Parafrasi e Analisi: "Canto XVII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XVII del Paradiso occupa un ruolo centrale all'interno del poema dantesco, poiché segna un momento di profonda riflessione sul destino e sulla missione del poeta. In questo canto, Dante affronta il tema della profezia e della responsabilità morale legata alla verità, interrogandosi sul significato della propria esperienza ultraterrena e sul compito che gli è stato assegnato.
L'episodio si colloca nel cielo di Marte, dove risiedono le anime dei combattenti per la fede, e si distingue per il forte carattere personale e intimo del dialogo che vi si svolge. Qui, il concetto di provvidenza divina si intreccia con la nozione di giustizia e con la necessità di accettare le prove imposte dal destino, in un discorso che esprime il profondo legame tra la volontà divina e il cammino dell'uomo sulla terra.
Nel Canto XVII, quindi, la dimensione mistica e teologica si unisce a una riflessione sul valore della poesia e sul ruolo del poeta come portavoce della verità, anticipando così uno dei messaggi fondamentali dell'intera Commedia: la parola ha il potere di illuminare e guidare, ma comporta anche una grande responsabilità.
Testo e Parafrasi
Qual venne a Climenè, per accertarsi di ciò ch'avëa incontro a sé udito, quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi; tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito. Per che mia donna «Manda fuor la vampa del tuo disio», mi disse, «sì ch'ella esca segnata bene de la interna stampa: non perché nostra conoscenza cresca per tuo parlare, ma perché t'ausi a dir la sete, sì che l'uom ti mesca». «O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in trïangol due ottusi, così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé, mirando il punto a cui tutti li tempi son presenti; mentre ch'io era a Virgilio congiunto su per lo monte che l'anime cura e discendendo nel mondo defunto, dette mi fuor di mia vita futura parole gravi, avvegna ch'io mi senta ben tetragono ai colpi di ventura; per che la voglia mia saria contenta d'intender qual fortuna mi s'appressa: ché saetta previsa vien più lenta». Così diss' io a quella luce stessa che pria m'avea parlato; e come volle Beatrice, fu la mia voglia confessa. Né per ambage, in che la gente folle già s'inviscava pria che fosse anciso l'Agnel di Dio che le peccata tolle, ma per chiare parole e con preciso latin rispuose quello amor paterno, chiuso e parvente del suo proprio riso: «La contingenza, che fuor del quaderno de la vostra matera non si stende, tutta è dipinta nel cospetto etterno; necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende. Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s'apparecchia. Qual si partio Ipolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene. Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca. La colpa seguirà la parte offensa in grido, come suol; ma la vendetta fia testimonio al ver che la dispensa. Tu lascerai ogne cosa diletta più caramente; e questo è quello strale che l'arco de lo essilio pria saetta. Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. E quel che più ti graverà le spalle, sarà la compagnia malvagia e scempia con la qual tu cadrai in questa valle; che tutta ingrata, tutta matta ed empia si farà contr' a te; ma, poco appresso, ella, non tu, n'avrà rossa la tempia. Di sua bestialitate il suo processo farà la prova; sì ch'a te fia bello averti fatta parte per te stesso. Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello sarà la cortesia del gran Lombardo che 'n su la scala porta il santo uccello; ch'in te avrà sì benigno riguardo, che del fare e del chieder, tra voi due, fia primo quel che tra li altri è più tardo. Con lui vedrai colui che 'mpresso fue, nascendo, sì da questa stella forte, che notabili fier l'opere sue. Non se ne son le genti ancora accorte per la novella età, ché pur nove anni son queste rote intorno di lui torte; ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni, parran faville de la sua virtute in non curar d'argento né d'affanni. Le sue magnificenze conosciute saranno ancora, sì che ' suoi nemici non ne potran tener le lingue mute. A lui t'aspetta e a' suoi benefici; per lui fia trasmutata molta gente, cambiando condizion ricchi e mendici; e portera'ne scritto ne la mente di lui, e nol dirai»; e disse cose incredibili a quei che fier presente. Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose di quel che ti fu detto; ecco le 'nsidie che dietro a pochi giri son nascose. Non vo' però ch'a' tuoi vicini invidie, poscia che s'infutura la tua vita vie più là che 'l punir di lor perfidie». Poi che, tacendo, si mostrò spedita l'anima santa di metter la trama in quella tela ch'io le porsi ordita, io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama: «Ben veggio, padre mio, sì come sprona lo tempo verso me, per colpo darmi tal, ch'è più grave a chi più s'abbandona; per che di provedenza è buon ch'io m'armi, sì che, se loco m'è tolto più caro, io non perdessi li altri per miei carmi. Giù per lo mondo sanza fine amaro, e per lo monte del cui bel cacume li occhi de la mia donna mi levaro, e poscia per lo ciel, di lume in lume, ho io appreso quel che s'io ridico, a molti fia sapor di forte agrume; e s'io al vero son timido amico, temo di perder viver tra coloro che questo tempo chiameranno antico». La luce in che rideva il mio tesoro ch'io trovai lì, si fé prima corusca, quale a raggio di sole specchio d'oro; indi rispuose: «Coscïenza fusca o de la propria o de l'altrui vergogna pur sentirà la tua parola brusca. Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, tutta tua visïon fa manifesta; e lascia pur grattar dov' è la rogna. Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta. Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote; e ciò non fa d'onor poco argomento. Però ti son mostrate in queste rote, nel monte e ne la valle dolorosa pur l'anime che son di fama note, che l'animo di quel ch'ode, non posa né ferma fede per essempro ch'aia la sua radice incognita e ascosa, né per altro argomento che non paia». |
Con lo stesso sentimento di ansia con cui giunse a Cimene, per accertarsi di ciò che aveva sentito dire, Fetonte, sul cui esempio ancora oggi i padri sono prudenti nell'acconsentire troppo facilmente ai desideri dei figli; allo stesso modo ero ansioso io, e si accorse del mio stato sia Beatrice che quell'anima santa che per parlare con me aveva lasciato il suo posto presso la croce luminosa. Disse pertanto la mia donna, Beatrice: "Libera l'ardore del tuo desiderio, così che venga espresso con parole tali che ne rendano bene l'intensità: non perché per comprenderlo meglio abbiamo bisogno delle tue parole, ma perché così tu ti possa abituare ad esporre le tue richieste, così che gli altri possano appagarli." "o mia cara radice che ti elevi tanto in alto che, come le menti umani riescono a comprendere che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, con la stessa chiarezza tu gli avvenimenti prossimi ad accadere prima che si avverino, guardando quel punto, Dio, in cui tutte le epoche sono presenti; mentre io, insieme a Virgilio, salivo su per il monte del Purgatorio, in cui le anime si purificano, o discendevo nell'Inferno della morte eterna, mi sono state dette, circa la mia vita futura, parole gravi, nonostante che io mi senta ben capace di sopportare i duri colpi della sfortuna; perciò il mio desiderio sarebbe appagato se potessi conoscere quale è la sorte che mi attende: perché il male atteso colpisce meno duramente." Dissi queste parole a quella anima luminosa che poco prima mi aveva parlato; e come voleva Beatrice, confessai quindi apertamente il mio desiderio. Non con il linguaggio ambiguo degli oracoli, nel quale le menti pagane si invischiavano già prima che ci fosse il sacrificio dell'Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo, ma con parole chiare ed con un discorso diretto mi rispose quel padre amorevole, rinchiuso in quella luce attraverso la quale si poteva intravedere il suo sorriso: "Il corso degli avvenimenti prossimi a venire, che sono propri soltanto del vostro mondo materiale, e tutto presente nella mente di Dio; non acquisisce però carattere di necessità, di corso obbligato, così come non dipende dallo sguardo di chi la osserva, il movimento di una nave che scende lungo un torrente. Da lì, dalla mente di Dio, così come giunge ad un orecchio la dolce melodia emessa da un organo, allo stesso modo giungono alla mia vista gli avvenimenti che ti attendono. Come Ippolito fu costretto a fuggire da Atene a causa della spietata e malefica matrigna, allo stesso modo dovrai allontanarti tu da Firenze. Questo è ciò che vogliono e questo è ciò che cercano già di fare, e questo è ciò che presto verrà fatto dai tuoi nemici, che tramano là, nella curia pontificia, dove già da tempo si fa mercato delle cose di Cristo. La colpa dei disordini sarà attribuita dalla fama agli sconfitti, come accade in questi casi; ma la punizione che Dio infliggerà ai veri colpevoli sarà testimonianza della verità. Tu dovrai abbandonare tutte le cose che ami di più; e questo è il primo dolore che l'esilio provoca. Proverai così quanto è amaro il pane altrui, e quanto è faticoso salire e scendere per scale che non sono tue. Quello che ti renderà però l'esilio più duro, sarà la compagnia malvagia e stolta, degli esuli Bianchi, con la quale tu cadrai in questa miseria; poiché si mostrerà tutta ingrata, irragionevole e crudele nei tuoi confronti; ma, subito dopo, sarà quella compagnia, e non tu, a doversene vergognare. La loro insensatezza sarà dimostrata dalle loro azioni; così che sarà onorevole per te esserti tenuto in disparte da loro. In esilio, il tuo primo rifugio e la tua prima dimora sarà presso il generoso signore di Verona (Bartolomeo della Scala), che nello stemma porta raffigurata l'aquila imperiale; avrà lui verso di te un atteggiamento tanto benevolo, che tra il chiedere ed il fare, tra i voi due, avverrà per primo il suo fare, a differenza di come di solito avviene. Quando sarà presso la sua corte incontrerai colui (Alboino) che, nascendo, ricevette l'influsso di questo pianeta in maniera così decisa da rendere memorabili le sue imprese. Il popolo non si è ancora accorto di questa sua eccezionalità a causa della sua giovane età, poiché per solo nove anni hanno girato questi cieli intorno a lui (ha solo nove anni); ma prima che il papa Clemente V possa ingannare Arrigo VII, i primi segnali del suo valore si manifesteranno nel suo disprezzo verso il denaro e verso ogni fatica. Le sue eccellenti virtù saranno allora manifeste, così che neanche i suoi nemici potranno fare a meno di parlarne. Riponi la tua fiducia in lui e nei suoi suoi benefici; la condizione di molte persone cambierà grazie a lui, scambiando di posto i ricchi con i mendicanti; conserverai nella tua mente ciò che ti dico di lui, ma non lo dirai agli altri"; e disse poi cose che appariranno incredibili anche a chi le vivrà in prima persona. Aggiunse poi: "Figliolo, questa è la spiegazione di quello che ti è stato detto da altri; queste sono le insidie che ti aspettano in agguato nel giro di pochi anni. Non voglio però che tu nutra rancore nei confronti dei tuoi concittadini, dal momento che la tua vita durerà abbastanza per vedere la punizione che li attende per le loro malvagità." Dopo che quell'anima santa, ormai in silenzio, si mostrò libera dal compito di dare una spiegazione a quei miei dubbi che le avevo esposto, cominciai io a parlare come chi, nel dubbio, desidera un consiglio da una persona che abbia una corretta visione del vero, tanta voglia del bene ed una buona disposizione d'animo: "Comprendo bene, padre mio, come preme il tempo contro di me, per infliggermi un colpo tale che risulta tanto forte quanto più ci si arrende alla sua forza; è pertanto opportuno che io mi armi di prudenza, così che, quando sarò privato della mia patria, il luogo che più mi è caro, non rischi anche di perdere tutto il resto a causa dei miei versi. Giù nell' Inferno, luogo di eterno dolore, poi sul monte del Purgatorio, dalla cui vetta mi innalzarono gli occhi della mia bella Beatrice, e quindi nel Paradiso, di cielo in cielo, io sono venuto a conoscenza di cose che se le dovessi ridire, a molti risulterebbero assai sgradite; se però avrò troppo timore nel dire la verità, ho paura di poter perdere, a buona ragione, fama tra i posteri, coloro che chiameranno antico il periodo in cui viviamo ora." La luce dentro cui splendeva Cacciaguida, la gemma preziosa che ritrovai in quel cielo, si fece prima più brillante, come un raggio di sole riflesso in una lamina d'oro; poi mi rispose: "Chi ha la coscienza sporca, per proprie vergognose colpe o per quelle dei suoi parenti o amici, è giusto che ascolti la dura verità delle tue parole. Ma nonostante ciò, accantonata ogni menzogna, devi rivelare tutto ciò che hai visto ed appreso nel tuo viaggio; e lasci che se ne preoccupi chi a ragione di dispiacersi. Poiché se le tue parole potranno risultare fastidiose ad un primo assaggio, forniranno un nutrimento vitale in seguito, quando il boccone sarà stato digerito. Questo tuo grido farà come il vento, che percuote con maggior forza le cime più alte degli alberi, esso colpirà i più potenti; e ciò è una non trascurabile ragione di onore per chi osa farlo. Per questo motivo ti sono stati mostrati nei cieli del Paradiso, nel Purgatorio ed in quella valle di dolore che è l'Inferno, solo le anime di persone che sono state molto famose in vita, perché l'animo di chi ascolta non si sofferma né presta fede ad un esempio che gli sia totalmente sconosciuto ed oscuro, né ad un argomento di scarsa notorietà e fama. |
Riassunto
Il Canto XVII del Paradiso occupa una posizione centrale all'interno della terza cantica e costituisce il nucleo tematico dell'intero viaggio ultraterreno di Dante. In questo canto, Cacciaguida, l'antenato del poeta, gli svela con chiarezza il suo destino terreno, annunciandogli l'esilio e il difficile cammino che lo attende. Questo episodio non solo rappresenta un momento di consapevolezza per Dante, ma consolida anche la sua missione poetica e profetica.
L'esitazione di Dante e l'invito di Beatrice
Dante, turbato dalle parole di Cacciaguida, vorrebbe porgli delle domande più specifiche sul proprio futuro, ma esita, incerto se sia opportuno farlo. A dissipare i suoi dubbi interviene Beatrice, che lo incoraggia a esprimere le proprie richieste, ricordandogli che le anime beate, leggendo nella mente di Dio, già conoscono i suoi pensieri. Tuttavia, è necessario che egli impari ad esprimerli con chiarezza, poiché la verità deve essere dichiarata apertamente.
A quel punto, il poeta si rivolge direttamente a Cacciaguida, chiedendogli di chiarire le oscure profezie sul suo destino, già udite nelle cantiche precedenti. Dante è consapevole che conoscere in anticipo il proprio futuro gli permetterà di affrontarlo con maggiore lucidità.
L'onniscienza divina e la libertà umana
Cacciaguida, prima di rivelargli il suo destino, spiega la natura della conoscenza divina: gli eventi futuri sono già presenti nella mente di Dio, ma questo non significa che siano determinati in modo ineluttabile. La prescienza divina non impone necessità agli accadimenti, poiché gli uomini conservano il libero arbitrio. Questo concetto, centrale nella visione teologica di Dante, distingue la preconoscenza divina dalla predestinazione assoluta.
La profezia dell'esilio
L'antenato rivela quindi a Dante che sarà costretto a lasciare Firenze, vittima di un'ingiusta condanna. L'esilio sarà il risultato di macchinazioni politiche, orchestrate dal papa Bonifacio VIII, che in quegli anni sta già tramando per destabilizzare la città, subordinandola ai suoi interessi temporali.
Dante sarà accusato ingiustamente e, almeno inizialmente, ritenuto responsabile della sua stessa condanna. Tuttavia, con il tempo, la verità emergerà e Firenze stessa subirà le conseguenze della propria corruzione. L'esilio sarà un'esperienza dolorosa: il poeta sarà costretto a vagare di corte in corte, dipendendo dalla benevolenza di altri signori, e sperimenterà in prima persona il peso dell'umiliazione e della precarietà. Celebre è l'immagine del "sì come sa di sale lo pane altrui", che sottolinea la sofferenza di dover dipendere dall'ospitalità altrui.
Inoltre, Dante dovrà affrontare le divisioni interne tra i fuoriusciti fiorentini: pur condividendo la stessa sorte di esiliato, verrà osteggiato da alcuni suoi stessi compagni, il cui destino sarà segnato dalla tragica sconfitta nella battaglia della Lastra.
L'incontro con Cangrande della Scala
Nonostante le difficoltà, Dante troverà rifugio e protezione presso Bartolomeo della Scala, signore di Verona, il quale lo accoglierà con grande generosità. Tuttavia, la vera figura di rilievo che lo spirito profetizza è Cangrande della Scala, futuro condottiero e principe di Verona. Secondo Cacciaguida, egli sarà talmente valoroso da essere lodato persino dai suoi avversari. Sebbene ancora giovane, è destinato a compiere imprese straordinarie, e la sua fama crescerà prima che papa Clemente V tradisca l'imperatore Arrigo VII.
Cacciaguida, però, si astiene dal rivelare alcuni dettagli sulle gesta future di Cangrande, lasciando intendere che si tratta di eventi troppo straordinari per essere compresi dai mortali. Conclude esortando Dante a non nutrire odio verso Firenze e i suoi cittadini, poiché il loro destino è già segnato e la punizione divina li attende.
Dante e la sua missione poetica
Dante, ora consapevole delle difficoltà che lo attendono, si interroga sull'opportunità di riportare integralmente le rivelazioni ricevute nel suo poema. Egli teme che le sue parole possano attirargli ulteriori ostilità e rendere ancora più difficile il suo esilio. Tuttavia, non vuole neppure tradire la verità omettendo o modificando i messaggi ricevuti.
Cacciaguida lo rassicura: solo coloro che hanno la coscienza sporca si sentiranno colpiti dalle sue parole, mentre il suo compito sarà quello di narrare fedelmente ciò che ha visto. La verità potrà inizialmente risultare amara, ma col tempo si rivelerà un insegnamento indispensabile per l'umanità.
Figure Retoriche
vv. 1-6: "Qual venne a Climené, per accertarsi di ciò ch'avea incontro a sé udito, quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi; 3 tal era io, e tal era sentito e da Beatrice e da la santa lampa che pria per me avea mutato sito": Similitudine.
vv. 1-3: "Qual venne a Climené, per accertarsi di ciò ch'avea incontro a sé udito, quei ch'ancor fa li padri ai figli scarsi": Perifrasi. Per indicare Fetonte.
v. 4: "Tal ... tal": Iterazione. Ripetizione della stessa parola nello stesso verso.
v. 5: "La santa lampa": Perifrasi. Per indicare l'avo Cacciaguida.
v. 7: "Mia donna": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
vv. 7-8: "La vampa / del tuo disio": Enjambement e Metafora. La curiosità di Dante è paragonata a una fiamma che deve essere viva.
vv. 11-12: "Ma perchét'ausi a dir la sete, sì che l'uom ti mesca": Metafora. La sete qui è intesa non come desiderio di acqua ma di conoscenza.
v. 13: "O cara piota": Perifrasi. Il termine piota sta per "radice" o "ceppo", difatti l'espressione è traducibile in "o caro mio capostipite".
v. 13: "Insusi": Dantismo. Termine coniato da Dante, insuso, cioè: "sopra".
vv. 13-18: "O cara piota mia che sì t'insusi, che, come veggion le terrene menti non capere in triangol due ottusi, così vedi le cose contingenti anzi che sieno in sé": Similitudine.
v. 15: "Capere": Latinismo.
vv. 17-18: "Il punto a cui tutti li tempi son presenti": Perifrasi. Per indicare Dio, che essendo eterno per lui non esiste il passato o il futuro ma solo il presente.
v. 19: "A Virgilio congiunto": Anastrofe.
vv. 20-21: "Su per lo monte che l'anime cura e discendendo nel mondo defunto": Histeron Proteron.
v. 20: "Lo monte che l'anime cura": Perifrasi. S'intende il Purgatorio.
v. 21: "Discendendo nel mondo defunto": Perifrasi. Per indicare l'Inferno.
v. 22: "Dette mi fuor": Anastrofe.
vv. 22-23: "Dette mi fuor ... parole gravi": Iperbato.
vv. 22-23: "Di mia vita futura parole gravi": Perifrasi. Per indicare le profezie sull'esilio di Dante v. 26: "Fortuna": Vox Media. Termine che significa semplicemente sorte (buona o cattiva), che non possiede autonomamente un valore positivo o negativo.
v. 27: "Saetta previsa vien più lenta": Epifonema o Aforisma.
vv. 28-29: "Quella luce stessa che pria m'avea parlato": Perifrasi. Per indicare Cacciaguida.
v. 31: "Ambage": Latinismo. Deriva dal latino ambages e significa "ambiguità".
v. 33: "L'Agnel di Dio che le peccata tolle": Metafora. Espressione liturgica per indicare il Cristo, ovvero l'agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.
v. 35: "Amor paterno": Metonimia. L'astratto per il concreto, anziché dire "padre amorevole".
vv. 34-35: "Preciso / latin": Enjambement.
v. 36: "Chiuso e parvente": Antitesi.
vv. 37-38: "Quaderno de la vostra matera": Metafora.
vv. 40-42: "Necessità però quindi non prende se non come dal viso in che si specchia nave che per torrente giù discende": Similitudine.
vv. 43-44: "Viene ... viene": Iterazione. Ripetizione.
vv. 43-45: "Da indi, sì come viene ad orecchia dolce armonia da organo, mi viene a vista il tempo che ti s'apparecchia": Similitudine.
vv. 46-48: "Qual si partio Ipolito d'Atene per la spietata e perfida noverca, tal di Fiorenza partir ti convene": Similitudine.
v. 47: "Perfida noverca": Perifrasi. Per indicare Fedra.
v. 51: "Là dove Cristo tutto dì si merca": Perifrasi. S'intende nella Curia papale dove si mercifica Cristo e le cose sacre.
vv. 49-51: "Questo si vuole e questo già si cerca, e tosto verrà fatto a chi ciò pensa là dove Cristo tutto dì si merca": Metafora. È un accusa verso il Papa e la Chiesa corrotta di Roma diventata un luogo di mercato dei benefici ecclesiastici.
v. 50: "E tosto verrà fatto a chi ciò pensa": Perifrasi. S'intende Bonificacio VIII.
v. 51: "Là dove Cristo tutto dì si merca": Perifrasi. S'intende nella Curia Papale.
vv. 55-56: "Diletta / più caramente": Enjambement.
vv. 56-57: "E questo è quello strale che l'arco de lo essilio pria saetta": Metafora.
v. 60: "Lo scendere e 'l salir per l'altrui scale": Metafora.
v. 62: "Malvagia e scempia": Endiadi.
v. 63: "In questa valle": Metonimia. Il concreto per l'astratto, "in questa valle" anziché "misera condizione d'esilio".
v. 64: "Tutta ingrata, tutta matta ed empia": Climax Ascendente.
v. 66: "Ella, non tu, n'avrà rossa la tempia": Metafora. Riferimento alla battaglia della Lastra del 1304, con cui i Bianchi esiliati tentarono a forza il rientro in città.
v. 67: "Sua ... suo": Poliptoto.
v. 70: "Lo primo tuo refugio e 'l primo ostello": Dittologia.
v. 71: "Gran Lombardo": Antonomasia. Per indicare un abitante del nord Italia.
vv. 71-72: "Che 'n su la scala porta il santo uccello": Perifrasi. Per indicare Bartolomeo Della Scala, signore di Verona, che sul suo stemma ha raffigurato il simbolo della famiglia "della Scala" e quello dell'aquila imperiale.
vv. 71: "La cortesia del gran Lombardo": Metonimia. L'astratto per il concreto, "la cortesia" anziché "il cortese signore lombardo".
vv. 76-77: "Colui che 'mpresso fue, nascendo, sì da questa stella forte": Perifrasi. L'uomo in questione è Cangrande, la stella è il pianeta Marte.
v. 78: "L'opere sue": Anastrofe.
v. 79: "Non se ne son ... ancora accorte": Iperbato.
v. 82: "Il Guasco": Perifrasi. Per indicare papa Clemente V, che prima dell'elezione a pontefice era stato arcivescovo di Bordeaux in Guascogna.
v. 82: "L'alto Arrigo": Perifrasi. S'intende l'Imperatore Arrigo VII di Lussemburgo.
v. 87: "Le lingue": Sineddoche. La parte per il tutto, "le lingue" anziché "le bocche".
v. 98: "Infutura": Dantismo. Termine coniato da Dante. Significa prolungarsi nel futuro, nella memoria delle generazioni future.
vv. 101-102: "La trama in quella tela ch'io le porsi ordita": Metafora. La tela è quella del futuro di Dante, l'ordito corrisponde alle profezie oscure ricevute in precedenza, e la trama è la spiegazione chiara che ora ha fornito Cacciaguida che si mostrò subito disponibile a rispondere alle domande e a chiarire i dubbi di Dante.
vv. 103-105: "Io cominciai, come colui che brama, dubitando, consiglio da persona che vede e vuol dirittamente e ama": Similitudine.
v. 106: "Padre mio": Apostrofe.
vv. 107-108: "Per colpo darmi tal": Anastrofe.
v. 109: "Di provedenza è buon ch'io m'armi": Metafora.
v. 110: "Se loco m'è tolto più caro": Perifrasi. Per indicare Firenze.
v. 112: "Giù per lo mondo sanza fine amaro": Perifrasi. S'intende l'Inferno.
v. 113: "Cacume": Latinismo. Deriva da "cacumen", cioè vetta.
v. 113: "E per lo monte del cui bel cacume": Perifrasi. S'intende il Purgatorio.
v. 115: "Per lo ciel": Perifrasi. S'intende il Paradiso.
vv. 116-117: "S'io ridico, a molti fia sapor di forte agrume": Sinestesia. Sfere sensoriali differenti.
v. 118: "S'io al vero son timido amico": Metafora. Con queste parole Dante parla dell'ipotesi di omettere dei particolari, cioè di non dire tutta la verità.
vv. 119-120: "Tra coloro che questo tempo chiameranno antico": Perifrasi. Per indicare i posteri, le nuove generazioni.
v. 121: "La luce in che rideva il mio tesoro": Perifrasi. Per indicare l'anima di Cacciaguida.
v. 122: "Corusca": Latinismo.
vv. 122-123: "Si fé prima corusca, quale a raggio di sole specchio d'oro": Similitudine.
v. 124: "Fusca": Latinismo.
v. 126: "La tua parola": Sineddoche. Il singolare per il plurale, "le tue parole".
v. 129: "Lascia pur grattar dov'è la rogna": Metafora.
vv. 130-132: "Ché se la voce tua sarà molesta nel primo gusto, vital nodrimento lascerà poi, quando sarà digesta": Metafora.
v. 130: "La voce tua": Anastrofe.
v. 132: "Digesta": Latinismo.
vv. 133-134: "Questo tuo grido farà come vento, che le più alte cime più percuote": Similitudine.
v. 134: "Le più alte cime": Metafora. Per indicare le personalità più potenti. v. 134: "Più ... più": Iterazione.
v. 137: "Nel monte e ne la valle dolorosa": Perifrasi. Per indicare il Purgatorio e l'Inferno.
v. 141: "Incognita e ascosa": Endiadi.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto XVII del Paradiso segna un momento decisivo nel percorso di Dante, rappresentando il culmine del suo "trittico" incentrato sull'incontro con il suo avo Cacciaguida. Dopo aver descritto la Firenze del XII secolo nel Canto XV e analizzato le cause del suo decadimento morale nel Canto XVI, il Canto XVII si concentra sul destino di Dante, in particolare sull'esilio, tema che permea tutto il suo viaggio ultraterreno. Il tono del Canto è elevato e retorico, e il paragone tra Dante e Fetonte, entrambi alla ricerca di conferme per le voci che li riguardano, crea un collegamento con il mito di Enea, poiché Cacciaguida, come Anchise nell'Eneide, predice a Dante una missione divina: quella di scrivere la Commedia e denunciare i mali del suo tempo.
Nel Canto XVI, Dante aveva già fatto riferimento alla decadenza delle famiglie fiorentine, similmente a come Anchise racconta le origini romane di Enea. Qui, però, l'attenzione si sposta sul futuro esilio del poeta, causato dalle lotte politiche tra Guelfi Bianchi e Neri e dalla corruzione papale, che ha visto Bonifacio VIII schierarsi a favore dei Neri. In questo contesto, Dante non solo denuncia l'ingiustizia dell'esilio, ma lo incastona all'interno di un conflitto più ampio, dove l'autorità papale si contrappone a quella imperiale, e dove la corruzione politica e la mancanza di giustizia sono i mali che lacerano l'Italia. La profezia di Cacciaguida non solo anticipa le difficoltà che Dante affronterà nel suo vagabondare tra città, ma gli assegna una missione: attraverso la sua poesia, Dante deve denunciare i mali dell'epoca, anche a rischio di inimicarsi i potenti.
Dante dovrà cercare asilo presso i signori che lo accoglieranno, tra cui spicca Cangrande degli Scaligeri, che diventerà il suo principale protettore. La profezia di Cacciaguida prevede che Cangrande avrà un ruolo cruciale nel tentativo di restaurare l'autorità imperiale nel Nord Italia, un parallelo che si ricollega al "veltro" profetizzato da Dante in Inferno I. Nonostante le difficoltà politiche e personali, Cacciaguida esorta Dante a non cedere alla paura della verità e a proseguire nella sua missione poetica, che diventerà una denuncia pubblica contro la corruzione, l'avidità e l'assenza di giustizia.
La profezia di Cacciaguida richiama inoltre l'importanza della verità e dell'onestà nel percorso di Dante. Solo raccontando senza omissioni tutto ciò che ha visto durante il suo viaggio ultraterreno, Dante potrà meritarsi la fama eterna. Il poema non deve essere solo una testimonianza della sua esperienza, ma una lotta contro le ingiustizie sociali, politiche e religiose. La missione divina che Cacciaguida affida a Dante è dunque quella di scrivere la Commedia, un'opera che avrà un valore immortale, proprio perché denuncia le malefatte del suo tempo con una sincerità che trascende la sua esperienza personale.
Il Canto XVII rappresenta quindi il cuore del poema, il momento in cui Dante riceve una missione divina chiara e netta: quella di usare la sua arte per combattere le ingiustizie e lasciare un segno indelebile nella storia. La sua fermezza nel perseguire questa missione, nonostante l'esilio e le difficoltà che affronta, è ciò che conferisce alla Divina Commedia un valore etico e morale che va oltre il suo tempo.
L'esilio di Dante da Firenze, avvenuto nel 1302, lo costrinse a vagabondare per l'Italia del Nord, allontanandolo da una città che, pur amandola, lo aveva ingiustamente esiliato. Questo lungo periodo di esilio ha contribuito ad ampliare la sua visione culturale e politica, spingendolo a confrontarsi con le realtà più ampie del mondo e a sviluppare un senso di missione che lo avrebbe portato a scrivere la sua grande opera. Sebbene la sofferenza dell'esilio fosse profonda, essa alimentò anche la sua determinazione a riaffermare la propria grandezza e a denunciare, attraverso la Commedia, la corruzione e le ingiustizie che lo avevano privato della sua casa e della sua dignità.
La ferita dell'esilio non si rimarginò mai completamente, e Dante nutriva un odio profondo verso i suoi avversari politici e la città che lo aveva condannato. La condanna per baratteria, una falsa accusa di corruzione che coinvolse lui e la sua famiglia, contribuì a questa amara visione, ma allo stesso tempo rafforzò il suo rigore morale. Nonostante la condizione di esule, Dante non cessò mai di attaccare i mali della sua epoca, come testimoniato dalla sua opera e dalle parole di Cacciaguida nel Paradiso. Dante fu esiliato, ma non si piegò mai al compromesso, rifiutando l'amnistia che gli avrebbe permesso di tornare a Firenze a condizioni che giudicò inaccettabili, come testimonia l'Epistola XII.
Dante rifiutò di tornare a Firenze a qualsiasi costo, non accettando l'umiliazione di ammettere una colpa che non aveva commesso. Questo rifiuto fu l'ultima occasione che il poeta ebbe di tornare a Firenze, ma anche l'espressione della sua dignità e del suo impegno per la verità. La morte di Arrigo VII e l'impossibilità di risolvere la questione in maniera onorevole chiusero definitivamente il sogno di tornare a Firenze.
Nel 1321, Dante morì a Ravenna, ma la sua relazione con Firenze non terminò con la sua morte. I tentativi di riportare i suoi resti nella città natale furono vani, persino quelli fatti da papa Leone X nel Cinquecento, quando i Ravennati si opposero fermamente. La scelta di mantenere le spoglie di Dante lontano da Firenze sembra un simbolo della sua lotta per la dignità e la verità: Dante, che non si piegò mai ai suoi concittadini in vita, rimase lontano dalla città che lo aveva esiliato, una testimonianza eterna del suo coraggio morale.
Passi Controversi
Il Canto XVI del Paradiso presenta numerosi riferimenti mitologici e storici, arricchendo il discorso di Cacciaguida con immagini e allusioni che conferiscono profondità al messaggio dantesco. Nei primi versi, il poeta richiama il mito di Fetonte, il figlio di Apollo e Climene, tratto dalle Metamorfosi di Ovidio. Il giovane, deriso da Epafo per le sue origini, chiese conferma alla madre, la quale lo spinse a rivolgersi al padre. Apollo, per dimostrare la verità delle sue parole, gli concesse di guidare il carro del Sole, ma Fetonte, incapace di mantenere il controllo, deviò dal percorso e fu colpito da un fulmine di Giove. Questo episodio diventa simbolo della necessità di equilibrio nell'educazione paterna: i padri devono essere saggi nel concedere ai figli ciò che desiderano, evitando di essere eccessivamente indulgenti.
Nel verso 13, la parola piota indica la pianta del piede e, per estensione, la radice, sottolineando un legame con il concetto di origine e fondamento. Il termine t'insusi è invece una creazione linguistica originale di Dante. Il verso 31 introduce il latinismo ambage, che significa "espressione oscura" o "discorso contorto", riferendosi agli oracoli pagani, spesso enigmatici e fuorvianti. Il contrasto tra ambage e discorso preciso e latino (vv. 34-35) non implica necessariamente che il beato parli in latino, ma piuttosto che il suo linguaggio sia chiaro e privo di ambiguità.
Una lezione di lettura alternativa compare al verso 42, dove alcuni manoscritti riportano corrente, sebbene questa versione sia considerata un'interpretazione semplificata del testo. Nei versi 46-48, Dante introduce un altro mito classico, quello di Ippolito. Figlio di Teseo, il giovane respinse le avance della matrigna Fedra, la quale, per vendetta, lo accusò ingiustamente davanti al padre. Teseo, credendo alle menzogne della moglie, esiliò il figlio. Questo episodio potrebbe rappresentare Firenze nel ruolo di matrigna, ingiusta e crudele nei confronti di Dante.
Nei versi 49-51, il poeta fa riferimento a Bonifacio VIII, accusandolo di simonia e di aver favorito l'ascesa politica dei Neri a Firenze. Sebbene non sia esplicitato il coinvolgimento diretto del pontefice nell'esilio di Dante, la sua influenza politica viene comunque evidenziata. I versi successivi (53-54) suggeriscono che Firenze subirà presto una punizione divina, rivelando così l'ingiustizia delle accuse rivolte al poeta, forse in relazione all'accusa di baratteria.
Dante allude anche ai dissidi con gli altri esuli fiorentini (vv. 61-66), con i quali inizialmente si era schierato. Tuttavia, i contrasti interni portarono il gruppo a dividersi e Dante a prendere le distanze da loro, evitando così di partecipare alla battaglia della Lastra, nella quale molti di loro furono sconfitti e uccisi.
Nel verso 71, il gran Lombardo è probabilmente Bartolomeo Della Scala, signore di Verona dal 1301 al 1304, periodo in cui Dante trovò ospitalità presso di lui. Il santo uccello menzionato nel verso 72 è l'aquila imperiale, simbolo del potere degli Scaligeri, presente già prima della loro nomina a vicari imperiali nel 1311.
Nei versi successivi, si introduce la figura di Cangrande della Scala, futuro protettore di Dante. Nonostante fosse ancora un bambino al momento del colloquio con Cacciaguida, quest'ultimo ne prefigura le future imprese militari, affermando che si manifesteranno prima che Clemente V (chiamato il Guasco) tradisca l'imperatore Arrigo VII di Lussemburgo (l'alto Arrigo), evento che avvenne nel 1312.
Dante riceve quindi una profezia sulle gesta di Cangrande (vv. 91-93), che tuttavia non potrà rivelare, un espediente già utilizzato in Paradiso IX per nascondere dettagli su un altro castigo divino. Nel verso 97, i vicini sono i concittadini di Dante, mentre nel verso 122 corusca è un termine di origine latina che significa "splendente".
Questi riferimenti, uniti alla narrazione profetica, contribuiscono a rafforzare la visione di Dante sulla corruzione politica e sulle speranze di un rinnovamento morale, attraverso la guida di leader giusti e illuminati.
Fonti: libri scolastici superiori