Parafrasi e Analisi: "Canto XI" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Analisi ed Interpretazioni
8) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XI del Paradiso di Dante Alighieri si apre con una riflessione sull'incomprensibilità dei disegni divini rispetto alle ambizioni umane. L'intelletto limitato dell'uomo, spesso guidato da desideri effimeri e terreni, fatica a comprendere il vero ordine voluto da Dio, che si manifesta in modi inaspettati e superiori alla logica umana. In questo contesto, il canto si sviluppa come un inno alla sapienza divina, che guida le anime verso il bene supremo attraverso strumenti e figure scelte per adempiere alla volontà celeste.

Dante, proseguendo il suo viaggio nella sfera del Sole, si sofferma sulla gloria della provvidenza divina e sul valore della vita religiosa autentica. Il canto offre una profonda riflessione sull'importanza della missione spirituale e sul contrasto tra la corruzione del mondo e la purezza degli ideali evangelici. In particolare, emerge il tema della santità come espressione della perfetta adesione alla volontà di Dio, testimoniata da coloro che, attraverso la loro esistenza, hanno incarnato il vero spirito della povertà e dell'umiltà.


Testo e Parafrasi


O insensata cura de' mortali,
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l'ali!

Chi dietro a iura e chi ad amforismi
sen giva, e chi seguendo sacerdozio,
e chi regnar per forza o per sofismi,

e chi rubare e chi civil negozio,
chi nel diletto de la carne involto
s'affaticava e chi si dava a l'ozio,

quando, da tutte queste cose sciolto,
con Bëatrice m'era suso in cielo
cotanto glorïosamente accolto.

Poi che ciascuno fu tornato ne lo
punto del cerchio in che avanti s'era,
fermossi, come a candellier candelo.

E io senti' dentro a quella lumera
che pria m'avea parlato, sorridendo
incominciar, faccendosi più mera:

«Così com' io del suo raggio resplendo,
sì, riguardando ne la luce etterna,
li tuoi pensieri onde cagioni apprendo.

Tu dubbi, e hai voler che si ricerna
in sì aperta e 'n sì distesa lingua
lo dicer mio, ch'al tuo sentir si sterna,

ove dinanzi dissi: "U' ben s'impingua",
e là u' dissi: "Non nacque il secondo";
e qui è uopo che ben si distingua.

La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogne aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo,

però che andasse ver' lo suo diletto
la sposa di colui ch'ad alte grida
disposò lei col sangue benedetto,

in sé sicura e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.

L'un fu tutto serafico in ardore;
l'altro per sapïenza in terra fue
di cherubica luce uno splendore.

De l'un dirò, però che d'amendue
si dice l'un pregiando, qual ch'om prende,
perch' ad un fine fur l'opere sue.

Intra Tupino e l'acqua che discende
del colle eletto dal beato Ubaldo,
fertile costa d'alto monte pende,

onde Perugia sente freddo e caldo
da Porta Sole; e di rietro le piange
per grave giogo Nocera con Gualdo.

Di questa costa, là dov' ella frange
più sua rattezza, nacque al mondo un sole,
come fa questo talvolta di Gange.

Però chi d'esso loco fa parole,
non dica Ascesi, ché direbbe corto,
ma Orïente, se proprio dir vuole.

Non era ancor molto lontan da l'orto,
ch'el cominciò a far sentir la terra
de la sua gran virtute alcun conforto;

ché per tal donna, giovinetto, in guerra
del padre corse, a cui, come a la morte,
la porta del piacer nessun diserra;

e dinanzi a la sua spirital corte
et coram patre le si fece unito;
poscia di dì in dì l'amò più forte.

Questa, privata del primo marito,
millecent' anni e più dispetta e scura
fino a costui si stette sanza invito;

né valse udir che la trovò sicura
con Amiclate, al suon de la sua voce,
colui ch'a tutto 'l mondo fé paura;

né valse esser costante né feroce,
sì che, dove Maria rimase giuso,
ella con Cristo pianse in su la croce.

Ma perch' io non proceda troppo chiuso,
Francesco e Povertà per questi amanti
prendi oramai nel mio parlar diffuso.

La lor concordia e i lor lieti sembianti,
amore e maraviglia e dolce sguardo
facieno esser cagion di pensier santi;

tanto che 'l venerabile Bernardo
si scalzò prima, e dietro a tanta pace
corse e, correndo, li parve esser tardo.

Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!
Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro
dietro a lo sposo, sì la sposa piace.

Indi sen va quel padre e quel maestro
con la sua donna e con quella famiglia
che già legava l'umile capestro.

Né li gravò viltà di cuor le ciglia
per esser fi' di Pietro Bernardone,
né per parer dispetto a maraviglia;

ma regalmente sua dura intenzione
ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe
primo sigillo a sua religïone.

Poi che la gente poverella crebbe
dietro a costui, la cui mirabil vita
meglio in gloria del ciel si canterebbe,

di seconda corona redimita
fu per Onorio da l'Etterno Spiro
la santa voglia d'esto archimandrita.

E poi che, per la sete del martiro,
ne la presenza del Soldan superba
predicò Cristo e li altri che 'l seguiro,

e per trovare a conversione acerba
troppo la gente e per non stare indarno,
redissi al frutto de l'italica erba,

nel crudo sasso intra Tevero e Arno
da Cristo prese l'ultimo sigillo,
che le sue membra due anni portarno.

Quando a colui ch'a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch'el meritò nel suo farsi pusillo,

a' frati suoi, sì com' a giuste rede,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l'amassero a fede;

e del suo grembo l'anima preclara
mover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara.

Pensa oramai qual fu colui che degno
collega fu a mantener la barca
di Pietro in alto mar per dritto segno;

e questo fu il nostro patrïarca;
per che qual segue lui, com' el comanda,
discerner puoi che buone merce carca.

Ma 'l suo pecuglio di nova vivanda
è fatto ghiotto, sì ch'esser non puote
che per diversi salti non si spanda;

e quanto le sue pecore remote
e vagabunde più da esso vanno,
più tornano a l'ovil di latte vòte.

Ben son di quelle che temono 'l danno
e stringonsi al pastor; ma son sì poche,
che le cappe fornisce poco panno.

Or, se le mie parole non son fioche,
se la tua audïenza è stata attenta,
se ciò ch'è detto a la mente revoche,

in parte fia la tua voglia contenta,
perché vedrai la pianta onde si scheggia,
e vedra' il corrègger che argomenta

"U' ben s'impingua, se non si vaneggia"».
Oh uomini, quanto sono insensate le vostre preoccupazioni,
quanto sono imperfetti i vostri ragionamenti,
che vi fanno rivolgere agli interessi terreni!

Chi si occupa della scienza del diritto e chi della medicina,
chi insegue qualche carica religiosa senza averne vocazione
e chi il dominio politico ottenuto con la violenza o con l'inganno,

chi si occupa di rubare e chi segue gli affari civili,
chi si affanna intento a soddisfare il piacere della carne
e chi si dedicava all'ozio,

mentre io, libero da tutti questi vani interessi terreni,
lassù in cielo, in compagnia di Beatrice, venivo
tanto gloriosamente accolto in Paradiso.

Dopo che tutte le anime beate furono tornate nel
punto del cerchio in cui si trovavano inizialmente,
si fermarono, fissandosi come una candele in un candeliere.

Ed io sentii quella luce,
che mi aveva prima parlato, sorridendo e diventando
ancora più pura, più luminosa, ricominciare a parlare:

"Dal momento che la mia luminosità deriva dalla luce di Dio,
così, guardando in essa,
posso conoscere l'origine di tutti i tuoi pensieri.

Tu hai dei dubbi e vorresti che vengano meglio spiegate,
nel linguaggio più chiaro e più semplice possibile,
così da agevolare la tua comprensione, le mie parole,

quando prima ti ho detto: "Dove si ingrassa bene",
e anche dove dissi: "Non nacque il secondo";
ed ora è necessario che ti spieghi meglio le due affermazioni.

La provvidenza divina, che regola il mondo
con quella sapienza che la facoltà intellettiva di ogni
creatura non può arrivare a comprendere a fondo,

affinché potesse andare incontro al suo tenero amante
la sposa, la Chiesa, di colui, Cristo, che con alte grida
la prese in sposa versando il proprio sangue sulla croce,

più sicura di sé ed anche più fedele a lui,
istituì due uomini eccellenti che la servissero e che dall'una (nella
sapienza) e dall'altra parte (nella carità) le facessero da guida.

L'uno, San Francesco, fu simile ad un angelo Serafino nel suo
ardore di carità; l'altro, San Domenico, fu in Terra
uno splendore di sapienza come un Cherubino.

Parlerò solo del primo, dal momento che di entrambi
si parla comunque se si loda uno qualunque dei due,
poiché le loro opere furono indirizzate verso un medesimo fine.

Tra il fiume Tupino e il corso d'acqua, il fiume Chiascio, che
scende dal colle prescelto da Ubaldo per la sua vita da eremita,
si trova il fertile versante dell'alto monte Subasio,

dal quale Perugia riceve, a seconda delle stagioni, freddo e caldo
da Porta a Sole; mentre dall'altro lato sono oppresse
da quell'alto monte le città di Nocera e Gualdo Tadino.

Su questo versante, dalla parte in cui la montagna diviene
meno ripida, nacque un uomo destinato ad illuminare il mondo,
tanto luminoso e fertile quanto il sole durante l'equinozio di primavera.

Perciò, chi parla di quel luogo
non dica Assisi, perché direbbe troppo poco di esso,
ma dica Oriente, origine del sole, se vuole essere preciso.

Non era ancora molto in là con gli anni (lontano dalla nascita),
che cominciò a fare sentire alla sua patria
i benefici della sua grande virtù;

poiché, ancora in giovane età, per amore di una donna, la
Povertà, si oppose al proprio padre, una donna che, come si
fa con la morte, nessuno ha il piacere ad accogliere;

e così, di fronte alla curia episcopale di Assisi
ed in presenza del padre, si unì con lei in matrimonio;
e l'amo poi sempre di più giorno dopo giorno.

Questa donna, rimasta vedova del suo primo marito, Gesù,
per più di mille anni era stato trascurata e disprezzata,
e fino all'arrivo di questo uomo era rimasta senza pretendenti;

non valse a niente l'aver appreso della sicurezza che poté godere
con lei, in compagnia anche di Amiclate, Cesare,
colui che da tutto il mondo era temuto;

non le valse a niente neanche l'essere stata tanto fedele e
coraggiosa, laddove Maria era dovuta rimanere giù,
da salire e piangere con Cristo dall'alto della croce.

Ma affinché non continui in questo discorso troppo oscuro,
San Francesco e la Povertà sono i due amanti
ai quali faccio riferimento nel mio discorso.

La loro concordia e i loro volti lieti,
l'amore, l'ammirazione e i loro dolci sguardi
davano origini e pensieri santi, puri;

tanto che il venerabile Bernardo
fu il primo che si tolse i sandali e dietro ad una tale pace
corse e, per correndo, gli sembrava di essere in ritardo.

Oh ricchezza sconosciuta! Oh grande abbondanza di virtù!
Si tolse i sandali Egidio e se li tolse anche Silvestro per seguire
lo sposo, Francesco, tanto piacque la sposa, la Povertà.

Francesco, padre e maestro, andò quindi a Roma dal papa
con la sua donna, Povertà, e con quel gruppo di fratelli
che già si legavano alla vita l'umile cordone.

Non abbassò lo sguardo per la vergogna di
essere figlio di un semplice mercante, Pietro Bernardone,
né per il proprio abito tanto spregevole da suscitare meraviglia;

ma, al contrario, dichiarò con parole dignitose
la propria dura regola religiosa a papa Innocenzo III, e da lui
ricevette la prima approvazione per il nuovo ordine.

Dopo che crebbe in numero il gruppo di seguaci senza beni
materiali, sul suo esempio, la cui incredibile vita
sarebbe degna di essere cantata dagli angeli del Paradiso,

un seconda corona, una seconda approvazione,
fa data dallo Spirito Santo, tramite papa Onorio III,
al santo volere di questo pastore, all'ordine di San Francesco.

E dopo che, per l'intenso desiderio di testimoniare, anche con il
proprio sacrificio, la fedeltà a Gesù, in presenza del superbo
Sultano d'Egitto predicò la dottrina di Cristo e dei suoi apostoli,

trovando non ancora matura per la conversione
quella gente, per non rimanere senza fare nulla,
ritornò in Italia, dove la sua azione prometteva maggiori frutti,

sulla cima rocciosa del monte Verna, tra la sorgente del Tevere e
quella dell'Arno, e prese da Cristo le stigmate, l'ultimo sigillo al suo operato,
che portò sul proprio corpo per due anni, fino alla morte.

Quando a Dio, che lo aveva prescelto per compiere tanto bene,
piacque di condurlo a sé per dargli la ricompensa
che si era meritato vivendo, per vocazione, nella povertà,

ai frati suoi seguaci, come legittimi eredi,
raccomandò la sua più cara donna, la Povertà,
e comandò loro di amarla fedelmente;

e dal grembo di lei l'anima gloriosa di Francesco
volle separarsi, per tornare al suo creatore, a Dio,
e per il suo corpo non volle altro come sepoltura, se non il grembo di lei, posto nudo a terra.

Pensa dunque ora a chi fu colui che fu prescelto come degno
collega di San Francesco per mantenere la barca
di Pietro, la Chiesa, sulla giusta rotta anche in alto mare, nelle grosse difficoltà;

questo uomo fu il nostro patriarca, San Domenico, il fondatore
del nostro ordine; perciò chi segue i suoi insegnamenti
puoi ben capire quale ricco tesoro spirituale acquisisca.

Ma il suo gregge è ormai diventato avido
di un nuovo nutrimento, tanto che non può
che disperdersi per diversi pascoli selvatici;

e quanto più le sue pecorelle si allontanano
per vagabondare lontano da lui, dai suoi insegnamenti, tanto
più ritornano poi all'ovile prive di latte, di ricchezza di spirito.

Ci sono anche frati che temono le conseguenze
dell'allontanamento e si stringono quindi al pastore; ma sono
così pochi che occorre poco panno per cucire i loro mantelli.

Ora, se le mie parole non sono di difficile comprensione,
se le hai ascoltate attentamente,
se richiami alla mente ciò che ti ho detto,

sarà stato in parte soddisfatto il tuo desiderio di sapere,
perché vedrai come si stia guastando la pianta dell'ordine
domenicano e capirai il significato della frase oscura

in cui si riceve un ricco nutrimento spirituale, se non ci si perde in cose futili."



Riassunto


Il Canto XI del Paradiso si apre con un'invocazione di Dante, in cui il poeta riflette sulla vanità degli affanni terreni. Gli uomini spesso sprecano la loro vita inseguendo piaceri materiali o una gloria effimera, ottenuta con inganno o violenza. Dante, ormai elevato al di sopra di queste preoccupazioni, può ascendere al cielo insieme a Beatrice, accolto tra le anime beate.

Successivamente, il racconto riprende il discorso interrotto nel Canto X. La corona di anime luminose si ferma e San Tommaso d'Aquino, che aveva già parlato in precedenza, si fa più radioso e riprende la parola. Egli comprende, attraverso la volontà divina, che alcune delle sue affermazioni precedenti non sono chiare a Dante e si appresta a chiarirle.

San Tommaso introduce quindi il tema centrale del canto: la vita di San Francesco d'Assisi. Egli spiega che la Provvidenza ha donato alla Chiesa due grandi guide, due "prìncipi spirituali": Francesco, il cui ardore mistico lo rende simile ai Serafini, e Domenico, la cui sapienza lo avvicina ai Cherubini. Poiché entrambi hanno avuto lo stesso scopo, lodando Francesco, si rende onore anche a Domenico.

Segue una descrizione del luogo di nascita di San Francesco, Assisi, presentato con immagini poetiche che sottolineano la grandezza spirituale del Santo. Dante lo paragona al sole per il conforto che le sue virtù portano agli uomini.

Uno degli episodi più significativi del canto è quello delle nozze mistiche tra San Francesco e la Povertà. Con una lunga metafora, Tommaso racconta come Francesco abbia scelto come sua sposa la Povertà, una donna virtuosa ma disprezzata dagli uomini da oltre mille anni. Per amore di essa, affrontò l'ira paterna e si dedicò interamente a una vita di sacrificio e umiltà.

L'amore di Francesco per la Povertà ispirò molti altri a seguirlo. Il primo compagno fu Bernardo di Quintavalle, presto seguito da altri fedeli. Francesco, ormai guida di una nuova comunità, si recò a Roma per ottenere l'approvazione della sua regola da Papa Innocenzo III, ricevendo una prima autorizzazione, poi confermata definitivamente da Papa Onorio III. Spinto dal desiderio di predicare il Vangelo, viaggiò fino in Terra Santa, ma trovò un'accoglienza ostile e il Sultano rifiutò di ascoltarlo.

Di ritorno in Italia, Francesco si ritirò sul Monte della Verna, dove ricevette le stimmate, segno del suo profondo legame con Cristo. Portò questi segni per due anni, fino alla sua morte, quando affidò il suo ordine ai suoi fratelli prima di salire in cielo.

Concludendo il suo discorso, San Tommaso sposta l'attenzione sull'Ordine domenicano, sottolineando come, sebbene sia stato fondato su principi di disciplina e rigore spirituale, molti suoi membri si siano allontanati dalla regola originale per inseguire ricchezze materiali. Tommaso denuncia la corruzione e la decadenza dell'Ordine, arrivando a dire che basterebbe poca stoffa per confezionare le tonache dei frati ancora fedeli agli insegnamenti di San Domenico.

Infine, il canto può essere suddiviso in cinque sezioni principali:

vv. 1-27Invocazione iniziale di Dante e riflessione sulla vanità delle preoccupazioni terrene.
vv. 28-42Introduzione alla missione di San Francesco e San Domenico.
vv. 43-54Descrizione del luogo di nascita di San Francesco.
vv. 56-117Vita di San Francesco, dalle nozze con la Povertà fino alla morte.
vv. 118-139Critica alla corruzione dell'Ordine domenicano.


Figure Retoriche


v. 1: "O insensata cura de' mortali": Apostrofe.
v. 3: "Che ti fanno in basso batter l'ali": Metafora.
vv. 6-7: "E chi ... e chi": Anafora.
vv. 8-9: "Chi nel diletto de la carne involto s'affaticava e chi si dava a l'ozio": Antitesi.
vv. 8-9: "Involto / s'affaticava": Enjambement.
vv. 13-14: "Ne lo / punto del cerchio": Enjambement.
v. 15: "Come a candellier candelo": Similitudine.
v. 16: "Quella lumera": Perifrasi. Per indicare san Tommaso.
vv. 17-18: "Sorridendo / incominciar": Enjambement e Anastrofe.
v. 24: "Lo dicer mio": Anastrofe.
v. 28: "La provedenza, che governa il mondo": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 29-30: "Ogne aspetto / creato": Enjambement.
v. 32: "La sposa": Perifrasi. Per indicare la Chiesa.
vv. 32-33: "Di colui ch'ad alte grida disposò lei": Perifrasi. Per indicare Cristo. La Chiesa sposa Cristo è perifrasi tipica del linguaggio mistico e tratta dagli Atti degli Apostoli.
v. 33: "Col sangue benedetto": Metafora. S'intende sulla croce.
v. 37: "L'un": Perifrasi. Per indicare s. Francesco.
v. 37: "Fu tutto serafico in ardore": Similitudine.
v. 38: "L'altro": Perifrasi. Per indicare s. Domenico.
vv. 38-39: "Fue di cherubica luce uno splendore": Similitudine.
vv. 38-39: "Fue / di cherubica luce uno splendore": Enjambement.
v. 42: "L'opere sue": Anastrofe.
vv. 43-44: "E l'acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo": Perifrasi.
v. 45: "D'alto monte": Perifrasi. Per indicare il monte Subasio.
vv. 49-50: "Là dov'ella frange più sua rattezza": Perifrasi. Per indicare Assisi.
v. 50: "Nacque al mondo un sole": Perifrasi. Per indicare s. Francesco.
v. 51: "Come fa questo tal volta di Gange": Similitudine.
v. 58: "Tal donna": Allegoria. Per indicare la povertà.
v. 59: "Come a la morte": Similitudine.
v. 61: "Spirital corte": Anastrofe.
v. 64: "Primo marito": Perifrasi. Per indicare Cristo.
v. 69: "Colui ch'a tutto 'l mondo fé paura": Perifrasi. Per indicare Cesare, colui che fece paura a tutto il mondo.
v. 73: "Non proceda troppo chiuso": Metafora.
vv. 80-81: "E dietro a tanta pace / corse": Enjambement.
v. 82: "Oh ignota ricchezza! oh ben ferace!": Apostrofe.
v. 84: "La sposa": Allegoria. Per indicare la povertà.
v. 88: "Le ciglia": Sineddoche. La parte per il tutto, le ciglia anziché la fronte.
v. 105: "L'italica erba": Anastrofe.
v. 107: "L'ultimo sigillo": Metafora. Per indicare le stimmate.
v. 109: "A colui ch'a tanto ben sortillo": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 112: "A' frati suoi": Anastrofe.
v. 112: "Sì com'a giuste rede": Similitudine.
v. 113: "La donna sua": Anastrofe.
v. 113: "La donna sua più cara": Allegoria. Per indicare la povertà.
v. 116: "Mover si volle": Anastrofe.
vv. 118-119: "Colui che degno collega fu": Perifrasi. Per indicare san Domenico, al pari di san Francesco.
vv. 118-119: "Degno / collega": Enjambement.
vv. 119-120: "La barca / di Pietro": Enjambement.
vv. 119-120: "La barca di Pietro": Metafora. Per indicare la Chiesa.
v. 123: "Buone merce carca": Metafora.
v. 129: "Di latte vòte": Anastrofe.
v. 137: "Vedrai la pianta onde si scheggia": Metafora.


Personaggi Principali


San Tommaso d'Aquino: Vita, Filosofia e Opere

Infanzia e Formazione
Nato nel 1225 in una località dell'attuale provincia di Frosinone, Tommaso d'Aquino trascorse i suoi primi anni nel monastero di Montecassino, per poi proseguire gli studi a Napoli. Intorno ai vent'anni, decise di entrare nell'Ordine domenicano, intraprendendo un percorso di studio che lo portò prima a Colonia e poi a Parigi. Proprio nella capitale francese iniziò ad insegnare teologia presso l'Università, grazie anche alla raccomandazione del suo maestro, Alberto Magno.

Il Pensiero Scolastico
Tommaso d'Aquino divenne una delle figure più rappresentative della Scolastica, corrente filosofica medievale che mirava a conciliare la teologia cristiana con il pensiero filosofico greco, in particolare quello aristotelico. Al centro della sua riflessione vi era il ruolo fondamentale dell'intelletto nella conoscenza e nella fede.

Incarichi e la Summa Theologiae
Grazie alla sua profonda conoscenza della teologia e della filosofia, Tommaso ottenne incarichi prestigiosi. Nel 1265, Papa Urbano IV lo chiamò a Roma affidandogli il compito di formare i teologi della Curia. Fu in questo periodo che iniziò a scrivere la sua opera più importante, la Summa Theologiae.

Gli Ultimi Anni
Nel 1272, il Capitolo Generale dei Domenicani gli assegnò il compito di fondare uno Studium di Teologia a Napoli. Successivamente, ricevette anche l'offerta dell'arcivescovado della città, che però rifiutò. Nel 1274, durante un viaggio verso Lione per partecipare a un concilio, si ammalò e morì prima di poter raggiungere la destinazione.

San Francesco d'Assisi: Vita e Eredità Spirituale

La Giovinezza e la Conversione
Francesco d'Assisi, nato nel 1181 in una famiglia benestante, trascorse i primi anni della sua vita immerso negli agi. Tuttavia, nel 1206, attraversò una crisi spirituale profonda che lo portò a rinunciare a ogni ricchezza materiale e a dedicarsi completamente ai bisognosi.

Il Distacco dalla Famiglia e la Vita in Povertà
Questa scelta radicale provocò una reazione drastica da parte del padre, che lo costrinse a comparire davanti alla corte episcopale per convincerlo a tornare sui suoi passi. Francesco, in risposta, si spogliò pubblicamente dei suoi abiti lussuosi, sancendo così il suo definitivo distacco dalla vita precedente.

La Fondazione dell'Ordine Francescano
Seguendo gli insegnamenti evangelici, Francesco iniziò a vivere in totale povertà, attirando presto un numero crescente di seguaci. Il movimento, caratterizzato da un'immediata e rapida diffusione, fu inizialmente riconosciuto da Papa Innocenzo III e ufficialmente approvato successivamente da Onorio III.

Le Difficoltà e le Stimmate
Nel tempo, all'interno dell'ordine sorsero divergenze tra chi voleva attenuare l'ideale di povertà assoluta e chi, invece, desiderava seguirlo con rigore. Per evitare questi contrasti, Francesco si ritirò sul monte Verna, dove nel 1224 ricevette il segno delle stimmate. Morì due anni dopo, lasciando un'eredità spirituale indelebile.

L'Influenza Spirituale e il Parallelo con Cristo
Dante, nella Divina Commedia, presenta Francesco con una forte connotazione simbolica e spirituale. Il poeta traccia un parallelo tra la sua figura e quella di Cristo, descrivendolo come un sole nascente e sottolineando la sua unione mistica con la Povertà. Questa interpretazione enfatizza il carattere sacro della sua missione e il suo profondo legame con la fede cristiana.


Analisi ed Interpretazioni


Il canto è in gran parte dedicato alla figura di San Francesco e presenta una struttura simmetrica rispetto al Canto XII. Qui, infatti, è San Tommaso d'Aquino, domenicano, a esaltare le virtù di Francesco e a denunciare le mancanze del proprio ordine, mentre nel canto successivo sarà il francescano San Bonaventura a elogiare San Domenico e a mettere in luce le deviazioni dei Francescani. Questa costruzione crea un effetto di chiasmo e conferisce solennità e armonia alla narrazione.

L'intervento di Tommaso prende spunto da un dubbio di Dante, derivante da un'affermazione nel Canto X, dove, parlando dei Domenicani, il poeta aveva detto: u' ben s'impingua se non si vaneggia (v. 96). La biografia di Francesco diventa quindi un pretesto per evidenziare la corruzione diffusa nell'ordine domenicano. Il canto si apre con un'accusa generale di Dante nei confronti dell'umanità, che si affanna dietro beni terreni anziché cercare quelli celesti. A differenza di questi uomini, il poeta, ormai libero da tali preoccupazioni, è accolto nella gloria celeste accanto a Beatrice.

San Tommaso introduce la figura di Francesco perché, come Domenico, è stato inviato dalla Provvidenza con lo scopo di sostenere la Chiesa e guidarla nel suo cammino. Questa visione complementare dei due santi era comune nel Trecento: Francesco, ardente di carità, e Domenico, depositario della sapienza divina, sono paragonati rispettivamente a un Serafino e a un Cherubino.

La narrazione della vita di Francesco si apre con una solenne descrizione di Assisi, simile per toni a quella del Canto VIII dedicata a Carlo Martello e alla perifrasi del Canto IX su Folchetto di Marsiglia. Francesco viene paragonato a un Sole che sorge per illuminare il mondo, un'immagine che richiama la nascita del Sole all'orizzonte orientale (sul Gange) nell'equinozio di primavera, quando la sua luce è più benefica. Il nome della città, Ascesi, potrebbe richiamare non solo la località geografica, ma anche l'idea dell'elevazione spirituale.

Dante si ispira alle fonti agiografiche del primo Trecento, come gli Actus beati Francisci e la Legenda maior di San Bonaventura, ma omette gli episodi più popolari per concentrarsi su un aspetto più simbolico: il matrimonio mistico di Francesco con la Povertà. Questa scelta lo presenta come un modello ideale di uomo di Chiesa, in contrasto con l'avidità e la corruzione ecclesiastica. Francesco si oppone al padre per sposare la Povertà, descritta come una vedova abbandonata dopo la morte di Cristo, e si spoglia pubblicamente di ogni bene materiale. Da quel momento, il suo amore per la Povertà cresce ogni giorno, seguendo l'imitatio Christi: Francesco è rappresentato come un alter Christus, il cui esempio di vita si fonda su povertà e umiltà.

Attorno a lui si raccoglie una comunità di seguaci, i quali rinunciano a ogni ricchezza e indossano il semplice capestro francescano, simbolo del loro nuovo stile di vita. La Regola francescana riceve tre conferme: le prime due dai papi Innocenzo III e Onorio III, mentre la terza, la più significativa, è segnata dalle stimmate, che rappresentano il sigillo dello Spirito Santo. Pur seguendo le linee generali della biografia bonaventuriana, Dante esalta la dignità e la regalità di Francesco, mostrandolo risoluto e carismatico persino davanti a papa Innocenzo, quando sottopone la sua Regola. Lo stesso accade nell'incontro con il Sultano d'Egitto, qui descritto come un sovrano superbo, mentre nelle fonti il suo atteggiamento è più benevolo. Francesco affronta questo viaggio con il desiderio di martirio, ma il suo messaggio evangelico non riesce a convertire quei popoli, ancora impreparati ad accoglierlo.

Tornato in Italia, dopo aver ricevuto le stimmate e in procinto di lasciare la vita terrena, Francesco rinnova ai suoi fratelli l'invito a seguire fedelmente la Povertà e chiede di essere sepolto nudo nella terra, un ultimo gesto coerente con il suo ideale di totale rinuncia alle ricchezze. Questa fedeltà alla Regola sarà in seguito motivo di divisione tra i Francescani, che si scinderanno tra spirituali e conventuali, a seconda di quanto rigidamente ne interpretassero i principi.

Il canto si chiude con un severo rimprovero di San Tommaso ai membri corrotti dell'Ordine domenicano, i quali hanno abbandonato l'insegnamento di San Domenico per inseguire ricchezze e potere. Dante utilizza la metafora evangelica del gregge che si allontana dal pastore per cercare pascoli più allettanti, riprendendo il tema della decadenza della Chiesa già presente nel Paradiso. La denuncia di Tommaso richiama le parole di Folchetto nel Canto IX e anticipa altre critiche contro la corruzione ecclesiastica, come l'attacco a papa Giovanni XXII nel Canto XVIII e il discorso di San Pietro contro Bonifacio VIII nel Canto XXVII.

Attraverso la figura di Francesco, Dante offre un modello di purezza e dedizione evangelica, in netto contrasto con i prelati corrotti che hanno tradito il messaggio cristiano. La sua vita rappresenta il ritorno agli ideali originari della Chiesa, un tema centrale in tutta la terza cantica della Divina Commedia.


Passi Controversi


Nel verso 2, il termine silogismi fa riferimento ai ragionamenti tipici della logica aristotelica e scolastica. La forma con una sola "l" è più diffusa nei manoscritti, come accade per parole quali palido o Caliopè. Nel verso 4, iura si riferisce agli studi giuridici, mentre amforismi richiama gli studi medici, in particolare gli Aforismi di Ippocrate.

Al verso 13, ne lo è una rima composta che va letta come «nèlo». Il verso 26 propone la lezione nacque invece di surse (presente in Paradiso X, 114), poiché è la variante attestata nella maggior parte dei manoscritti e non è necessario che Tommaso riprenda esattamente le sue parole. Nei versi 29-30, l'espressione aspetto / creato significa "la vista di ogni creatura", sia umana che angelica.

Nel verso 32, la sposa è la Chiesa, unita a Cristo, che l'ha consacrata con il suo sangue. Nei versi 37-39, Francesco e Domenico sono accostati rispettivamente a un Serafino e a un Cherubino. Questa associazione si basa sulla Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino (I, q. LXIII), in cui si spiega che i Serafini simboleggiano l'ardore della carità e i Cherubini la sapienza. Un'analoga immagine compare anche nella Legenda maior di San Bonaventura.

Nel verso 43, l'acqua citata è il fiume Chiascio, che nasce dal monte Ausciano, dove nel XII secolo il beato Ubaldo Baldassini si ritirò in eremitaggio. Nei versi 46-48 si evidenzia la posizione favorevole di Perugia, protetta dal monte Subasio sia dal caldo estivo che dal freddo invernale. Al contrario, città come Nocera e Gualdo, situate dall'altro lato del monte, subiscono condizioni climatiche più rigide. Alcuni studiosi hanno ipotizzato un riferimento al dominio politico di Perugia su queste città, ma questa interpretazione appare poco probabile.

Al verso 51, il termine questo indica il Sole, che all'equinozio di primavera sorge dal Gange (considerato nel Medioevo l'estremo Oriente) ed emana il massimo splendore e beneficio. Ciò spiega perché Assisi venga definita "Oriente", avendo dato i natali a Francesco, paragonato al Sole. La variante Ascesi era diffusa nella lingua dell'Italia centrale, anche se Dante potrebbe aver giocato sul doppio significato, alludendo anche all'ascesi spirituale.

Nel verso 55, orto è un latinismo che significa "nascita", richiamando il termine latino ortus, spesso usato per indicare il sorgere del Sole. Nel verso 61, la spirital corte si riferisce al tribunale ecclesiastico davanti al quale il padre di Francesco trascinò il figlio. Nel verso 64, la Povertà è descritta come vedova, in quanto il suo primo sposo fu Cristo, che morendo sulla croce la lasciò sola.

I versi 67-69 rievocano un episodio narrato da Lucano nella Pharsalia (V, 519 e seguenti), in cui si racconta di Amiclàte, un povero pescatore che non aveva timore di lasciare la porta della sua capanna aperta, nonostante le incursioni di Cesare e Pompeo durante la guerra civile. Dante menziona questo episodio anche nel Convivio (IV, 13).

Nel verso 79 viene citato Bernardo di Quintavalle, il primo seguace di Francesco secondo Bonaventura. Fondò il primo convento francescano a Bologna nel 1211 e fu presente alla morte del santo. Nei versi successivi, compaiono altri due discepoli: Egidio, noto per la sua semplicità, e Silvestro, un sacerdote di Assisi. Secondo una leggenda, quest'ultimo si unì all'Ordine dopo aver sognato Francesco difendere la città da un drago.

Nei versi 95-96 si suggerisce che la vita di Francesco venga celebrata non tanto per la sua persona, ma per la gloria divina. Alcuni studiosi ritengono che il riferimento possa riguardare anche i francescani corrotti, la cui celebrazione terrena non sarebbe all'altezza di quella celeste.

Al verso 97, redimita è un termine di origine latina che significa "coronata", mentre archimandrita (v. 99) è un grecismo che indica un "pastore". Entrambi i termini nobilitano lo stile del discorso di Tommaso.

Nel verso 106, il crudo sasso è il monte della Verna, in Toscana, dove Francesco ricevette le stimmate. Nel verso 111, pusillo è un altro latinismo e significa "umile".

Nel verso 137, l'espressione fa riferimento all'origine della corruzione dell'Ordine domenicano. Nel verso 138, il termine corrègger è un infinito sostantivato che può essere inteso come "incisione" o "correzione", in relazione all'espressione se non si vaneggia. Alcuni studiosi lo interpretano invece come un riferimento ai frati domenicani, che venivano chiamati "correggeri" perché indossavano una cintura di cuoio anziché il cordone francescano (da cui il nome cordiglieri per i francescani).

Fonti: libri scolastici superiori

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