Parafrasi e Analisi: "Canto XVIII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Nel Canto XVIII del Paradiso, Dante affronta un tema di grande importanza teologica e filosofica: la contemplazione della sapienza divina e l'indagine sulla giustizia di Dio, soprattutto in relazione al destino degli esseri umani. In questo canto, l'autore approfondisce il mistero del libero arbitrio, della provvidenza e della distribuzione della grazia divina, interrogandosi sul modo in cui Dio, nella sua perfezione, governa il mondo e distribuisce i suoi doni. La riflessione si inserisce nel contesto della visione mistica e della luce eterna che Dante sta sperimentando, mentre cerca di comprendere la verità che si cela dietro il disegno divino, al di là delle apparenze terrene.


Testo e Parafrasi


Già si godeva solo del suo verbo
quello specchio beato, e io gustava
lo mio, temprando col dolce l'acerbo;

e quella donna ch'a Dio mi menava
disse: «Muta pensier; pensa ch'i' sono
presso a colui ch'ogne torto disgrava».

Io mi rivolsi a l'amoroso suono
del mio conforto; e qual io allor vidi
ne li occhi santi amor, qui l'abbandono:

non perch' io pur del mio parlar diffidi,
ma per la mente che non può redire
sovra sé tanto, s'altri non la guidi.

Tanto poss' io di quel punto ridire,
che, rimirando lei, lo mio affetto
libero fu da ogne altro disire,

fin che 'l piacere etterno, che diretto
raggiava in Bëatrice, dal bel viso
mi contentava col secondo aspetto.

Vincendo me col lume d'un sorriso,
ella mi disse: «Volgiti e ascolta;
ché non pur ne' miei occhi è paradiso».

Come si vede qui alcuna volta
l'affetto ne la vista, s'elli è tanto,
che da lui sia tutta l'anima tolta,

così nel fiammeggiar del folgór santo,
a ch'io mi volsi, conobbi la voglia
in lui di ragionarmi ancora alquanto.

El cominciò: «In questa quinta soglia
de l'albero che vive de la cima
e frutta sempre e mai non perde foglia,

spiriti son beati, che giù, prima
che venissero al ciel, fuor di gran voce,
sì ch'ogne musa ne sarebbe opima.

Però mira ne' corni de la croce:
quello ch'io nomerò, lì farà l'atto
che fa in nube il suo foco veloce».

Io vidi per la croce un lume tratto
dal nomar Iosuè, com' el si feo;
né mi fu noto il dir prima che 'l fatto.

E al nome de l'alto Macabeo
vidi moversi un altro roteando,
e letizia era ferza del paleo.

Così per Carlo Magno e per Orlando
due ne seguì lo mio attento sguardo,
com' occhio segue suo falcon volando.

Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo
e 'l duca Gottifredi la mia vista
per quella croce, e Ruberto Guiscardo.

Indi, tra l'altre luci mota e mista,
mostrommi l'alma che m'avea parlato
qual era tra i cantor del cielo artista.

Io mi rivolsi dal mio destro lato
per vedere in Beatrice il mio dovere,
o per parlare o per atto, segnato;

e vidi le sue luci tanto mere,
tanto gioconde, che la sua sembianza
vinceva li altri e l'ultimo solere.

E come, per sentir più dilettanza
bene operando, l'uom di giorno in giorno
s'accorge che la sua virtute avanza,

sì m'accors' io che 'l mio girare intorno
col cielo insieme avea cresciuto l'arco,
veggendo quel miracol più addorno.

E qual è 'l trasmutare in picciol varco
di tempo in bianca donna, quando 'l volto
suo si discarchi di vergogna il carco,

tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto,
per lo candor de la temprata stella
sesta, che dentro a sé m'avea ricolto.

Io vidi in quella giovïal facella
lo sfavillar de l'amor che lì era
segnare a li occhi miei nostra favella.

E come augelli surti di rivera,
quasi congratulando a lor pasture,
fanno di sé or tonda or altra schiera,

sì dentro ai lumi sante creature
volitando cantavano, e faciensi
or D, or I, or L in sue figure.

Prima, cantando, a sua nota moviensi;
poi, diventando l'un di questi segni,
un poco s'arrestavano e taciensi.

O diva Pegasëa che li 'ngegni
fai glorïosi e rendili longevi,
ed essi teco le cittadi e ' regni,

illustrami di te, sì ch'io rilevi
le lor figure com' io l'ho concette:
paia tua possa in questi versi brevi!

Mostrarsi dunque in cinque volte sette
vocali e consonanti; e io notai
le parti sì, come mi parver dette.

'DILIGITE IUSTITIAM', primai
fur verbo e nome di tutto 'l dipinto;
'QUI IUDICATIS TERRAM', fur sezzai.

Poscia ne l'emme del vocabol quinto
rimasero ordinate; sì che Giove
pareva argento lì d'oro distinto.

E vidi scendere altre luci dove
era il colmo de l'emme, e lì quetarsi
cantando, credo, il ben ch'a sé le move.

Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi
surgono innumerabili faville,
onde li stolti sogliono agurarsi,

resurger parver quindi più di mille
luci e salir, qual assai e qual poco,
sì come 'l sol che l'accende sortille;

e quïetata ciascuna in suo loco,
la testa e 'l collo d'un'aguglia vidi
rappresentare a quel distinto foco.

Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi;
ma esso guida, e da lui si rammenta
quella virtù ch'è forma per li nidi.

L'altra bëatitudo, che contenta
pareva prima d'ingigliarsi a l'emme,
con poco moto seguitò la 'mprenta.

O dolce stella, quali e quante gemme
mi dimostraro che nostra giustizia
effetto sia del ciel che tu ingemme!

Per ch'io prego la mente in che s'inizia
tuo moto e tua virtute, che rimiri
ond' esce il fummo che 'l tuo raggio vizia;

sì ch'un'altra fïata omai s'adiri
del comperare e vender dentro al templo
che si murò di segni e di martìri.

O milizia del ciel cu' io contemplo,
adora per color che sono in terra
tutti svïati dietro al malo essemplo!

Già si solea con le spade far guerra;
ma or si fa togliendo or qui or quivi
lo pan che 'l pïo Padre a nessun serra.

Ma tu che sol per cancellare scrivi,
pensa che Pietro e Paulo, che moriro
per la vigna che guasti, ancor son vivi.

Ben puoi tu dire: «I' ho fermo 'l disiro
sì a colui che volle viver solo
e che per salti fu tratto al martiro,

ch'io non conosco il pescator né Polo».
Cacciaguida, specchio beato in cui si riflette Dio,
era già completamente assorto nel suo intimo pensiero , ed io nel mio
alleviando con dolci pensieri ciò che mi era stato predetto di amaro;

e Beatrice, che mi conduceva verso Dio
disse: "Cambia pensiero: pensa che io sono
vicino a Dio, colui che libera da ogni torto".

Io mi rivolsi alle parole affettuose
di Beatrice, mio conforto; e quanta carità io vidi allora
nei suoi occhi santi, qui non posso descriverlo;

non solo perché non ho fiducia nelle mie parole,
ma anche per la mia memoria che non può raggiungere
un punto così alto, se Dio non la guida.

Solamente questo posso dire di ciò che provai in quel momento,
che, guardandola, il mio animo
fu libero da ogni altro desiderio,

finché la luce divina, che direttamente
illuminava Beatrice, riflettendosi dai suoi occhi
ai miei, mi appagava di sé.

Abbagliandomi con la luce che derivava dal suo sorriso,
lei mi disse "Girati e ascolta;
perché il Paradiso non è solo nei miei occhi".

Come qui sulla Terra talvolta si palesa il sentimento
nell'aspetto esteriore della persona, se è così forte,
da attrarre a sé tutte le facoltà dell'anima,

così nello splendore di quell'anima beata,
verso cui io mi girai, riconobbi il desiderio
in lui di parlare ancora un po con me.

Egli iniziò a parlare: "in questo quinto cielo
dell'albero che prende vita (non dalle radici ma) dalla cima
e dà frutta sempre e non perde mai le foglie,

ci sono le anime beate che, sulla Terra, prima
che salissero al cielo, ebbero una tale fama
che ogni musa ne sarebbe promotrice.

Perciò guarda verso i bracci della croce:
quello che io chiamerò, si muoverà come
un fulmine che attraversa la nuvola da cui è stato generato".

Non appena egli pronunciò il nome di Giosuè,
io vidi lungo la croce muoversi una luce;
né capii quale delle due cose (la parola o il movimento della luce) avvenne per prima.

E al pronunciare il nome del maggiore dei (fratelli) Maccabei,
vidi muoversi un altra luce girando su se stessa,
e la gioia era come una frusta che percuote la trottola per farla girare più veloce.

Successo così per Carlo Magno e per Orlando:
il mio sguardo attento seguì le due luci,
come l'occhio del falconiere segue il volo del falco.

Guglielmo, Renoardo il duca Goffredo di Buglione
attrassero il mio sguardo lungo quella croce,
e con loro Roberto Guiscardo.

Poi essendosi mossa e mischiata tra le altre luci,
quell'anima che mi aveva parlato prima mi mostrò
quale fosse, tra gli altri cantori del cielo il suo posto.

Io mi girai alla mia destra
per sapere da Beatrice ciò che io dovessi fare,
o dalle sue parole o da un suo gesto.

e vidi i suoi occhi tanto limpidi,
tanto gioiosi, che il suo aspetto superava in bellezza
qualunque altro solitamente avesse e l'ultimo che avevo visto.

e come l'uomo di giorno in giorno,
per sentirsi più virtuoso operando bene,
si accorge che la sua virtù s'accresce,

così capii che l'arco del mio girare
insieme col cielo si era ampliato
vedendo io accrescersi il miracoloso splendore di Beatrice.

E come cambia in poco tempo
il colore della pelle di una donna
quando sul suo volto cessi il senso di vergogna,

così avvenne nei miei occhi quando mi girai,
a causa del candore di Giove nel sesto cielo
che dentro di sé mi aveva appena accolto

in quel gioioso pianeta (di Giove) io vidi
la lucentezza delle anime che si trovavano lì
disegnare davanti ai miei occhi il nostro alfabeto.

e come uccelli che si alzano da un fiume,
quasi rallegrandosi della loro bevuta,
formano nel cielo schiere di diverse forme,

così le anime sante avvolte dalle loro luci
volando qua e là cantavano, si ordinavano,
formando le figure delle lettere D, I, L.

dapprima si muovevano, cantando, a ritmo;
poi avendo creato la figura di una delle lettere,
si fermavano un pò tacendo.

Oh divina Musa che rendi gloriosi
e immortali le grandi menti,
ed essi con il tuo aiuto fanno lo stesso con città e regni,

illuminami con la tua luce così che io rappresenti
le figure di quelle anime come le ho nella mente:
appaia la tua potenza in questi versi brevi!

Dunque apparvero trentacinque
vocali e consonanti, e io le annotai
nell'ordine in cui mi apparvero.

"AMATE LA GIUSTIZIA" furono il primo verbo
e nome scritti in tutto il cielo;
"VOI CHE GIUDICATE IL MONDO" gli ultimi vocaboli.

Poi rimasero disposte a formare
la M del quinto vocabolo; cosicché Giove
sembrava decorato d'oro e d'argento.

E vidi altre anime luminose scendere
sulla sommità della M, e lì fermarsi
cantando inni a Dio che verso di sé le muove.

Come muovendo ardenti tizzoni
sorgono innumerevoli scintille,
davanti a cui gli stolti sono soliti farsi gli auguri;

sembravano alzarsi da lì più di mille luci
e levarsi alcune tanto altre poco
così come il sole che le accende diede a loro in sorte;

e fissatasi ognuno nel suo posto
vidi che quelle anime fiammeggianti
rappresentare la testa e il collo di un'aquila

Dio che lassù crea quelle forme, non ha maestri;
ma è egli stesso un maestro, e da lui deriva
quella virtù che dà vita agli uomini nelle loro dimore terrene.

Le altre anime beate che prima
sembravano contente di formare la M,
con un piccolo movimento completarono la figura.

O Giove, quali e quante luci beate
mi resero evidente che la giustizia umana
derivi dall'influsso del cielo che di te si adorna!

Perciò io prego Dio da cui si origina
il tuo moto e la tua virtù affinché si giri
verso dove esce il fumo che oscura il tuo raggio;

Cosìcché si adiri un'altra volta ancora
per il tempio costruito su sacrifici e martiri
sia trasformato il luogo di compravendita.

O corte del cielo che io contemplo,
prega per tutti coloro che sono sulla terra
disorientati dal cattivo esempio dei pontefici!

Già era abituale fare guerra con le spade;
ma ora si fa togliendo qui e lì tra i fedeli
il pane che il Santo Padre a nessuno nega.

Ma tu (Giovanni XXII) che scrivi (scomuniche) solo per poi annullarle,
pensa che Pietro e Paolo che morirono
per la chiesa che tu devasti, sono ancora vivi.

Puoi tu ben dire: "Il mio desiderio è rivolto solo
a colui che volle vivere da eremita (Giovanni Battista),
e che fu fatto martire morendo decapitato,

che neppure conosco quel pescatore di Pietro né Paolo".



Riassunto


vv. 1-21: Dante in preda al turbamento e il conforto di Beatrice
Dante è scosso dalle parole profetiche di Cacciaguida sulla sua futura esistenza, ma Beatrice, che si trova vicino a Dio, lo rassicura, assicurandogli che Dio è sempre pronto a risarcire le ingiustizie subite. Illuminato dalla luce di Beatrice, Dante dimentica ogni preoccupazione, ma lei lo esorta a concentrarsi nuovamente sull'avo, che desidera proseguire il suo discorso.

vv. 22-51: Cacciaguida evoca spiriti combattenti per la fede
Cacciaguida invita Dante a osservare con attenzione i bracci della croce, sui quali si sposteranno gli spiriti che lui stesso nominerà. Dopo aver indicato figure bibliche come Giosuè e Giuda Maccabeo, e grandi protagonisti della storia cristiana come Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d'Orange, Renoardo, Goffredo di Buglione e Roberto il Guiscardo, Cacciaguida riprende il suo canto e si ricongiunge agli altri spiriti.

vv. 52-69: Salita al cielo di Giove
Dante, colpito dalla luce ancora più intensa di Beatrice, si rende conto di essere salito al cielo di Giove, un luogo caratterizzato da una luce purissima dove dimorano le anime giuste.

vv. 70-93: Le anime compongono una scritta nel cielo
Gli spiriti di questo cielo iniziano a formare, uno dopo l'altro, le lettere di una scritta che recita: "DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM" (Amate la giustizia voi che la esercitate sulla terra).

vv. 94-114: Le anime trasformano la scritta in un'aquila
Quando l'ultima lettera, una M gotica, è stata disposta, altri spiriti scendono su di essa e la trasformano prima in un giglio e poi in un'aquila.

vv. 115-136: Preghiera e invettiva contro gli ingiusti
Osservando questa scena, Dante comprende come la giustizia terrena riceva il suo influsso dal cielo di Giove. Rivolge quindi una preghiera a Dio e agli spiriti beati affinché puniscano coloro che offuscano la giustizia con le loro azioni malvagie. Infine, Dante lancia una dura invettiva contro papa Giovanni XXII, accusato di essersi lasciato corrompere dall'avidità, dimenticando gli insegnamenti di san Pietro e san Paolo.


Figure Retoriche


v. 2: "Beato": Perifrasi. Per indicare Cacciaguida.
v. 3: "Dolce l'acerbo": Ossimoro.
v. 3: "Dolce": Perifrasi. S'intende la gloria futura che gli spetta dopo l'esilio.
v. 3: "L'acerbo": Perifrasi. S'intendono le brutte notizie della profezia dell'esilio.
v. 6: "Colui ch'ogne torto disgrava": Perifrasi. Per indicare Dio, ovvero "colui che ripara ogni ingiustizia".
vv. 7-8: "L'amoroso suono del mio conforto": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
v. 15: "Libero fu": Anastrofe.
v. 16: "'l piacere etterno": Perifrasi. S'intende la bellezza divina.
vv. 22-27: "Come si vede qui alcuna volta l'affetto ne la vista, s'elli è tanto, che da lui sia tutta l'anima tolta, così nel fiammeggiar del folgór santo, a ch'io mi volsi, conobbi la voglia in lui di ragionarmi ancora alquanto": Similitudine.
v. 25: "Folgór santo": Perifrasi. Per indicare Cacciaguida.
vv. 28-29: "Soglia / de l'albero": Enjambement.
vv. 28-30: "In questa quinta soglia de l'albero che vive de la cima e frutta sempre e mai non perde foglia": Metafora. Si sta parlando del Paradiso ed esso viene paragonato a un albero che riceve la vita dalla cima, fruttifica sempre e non perde mai le foglie.
v. 30: "Foglia": Sineddoche. Il singolare per il plurale, "non perde mai le foglie".
v. 31: "Spiriti son beati": Iperbato.
vv. 35-36: "Lì farà l'atto che fa in nube il suo foco veloce": Similitudine. Sta a significare che scorrerà rapidissimo da una parte all'altra.
v. 41: "Moversi un altro roteando": Iperbato.
vv. 41-42: "Vidi moversi un altro roteando, e letizia era ferza del paleo": Metafora. S'intende che l'altra luce girava in tondo come una trottola per la gioia.
vv. 44-45: "Due ne seguì lo mio attento sguardo, com'occhio segue suo falcon volando": Similitudine.
vv. 46-47: "Trasse ... la mia vista": Iperbato.
v. 50: "L'alma": Perifrasi.
vv. 55-57: "E vidi le sue luci tanto mere, tanto gioconde, che la sua sembianza vinceva li altri e l'ultimo solere": Climax Ascendente.
vv. 58-63: "E come, per sentir più dilettanza bene operando, l'uom di giorno in giorno s'accorge che la sua virtute avanza, sì m'accors'io che 'l mio girare intorno col cielo insieme avea cresciuto l'arco, veggendo quel miracol più addorno": Similitudine.
v. 63: "Quel miracol": Perifrasi.
vv. 64-69: "E qual è 'l trasmutare in picciol varco di tempo in bianca donna, quando 'l volto suo si discarchi di vergogna il carco, tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, per lo candor de la temprata stella sesta, che dentro a sé m'avea ricolto": Similitudine.
v. 67: "Occhi miei": Anastrofe.
vv. 68-69: "Stella / sesta": Enjambement, anastrofe e antonomasia.
v. 70: "Giovial facella": Perifrasi. Per indicare Giove.
v. 72: "Occhi miei": Anastrofe.
vv. 73-78: "E come augelli surti di rivera, quasi congratulando a lor pasture, fanno di sé or tonda or altra schiera, sì dentro ai lumi sante creature volitando cantavano, e faciensi or D, or I, or L in sue figure": Similitudine.
v. 81: "S'arrestavano e taciensi": Endiadi.
vv. 82-87: "O diva Pegasëa che li 'ngegni fai gloriosi e rendili longevi, ed essi teco le cittadi e ' regni, illustrami di te, sì ch'io rilevi le lor figure com'io l'ho concette: paia tua possa in questi versi brevi!": Apostrofe. Rivolta alla divina Musa.
vv. 82-83: "'ngegni ... longevi": Paronomasia.
v. 94: "Del vocabol quinto": Anastrofe.
v. 99: "Il ben ch'a sé le move": Perifrasi. Per indicare Dio, il bene che le attira a sé.
vv. 100-105: "Poi, come nel percuoter d'i ciocchi arsi surgono innumerabili faville, onde li stolti sogliono agurarsi, resurger parver quindi più di mille luci e salir, qual assai e qual poco, sì come 'l sol che l'accende sortille": Similitudine.
vv. 103-104: "Mille / luci": Enjambement.
v. 105: "'l sol": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 109-110: "Quei che dipinge lì, non ha chi 'l guidi; ma esso guida": Perifrasi. Per indicare Dio, ovvero colui che lì dipinge, non ha modelli né maestri e che lui stesso un maestro.
vv. 112-113: "Contenta pareva": Anastrofe.
vv. 115-117: "O dolce stella, quali e quante gemme mi dimostraro che nostra giustizia effetto sia del ciel che tu ingemme!": Apostrofe. Rivolta al pianeta Giove.
v. 115: "Gemme": Perifrasi. Per indicare i beati.
v. 118: "La mente": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 122-123: "Templo che si murò di segni e di martìri": Perifrasi. Per indicare la Chiesa.
vv. 124-126: "O milizia del ciel cu' io contemplo, adora per color che sono in terra tutti sviati dietro al malo essemplo!": Apostrofe. Rivolta all'esercito del Cielo contro i papi.
v. 129: "Lo pan": Perifrasi. S'intende il sacramento dell'Eucarestia.
v. 129: "'l pio Padre": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 132: "La vigna": Perifrasi. Per indicare la Chiesa.
vv. 134-135: "Colui che volle viver solo e che per salti fu tratto al martiro": Perifrasi. Per indicare San Giovanni Battista.
v. 135: "Salti": Perifrasi. Per indicare la danza di Salomé.
v. 136: "Il pescator né Polo": Perifrasi. Per indicare Pietro e Paolo.


Analisi ed Interpretazioni


Nel Canto XVIII, Dante giunge al cielo di Giove, un luogo riservato agli spiriti giusti. Questo blocco narrativo si estende su tre canti e si caratterizza per un'armonia tematica e scenica, simile a quella della trilogia precedente (Par. XV-XVII). Qui, l'ascesa nel cielo di Giove è accompagnata da una riflessione progressiva sulla giustizia divina. Il discorso si articola in tre momenti distinti: il primo riguarda l'applicazione storica della giustizia attraverso una visione politica del governo ideale (Canto XVIII); il secondo esplora le condizioni di salvezza individuale (Canto XIX); infine, il terzo prefigura il mistero della predestinazione (Canto XX).

Il Canto è diviso in due sezioni, corrispondenti alle due fasi dell'ascesa: i primi 66 versi descrivono il passaggio nel cielo di Marte, mentre la seconda parte si concentra sulla sfera di Giove. La terzina centrale, che segna il passaggio tra i due cieli, sottolinea la tensione fra il piano umano e quello divino, indicando come l'arte di Dio sia perfetta, in contrasto con l'imperfezione dell'arte umana. Dante riconosce che la sua mente non riesce a raffigurare chiaramente le visioni del Paradiso, che sono invece ordinate con geometrica perfezione dalla mente divina.

La figura centrale nel cielo di Giove è l'Aquila, simbolo di giustizia. Nella prima parte del canto, Cacciaguida, l'avo di Dante, presenta una serie di spiriti combattenti, come Giosuè, Giuda Maccabeo, Carlo Magno e Roberto Guiscardo, che hanno combattuto per difendere la fede cristiana e che sono stati premiati per la loro giustizia. La rassegna di questi spiriti eroici rimanda alla virtù del cielo di Marte, il cui simbolo, il combattente, si riflette nelle immagini di lampi, trottole e falconi. Questi eroi hanno combattuto non solo per la fede, ma anche per il giusto ordine del mondo, anticipando il discorso che si svilupperà più tardi nel Cielo di Giove.

Quando Dante entra nel cielo di Giove, le anime si dispongono a formare la scritta in latino "Amate la giustizia, o voi che giudicate la Terra", un invito rivolto ai governanti a perseguire la giustizia, la quale dovrebbe ispirare la loro condotta. Le luci che formano le lettere della scritta si trasformano progressivamente in un'aquila, il simbolo dell'Impero romano, che Dante considera l'autorità suprema per mantenere l'ordine e la giustizia nel mondo cristiano. La figura dell'aquila, che evoca l'Impero, diventa un'immagine della giustizia divina, che deve guidare anche le giustizie terrene.

Questa rappresentazione simbolica della giustizia ideale si scontra però con la realtà politica del tempo di Dante. Il poeta esprime il suo disprezzo per l'attuale disordine, causato dalla corruzione dei papi e dalla loro avidità, che ha trasformato la Chiesa in un mercato. La corruzione e l'intrigo politico che caratterizzano la Curia romana sono affrontati con veemenza nell'invettiva finale del Canto, rivolta a Giovanni XXII, accusato di simonia e di usare la scomunica per i suoi scopi politici. La critica è durissima: Giovanni XXII, che ha accumulato immense ricchezze, è descritto come colpevole di tradire l'eredità spirituale dei fondatori della Chiesa, Pietro e Paolo, in favore del potere materiale e della cupidigia.

Questa parte del Canto culmina con un'aspra condanna della politica papale, che si allea con la monarchia francese, in particolare con Filippo il Bello, per minare l'autorità imperiale e sconvolgere l'ordine giuridico universale che Dante immagina sotto l'Impero tedesco. Il richiamo alla giustizia divina si fa sempre più forte, indicando l'urgenza di un ritorno all'ideale di un'autorità superiore che possa ristabilire l'ordine e la giustizia. Dante, attraverso l'allegoria dell'aquila, riafferma la necessità di un governo giusto, fondato sulla fede e sul rispetto dei principi divini, in grado di guidare l'umanità verso il bene.


Passi Controversi


I versi 16-18 suggeriscono che la bellezza divina di Dio si rifletta in quella di Beatrice, placando così tutti i desideri di Dante (il secondo aspetto è il "riflesso"). Il verso 19 potrebbe indicare che Beatrice, con il suo sorriso, costringe Dante a guardare verso la croce, o che la sua luce abbaglia la sua vista. Al verso 24, "tolta" significa "presa". L'albero menzionato nei versi 29-30 da Cacciaguida rappresenta il Paradiso, che riceve vita dalla cima (da Dio) e non dalle radici, dando sempre frutti e mantenendo le foglie intatte. Questa immagine era comune nella mistica medievale e nei testi biblici. Al verso 33, "musa" si riferisce alla "poesia" (cfr. XV, 26). Al verso 36, il "lampo" viene descritto come un "fuoco veloce della nube", in quanto si credeva che il lampo fosse generato all'interno della nube. Al verso 42, la letizia del beato è paragonata alla frusta (ferza) che fa girare la trottola (paleo), in quanto la luce dello spirito ruota su se stessa (il paleo era una trottola conica fatta girare con una frusta). Al verso 57, si afferma che gli occhi di Beatrice erano così brillanti da superare il suo aspetto consueto (l'infinito "solere" usato come sostantivo). Al verso 63, "quel miracol" si riferisce al sorriso di Beatrice, reso ancora più radioso dalla sua bellezza. Al verso 70, "giovial facella" si intende come "stella di Giove", dato che l'aggettivo "gioviale" deriva dal latino medievale iovialis, non nel senso di "allegro" ma di "relativo a Giove". "Nostra favella" (v. 72) si riferisce alle lettere dell'alfabeto. Al verso 82, "diva Pegasea" indica genericamente la Musa, poiché secondo la mitologia, il cavallo alato Pegaso fece scaturire dalla montagna Elicona la fonte Ippocrene, simbolo dell'ispirazione poetica. La frase 'DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM' (vv. 91-93) è un versetto tratto dal Libro della Sapienza, che esorta coloro che ricoprono cariche di governo a essere giusti ed equi. In Conv., IV, 16, Dante traduce un altro passo dello stesso libro (VI, 23), dicendo: «Amate lo lume di sapienza, voi che siete dinanzi a li populi» (Diligite lumen sapientiae, omnes qui praeestis populis). Al verso 93, "sezzai" è una forma arcaica per "ultimi" (cfr. Inf., VII, 130: "al da sezzo"). I versi 100-102 descrivono le scintille che si sprigionano dal fuoco del camino, richiamando la superstizione secondo cui gli anziani traevano presagi guardandole. "Agurarsi" è una forma popolare per "augurarsi". La trasformazione descritta nei versi 97-108 indica che le luci si concentrano inizialmente nella parte superiore della "M" maiuscola gotica, facendola somigliare a un giglio araldico, per poi trasformarsi in un'aquila, simbolo dello stemma imperiale. I versi 109-111, non del tutto chiari, vogliono dire che Dio, l'autore di questa rappresentazione, non ha maestri né modelli. La virtù creativa, che dà forma agli esseri generanti, si riconosce (si rammenta) in Lui. I versi 121-123 alludono all'episodio evangelico in cui Gesù scaccia i mercanti dal Tempio (Matth., XXI, 12-13; Luc., XIX, 45-46), un episodio che Dante paragona alla compravendita di beni sacri perpetrata dai papi nella Curia. La "milizia del ciel" (v. 124) si riferisce ai beati. I versi 127-129 alludono all'uso della scomunica da parte dei papi, che la impiegavano contro i nemici politici invece di combatterli militarmente. Dante probabilmente fa riferimento alla scomunica lanciata da Giovanni XXII contro Cangrande nel 1317. Il "pan che Dio non nega a nessuno" è l'Eucarestia, che i papi corrotti sottraggono ai fedeli. I versi 130-132 sono un'accusa a papa Giovanni XXII, accusato di abrogare i benefici ecclesiastici per arricchire la Curia, mentre è meno probabile che si faccia riferimento alla pratica di scrivere e poi annullare scomuniche in cambio di denaro, poiché non esistono prove a tal riguardo per questo pontefice. La vigna è la Chiesa, come già visto nel verso XII, 86. I versi 134-135 alludono a san Giovanni Battista, che si ritirò nel deserto e fu decapitato da Erode, su richiesta di Salomè, che danzò per lui durante un banchetto (l'espressione "per salti" indica "con una danza", ed è chiaramente ironica). Il santo, patrono di Firenze, era raffigurato sul verso del fiorino. Il verso 136 fa riferimento a san Pietro come "pescator", alludendo al suo umile mestiere di pescatore, mentre "Polo" è la forma volgare di "Paolo". Giovanni XXII usa in modo sprezzante e derisorio i nomi dei due santi.

Fonti: libri scolastici superiori

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