Parafrasi e Analisi: "Canto XIV" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XIV del Paradiso segna un momento di intensa elevazione spirituale all'interno del viaggio di Dante nei cieli. Qui il poeta esplora il tema della beatitudine celeste e della perfetta armonia che regola l'ordine divino, mostrando come la luce e la gloria di Dio si manifestino attraverso le anime beate. La riflessione sulla beatitudine si intreccia con la visione dell'infinita sapienza divina, che dispensa felicità in modo proporzionato al grado di merito di ciascuna anima. In questo canto, la dimensione mistica si fa più profonda, con una continua esaltazione della luce e della conoscenza, simboli supremi della verità divina. Dante prosegue così nella sua ascesa, avvicinandosi sempre più alla comprensione del mistero di Dio e della sua giustizia perfetta.


Testo e Parafrasi


Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
movesi l'acqua in un ritondo vaso,
secondo ch'è percosso fuori o dentro:

ne la mia mente fé sùbito caso
questo ch'io dico, sì come si tacque
la glorïosa vita di Tommaso,

per la similitudine che nacque
del suo parlare e di quel di Beatrice,
a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:

«A costui fa mestieri, e nol vi dice
né con la voce né pensando ancora,
d'un altro vero andare a la radice.

Diteli se la luce onde s'infiora
vostra sustanza, rimarrà con voi
etternalmente sì com' ell' è ora;

e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
esser porà ch'al veder non vi nòi».

Come, da più letizia pinti e tratti,
a la fïata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti,

così, a l'orazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota.

Qual si lamenta perché qui si moia
per viver colà sù, non vide quive
lo refrigerio de l'etterna ploia.

Quell' uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive,

tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
ch'ad ogne merto saria giusto muno.

E io udi' ne la luce più dia
del minor cerchio una voce modesta,
forse qual fu da l'angelo a Maria,

risponder: «Quanto fia lunga la festa
di paradiso, tanto il nostro amore
si raggerà dintorno cotal vesta.

La sua chiarezza séguita l'ardore;
l'ardor la visïone, e quella è tanta,
quant' ha di grazia sovra suo valore.

Come la carne glorïosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
più grata fia per esser tutta quanta;

per che s'accrescerà ciò che ne dona
di gratüito lume il sommo bene,
lume ch'a lui veder ne condiziona;

onde la visïon crescer convene,
crescer l'ardor che di quella s'accende,
crescer lo raggio che da esso vene.

Ma sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende;

così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia;

né potrà tanta luce affaticarne:
ché li organi del corpo saran forti
a tutto ciò che potrà dilettarne».

Tanto mi parver sùbiti e accorti
e l'uno e l'altro coro a dicer «Amme!»,
che ben mostrar disio d'i corpi morti:

forse non pur per lor, ma per le mamme,
per li padri e per li altri che fuor cari
anzi che fosser sempiterne fiamme.

Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che v'era,
per guisa d'orizzonte che rischiari.

E sì come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
sì che la vista pare e non par vera,

parvemi lì novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l'altre due circunferenze.

Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
come si fece sùbito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!

Ma Bëatrice sì bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente.

Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in più alta salute.

Ben m'accors' io ch'io era più levato,
per l'affocato riso de la stella,
che mi parea più roggio che l'usato.

Con tutto 'l core e con quella favella
ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella.

E non er' anco del mio petto essausto
l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi
esso litare stato accetto e fausto;

ché con tanto lucore e tanto robbi
m'apparvero splendor dentro a due raggi,
ch'io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».

Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ' poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.

Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì ch'io non so trovare essempro degno;

ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,
vedendo in quell' albor balenar Cristo.

Di corno in corno e tra la cima e 'l basso
si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:

così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,

moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l'ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.

E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,

così da' lumi che lì m'apparinno
s'accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l'inno.

Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode,
però ch'a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
come a colui che non intende e ode.

Ïo m'innamorava tanto quinci,
che 'nfino a lì non fu alcuna cosa
che mi legasse con sì dolci vinci.

Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne' quai mirando mio disio ha posa;

ma chi s'avvede che i vivi suggelli
d'ogne bellezza più fanno più suso,
e ch'io non m'era lì rivolto a quelli,

escusar puommi di quel ch'io m'accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
ché 'l piacer santo non è qui dischiuso,

perché si fa, montando, più sincero.
L'acqua si muove dentro un vaso rotondo,
dal centro del cerchio verso la periferia, e così viceversa
a seconda che (il vaso) sia mosso dall'esterno o dall'interno:

nella mia mente si presentò subito
(l'immagine) di ciò di cui io sto parlando, non appena si zittì
la gloriosa anime di San Tommaso,

a causa della somiglianza che nacque
dalle sue parole e da quelle di Beatrice,
alla quale fu gradito inizia a parlare dopo di lui:

"A costui (Dante) piacerebbe, e non ve lo dice
né a parole ma neppur a ancora pensadolo,
penetrare fino alla radice un'altra verità.

Ditegli se la la luce di cui si adorna
la vostra anima, rimarrà con voi
in eterno così com'è ora;

e se rimane così, spiegate come, dopo (il giudizio universale)
che sarete tornati ad essere visibili con i vostri corpi,
potrà essere che ciò non vi rechi danno alla vista".

Come, sollecitati e quasi trascinati da crescente letizia,
talvolta quelli che danzano intorno come in un cerchio
innalzando la voce cantando e rallegrano i gesti della danza,

così, al sentir la preghiera immediata e riverente,
le corone di santi mostrarono la loro gioia accresciuta
nel girare intorno danzando e nel meraviglioso canto.

Colui che si lamenta perché sulla Terra bisogna morire
per vivere poi in Cielo eternamente, non ha mai visto qui in Paradiso
il conforto dell'eterna pioggia di grazia divina.

Dio, uno e trino, che vive eternamente
ed eternamente regna nella Trinità,
(che) non è circoscritto in un luogo, e (che) contiene in sé ogni cosa,

era lodato con il canto tre volte da ciascuno
di quelli spiriti beati, con una melodia tale
da essere considerata ricompensa adeguata per ogni merito.

Ed io sentii dalla luce più fulgida
del cerchio (minore perché) più interno, una voce moderata,
forse simile a quella dell'angelo Gabriele (quando si rivolse) a Maria,

rispondere: " Fino a che durerà la beatitudine
del Paradiso, tanto la nostra carità
farà risplendere intorno a noi questa veste di luce.

La sua limpidezza (della luce) consegue all'ardore (della carità);
l'ardore (consegue) alla cognizione di Dio, e quella è tanto più grande
quanto più di grazia sovrannaturale abbonda sul merito naturale di ciascuno.

Quando (nella resurrezione) il corpo sarà rivestito
dalla gloria e dalla santità dell'anima, la nostra persona
si farà più perfetta poiché sarà completa (di corpo più anima);

per cui si accrescerà in noi ciò che il Sommo Bene (Dio)
ci dona, ovvero la grazia illuminante,
luce che è condizione necessaria per vederlo (Dio);

perciò conviene un accrescimento della nostra visione (di Dio),
e a questo (conviene) accrescere l'ardore che si nutre di quella,
e (conviene) accrescere il raggio di luce che da esso (Dio) proviene e deriva.

Ma così come il carbone acceso che alimenta la fiamma,
e la supera per intensità luminosa attraverso il vivo candore,
così che il suo aspetto si difende (nel senso di non si lascia offuscare);

così come il corpo, che è tuttora ricoperto tutto intorno da terra,
supererà per quanto riguarda la visibilità
questo fulgore che già accerchia l'anima;

né tanta luce potrà affaticare la vista;
poiché gli organi del corpo risorto saranno rafforzati
verso tutto ciò che potrà essere ragione di beatitudine".

Tanto mi sembrarono pronti e tempestivi
gli spiriti delle due corone a dire "Amen!",
che mostrarono chiaramente il loro desiderio (di ricongiungersi con) dei corpi mortali;

forse non soltanto per se stessi, ma per le loro madri,
per i padri e per tutti gli altri che in vita gli furono cari
prima che fossero lumi ardenti in eterno.

Ed ecco che intorno (alle due corone di santi)
in aggiunta alla luce che già c'era (delle due corone), comparve una luce diffusa
simile alla luce che rischiara l'orizzonte.

E così come al calare della sera
iniziano ad apparire le prime stelle nel cielo,
che la vista non distingue se siano reali o meno,

mi sembrò lì di iniziare a vedere
le nuove anime, e (mi sembrò) facessero un cerchio
all'esterno delle altre due corone di beati.

Oh verace sfavillare dello Spirito Santo!
Come apparve improvvisamente e luminoso
ai miei occhi che, sopraffatti dalla bellezza, non resistettero!

Ma Beatrice mi si mostrò
così bella e ridente di gioia che si deve lasciare
tra quelle cose che la memoria non è in grado di conservare (per la troppa bellezza).

Da qui i miei occhi ripresero la forza
per guardare verso l'alto; e mi vidi trasportato
in un grado più elevato di beatitudine, solo con la mia donna amata, Beatrice.

Mi resi conto chiaramente che ero salito ad un altro cielo,
a causa dell'infuocato splendore della stella,
che mi sembrava più rossa del solito.

Con tutto il cuore e con quel linguaggio
che è comune in tutti gli uomini feci a Dio totale offerta di me stesso (olocausto),
come si conveniva alla nuova grazia (di essere salito di un cielo).

E non si era ancora esaurito nel mio petto
l'ardore di quel sacrificio (l'offerta), che io capii
che esso era stato ben accettato e lieto a Dio.

poiché mi apparvero delle anime, dentro la proprio luce,
con tanto splendore e tanto rosse
che io dissi: "O Sole che così le adorni!"

Come la Galassia/la Via Lattea, si allunga tra i due poli del mondo
adorna di stelle di minore e maggiore dimensione,
così che tiene in dubbio anche i più sapienti;

così disposte nella costellazione, quei raggi luminosi
nella profondità di Marte descrivevano una croce, venerabile segno,
come (i raggi) si congiungono nei quadranti di un cerchio.

In questo punto la mia memoria sorpassa l'ingegno;
poiché in quella croce risplendeva Cristo,
così che io non so trovare un esempio (per descriverlo) adeguato;

ma chi (il buon fedele) prende la sua croce e segue Cristo,
mi scuserà per quello che io tralascio (di descrivere)
dopo che avrà visto risplendere Cristo in quella fulgida luce.

Dal braccio destro al sinistro e dall'alto in basso
si muovevano le luci, brillando intensamente
quando si incontravano e sorpassavano l'un con l'altra:

in questo modo si vedono, qui sulla Terra, dritte ed oblique,
le minime particelle dei corpi, lunghe e corte,
veloci o lente, mutando continuamente d'aspetto,

muoversi attraversate da un raggio luminoso da dove penetra
talvolta l'ombra che gli uomini, volendola proteggere dalla luce,
escogitano di procurarsi con astuzia e arte.

E come strumenti musicali diversi, nella varia
tensione delle loro corde, producono una dolce melodia
per colui che non è in grado di distinguere le note,

così dalle luci che mi apparvero lassù
si raccoglieva dalla Croce (che queste formavano) una melodia
che mi rapiva, senza comprenderne le parole.

Poi mi accorsi che che l'inno era di lode solenne,
poiché arrivavano a me le parole "Risorgi" e "Vinci"
come a colui che non capisce l'intero discorso e ascolta.

Quindi ero così rapito da questa melodia da innamorarmi
che fino a quel momento non ci fu nessuna cosa
che mi avvincesse con legami così piacevoli.

Forse le mie parole sembrano osare troppo,
poiché pospongono il piacere che mi procuravano i begli occhi di Beatrice,
guardando dentro ai quali si appaga pienamente ogni mio desiderio;

ma chi considera che gli occhi di Beatrice, somme rappresentazioni,
operano con intensità crescente quanto più si sale nei cieli,
e che io qui (nel Cielo di Marte) non mi ero ancora rivolto a guardarli,

mi può scusare per ciò di cui io mi accuso
per scusarmi, e mi vedrà dire il vero;
poiché io non ho escluso dal guardare quella divina bellezza (di Beatrice),

che diventa più pura e sincera, essendo salita nel cielo dopo.



Riassunto


vv. 1-33 – Il dubbio di Dante e la gioia dei beati
Dopo il discorso di San Tommaso, Beatrice incoraggia le anime beate a chiarire il nuovo dubbio di Dante, che si interroga sulla natura della loro luminosità dopo la resurrezione dei corpi e su come questi potranno sopportare un tale aumento di splendore. Le anime rispondono con gioia alla richiesta del poeta, esprimendo la loro felicità attraverso il canto e la danza.

vv. 34-60 – La spiegazione di Salomone sulla luce dei beati
Tra le anime, è Salomone a prendere la parola per spiegare il fenomeno della luce che circonda i beati. Questa luminosità è manifestazione della loro carità e durerà in eterno, variando in intensità a seconda della capacità di ciascuno di contemplare Dio, che dipende dai meriti acquisiti in vita. Dopo il Giudizio Universale, quando le anime si ricongiungeranno ai corpi, la loro perfezione aumenterà, così come la visione di Dio e, di conseguenza, la loro luce. Tuttavia, la vista sarà potenziata, permettendo loro di sostenere un tale splendore.

vv. 61-78 – L'arrivo di nuove anime
Terminata la spiegazione di Salomone, i beati rispondono con un solenne Amen, esprimendo il desiderio di ricongiungersi ai propri corpi. Mentre Dante osserva la scena, la sua vista viene improvvisamente abbagliata dall'arrivo di nuove anime, che con il loro splendore si uniscono alle corone luminose già presenti.

vv. 79-90 – L'ascesa al quinto cielo
L'aspetto di Beatrice diventa ancora più radioso, al punto che Dante ammette di non riuscire a descriverlo adeguatamente. Tuttavia, fissando il suo sguardo, trova in esso la forza necessaria per proseguire l'ascesa verso il cielo successivo.

vv. 91-139 – Il cielo di Marte e la visione della croce
Dante si accorge di essere giunto nel cielo di Marte osservando il colore rossastro del pianeta, dimora delle anime di coloro che hanno combattuto per la fede. Colmo di gratitudine, innalza un ringraziamento a Dio. Subito dopo, davanti ai suoi occhi si presenta uno spettacolo straordinario: anime luminose si dispongono in due file, formando i bracci di una croce splendente, al cui interno lampeggia la figura di Cristo, indescrivibile con parole umane. Gli spiriti si muovono lungo la croce intonando un inno, di cui Dante riesce a cogliere solo le parole Resurgi e Vinci, comprendendo che si tratta di un canto di lode a Gesù. Più che la bellezza di Beatrice, è la potenza del canto a rapire la sua attenzione, ma il poeta si giustifica spiegando di non essersi ancora voltato a guardare la sua guida, il cui splendore è certamente aumentato con l'ascesa nel cielo di Marte.


Figure Retoriche


v. 1: "Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro": Anadiplosi.
v. 2: "Ritondo vaso": Anastrofe.
v. 9: "A cui sì cominciar, dopo lui, piacque": Iperbato.
vv. 19-24: "Come, da più letizia pinti e tratti, a la fiata quei che vanno a rota levan la voce e rallegrano li atti, così, a l'orazion pronta e divota, li santi cerchi mostrar nova gioia nel torneare e ne la mira nota": Similitudine.
v. 19: "Pinti e tratti": Endiadi.
v. 27: "L'etterna ploia": Allegoria.
v. 28: "Uno e due e tre": Enumerazione.
vv. 28-29: "Vive / e regna": Enjambement.
v. 29: "In tre e 'n due e 'n uno": Enumerazione.
v. 30: "Circunscritto ... circunscrive": Poliptoto.
v. 31: "Tre volte era cantato": Anastrofe.
vv. 31-32: "Da ciascuno / di quelli spirti": Enjambement.
vv. 34-35: "Più dia del minor cerchio": Enjambement.
vv. 34-35: "La luce più dia del minor cerchio": Perifrasi. Per indicare l'anima si Salomone.
vv. 35-36: "Una voce modesta, forse qual fu da l'angelo a Maria": Similitudine.
vv. 37-38: "La festa / di paradiso": Enjambement.
vv. 40-41: "L'ardore; l'ardor": Figura Etimologica.
v. 43: "Gloriosa e santa": Endiadi.
vv. 46-47: "Dona di gratuito lume": Enjambement.
v. 47: "Sommo bene": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 50-51: "Crescer": Anafora e Iterazione.
vv. 52-57: "Ma sì come carbon che fiamma rende, e per vivo candor quella soverchia, sì che la sua parvenza si difende; così questo folgór che già ne cerchia fia vinto in apparenza da la carne che tutto dì la terra ricoperchia": Similitudine.
vv. 52-53: "Carbon ... candor": Paronomasia.
v. 58: "Affaticarne": Metonimia, l'effetto per la causa.
v. 61: "Sùbiti e accorti": Endiadi.
vv. 68-69: "Nascere un lustro sopra quel che v'era, per guisa d'orizzonte che rischiari": Similitudine.
vv. 70-75: "E sì come al salir di prima sera comincian per lo ciel nove parvenze, sì che la vista pare e non par vera, parvemi lì novelle sussistenze cominciare a vedere, e fare un giro di fuor da l'altre due circunferenze": Similitudine.
vv. 74-75: "Un giro / di fuor": Enjambement.
v. 76: "Oh vero sfavillar del Santo Spiro!": Esclamazione.
v. 76: "Santo Spiro": Anastrofe.
v. 78: "Occhi miei": Anastrofe.
v. 79: "Bella e ridente": Endiadi.
v. 81: "Che non seguir la mente": Anastrofe.
v. 82: "Li occhi miei": Anastrofe.
v. 82: "Ripreser ... virtute": Iperbato.
v. 84: "Con mia donna": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
v. 85: "Accors'io": Dialefe.
v. 86: "L'affocato riso de la stella": Personificazione. Ovvero "riso" sta per "splendore".
vv. 86-87: "Per l'affocato riso de la stella, che mi parea più roggio che l'usato": Similitudine.
v. 91: "Non er'anco ... essausto": Iperbato.
v. 93: "Accetto e fausto": Endiadi.
v. 96: "O Eliòs che sì li addobbi!": Esclamazione.
vv. 97-102: "Come distinta da minori e maggi lumi biancheggia tra ' poli del mondo Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; sì costellati facean nel profondo Marte quei raggi il venerabil segno che fan giunture di quadranti in tondo": Similitudine.
v. 103: "La memoria mia": Anastrofe.
vv. 110-116: "Si movien lumi, scintillando forte nel congiugnersi insieme e nel trapasso: così si veggion qui diritte e torte, veloci e tarde, rinovando vista, le minuzie d'i corpi, lunghe e corte, moversi per lo raggio onde si lista talvolta l'ombra": Similitudine.
v. 117: "Ingegno e arte": Endiadi.
vv. 118-123: "E come giga e arpa, in tempra tesa di molte corde, fa dolce tintinno a tal da cui la nota non è intesa, così da' lumi che lì m'apparinno s'accogliea per la croce una melode che mi rapiva, sanza intender l'inno": Similitudine.
v. 126: "Come a colui che non intende e ode": Similitudine.
v. 130: "La mia parola": Sineddoche, il singolare per il plurale.


Analisi ed Interpretazioni


Nel Canto XIV del Paradiso, Dante conclude il percorso tra gli spiriti sapienti nel Cielo del Sole e introduce il lettore al Cielo di Marte, popolato dalle anime di coloro che hanno combattuto per la fede. Il Canto si sviluppa in due momenti principali: la risoluzione di un dubbio sulla resurrezione dei corpi, grazie all'intervento di Salomone (vv. 1-78), e l'ascesa a Marte con la visione della croce luminosa formata dagli spiriti combattenti (vv. 79-139). Questo canto funge da passaggio tra la serenità intellettuale del Cielo del Sole e l'ardore battagliero del Cielo di Marte, preparando il lettore al trittico di canti dedicati all'avo di Dante, Cacciaguida (XV, XVI, XVII).

Dopo un lungo silenzio durato tre canti (XI, XII, XIII), Beatrice torna a prendere la parola e invita le anime beate a rispondere a un dubbio che Dante non ha ancora espresso, ma che lei ha intuito. Il poeta ricorre a un'immagine semplice e familiare per descrivere il propagarsi della voce di san Tommaso d'Aquino: paragonandola alle onde concentriche che si formano nell'acqua quando si getta un oggetto o quando si percuote un vaso. Il quesito di Dante riguarda la resurrezione dei corpi e il loro splendore dopo il Giudizio Universale: se la luce che avvolge i beati aumenterà con la riunione dell'anima al corpo e, in tal caso, se gli occhi umani potranno sopportarne la vista. La questione, ampiamente dibattuta dalla teologia cristiana del tempo, era già stata accennata da Virgilio nell'Inferno (VI, 103-111) e approfondita da Beatrice nel Paradiso (VII, 121-148).

A rispondere è Salomone, che appare come la luce più splendente della corona di spiriti beati. Il re biblico chiarisce che la luminosità dei beati crescerà dopo la resurrezione, poiché la maggiore perfezione dell'essere umano permetterà un contatto più intenso con Dio, accrescendo così la loro beatitudine. Tuttavia, i loro corpi non diverranno invisibili: saranno visibili l'uno all'altro come un carbone che arde avvolto nella fiamma, e la loro vista sarà potenziata per poter sostenere tale splendore. Questo concetto è ribadito con forza attraverso una triplice anafora del verbo crescer nei vv. 49-51, a sottolineare l'intensificarsi della grazia, della visione divina e della gioia eterna.

Dopo questa rivelazione, l'atmosfera si carica di un nuovo splendore per l'apparizione di altre anime beate che aumentano la luminosità del cielo, preparando il passaggio al Cielo di Marte. Dante e Beatrice ascendono e vengono accolti in una dimensione dominata dal colore rosso, simbolo di ardore e combattività. Qui il poeta assiste alla formazione di una grandiosa croce luminosa, simbolo di fede e sacrificio, nella quale si muovono le anime dei combattenti cristiani. Il rosso intenso di Marte si contrappone alla luce bianca e splendente del Cielo del Sole, segnando la transizione dalla contemplazione sapienziale all'azione eroica.

La croce è paragonata alla Via Lattea che si distende tra i poli celesti, un'immagine che richiama sia il sacrificio di Cristo sia le Crociate, imprese in cui molti di questi spiriti si distinsero. I beati non formano la croce, ma si muovono lungo i suoi assi, brillando di luce rossa e bianca, come particelle di polvere che danzano in un raggio di sole. Il poeta, rapito dalla magnificenza della scena, ode un inno di lode di cui riesce a cogliere solo due parole: Risorgi e Vinci, che alludono alla resurrezione e alla vittoria finale di Cristo sul peccato e sulla morte. La bellezza del canto celeste è descritta come una melodia ineffabile, paragonata a una nota indistinta emessa da uno strumento a corde.

Dante è così sopraffatto dalla grandiosità dello spettacolo che arriva persino a considerare la visione della croce come il momento più sublime mai vissuto, superiore perfino alla bellezza di Beatrice. Tuttavia, si affretta a correggersi, ricordando che ancora non ha rivolto lo sguardo alla sua guida, e che la bellezza dei suoi occhi cresce man mano che ascendono nel Paradiso. Questo dettaglio evidenzia l'importanza allegorica di Beatrice, simbolo della teologia, che solo in questo caso viene momentaneamente messa in secondo piano di fronte alla gloria divina manifestata nella croce.

Il Canto XIV è caratterizzato da un forte simbolismo luminoso, che collega la sapienza divina alla gloria celeste e all'ardore della fede. La struttura retorica è dominata dalla similitudine, impiegata in modo esteso per rendere accessibili concetti complessi e ineffabili. Con questa ascesa, Dante è pronto ad incontrare il suo avo Cacciaguida, che gli rivelerà la sua missione profetica e il significato della sua esperienza ultraterrena.


Passi Controversi


L'espressione fé sùbito caso al v. 4 significa "cadde improvvisamente" nella mente del poeta, riprendendo il termine latino casus, che indica una caduta.

Il v. 25 sembra riferirsi al lamento per la morte in senso generale, senza limitarsi esclusivamente alla propria o a quella dei propri cari.

Nei vv. 27-28, la Trinità è evocata attraverso un elegante chiasmo: Quell'uno e due e tre che sempre vive / e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno. Qui si osserva una precisa corrispondenza tra i tre numeri e i verbi vive e regna, separati in entrambi i versi dall'avverbio sempre.

Al v. 33, muno è un termine di origine latina (munus), che significa "premio" o "dono".

Nel v. 34, dia, che ricorre più volte nel poema, significa "splendente" e con ogni probabilità si riferisce a Salomone, il quale è definito da San Tommaso come "la luce più bella tra noi" (Par. X, 109). Tuttavia, non è del tutto chiaro perché la sua voce sia descritta come modesta e paragonata a quella dell'arcangelo Gabriele durante l'Annunciazione. Forse, Salomone è consapevole dei limiti della sua saggezza regale rispetto a quella teologica degli altri spiriti sapienti, ma questa interpretazione non è completamente soddisfacente.

I vv. 40-42 chiariscono che Dio concede ai beati la grazia illuminante, che accresce la loro visione divina e, di conseguenza, la loro gioia e luminosità. I vv. 49-51 ribadiscono il concetto attraverso una triplice anafora di crescer, invertendo però l'ordine degli elementi.

La similitudine del carbone che rimane visibile anche se avvolto dalla fiamma sembra ispirata a un passo di San Bonaventura (In IV Sent., d. XLIX, 2), dove si legge che il corpo risorto avrà un colore proprio, ma sarà avvolto dalla luce, così come il carbone è avvolto dal fuoco.

Al v. 62, Amme è una forma toscana per "Amen", ancora oggi in uso in alcuni dialetti.

I vv. 74-75 hanno portato alcuni studiosi a ipotizzare l'esistenza di una terza corona di spiriti sapienti che circonda le prime due, ma il testo non sembra confermare questa teoria.

Nel v. 89, olocausto significa "offerta" o "sacrificio". Dante esprime quindi la sua gratitudine a Dio offrendo se stesso. Il termine, che in greco indica una vittima completamente arsa, era noto al poeta attraverso gli scritti di San Tommaso (cfr. vv. 91-92, l'ardor del sacrificio). Al v. 93, litare è un latinismo che significa "sacrificare" ed è usato come sostantivo, apparendo una sola volta nell'intero poema.

Al v. 96, Eliòs è il nome greco del dio Sole, ma qui probabilmente Dante lo usa per riferirsi a Dio. Nelle Derivationes di Uguccione da Pisa, infatti, il poeta aveva trovato una pseudo-etimologia che collegava Ely al nome ebraico di Dio.

I vv. 100-102 descrivono due raggi luminosi che, simili alla Via Lattea, si incrociano perpendicolarmente come gli assi che dividono un cerchio in quattro parti uguali. Ne risulta una croce greca, caratterizzata da bracci della stessa lunghezza.

Nei vv. 104, 106 e 108, la parola Cristo rima con se stessa, un fenomeno già presente in Par. XII, 71-75.

Al v. 106, alcuni commentatori hanno interpretato il termine come un riferimento ai crociati, ma più probabilmente indica chi segue Cristo rinunciando a tutto il resto. Il riferimento potrebbe essere a Matteo 16, 24: Si quis vult post me venire, abneget semetipsum et tollat crucem suam et sequatur me ("Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua").

Al v. 118, giga designa uno strumento a corde medievale, forse simile all'arpa menzionata subito dopo. Il v. 120 è stato spesso interpretato come un riferimento a chi non comprende la musica, ma potrebbe piuttosto alludere a quei suoni indistinti prodotti dagli strumenti a corde, suggerendo che il poeta non riesce a cogliere pienamente la melodia dell'inno dei beati.

Al v. 129, vinci significa "catene" e crea una rima equivoca con vinci del v. 125.

I vv. 133-139 hanno suscitato diverse interpretazioni. L'ipotesi più convincente è che i vivi suggelli / d'ogne bellezza siano gli occhi di Beatrice, i quali diventano sempre più splendenti man mano che Dante sale in Paradiso. Nel Cielo di Marte, il poeta non li ha ancora guardati.

Il gioco di parole Escusar... escusarmi nei vv. 136-137 è un espediente stilistico derivato dalla poesia di Guittone d'Arezzo.

Fonti: libri scolastici superiori

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