'Aquino, viene sviluppata una profonda meditazione sul valore dell'intelletto umano e sui pericoli dell'errore nel giudizio. L'armonia dell'ordine universale, fondato sulla volontà divina, emerge come principio guida che regola la distribuzione delle virtù e dei talenti tra gli uomini. In questo contesto, Dante offre una lezione di umiltà e misura, sottolineando come ogni creatura riceva il proprio ruolo nella grande armonia dell'universo.
Testo e Parafrasi
Imagini, chi bene intender cupe quel ch'i' or vidi – e ritegna l'image, mentre ch'io dico, come ferma rupe -, quindici stelle che 'n diverse plage lo ciel avvivan di tanto sereno che soperchia de l'aere ogne compage; imagini quel carro a cu' il seno basta del nostro cielo e notte e giorno, sì ch'al volger del temo non vien meno; imagini la bocca di quel corno che si comincia in punta de lo stelo a cui la prima rota va dintorno, aver fatto di sé due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minoi allora che sentì di morte il gelo; e l'un ne l'altro aver li raggi suoi, e amendue girarsi per maniera che l'uno andasse al primo e l'altro al poi; e avrà quasi l'ombra de la vera costellazione e de la doppia danza che circulava il punto dov' io era: poi ch'è tanto di là da nostra usanza, quanto di là dal mover de la Chiana si move il ciel che tutti li altri avanza. Lì si cantò non Bacco, non Peana, ma tre persone in divina natura, e in una persona essa e l'umana. Compié 'l cantare e 'l volger sua misura; e attesersi a noi quei santi lumi, felicitando sé di cura in cura. Ruppe il silenzio ne' concordi numi poscia la luce in che mirabil vita del poverel di Dio narrata fumi, e disse: «Quando l'una paglia è trita, quando la sua semenza è già riposta, a batter l'altra dolce amor m'invita. Tu credi che nel petto onde la costa si trasse per formar la bella guancia il cui palato a tutto 'l mondo costa, e in quel che, forato da la lancia, e prima e poscia tanto sodisfece, che d'ogne colpa vince la bilancia, quantunque a la natura umana lece aver di lume, tutto fosse infuso da quel valor che l'uno e l'altro fece; e però miri a ciò ch'io dissi suso, quando narrai che non ebbe 'l secondo lo ben che ne la quinta luce è chiuso. Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo, e vedräi il tuo credere e 'l mio dire nel vero farsi come centro in tondo. Ciò che non more e ciò che può morire non è se non splendor di quella idea che partorisce, amando, il nostro Sire; ché quella viva luce che sì mea dal suo lucente, che non si disuna da lui né da l'amor ch'a lor s'intrea, per sua bontate il suo raggiare aduna, quasi specchiato, in nove sussistenze, etternalmente rimanendosi una. Quindi discende a l'ultime potenze giù d'atto in atto, tanto divenendo, che più non fa che brevi contingenze; e queste contingenze essere intendo le cose generate, che produce con seme e sanza seme il ciel movendo. La cera di costoro e chi la duce non sta d'un modo; e però sotto 'l segno idëale poi più e men traluce. Ond' elli avvien ch'un medesimo legno, secondo specie, meglio e peggio frutta; e voi nascete con diverso ingegno. Se fosse a punto la cera dedutta e fosse il cielo in sua virtù supprema, la luce del suggel parrebbe tutta; ma la natura la dà sempre scema, similemente operando a l'artista ch'a l'abito de l'arte ha man che trema. Però se 'l caldo amor la chiara vista de la prima virtù dispone e segna, tutta la perfezion quivi s'acquista. Così fu fatta già la terra degna di tutta l'animal perfezïone; così fu fatta la Vergine pregna; sì ch'io commendo tua oppinïone, che l'umana natura mai non fue né fia qual fu in quelle due persone. Or s'i' non procedesse avanti piùe, 'Dunque, come costui fu sanza pare?' comincerebber le parole tue. Ma perché paia ben ciò che non pare, pensa chi era, e la cagion che 'l mosse, quando fu detto "Chiedi", a dimandare. Non ho parlato sì, che tu non posse ben veder ch'el fu re, che chiese senno acciò che re sufficïente fosse; non per sapere il numero in che enno li motor di qua sù, o se necesse con contingente mai necesse fenno; non si est dare primum motum esse, o se del mezzo cerchio far si puote trïangol sì ch'un retto non avesse. Onde, se ciò ch'io dissi e questo note, regal prudenza è quel vedere impari in che lo stral di mia intenzion percuote; e se al "surse" drizzi li occhi chiari, vedrai aver solamente respetto ai regi, che son molti, e ' buon son rari. Con questa distinzion prendi 'l mio detto; e così puote star con quel che credi del primo padre e del nostro Diletto. E questo ti sia sempre piombo a' piedi, per farti mover lento com' uom lasso e al sì e al no che tu non vedi: ché quelli è tra li stolti bene a basso, che sanza distinzione afferma e nega ne l'un così come ne l'altro passo; perch' elli 'ncontra che più volte piega l'oppinïon corrente in falsa parte, e poi l'affetto l'intelletto lega. Vie più che 'ndarno da riva si parte, perché non torna tal qual e' si move, chi pesca per lo vero e non ha l'arte. E di ciò sono al mondo aperte prove Parmenide, Melisso e Brisso e molti, li quali andaro e non sapëan dove; sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti che furon come spade a le Scritture in render torti li diritti volti. Non sien le genti, ancor, troppo sicure a giudicar, sì come quei che stima le biade in campo pria che sien mature; ch'i' ho veduto tutto 'l verno prima lo prun mostrarsi rigido e feroce, poscia portar la rosa in su la cima; e legno vidi già dritto e veloce correr lo mar per tutto suo cammino, perire al fine a l'intrar de la foce. Non creda donna Berta e ser Martino, per vedere un furare, altro offerere, vederli dentro al consiglio divino; ché quel può surgere, e quel può cadere». |
Chi desidera intender bene ciò che io vidi, immagini – e fissi in mente l'immagine, mentre la racconto, come fosse una roccia salda le quindici stelle che in diverse parti rischiarano il cielo di tanta luce, che vincono ogni densità dell'aria; immagini il Carro Maggiore a cui lo spazio del nostro cielo è sufficiente per il suo giro notturno e diurno così che girando il timone non viene mai meno alla vista; immagini la punta estrema del Piccolo Carro che inizia nel punto più alto dell'asse celeste intorno a cui ruota il Primo Mobile, immagini aver formato due costellazioni in cielo, simili a quella in cui Arianna, figlia di Minosse, fu trasformata quando sentì il gelo della morte avvicinarsi; immagini l'una avere i suoi raggi coincidenti con l'altra e ambedue le costellazioni ruotare l'una in un verso e l'altra in quello opposto; ed avrà quasi l'immagine della vera costellazione e del doppio girare di moti che essa svolgeva intorno al punto dove io mi trovavo: poiché è tanto al di sopra della nostra esperienza umana, quanto oltre alla velocità della Chiana, il cielo si muove superando tutti gli altri movimenti stellari. In quella danza si celebrò non Bacco, non Apollo, ma la Santa Trinità in natura divina e Gesù Cristo, Trinità personificata, in natura umana. Il canto e la danza giunsero al loro termine; e volsero la loro attenzione verso di noi quei santi lumi, accrescendo la loro felicità coll'esser passati da un'occupazione all'altra. Poi interruppe il silenzio di quelle anime piene di concordia la luce di san Tommaso che mi aveva narrato la vita di san Francesco, il poverello di Dio. e disse:" Quando è stata tritata la paglia, (quando il primo dubbio è stato chiarito) quando il grano è stato posto nel granaio (e la verità messa al sicuro) l'amore fraterno mi invita a battere l'altra paglia (cioè a chiarire un altro dubbio). Tu credi che nel petto di Adamo da dove la costola fu sottratta per creare il bel viso di Eva, il cui peccato di gola è costato a tutto l'umanità, e in quel petto che, perforato dalla lancia di Longino, che tanto scontò i peccati passati e futuri, da vincere il peso di ogni colpa sulla bilancia divina, tutto ciò che pensi sia lecito alla natura umana di possedere, tutto fosse infuso da quella potenza divina che creò l'uno, Adamo, e l'altro, Gesù; e perciò ti meravigli riguardo a ciò che io dissi prima, quando affermai che l'anima benevola racchiusa nella quinta luce non ebbe un altro pari a lui. Ora presta attenzione a ciò che io ti rispondo, e vedrai che le tue credenze e le mie parole si accordano in un'unica verità come il centro in un tondo. Ciò che non muore, l'immortale, e ciò che può morire, il mortale, non è null'altro che riflesso di quell'idea che nostro Signore, infondendo amore, mette alla luce; poiché quella luce viva, che è il Figlio, che si emana dalla sua fonte luminosa, che è il Padre, così che non si separa né da lui né dall'amore, che è lo Spirito Santo, si congiunge a loro nella Trinità, per sua bontà concentra il suo splendore, come in uno specchio, in nove essenze, rimanendo però in eterno una sola. Da queste (la luce) discende fino alle ultime potenze del mondo sublunare di cielo in cielo, attenuandosi tanto, che non crea più altro che esseri corruttibili; e intendo essere queste essenze corruttibili le cose create, che il movimento del cielo produce con seme (vegetali/animali) o senza (esseri inanimati). La materia di costoro e di chi la plasma non sono sempre ugualmente disposte; e perciò riflettono l'Idea divina in maniera maggiore o minore. Per questo avviene che uno stesso albero secondo la specie, produca frutti migliori o peggiori; e per questo voi umani nascete con ingegno differente. Se la materia fosse perfettamente disposta e il cielo esercitasse la sua virtù suprema, la luce di Dio si mostrerebbe per intero; ma la natura la trasmette sempre parzialmente, operando in modo simile all'artista che ha la mano tremolante nell'esercizio dell'arte. Perciò se il caldo amore, lo Spirito Santo, dispone e sigilla la luce chiara della prima virtù, del Padre, questa creatura acquisirebbe in sè la massima perfezione. In tale modo la Terra fu resa degna di tutta la massima perfezione in un essere animato; in tale modo la Vergine fu resa feconda; così che io approvo la tua opinione, che la natura umana non fu né sarà mai così perfetta come in quelle due persone, Adamo e Gesù. Ora, se io non andassi più avanti a spiegare, mi chiederesti con le tue parole 'Dunque, come mai hai detto che costui, Salomone, fu senza pari?'. Ma affinché appaia chiaro ciò che non sembra, pensa a chi era costui, e al motivo che lo spinse, quando gli fu detto da Dio 'chiedi', a chiedere. Non ho parlato in modo così difficile, che tu non possa capire bene che egli fu re, che chiese intelletto in quantità tale da essere sufficiente per il suo incarico reale; non chiese la sapienza per conoscere il numero delle Intelligenze motrici del cielo, o se da una promessa necessaria e da una contingente possa derivare una conclusione necessaria; né se si deve ammettere nell'universo un primo motore, o se in un semicerchio si possa fare un triangolo che non sia rettangolo. Pertanto, se consideri ciò che io dissi prima e cosa dico ora, capirai che quella sapienza impareggiabile, oggetto della mia attenzione, era limitata dalla prudenza degna di un re; e se rifletti con mente limpida sulla parola "sorse", vedrai che essa è riferita solamente ai re, che sono molti, e i buoni sono rari. Con questa distinzione interpreta il mio discorso; e così può stare bene assieme a ciò che tu credi riguardo al primo padre, Adamo, e al nostro Diletto Gesù. E questo mio discorso ti insegni sempre a stare coi piedi di piombo, per farti muovere lentamente come un uomo stanco prima di affermare o negare cose che non vedi chiaramente: poiché è tra gli stolti colui che, senza distinzione afferma e nega nell'uno (umano) o nell'altro (divino) giudizio; perché accade spesso che il giudizio frettoloso inclina verso il falso, e poi, l'affetto verso le proprie opinioni ostacoli l'intelletto. Inoltre chi ricerca il vero e non ha i mezzi per coglierlo invano si allontana dalla riva, perché non ritorna nelle stesse condizioni di com'era prima di partire. E di ciò ci sono nel mondo esempi chiarissimi Permenide, Mefisso e Brisso e tanti altri, i quali andarono alla ricerca senza sapere dove andare; così fecero Sabellio e Ario e quelli eretici che, come spade che riflettono, deformandoli, i volti dritti falsarono il senso delle Sacre Scritture. Non siano le genti troppo sicure di sé nel giudicare, così come colui che stima il raccolto nel campo prima che il grano sia maturo; poiché io ho visto per tutto l'inverno precedente il pruno mostrarsi secco ed ispido; e in seguito portare la rosa sbocciata sui suoi rami; e vidi anche una nave dritta e veloce attraversare il mare per tutto il suo tragitto, ed affondare all'ultimo, prima di entrare in porto. Non credano le donne e gli uomini per aver visto uno rubare, l'altro elemosinare, di conoscere il giudizio divino; poiché l'uno può salvarsi e l'altro cadere. |
Riassunto
vv. 1-27: La danza e il canto delle due corone di beati
Dopo che Bonaventura ha concluso il suo discorso, le due corone di beati riprendono la loro danza e il loro canto, simili alle stelle delle costellazioni dell'Orsa Maggiore e Minore. Si muovono in cerchio, ma in direzioni opposte, esprimendo così una perfetta armonia celeste.
vv. 28-87: San Tommaso risponde al dubbio di Dante: la sapienza di Adamo e di Cristo
Successivamente, san Tommaso interviene per chiarire il secondo dubbio sollevato da Dante, il quale aveva interpretato l'affermazione che Salomone fosse il più sapiente degli uomini in modo che lo aveva portato a interrogarsi. Tommaso spiega che la sapienza assoluta, infatti, è stata donata direttamente da Dio sia ad Adamo che a Cristo come uomini, come aveva già concepito Dante stesso.
vv. 88-111: La sapienza politica di Salomone
La sapienza che Salomone ha ricevuto da Dio, tuttavia, non era quella filosofica o teologica, ma quella necessaria per governare giustamente come re. Essa gli è stata concessa per guidare con saggezza il popolo, un tipo di sapienza che si manifesta raramente, e non per renderlo un filosofo o un teologo.
vv. 112-142: San Tommaso invita alla prudenza nel giudizio
Alla fine della sua spiegazione, Tommaso esorta Dante a essere sempre prudente e riflessivo nel giudicare le cose, evitando di cadere negli stessi errori commessi da antichi filosofi greci come Parmenide, Melisso e Brisso, o da eretici come Sabellio e Ario, che negarono la Trinità e la piena divinità del Figlio. Tommaso conclude affermando che non è possibile giudicare il destino delle persone semplicemente osservando le loro azioni: infatti, chi compie azioni malvagie può essere destinato alla salvezza, mentre chi fa il bene può perdersi.
Figure Retoriche
vv. 2-3: "Ritegna l'image, mentre ch'io dico, come ferma rupe": Similitudine.
v. 5: "Lo ciel avvivan": Anastrofe.
vv. 7-9: "Imagini quel carro a cu' il seno basta del nostro cielo e notte e giorno, sì ch'al volger del temo non vien meno": Metafora. Si sta parlando dell'Orsa Maggiore, che è un astro circumpolare, cioè nel moto apparente diurno di rotazione della volta celeste, non tramonta mai.
vv. 10-12: "Imagini la bocca di quel corno che si comincia in punta de lo stelo a cui la prima rota va dintorno": Metafora. Si sta parlando dell'Orsa minore, che ha il vertice nella punta (la Stella Polare) dell'asse a cui ruota attorno il Primo Mobile.
vv. 13-15: "Aver fatto di sé due segni in cielo, qual fece la figliuola di Minoi allora che sentì di morte il gelo": Similitudine.
vv. 19-20: "De la vera / costellazione": Enjambement.
v. 26: "Divina natura": Anastrofe.
v. 30: "Di cura in cura": Metafora. Per indicare il canto e la danza, e lo scioglimento dei dubbi di Dante.
v. 32: "La luce": Perifrasi. Per indicare San Tommaso.
v. 33: "Poverel di Dio": Perifrasi. Per indicare San Francesco.
v. 33: "Narrata fumi": Anastrofe.
vv. 34-36: "Quando l'una paglia è trita, quando la sua semenza è già riposta, a batter l'altra dolce amor m'invita": Metafora. Usa l'esempio della trebbiatura del grano, in cui una parte del grano è stata battuta e il frumento è stato depositato nel granaio, e che è spinto a battere l'altra parte del grano che rimane. San Tommaso sta a intendere che dopo aver risolto il primo dubbio di Dante, è pronto a risolvere il secondo.
v. 37: "Nel petto": Perifrasi. Per indicare Adamo.
v. 38: "La bella guancia": Perifrasi. Per indicare Eva.
v. 39: "Il cui palato a tutto 'l mondo costa": Perifrasi. Per indicare il peccato originale, cioè aver gustato il frutto proibito.
v. 40: "E in quel che, forato da la lancia": Perifrasi. Per indicare il petto di Cristo.
v. 49: "Or apri li occhi a quel ch'io ti rispondo": Sinestesia. Sfera visiva e sfera uditiva, avrebbe dovuto dire "apri bene le orecchie".
v. 51: "Nel vero farsi come centro in tondo": Similitudine.
vv. 53-54: "Quella idea che partorisce, amando": Perifrasi. Per indicare il Figlio.
v. 54: "Il nostro Sire": Perifrasi. Per indicare il Padre.
v. 55: "Quella viva luce": Perifrasi. Per indicare il Figlio.
v. 57: "L'amor": Perifrasi. Per indicare lo Spirito Santo.
v. 59: "Quasi specchiato": Similitudine.
v. 66: "Con seme e sanza seme": Perifrasi.
vv. 68-69: "Segno / ideale": Enjambement.
v. 70: "Legno": Metonimia. La materia per l'oggetto, legno anziché albero.
vv. 77-78: "Similemente operando a l'artista ch'a l'abito de l'arte ha man che trema": Similitudine.
v. 79: "'l caldo amor": Perifrasi.
v. 80: "Dispone e segna": Endiadi.
v. 83: "L'animal perfezione": Anastrofe.
v. 86: "L'umana natura": Anastrofe.
v. 90: "Le parole tue": Anastrofe.
v. 96: "Sufficiente fosse": Anastrofe.
vv. 107-108: "Respetto / ai regi": Enjambement.
v. 109: "'l mio detto": Sineddoche. Il singolare per il plurale, "il mio detto" anziché "le mie parole".
v. 111: "Primo padre": Perifrasi.
v. 111: "Nostro Diletto": Perifrasi.
v. 112: "Piombo a' piedi": Metafora.
v. 113: "Per farti mover lento com'uom lasso": Similitudine.
vv. 118-123: "Perch'elli 'ncontra che più volte piega l'oppinion corrente in falsa parte, e poi l'affetto l'intelletto lega. Vie più che 'ndarno da riva si parte, perché non torna tal qual e' si move, chi pesca per lo vero e non ha l'arte": Similitudine.
vv. 128-129: "Furon come spade a le Scritture in render torti li diritti volti": Similitudine.
vv. 130-132: "Non...troppo sicure a giudicar, sì come quei che stima le biade in campo pria che sien mature": Similitudine.
v. 136: "Legno": Metonimia. La materia per l'oggetto, "legno" anziché "nave".
v. 136: "Dritto e veloce": Endiadi.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto si inserisce come una riflessione dottrinale che, sebbene possa sembrare di scarso interesse a prima vista, in realtà affronta tematiche molto più profonde, come i limiti della sapienza umana rispetto al giudizio divino. Questo tema, che collega il "traviamento" intellettuale di Dante, prepara il terreno per la successiva discussione sulla giustizia divina, che troverà ampio spazio nel Cielo di Giove. La scena iniziale, che descrive due corone di spiriti che ruotano in direzioni opposte, ricorre a una similitudine astronomica che aiuta il lettore a visualizzare il paradiso. Dante immagina quindici stelle particolarmente luminose, insieme alle sette dell'Orsa Maggiore e alle due più basse dell'Orsa Minore, formando per assurdo due corone concentriche. Sebbene questa immagine non possa rendere pienamente l'incanto della visione del Cielo del Sole, essa esprime il concetto di una realtà che trascende le capacità descrittive del linguaggio umano, anticipando la riflessione sul limite insuperabile della sapienza umana. Dante, infatti, sa che la massima saggezza fu quella infusa da Dio in Adamo e Cristo-uomo, ma Salomone, pur essendo stato dotato di una straordinaria sapienza, non ha raggiunto la perfezione divina, come dimostra la lunga e articolata spiegazione di Tommaso.
Il dialogo tra Dante e Tommaso affronta la questione della sapienza di Salomone, partendo dal passo biblico in cui Dio gli concede una saggezza senza pari (III Reg., III, 5-12). Dante nutre il dubbio che tale saggezza possa contrastare la dottrina che attribuisce la perfezione della sapienza solo a Dio, come nel caso di Adamo e Cristo. Tommaso, in una spiegazione filosofica che richiama la struttura di una lectio magistralis, chiarisce che la sapienza di Salomone è limitata al suo ruolo di re, ossia alla necessità di giudicare il suo popolo, e non si estende a questioni filosofiche o matematiche complesse. Il filosofo illustra inoltre come la sapienza divina, che è creativa e perfetta, si distingua dalla sapienza umana, che non può comprendere tutto, come nel caso di temi che riguardano la fede e la salvezza. Questo limite della ragione umana è un tema ricorrente in Dante, che lo esplorerà ulteriormente con l'aquila nel Cielo di Giove.
La riflessione sulla sapienza continua a essere centrale anche nei Canti successivi, dove si anticipano motivi come l'arte e la creazione, il lamento per i cattivi regnanti incapaci di tradurre la giustizia divina in giustizia terrena, e la necessità di non presumere di penetrare la sapienza divina. La similitudine astronomica che apre il Canto prefigura la discussione teologica sulla figura di Salomone e la natura limitata della sua sapienza, che si concentra esclusivamente sulla politica. Il discorso politico è un tema che attraversa i Canti XI-XIII, con il Cielo di Sole che si concentra prima sul buon governo spirituale, incarnato da figure come Francesco e Domenico, e poi sul buon governo temporale, come quello di Salomone. Questo Canto, quindi, si distingue per la sua sottolineatura della debolezza dell'intelletto umano di fronte ai giudizi divini, preparando Dante ad affrontare il cammino arduo che lo attende nel prosieguo del suo viaggio celeste.
Passi Controversi
Le quindici stelle menzionate nel verso 4 sono le più brillanti della volta celeste, ovvero quelle di prima grandezza, come descritto nell'Almagesto di Tolomeo, un'opera che Dante conosceva indirettamente. Il "carro" citato al verso 7 si riferisce all'Orsa Maggiore, una costellazione circumpolare che non tramonta mai e resta sempre visibile nel cielo artico. I versi 10-12 alludono all'Orsa Minore, descritta come un corno, con la sua punta corrispondente alla Stella Polare, mentre la parte inferiore (la "bocca") è formata dalle due stelle più basse. La Stella Polare si trova sull'asse del Primo Mobile, che Dante immagina come la "prima rota" del cosmo.
Nei versi 12-14, viene evocato il mito di Arianna, la cui ghirlanda venne trasformata da Bacco nella costellazione della Corona. Dante si ispira a Ovidio (Met., VIII, 177-182), ma attribuisce la trasformazione al momento della morte di Arianna. Il verso 18 potrebbe suggerire che le due corone ruotano in direzioni opposte, sebbene alcuni ritengano che quella esterna ruoti più velocemente dell'altra. Il fiume Chiana, citato nel verso 23, era noto per la sua lenta corsa e per le paludi nella Val di Chiana, un'area associata alla malaria, menzionata anche nell'Inferno. Il "ciel che tutti gli altri avanza" si riferisce al Primo Mobile, che ruota più rapidamente rispetto agli altri cieli.
Nel verso 25, "Peana" si riferisce all'inno cantato in onore di Apollo, e per metonimia indica anche il dio stesso. I versi 34-36 fanno riferimento alla trebbiatura del grano, dove le spighe vengono battute e i semi riposti nel granaio. Tommaso d'Aquino sottolinea che, dopo aver risolto il primo dubbio di Dante, è pronto a rispondere al secondo. Nei versi successivi, Adamo è presentato come la fonte dalla quale proviene la costola che generò Eva, mentre Cristo-uomo è il petto trafitto dalla lancia sulla croce che redime il peccato originale. In entrambi i casi, è Dio che infonde la massima sapienza.
Nei versi 50-51, Dante suggerisce che entrambe le affermazioni sono parte di una verità unica, come tutti i punti di un cerchio sono equidistanti dal centro. I versi 52 e successivi trattano il mistero della Trinità, spiegando che il Figlio, concepito dal Padre per amore, è inseparabile da Lui e dallo Spirito Santo, con quest'ultimo che si unisce a loro come terzo principio. La parola "mea" indica "procede", mentre "s'intrea" è un neologismo dantesco che si collega alla nozione di unione.
Nei versi 58 e successivi, si usano molti termini della Scolastica: le nove "sussistenze" corrispondono ai cori angelici, le "ultime potenze" agli elementi del mondo materiale, e le "contingenze" sono le cose create, che esistono solo in modo effimero. Nei versi 79-81, difficili da interpretare, si potrebbe intendere che lo Spirito Santo, disponendo e suggellando il Verbo del Padre, perfeziona la natura creata. Tommaso suggerisce che solo ciò che è creato direttamente da Dio è perfetto.
Il verso 93 fa riferimento alla richiesta di sapienza fatta da Salomone, come riportato nella Bibbia (III Re, 3, 5-12). I versi 97-102 enunciano quattro misteri insolubili per la mente umana: il numero degli angeli, il primo moto non generato da altro moto, e se sia possibile inscrivere un triangolo non rettangolo in un semicerchio. Al verso 104, "impàri" è un aggettivo che significa "senza pari", e non un verbo come alcuni commentatori hanno suggerito. Il verso 106 chiarisce che il senso di "sursi" nelle parole di Tommaso significa "fu innalzato alla dignità di re", non semplicemente "nacque".
Nel verso 125, Dante cita alcuni filosofi greci: Parmenide di Elea, Melisso di Samo e Brisone di Eraclea, che tentarono di risolvere questioni che, secondo Dante, sono inconoscibili per l'uomo. Al verso 127, fa riferimento agli eretici Sabellio e Ario, che negavano la Trinità e la divinità di Cristo. I versi 128-129 li descrivono come spade che, con le loro superfici lucide, hanno deformato o mutilato le verità scritturali.
I nomi Berta e Martino, nel verso 139, sono usati come personaggi comuni, simili ai nostri "Tizio" e "Caio", e i titoli di "donna" e "ser" potrebbero indicare una forma di saccenteria. Il verbo "offerere" nel verso 140 significa "fare pie offerte", forse con un riferimento polemico alla vendita delle indulgenze.
Fonti: libri scolastici superiori