Parafrasi e Analisi: "Canto XII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Analisi ed Interpretazioni
8) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XII del Paradiso di Dante si inserisce all'interno di un ampio discorso sulla natura della beatitudine e sulla struttura dell'ordine celeste. In questo canto, Dante esplora una delle tematiche fondamentali della sua opera: il concetto di giustizia divina e la sua manifestazione nelle anime beate, attraverso l'incontro con una delle schiere degli spiriti giusti. La riflessione si concentra sull'armonia dell'universo e sul ruolo che l'intelligenza umana, illuminata dalla grazia divina, gioca nel riconoscere e aderire al bene supremo. Con l'aiuto di Beatrice, Dante si avvicina a una comprensione più profonda dell'ordine divino, esplorando le dinamiche che legano l'anima umana alla perfezione celeste, in un cammino che culmina nella visione della luce beatificante di Dio.
Testo e Parafrasi
Sì tosto come l'ultima parola la benedetta fiamma per dir tolse, a rotar cominciò la santa mola; e nel suo giro tutta non si volse prima ch'un'altra di cerchio la chiuse, e moto a moto e canto a canto colse; canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch'e' refuse. Come si volgon per tenera nube due archi paralelli e concolori, quando Iunone a sua ancella iube, nascendo di quel d'entro quel di fori, a guisa del parlar di quella vaga ch'amor consunse come sol vapori, e fanno qui la gente esser presaga, per lo patto che Dio con Noè puose, del mondo che già mai più non s'allaga: così di quelle sempiterne rose volgiensi circa noi le due ghirlande, e sì l'estrema a l'intima rispuose. Poi che 'l tripudio e l'altra festa grande, sì del cantare e sì del fiammeggiarsi luce con luce gaudïose e blande, insieme a punto e a voler quetarsi, pur come li occhi ch'al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi; del cor de l'una de le luci nove si mosse voce, che l'ago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove; e cominciò: «L'amor che mi fa bella mi tragge a ragionar de l'altro duca per cui del mio sì ben ci si favella. Degno è che, dov' è l'un, l'altro s'induca: sì che, com' elli ad una militaro, così la gloria loro insieme luca. L'essercito di Cristo, che sì caro costò a rïarmar, dietro a la 'nsegna si movea tardo, sospeccioso e raro, quando lo 'mperador che sempre regna provide a la milizia, ch'era in forse, per sola grazia, non per esser degna; e, come è detto, a sua sposa soccorse con due campioni, al cui fare, al cui dire lo popol disvïato si raccorse. In quella parte ove surge ad aprire Zefiro dolce le novelle fronde di che si vede Europa rivestire, non molto lungi al percuoter de l'onde dietro a le quali, per la lunga foga, lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, siede la fortunata Calaroga sotto la protezion del grande scudo in che soggiace il leone e soggioga: dentro vi nacque l'amoroso drudo de la fede cristiana, il santo atleta benigno a' suoi e a' nemici crudo; e come fu creata, fu repleta sì la sua mente di viva vertute, che, ne la madre, lei fece profeta. Poi che le sponsalizie fuor compiute al sacro fonte intra lui e la Fede, u' si dotar di mutüa salute, la donna che per lui l'assenso diede, vide nel sonno il mirabile frutto ch'uscir dovea di lui e de le rede; e perché fosse qual era in costrutto, quinci si mosse spirito a nomarlo del possessivo di cui era tutto. Domenico fu detto; e io ne parlo sì come de l'agricola che Cristo elesse a l'orto suo per aiutarlo. Ben parve messo e famigliar di Cristo: ché 'l primo amor che 'n lui fu manifesto, fu al primo consiglio che diè Cristo. Spesse fïate fu tacito e desto trovato in terra da la sua nutrice, come dicesse: 'Io son venuto a questo'. Oh padre suo veramente Felice! oh madre sua veramente Giovanna, se, interpretata, val come si dice! Non per lo mondo, per cui mo s'affanna di retro ad Ostïense e a Taddeo, ma per amor de la verace manna in picciol tempo gran dottor si feo; tal che si mise a circüir la vigna che tosto imbianca, se 'l vignaio è reo. E a la sedia che fu già benigna più a' poveri giusti, non per lei, ma per colui che siede, che traligna, non dispensare o due o tre per sei, non la fortuna di prima vacante, non decimas, quae sunt pauperum Dei, addimandò, ma contro al mondo errante licenza di combatter per lo seme del qual ti fascian ventiquattro piante. Poi, con dottrina e con volere insieme, con l'officio appostolico si mosse quasi torrente ch'alta vena preme; e ne li sterpi eretici percosse l'impeto suo, più vivamente quivi dove le resistenze eran più grosse. Di lui si fecer poi diversi rivi onde l'orto catolico si riga, sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. Se tal fu l'una rota de la biga in che la Santa Chiesa si difese e vinse in campo la sua civil briga, ben ti dovrebbe assai esser palese l'eccellenza de l'altra, di cui Tomma dinanzi al mio venir fu sì cortese. Ma l'orbita che fé la parte somma di sua circunferenza, è derelitta, sì ch'è la muffa dov' era la gromma. La sua famiglia, che si mosse dritta coi piedi a le sue orme, è tanto volta, che quel dinanzi a quel di retro gitta; e tosto si vedrà de la ricolta de la mala coltura, quando il loglio si lagnerà che l'arca li sia tolta. Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio nostro volume, ancor troveria carta u' leggerebbe "I' mi son quel ch'i' soglio"; ma non fia da Casal né d'Acquasparta, là onde vegnon tali a la scrittura, ch'uno la fugge e altro la coarta. Io son la vita di Bonaventura da Bagnoregio, che ne' grandi offici sempre pospuosi la sinistra cura. Illuminato e Augustin son quici, che fuor de' primi scalzi poverelli che nel capestro a Dio si fero amici. Ugo da San Vittore è qui con elli, e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, lo qual giù luce in dodici libelli; Natàn profeta e 'l metropolitano Crisostomo e Anselmo e quel Donato ch'a la prim' arte degnò porre mano. Rabano è qui, e lucemi dallato il calavrese abate Giovacchino di spirito profetico dotato. Ad inveggiar cotanto paladino mi mosse l'infiammata cortesia di fra Tommaso e 'l discreto latino; e mosse meco questa compagnia». |
Non appena l'ultima parola fu pronunciata da San Tommaso, il cerchio di anime sante cominciò a ruotare; e non fece in tempo a completare un giro intero che fu subito circondato da un altro cerchio di anime, che accordò a primo il proprio movimento ed il proprio canto; un canto tanto superiore all'arte ed alla dolcezza dei nostri poeti, in quei suoi dolci strumenti, quanto la luce diretta supera quella riflessa. Come si incurvano nel cielo attraverso una tenue nuvola due arcobaleni tra loro paralleli ed identici nei colori, quando Giunone ordina alla sua ancella Iride di scendere in Terra, e quello interno nasce da quello esterno, simile alla voce della ninfa Eco (voce errante) che per amore ci consumò come nebbia al sole, e rendono la gente della Terra certa che, grazie al patto che Dio fece con Noè, sul mondo non si abbatterà più il diluvio universale: allo stesso modo quelle anime eternamente beate facevano ruotare intorno a noi le loro due corone, e così quella più esterna si adeguò a quella interna. Dopo che la danza ed il grande ardore del canto, svolti all'unisono e con un rispondersi a vicenda nello splendore tra quelli luci beate e caritatevoli, si arrestarono nello stesso momento e con volontà unanime, come solo gli occhi, reagendo allo stimolo che li muove, riescono a fare chiudendosi ed aprendosi insieme; dal profondo di una delle anime appena arrivate uscì una voce, che all'ago della bussola, attratto dalla stella polare, mi fece assomigliare, obbligandomi a girarmi verso lei; e cominciò: "La carità, che mi fa risplendere di bellezza, mi induce a parlarti del fondatore dell'altro ordine (S. Domenico), che ha spinto altri a tessere le lodi del fondatore del mio di ordine (San Francesco). È giusto che dove si parli di uno si ricordi poi anche l'altro: in modo che, così come essi combatterono insieme, allo stesso modo la loro gloria risplenda insieme. L'esercito dei cristiani, che Cristo acquistò ad un così caro prezzo, seguiva l'insegna della Santa Chiesa lentamente ed in modo confuso, ed era scarso di uomini, quando Dio, eterno comandante, venne in soccorso ai suoi soldati, che erano incerti del futuro, spinto solo dalla sua misericordia, non perché essi lo meritassero; e, come è già stato detto, venne in soccorso alla Chiesa con due difensori, intorno alle cui opere e parole si raccolse il popolo smarrito. Ad occidente, dove il dolce vento di Zefiro si leva in primavera per svegliare le verdi foglie con cui si riveste l'Europa, non molto lontano dalla costa atlantica, dietro le cui onde, dopo il suo lungo corso estivo, il sole talvolta, nel solstizio d'estate, tramonta nascondendosi all'uomo, si trova la fortunata città di Calaruega, protetta dal re di Castiglia, nel cui stemma sono rappresentate due torri e due leoni disposti a scacchiera: in quella città nacque l'appassionato amante della fede cristiana, il santo atleta benevolo verso i suoi simili e spietato con i nemici della fede; e non appena creata, la sua anima fu riempita di virtù tanto efficace da rendere sua madre presaga, quando ancora era nel suo grembo. Dopo che ebbe ricevuto il battesimo, fu compiuto il il suo matrimonio con la fede alla sacra fonte, dove si portarono entrambi in dote la salvezza, la sua madrina, che diede il consenso per lui al battesimo, vide in sogno le mirabili opere che avrebbero dovuto compiere lui ed i suoi eredi; ed affinché il suo nome potesse esprimere la sua natura, dal cielo discese l'ispirazione di chiamarlo con il nome che indica la completa appartenenza a Dio. Fu chiamato Domenico; ed io ne parlo come dell'agricoltore che Cristo scelse per aiutarlo a coltivare il suo orto. Si mostrò subito un buon inviato e servitore di Cristo: tanto che il primo il primo sentimento che si manifestò in lui fu per il primo consiglio dato da Cristo (umiltà e povertà). Spesse volte fu trovato giacere silenzioso e sveglio a terra dalla sua balia, come se dicesse: "Io sono venuto al mondo per questo." Beato suo padre, Felice di nome e di fatto! Beata sua madre, veramente una Giovanna, se davvero il nome si deve interpretare come "Grazia di Dio"! Non per desiderio di gloria mondana, per cui oggi ci si affanna dietro al vescov di Ostia, Enrico di Susa, e Taddeo d'Alderotto, ma solo per amore del cibo spirituale Domenico diventò in poco tempo un gran teologo; tanto che iniziò subito a vegliare, girandogli intorno, sulla vigna di Dio (la Chiesa), che fa presto a seccarsi se il vignaiolo è disonesto. Ed alla Santa Sede, che in passato fu più benevola di oggi verso i poveri onesti, non per causa sua ma a causa di colui che la detiene, il pontefice, allontanatosi dal retto cammino, non chiese di distribuire solo un terzo o la metà di quanto raccolto, di avere la rendita del primo posto vacante, di godere delle decime (tasse), che appartengono ai poveri di Dio, ma chiese invece soltanto il permesso di combattere contro gli errori del mondo cristiano, in difesa di quel seme della fede cristiana da cui nacquero le ventiquattro anime che ora ti circondano. Poi, sostenuto dalla propria scienza teologica e dalla volontà, con il mandato del Papa partì impetuoso come un torrente che sgorga dalle profondità; e contro l'erbaccia dell'eresia scagliò il proprio impeto, più violentemente laddove trovava una maggiore resistenza. Da lui si staccarono poi diversi suoi seguaci che, come fossero ruscelli, irrigano il giardino della Chiesa rendendo le sue piantine più resistenti. Se tale fu una delle due ruote della biga con cui la Santa Chiesa si difese e vinse in battaglia la sua guerra civile contro gli eretici, dovresti ben comprendere l'eccellenza dell'altra ruota (San Francesco), di cui S. Tommaso ti ha parlato con tanta venerazione prima che io arrivassi. Ma la strada che fu tracciata dalla sua ruota è stata ormai abbandonata, cosicché c'è ora la muffa là dove prima c'era il buon vino. La sua famiglia, i seguaci di S. Francesco, che da principio si erano mossi dietro ai suoi passi, hanno ora tanto cambiato direzione da procedere addirittura in senso contrario; e presto si vedrà quale sarà il raccolto risultato di quel cattivo modo di coltivare, quando la zizzania (i Frati) si dispiacerà di non poter più entrare nel granaio (nel Paradiso). Credo che chi cercasse tra i francescani, foglio per foglio, come in un libro, potrebbe ancora trovare qualche pagina su cui poter leggere "Io sono umile come ero solito essere"; ma non saranno certamente i francescani seguaci di Ubertino da Casale né di Matteo d'Acquasparta, da dove proviene chi la Regola in un caso la elude e nell'altro la irrigidisce. Io sono l'anima di Bonaventura da Bagnoregio, e rispetto alle grandi cariche ecclesiastiche che rivestii, misi sempre in secondo piano la cura dei beni terreni. Ci sono qui anche Illuminato e Agostino, che furono i primi poverelli scalzi, discepoli di S. Francesco, ad entrare in contatto con Dio nel rispetto della Regola. Qui con loro ci sono anche Ugo di San Vittore, Pietro Mangiatore e Pietro Ispano, la cui fama risplende ancora nei dodici libri delle 'Summulae logicales'; il profeta Natan ed il vescovo di Costantinopoli Giovanni Crisostomo, Anselmo d'Aosta e quel Donato che si occupò della prima delle arti liberali, la grammatica.Comprare libri best seller online C'è qui Rabano Mauro, e risplende al mio fianco l'abate calabrese Gioacchino da Fiore, dotato di spirito profetico. Ad elogiare un così grande paladino della fede mi spinse l'ardente cortesia di San Tommaso ed il suo sapiente discorso; che seppe accendere di gioia anche queste anime che sono in mia compagnia. |
Riassunto
Il Canto XII del Paradiso di Dante si apre con la comparsa di una seconda corona di anime beate, che si affiancano a quella già esistente. Queste nuove anime si avvicinano alla prima, muovendosi e cantando all'unisono come due arcobaleni concentrici e dello stesso colore. Quando il loro movimento si ferma, una di queste anime, spinta dal fervore della Carità, prende la parola per lodare san Domenico, fondatore dell'Ordine domenicano, allo stesso modo in cui nel canto precedente era stata lodata la figura di san Francesco. La lode è motivata dalla loro comune lotta per difendere la Chiesa, e così si stabilisce che le loro anime debbano brillare della stessa gloria celeste.
Il racconto prosegue con la descrizione di Calaruega, la città natale di san Domenico, situata nella regione della Castiglia, dove la brezza dello Zefiro, simbolo di rinascita, soffia su un'Europa cristiana che, con l'intervento del santo, si rinvigorisce. Domenico nasce sotto il segno di una forte virtù, rivelata già nei sogni della madre prima della sua nascita. Crescendo, si dedica agli studi teologici, non per guadagno personale, ma per amore di Dio, diventando esperto e impegnandosi nella difesa della fede contro le eresie. Si rende protagonista della lotta contro l'eresia in Provenza, dove combatte da solo prima di fondare il suo ordine.
Nel finale del Canto, Dante riflette sulla degenerazione dell'Ordine francescano, che sembra aver perso l'orientamento tracciato dal suo fondatore, san Francesco, a causa di alcune divisioni interne tra i "conventuali" e gli "spirituali". Si allude al fatto che l'ordine ha preso direzioni opposte a quelle del fondatore, ma vi sono ancora frati che rimangono fedeli allo spirito originario. Dante, attraverso la voce di san Bonaventura, esprime un rimprovero verso questa corruzione, dimostrando la grandezza del santo di Bagnoregio, che pur occupando alte cariche ecclesiastiche, non ha mai anteposto il bene materiale alla spiritualità.
Il Canto si conclude con la presentazione delle altre anime che compongono la seconda corona: tra esse ci sono alcuni dei primi seguaci di san Francesco, come Illuminato da Rieti e Agostino d'Assisi, ma anche figure di spicco della tradizione cristiana come il profeta Natan, Giovanni Crisostomo, Anselmo d'Aosta e Gioacchino da Fiore. Tutte queste anime, mosse dall'influenza di san Tommaso, si uniscono in un coro armonioso di lode. Il Canto si struttura quindi in sei sezioni principali, che vanno dalla comparsa della seconda corona fino alla rassegna finale delle anime e alla conclusione delle lodi.
Figure Retoriche
v. 2: "Benedetta fiamma": Perifrasi. Per indicare San Tommaso.
v. 3: "La santa mola": Metafora. Per indicare la prima corona di beati.
vv. 7-9: "Canto che tanto vince nostre muse, nostre serene in quelle dolci tube, quanto primo splendor quel ch'e' refuse": Similitudine.
vv. 10-21: "Come si volgon per tenera nube due archi paralelli e concolori, quando Iunone a sua ancella iube, nascendo di quel d'entro quel di fori, a guisa del parlar di quella vaga ch'amor consunse come sol vapori; e fanno qui la gente esser presaga, per lo patto che Dio con Noè puose, del mondo che già mai più non s'allaga: così di quelle sempiterne rose volgiensi circa noi le due ghirlande, e sì l'estrema a l'intima rispuose": Similitudine.
v. 12: "Iube": Latinismo.
v. 14: "Quella vaga": Perifrasi. Per indicare la ninfa Eco.
v. 22: "Festa grande": Anastrofe.
vv. 23-24: "Fiammeggiarsi / luce": Enjambement.
v. 24: "Luce": Metafora. Per indicare le anime luminose.
v. 24: "Gaudiose e blande": Endiadi.
vv. 25-27: "Insieme a punto e a voler quetarsi, pur come li occhi ch'al piacer che i move conviene insieme chiudere e levarsi": Similitudine.
vv. 29-30: "Che l'ago a la stella parer mi fece in volgermi al suo dove": Similitudine.
v. 32: "L'altro duca": Perifrasi. Per indicare San Domenico.
v. 36: "Gloria loro": Anastrofe.
vv. 35-36: "Com'elli ad una militaro, così la gloria loro insieme luca": Similitudine.
v. 37: "L'essercito di Cristo": Metafora. Per indicare la Chiesa militante.
vv. 37-38: "Sì caro / costò a riarmar": Enjambement.
v. 40: "Lo 'mperador che sempre regna": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 43: "A sua sposa": Metafora. Per indicare la Chiesa.
v. 44: "Due campioni": Perifrasi. Per indicare Domenico e Francesco.
vv. 55-56: "L'amoroso drudo de la fede cristiana": Perifrasi. Per indicare San Domenico.
v. 57: "Benigno a' suoi e a' nemici crudo": Chiasmo.
v. 58: "Repleta": Latinismo.
v. 64: "La donna che per lui l'assenso diede": Perifrasi. Per indicare la madrina.
v. 66: "Ch'uscir dovea": Anastrofe.
vv. 70-72: "Io ne parlo sì come de l'agricola che Cristo elesse a l'orto suo per aiutarlo": Similitudine.
vv. 82-83: "Non per lo mondo, per cui mo s'affanna di retro ad Ostiense e a Taddeo": Invettiva contro chi studia per fini mondani.
v. 86: "La vigna": Metafora. Per indicare la chiesa.
v. 90: "Colui che siede": Perifrasi. Per indicare il papa Bonifacio VIII.
vv. 91-93: "Non": Anafora.
v. 96: "Lo seme del qual ti fascian ventiquattro piante": Metafora. Per indicare la fede dal quale sono nate le ventiquattro anime delle due corone.
vv. 98-99: "Si mosse quasi torrente ch'alta vena preme": Similitudine.
v. 100: "Sterpi eretici": Metafora. Per indicare le eresie.
v. 101: "L'impeto suo": Anastrofe.
v. 105: "Arbuscelli": Metafora. Per indicare i cristiani.
v. 106 e v. 110: "Se tal fu l'una rota de la biga...l'eccellenza de l'altra": Metafora. Per indicare San Domenico e San Francesco, come ruote del carro della Chiesa.
vv. 112-113: "Parte somma / di sua circunferenza": Enjambement.
v. 112: "Orbita": Metafora.
v. 114: "Sì ch'è la muffa dov'era la gromma": Metafora.
vv. 118-120: "E tosto si vedrà de la ricolta de la mala coltura, quando il loglio si lagnerà che l'arca li sia tolta": Metafora e Invettiva.
v. 122: "Volume": Metafora. Per indicare l'ordine francescano.
v. 126: "Coarta": Latinismo.
vv. 127-128: "Bonaventura da Bagnoregio": Enjambement.
v. 132: "Capestro": Metafora. Per indicare la regola francescana.
v. 138: "Prim'arte": Perifrasi. Per indicare la grammatica.
Personaggi Principali
San Domenico di Guzmán nel Canto XII
San Domenico di Guzmán, nato nel 1170 in una famiglia nobile della Castiglia, viene educato in un ambiente ecclesiastico e, dopo aver studiato filosofia e teologia, viene ordinato sacerdote a ventiquattro anni. Nel 1201, avvia il suo primo viaggio di evangelizzazione in Nord Europa e, al ritorno dal secondo, chiede a Papa Innocenzo III il permesso di continuare la sua missione predicatoria. Tuttavia, il papa lo invia in Provenza, una regione dove l'eresia catara stava prendendo piede, mettendo in discussione la corruzione della Chiesa e criticandola per la sua ricchezza.
In Provenza, Domenico affronta l'eresia catara non con la repressione violenta, ma attraverso il dialogo e la predicazione. La sua strategia si distingue per il confronto pubblico e personale, in cui smascherava le idee errate dei catari. Domenico non solo cercava di convincerli, ma viveva anche in povertà come esempio di vera adesione ai principi evangelici, ottenendo così numerosi seguaci tra gli eretici. Nel 1216, l'Ordine domenicano fu ufficialmente fondato con l'approvazione di Papa Onorio III, e Domenico morì nel 1221, mentre preparava un nuovo viaggio missionario.
Dante, nel Canto XII, riprende l'immagine di San Domenico come un "combattente per la fede". Sebbene Domenico fosse un uomo pacifico, la tradizione cattolica lo dipinge come un guerriero della fede, e Dante lo rappresenta come tale, facendo un parallelo con san Francesco. Entrambi, insieme, sono descritti come coloro che hanno riorganizzato l'"esercito di Cristo" (vv. 35-38), un riferimento all'ordine e alla disciplina che hanno portato alla Chiesa.
La visione di Bonaventura su San Domenico
Bonaventura da Bagnoregio, nella sua Legenda Maior, definisce Domenico un "santo atleta", un guerriero della fede, capace di combattere implacabilmente contro gli eretici. La sua predicazione, simile a un torrente impetuoso, scuoteva le convinzioni degli eretici con forza (vv. 99-102). Bonaventura sottolinea anche che la predicazione di Domenico e la sua forza spirituale sono tra le ruote che hanno portato la Chiesa alla vittoria nella "guerra civile" contro gli eretici (vv. 106-108).
Il discorso di Bonaventura include anche una riflessione sulla crisi dell'Ordine francescano. Dopo la morte di san Francesco, i francescani si divisero in due correnti: i Conventuali, che moderavano l'adesione alla povertà, e gli Spiritualisti, che predicavano una rigida aderenza ai principi di povertà e venivano accusati di eresia. Dante sembra avere una simpatia per questi ultimi, pur non condividendone completamente le posizioni estremiste, considerate troppo vicine all'eresia.
Questo contrasto tra le due correnti francescane, quella dei Conventuali e quella Spirituale, riflette una crisi interna dell'Ordine, che Dante, attraverso Bonaventura, sottolinea come un elemento di riflessione sulla corruzione della Chiesa e sulle sfide che essa affronta anche nel contesto della fede.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto si concentra principalmente sulla figura di san Domenico, celebrato da Bonaventura con un elogio che segue una struttura speculare rispetto a quanto fatto da san Tommaso nel Canto precedente per san Francesco. In questo modo, i Canti XI e XII formano una sorta di "chiasmo", poiché Bonaventura, dopo aver elogiato Domenico, critica i francescani che si sono allontanati dalla vera regola, proprio come Tommaso aveva denunciato la corruzione dei domenicani. L'episodio si apre con l'apparizione di una seconda corona di spiriti sapienti, tra cui figura Bonaventura, che si unisce armoniosamente alla prima, creando una danza e un canto tanto melodiosi da risultare indescrivibili a parole. Dante utilizza una similitudine ricca di significati culturali e mitologici, paragonando la scena a due arcobaleni concentrati, uno specchio dell'altro, richiamando immagini mitologiche come quella di Iride, l'ancella di Giunone, e della ninfa Eco, ma anche il racconto biblico del Diluvio Universale, in cui l'arcobaleno simboleggia il patto tra Dio e l'uomo. Questi riferimenti legano il Cielo alla Terra, aggiungendo un livello di profondità simbolica che introduce il discorso centrale del Canto, che proseguirà nel successivo.
Dopo questa introduzione, Bonaventura si presenta senza identificarsi subito, al contrario di quanto aveva fatto Tommaso d'Aquino nel Canto precedente. Egli intende rispondere con gratitudine al panegirico del domenicano che aveva parlato di san Francesco, facendo lo stesso per Domenico, unendo così le due figure di santi, entrambi difensori della Chiesa. La metafora militare, che Bonaventura utilizza abbondantemente, descrive Domenico come un "vassallo" di Dio, impegnato a combattere contro le eresie, riorganizzando l'esercito cristiano. Dio è definito "imperatore", evocando immagini di battaglie spirituali, mentre Domenico è descritto come un santo combattente, difensore della Fede. La sua biografia inizia con la presentazione della sua città natale, Calaroga, situata all'estremità occidentale dell'Europa, in contrasto con Francesco, la cui origine è associata all'Oriente cristiano. Dante fa riferimento alla geografia, ma con un tono più generico rispetto alla descrizione di Assisi, e utilizza il simbolo dello stemma castigliano per evocare la potenza e la nobiltà di Domenico.
Segue la narrazione della vita di Domenico, in cui Dante attinge dalle leggende e dagli aneddoti agiografici dell'epoca. Si accenna ai sogni profetici della madre e della madrina, simbolizzando la destinazione divina del santo fin dalla sua nascita. Il nome di Domenico è interpretato come una manifestazione della sua completa dedizione a Dio, e la sua infanzia è segnata da segni di umiltà e povertà. Domenico si dedica allo studio della teologia non per motivi personali, ma per servire la Chiesa e difenderla dalle eresie. Dante sottolinea come il santo chieda al Papa il permesso di combattere contro le eresie e approvare il suo Ordine, rifiutando l'idea di arricchirsi tramite la manipolazione della dottrina, come invece accadrà in seguito con i domenicani degenerati. Domenico, come Francesco, rifiuta i beni terreni e si dedica alla sua missione religiosa, ma mentre Francesco abbraccia la povertà evangelica, Domenico si dedica alla lotta contro l'eresia, specialmente quella albigese.
Il panegirico di Domenico è seguito dalla critica di Bonaventura verso i francescani degenerati, accusati di tradire la regola di Francesco. Bonaventura denuncia le due fazioni, gli "spirituali" e i "conventuali", che divergono sul modo di interpretare la regola: i primi cercavano di inasprirla, mentre i secondi volevano allentarla. La critica si manifesta attraverso l'immagine della ruota del carro della Chiesa, il cui solco, abbandonato e ricoperto di muffa, simboleggia il tradimento della vera via. Dante prende le distanze da entrambe le fazioni, esprimendo il suo disappunto verso coloro che non seguivano il vero spirito della regola francescana.
Infine, Bonaventura presenta se stesso e gli altri spiriti sapienti della sua corona, tra cui spicca Gioacchino da Fiore, fondatore dell'Ordine florense e autore delle profezie gioachimite. Le sue idee, purtroppo, furono ampiamente diffuse tra i francescani spirituali e duramente combattute da Bonaventura, ma qui Dante lo colloca accanto a Gioacchino in una visione di concordia, in modo simile a quanto avveniva per Tommaso e Sigieri di Brabante nel Canto X. Questo parallelismo sottolinea l'armonia che ora regna in Paradiso, dove le controversie terrene sono superate, come già si era visto nell'episodio di Piccarda Donati.
Passi Controversi
Nel verso 3, la "santa mola" si riferisce alla prima corona, chiamata così poiché ruota orizzontalmente, proprio come la macina di un mulino. Al verso 9, si fa riferimento al raggio riflesso (quel che è rifiutato), che risulta più luminoso di quello diretto (il primo splendore). La forma "paralelli" nel verso 10 rappresenta una variante comune nel volgare toscano del Trecento, come documentato in molti codici della Commedia. Il verso 12 allude al mito di Iride, l'ancella di Giunone, la cui discesa sulla Terra per portare un messaggio divino era accompagnata dalla formazione dell'arcobaleno (Iunone e iube, entrambi latinismi). I versi 14-15 fanno riferimento al mito della ninfa Eco, che, consumata dal suo amore non corrisposto per Narciso, fu ridotta a diventare solo voce che ripeteva le parole altrui, come descritto nelle Metamorfosi di Ovidio. Nel verso 24, "blande" significa "piene di carità". Nei versi 26-27, si descrive come le due corone si fermano simultaneamente, proprio come gli occhi che si aprono e si chiudono insieme. I versi 29-30 evocano la bussola, recentemente introdotta in Occidente nel XIV secolo, la cui ago veniva creduto attratto dalla Stella Polare. Al verso 33, "per cui" si intende "a causa del quale", riferendosi a Francesco. Il verbo "si raccorse" nel verso 45 potrebbe significare "si ravvide", anche se alcuni suggeriscono "si raccolse". Il grande scudo menzionato al verso 53 è lo stemma del re di Castiglia, che presenta quattro quartieri in cui il leone è sopra o sotto la torre, a seconda del lato. Al verso 55, "drudo" non significa "amante", ma "vassallo", un termine militare; mentre al verso 56, "atleta" significa "difensore". Il verso 60 allude a un sogno profetico di Giovanna, madre di Domenico, che sognò di partorire un cane bianco e nero (simbolo dell'Ordine domenicano) che portava in bocca una fiaccola destinata ad accendere il mondo. La leggenda di questo sogno ha somiglianze con quella della nascita di Ezzelino da Romano e di Paride, ma con un significato positivo. Nei versi 64-66, si fa riferimento a un sogno della madrina di battesimo di Domenico, che vide il bambino con una stella sulla fronte, simbolo della sua missione religiosa, sebbene alcune biografie attribuiscano tale sogno alla madre del santo. Nei versi 71, 73 e 75, la parola "Cristo" rima con se stessa, come accade frequentemente nella Commedia (alcuni critici suggeriscono che Dante stia correggendo la rima "Cristo/tristo/malacquisto" dalla Rime). Il primo consiglio dato da Cristo nel verso 75 potrebbe essere quello sull'umiltà della prima beatitudine o quello al giovane ricco (Matteo 19:21), ma sembra più probabile che si riferisca alla seconda ipotesi, dato che Domenico bambino fu trovato per terra dalla nutrice. Al verso 83, "Ostiense e... Taddeo" si riferiscono a Enrico da Susa, vescovo di Ostia dal 1262, e probabilmente al fiorentino Taddeo d'Alderotto, entrambi autori di volumi di diritto canonico. Nei versi 86-87, l'immagine della vigna che si secca se non viene curata dal vignaiolo fa eco a un insegnamento evangelico (Matteo 20:1-16), mentre il verbo "circuir" è un latinismo che significa "custodire". La "sedia" del verso 88 si riferisce al soglio papale, un tempo più incline a dispensare ricchezze ai poveri. Nei versi seguenti, Dante fa riferimento a pratiche canoniche come la distribuzione parziale delle ricchezze ai poveri (v. 91), il possesso del primo beneficio ecclesiastico (v. 92) e l'accaparramento delle decime (v. 93). Al verso 95, il "seme" è la Fede, mentre le ventiquattro piante rappresentano i beati delle due corone. I versi 112-114 alludono al "solco" tracciato un tempo dall'Ordine francescano, che ora è stato abbandonato a causa della deviazione dei francescani dalla via iniziale. La "gromma", ossia lo strato di tartaro che si forma nelle botti, diventa muffa se non curato, un'immagine che richiama il buon vignaiolo dei versi precedenti. I versi 115-117, benché difficili da interpretare, suggeriscono che i francescani non seguano più la strada tracciata dal loro fondatore, come se camminassero all'indietro, spingendo il piede davanti verso quello dietro. Nei versi 118-120, Dante fa riferimento alla parabola della zizzania (Matteo 13:24-30), indicando che presto i francescani degeneri saranno distinti da quelli fedeli alla Regola. È improbabile che il poeta si riferisca alla bolla di condanna di Giovanni XXII, poiché avrebbe disprezzato quel pontefice e condannato anche gli spirituali. Il verso 124 fa riferimento a Ubertino da Casale, un sostenitore degli spirituali che fu protetto dai cardinali Orsini e Colonna ad Avignone, mentre Matteo d'Acquasparta, menzionato nel verso 124, fu a capo dei conventuali, influente nell'aiutare le mire teocratiche di Bonifacio VIII. Il verbo "inveggiar" nel verso 142 ha significato incerto, ma potrebbe significare "emulare", "inneggiare" o "chiamare in campo", riferendosi a Domenico come "campione" della Chiesa. Infine, al verso 144, "latino" si riferisce al discorso, simbolo della cultura che attraversa i confini.
Fonti: libri scolastici superiori