Parafrasi e Analisi: "Canto XXIV" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XXIV del Paradiso di Dante Alighieri si inserisce in un momento cruciale del viaggio del poeta attraverso i cieli beati, dove l'argomento trattato si concentra sull'illuminazione della natura divina e sul tema della conoscenza e della visione beatifica. In questo canto, Dante si confronta con la vertiginosa altezza della sapienza celeste, dove la mente umana, pur avvicinandosi alla perfezione, resta comunque limitata e incapace di afferrare pienamente il mistero divino. L'autore si sofferma sulle implicazioni morali e teologiche di questa conoscenza trascendente, esplorando il rapporto tra il libero arbitrio e la predestinazione, nonché la possibilità per l'uomo di elevarsi spiritualmente verso la visione diretta di Dio. Questo canto, dunque, è un momento di riflessione profonda sul destino dell'anima e sul cammino di purificazione che porta alla salvezza, trattato con l'intensa chiarezza e l'eloquenza tipiche di Dante, che ci invita a considerare la nostra comprensione della divinità in relazione alla sua infinita grandezza.
Testo e Parafrasi
«O sodalizio eletto a la gran cena del benedetto Agnello, il qual vi ciba sì, che la vostra voglia è sempre piena, se per grazia di Dio questi preliba di quel che cade de la vostra mensa, prima che morte tempo li prescriba, ponete mente a l'affezione immensa e roratelo alquanto: voi bevete sempre del fonte onde vien quel ch'ei pensa». Così Beatrice; e quelle anime liete si fero spere sopra fissi poli, fiammando, volte, a guisa di comete. E come cerchi in tempra d'orïuoli si giran sì, che 'l primo a chi pon mente quïeto pare, e l'ultimo che voli; così quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente. Di quella ch'io notai di più carezza vid' ïo uscire un foco sì felice, che nullo vi lasciò di più chiarezza; e tre fïate intorno di Beatrice si volse con un canto tanto divo, che la mia fantasia nol mi ridice. Però salta la penna e non lo scrivo: ché l'imagine nostra a cotai pieghe, non che 'l parlare, è troppo color vivo. «O santa suora mia che sì ne prieghe divota, per lo tuo ardente affetto da quella bella spera mi disleghe». Poscia fermato, il foco benedetto a la mia donna dirizzò lo spiro, che favellò così com' i' ho detto. Ed ella: «O luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, ch'ei portò giù, di questo gaudio miro, tenta costui di punti lievi e gravi, come ti piace, intorno de la fede, per la qual tu su per lo mare andavi. S'elli ama bene e bene spera e crede, non t'è occulto, perché 'l viso hai quivi dov' ogne cosa dipinta si vede; ma perché questo regno ha fatto civi per la verace fede, a glorïarla, di lei parlare è ben ch'a lui arrivi». Sì come il baccialier s'arma e non parla fin che 'l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, così m'armava io d'ogne ragione mentre ch'ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione. «Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: fede che è?». Ond' io levai la fronte in quella luce onde spirava questo; poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte sembianze femmi perch' ïo spandessi l'acqua di fuor del mio interno fonte. «La Grazia che mi dà ch'io mi confessi», comincia' io, «da l'alto primipilo, faccia li miei concetti bene espressi». E seguitai: «Come 'l verace stilo ne scrisse, padre, del tuo caro frate che mise teco Roma nel buon filo, fede è sustanza di cose sperate e argomento de le non parventi; e questa pare a me sua quiditate». Allora udi': «Dirittamente senti, se bene intendi perché la ripuose tra le sustanze, e poi tra li argomenti». E io appresso: «Le profonde cose che mi largiscon qui la lor parvenza, a li occhi di là giù son sì ascose, che l'esser loro v'è in sola credenza, sopra la qual si fonda l'alta spene; e però di sustanza prende intenza. E da questa credenza ci convene silogizzar, sanz' avere altra vista: però intenza d'argomento tene». Allora udi': «Se quantunque s'acquista giù per dottrina, fosse così 'nteso, non lì avria loco ingegno di sofista». Così spirò di quello amore acceso; indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa d'esta moneta già la lega e 'l peso; ma dimmi se tu l'hai ne la tua borsa». Ond' io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla mi s'inforsa». Appresso uscì de la luce profonda che lì splendeva: «Questa cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda, onde ti venne?». E io: «La larga ploia de lo Spirito Santo, ch'è diffusa in su le vecchie e 'n su le nuove cuoia, è silogismo che la m'ha conchiusa acutamente sì, che 'nverso d'ella ogne dimostrazion mi pare ottusa». Io udi' poi: «L'antica e la novella proposizion che così ti conchiude, perché l'hai tu per divina favella?». E io: «La prova che 'l ver mi dischiude, son l'opere seguite, a che natura non scalda ferro mai né batte incude». Risposto fummi: «Dì, chi t'assicura che quell' opere fosser? Quel medesmo che vuol provarsi, non altri, il ti giura». «Se 'l mondo si rivolse al cristianesmo», diss' io, «sanza miracoli, quest' uno è tal, che li altri non sono il centesmo: ché tu intrasti povero e digiuno in campo, a seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno». Finito questo, l'alta corte santa risonò per le spere un 'Dio laudamo' ne la melode che là sù si canta. E quel baron che sì di ramo in ramo, essaminando, già tratto m'avea, che a l'ultime fronde appressavamo, ricominciò: «La Grazia, che donnea con la tua mente, la bocca t'aperse infino a qui come aprir si dovea, sì ch'io approvo ciò che fuori emerse; ma or convien espremer quel che credi, e onde a la credenza tua s'offerse». «O santo padre, e spirito che vedi ciò che credesti sì, che tu vincesti ver' lo sepulcro più giovani piedi», comincia' io, «tu vuo' ch'io manifesti la forma qui del pronto creder mio, e anche la cagion di lui chiedesti. E io rispondo: Io credo in uno Dio solo ed etterno, che tutto 'l ciel move, non moto, con amore e con disio; e a tal creder non ho io pur prove fisice e metafisice, ma dalmi anche la verità che quinci piove per Moïsè, per profeti e per salmi, per l'Evangelio e per voi che scriveste poi che l'ardente Spirto vi fé almi; e credo in tre persone etterne, e queste credo una essenza sì una e sì trina, che soffera congiunto 'sono' ed 'este'. De la profonda condizion divina ch'io tocco mo, la mente mi sigilla più volte l'evangelica dottrina. Quest' è 'l principio, quest' è la favilla che si dilata in fiamma poi vivace, e come stella in cielo in me scintilla». Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch'el si tace; così, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, sì com' io tacqui, l'appostolico lume al cui comando io avea detto: sì nel dir li piacqui! |
"O convitati prescelti alla mensa celeste dell'Agnello di Dio, il quale vi nutre spiritualmente così che il vostro appetito sia sempre appagato, poiché, per una speciale grazia divina, costui (Dante) pregusta le briciole che cadono dalla vostra mensa, prima che sopraggiunga il tempo della morte terrena, considerate il suo desiderio immenso (di conoscenza) e dissetatelo un poco: voi bevete in eterno da quella fonte da dove proviene ciò che lui pensa". Così disse Beatrice; e quelle anime gaie diventarono luci sferiche rotanti intorno ad un asse immobile, fiammeggiando fortemente come comete. E come le ruote del meccanismo di un orologio girano con differente velocità tanto che, a chi le osserva, il primo sembra quasi non si muova e l'ultimo (sembra) volare; così quelle corone che danzavano in modi differenti, in tondo, mi mostravano chiaramente il loro maggiore o minore grado di beatitudine. Da quella corona di anime che mi appariva più splendente, vidi io staccarsi una luce così fulgida che non vi lasciò dentro nessuna più brillante; e tre volte intorno a Beatrice ruotò intonando un canto così divino, che la mia mente non mi permette ricordarlo. Perciò la mia penna tralascia questa parte e non lo scrive; perché la nostra immaginazione (umana), e pure la parola, è troppo insufficiente per riuscire descriverne le sfumature. "O santa sorella che così devota ci preghi, e con l'ardore del tuo amore mi sciogli e stacchi da quella beata schiera di anime". Quando si fu fermato, la luce santa rivolse a Beatrice il fiato (la voce), che parlò così come io ho detto. Ed ella: " O luce eterna del grande Pietro a cui Dio lasciò le chiavi (del Paradiso) che egli aveva portato sulla Terra, metti alla prova costui circa questioni essenziali e secondarie come tu desideri, riguardo a quella virtù della fede, che ti consentì, poiché così piena, di camminare sopra le acque del mare. Non ti è oscuro se egli possiede le tre virtù teologali, carità, speranza e fede, poichè fissi il tuo sguardo qui dove ogni cosa si vede raffigurata (la mente di Dio); ma poiché il Paradiso si è popolato per effetto della fede vera, per glorificarla, è giusto che a lui (Dante) tocchi di parlarne". Così come lo studente si prepara mentalmente e non parla finchè il maestro non gli ponga la questione, per confermarla e non per portarla a compimento, così mi preparavo io con ogni argomentazione mentre che essa parlava, per essere pronto ad un tale esaminatore (Pietro) e ad un tale argomento. "Rispondi, buon cristiano, fatti riconoscere (come buon cristiano), cos'è la fede?". Allora io alzai la fronte verso quel lume da dove uscivano queste parole; poi mi rivolsi a Beatrice, ed essa prontamente mi fece cenno perché io esprimessi liberamente i pensieri che nascevano dentro di me. "La Grazia che mi permette di far professione della mia fede", iniziai a dire io, "di fronte al suo primo paladino (Pietro), faccia sì che i miei pensieri siano bene espressi". E continuai: "Come ci ha lasciato scritto la penna del tuo caro fratello (san Paolo), o padre, che insieme a te mise Roma sulla retta strada, la fede è il principio su cui si fonda la speranza e la dimostrazione delle cose che non sono visibili; e questa sembra a me la sua essenza". Allora sentii: " Tu pensi correttamente, se comprendi bene perché san Paolo pose la fede prima come sostanza e poi come argomento". E io subito dopo: "I misteri divini profondi che qui in Paradiso mi si rivelano mostrandomi il loro aspetto, agli occhi dei mortali sulla Terra sono così inaccessibili, che la loro esistenza è solo un atto di fede, sulla quale si fonda l'alta speranza di beatitudine; e perciò alla fede è data la denominazione di sostanza. E da questa fede dobbiamo argomentare senza ricorrere ad altre prove sensibili; perciò essa ha il valore di prova". Allora mi sentii dire: "Se tutto ciò che si apprende sulla terra come insegnamento, fosse inteso allo stesso modo, non resterebbe spazio per discussioni filosofiche". Così parlò quel lume ardente di carità; e poi aggiunse: "E' stata da te esaminata così bene la lega e il peso di questa moneta: ma adesso dimmi se tu ne sei provvisto nella tua borsa". E io risposi: "Si, la possiedo, così splendente e così intatta, che nel suo conio non c'è nulla che mi faccia dubitare". Subito dall'intensa luce che lì risplendeva uscirono queste parole: "Questa gemma preziosa sopra la quale si fonda ogni virtù, da chi e come ti fu donata?" E io: "L'abbondante pioggia di ispirazione dello Spirito Santo che si è diffusa nelle pagine del Vecchio e del Nuovo Testamento, è argomento che mi ha dimostrato la realtà della fede così efficacemente che confronto ad essa ogni altra dimostrazione sembra sciocca". Io sentii poi: "L'Antico e il Nuovo Testamento, che come dici, dimostrano la fede perché ritieni ispirati dalla parola di Dio?" E io: "La prova che mi dimostra questa verità è costituita dalle opere che la confermarono e che non possono dipendere dalla natura umana". Mi fu risposto così: "Dimmi, chi ti assicura che quei miracoli esistettero? Quella stessa cosa che si vuole dimostrare, non altri, ma solo i libri ti giurano". "Se il mondo si convertì al Cristianesimo" dissi io "Senza bisogno di miracoli, questo stesso fatto è tale (miracolo) che tutti gli altri non sono nient'altro che la centesima parte; poiché tu ti mettesti all'opera povero e privo di mezzi, per fondare la chiesa, buona pianta che un tempo fu vite e che ora è diventata corrotta". Finito questo dialogo, la divina corte dei beati intonarono divisi in cerchi un "Dio laudamo" secondo la dolce melodia che si canta in Paradiso. E san Pietro che così, con domande, mi aveva messo alla prova, e già mi aveva condotto, al momento conclusivo dell'esame, riiniziò: "La Grazia divina che guida la tua mente con amore, ti ha suggerito fino a qui come si doveva aprire la bocca, cosicché io approvo ciò che fuori dalla tua bocca emerse: ma devi esprimere ciò che credi, e da dove hai attinto le tue credenze". "O santo padre, che vedi le verità in cui che credesti così da farti vincere, nella corsa verso il sepolcro, gambe più giovani (di Giovanni)" Io incominciai, "Tu vuoi che io mostri l'essenza della mia prima fede e anche la sua origine. E io rispondo: "Io credo in un Dio solo ed eterno, che muove tutto il ciielo, non moto se stesso, ma (muovendo) con amore e desiderio. E di questa mia fede non ho io soltanto prove fisiche e metafisiche, ma mi dà esso anche la verità che dal cielo discende attraverso Mosè, i profeti, i salmi, il vangelo, e voi che scriveste dopo che lo Spirito Santo luminoso vi rese santi. E credo nelle tre persone eterne (trinità) e ritengo queste un'essenza sia una sia trina, che sopporta e che ammette insieme il singolare ed il plurale. Da questa misteriosa condizione divina che io ora ho affrontato, la mente mi imprime più volte l'evangelica dottrina. Questo punto è il principio, questa è la scintilla che si espande poi in fiamma vivace, e mi illumina come una stella del cielo". Come il padrone che ascolta ciò che lo aggrada, e di conseguenza abbraccia il servo, rallegrandosi per la notizia, non appena finisce di parlare; così cantando e benedicendomi, mi strinse tre volte, appena io tacqui, la luce apostolica per ordine del quale io avevo parlato finora; tanto gli piacquero le mie risposte! |
Riassunto
vv. 1-33 – La preghiera di Beatrice e la danza degli spiriti beati
Beatrice rivolge una preghiera ai beati, chiedendo che almeno in parte soddisfino il desiderio di sapienza divina che anima Dante. Gli spiriti, sentendo la sua richiesta, si fanno ancora più luminosi e iniziano a danzare, muovendosi in circoli per manifestare la loro gioia. Dalla zona più splendente si stacca lo spirito di San Pietro, che, in risposta alla fervente supplica di Beatrice, esegue tre giri intorno a lei, intonando un canto di una bellezza tale che non può essere descritta a parole.
vv. 34-51 – Beatrice invita san Pietro a interrogare Dante sulla sua fede
Beatrice si rivolge a san Pietro, invitandolo a esaminare Dante sulla sua fede, in modo che questa virtù, che è alla base della crescita del cielo, possa essere lodata. Mentre Beatrice parla, Dante si prepara a rispondere, come uno studente che si prepara a un'interrogazione, attendendo il momento in cui il maestro pone la domanda.
vv. 52-78 – Il concetto di fede
San Pietro, con una domanda solenne, chiede a Dante che cosa sia la fede. Dante, con il consenso di Beatrice, risponde utilizzando la definizione paolina: la fede è la sostanza delle cose sperate, la prova di quelle che non si vedono.
vv. 79-96 – La fede di Dante
San Pietro, soddisfatto dalla risposta, continua il suo esame chiedendo a Dante se possieda veramente una fede così intatta e da dove essa provenga. Dante risponde che possiede una fede pura e integra, che ha appreso attraverso le Sacre Scritture.
vv. 97-114 – L'ispirazione divina delle Scritture
San Pietro domanda allora perché Dante consideri le Sacre Scritture come ispirate da Dio. Dante risponde che i miracoli stessi lo dimostrano, ma San Pietro obietta che i miracoli sono narrati nelle Scritture, le quali devono essere verificate. Dante risponde che il più grande miracolo è la conversione del mondo al cristianesimo, che è avvenuta senza miracoli tangibili, grazie alla predicazione degli Apostoli. Al termine di questa discussione, i beati intonano il Te Deum, con una dolcezza che sfiora l'indescrivibile.
vv. 115-147 – La professione di fede di Dante
San Pietro, dopo aver approvato le risposte di Dante, gli chiede di esprimere i fondamenti della sua fede. Dante afferma di credere in un solo Dio, uno e trino, che muove i cieli con amore, e spiega di essere giunto a questa convinzione attraverso prove fisiche e metafisiche, e naturalmente attraverso le Sacre Scritture, che considera ispirate da Dio.
vv. 148-154 – L'approvazione di San Pietro
Al termine dell'esame, San Pietro, soddisfatto della solida professione di fede dimostrata da Dante, lo benedice, cantando e compiendo tre giri intorno a lui, come segno di benedizione e approvazione.
Figure Retoriche
v. 1: "La gran cena": Metafora. Per indicare il cibo della mente. Si fa anche un riferimento all'ultima cena di Gesù con gli apostoli.
v. 2: "Benedetto Agnello": Perifrasi. Per indicare Gesù Cristo, nel suo ruolo di vittima sacrificale per la redenzione dei peccati dell'umanità.
v. 8: "Roratelo": Metafora.
v. 9: "Fonte": Perifrasi. Per indicare la mente di Dio.
v. 12: "Fiammando, a volte, a guisa di comete": Similitudine.
vv. 13-18: "E come cerchi in tempra d'oriuoli si giran sì, che 'l primo a chi pon mente quieto pare, e l'ultimo che voli; così quelle carole, differente- mente danzando, de la sua ricchezza mi facieno stimar, veloci e lente": Similitudine.
v. 18: "Veloci e lente": Antitesi.
v. 21: "Nullo vi lasciò di più chiarezza": Perifrasi. Per indicare le anime di maggiore splendore.
v. 26: "L'imagine nostra": Anastrofe.
vv. 26-27: "L'imagine nostra ... è troppo color vivo": Metafora.
v. 29: "Divota": Enallage. Dice "devota" anziché "con devozione, devotamente".
v. 31: "Foco benedetto": Perifrasi. Per indicare san Pietro.
v. 32: "La mia donna": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
vv. 34-35: "Luce etterna del gran viro a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi": Perifrasi.
v. 37: "Lievi e gravi": Ossimoro.
v. 39: "Per la qual tu su per lo mare andavi": Perifrasi. Per indicare san Pietro che scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.
v. 40: "Spera e crede": Endiadi.
vv. 41-42: "Quivi dov'ogne cosa dipinta si vede": Perifrasi. S'intende nella mente di Dio.
v. 43: "Regno": Perifrasi. Per indicare il Regno dei Cieli, ovvero il Paradiso.
vv. 46-51: "Sì come il baccialier s'arma e non parla fin che 'l maestro la question propone, per approvarla, non per terminarla, così m'armava io d'ogne ragione mentre ch'ella dicea, per esser presto a tal querente e a tal professione": Similitudine.
v. 48: "Per approvarla, non per terminarla": Antitesi.
v. 53: "Fede che è": Anastrofe.
vv. 56-57: "Io spandessi l'acqua di fuor del mio interno fonte": Metafora. Per dire "io rispondessi".
v. 59: "L'alto primipilo": Perifrasi. Per indicare Pietro.
vv. 83-84: "Assai bene è trascorsa d'esta moneta già la lega e 'l peso": Metafora.
vv. 86-87: "Sì lucida e sì tonda, che nel suo conio nulla mi s'inforsa": Metafora.
vv. 89-90: "Cara gioia sopra la quale ogne virtù si fonda": Metafora. Per indicare la fede.
v. 100: "La prova che 'l ver mi dischiude": Anastrofe.
vv. 101-102: "A che natura non scalda ferro mai né batte incude": Metafora.
v. 109: "Povero e digiuno": Endiadi.
vv. 107-108: "Quest'uno / è tal": Enjambement.
v. 110: "A seminar la buona pianta che fu già vite e ora è fatta pruno": Metafora. Qui paragona la fede a una pianta che un tempo dava buoni frutti mentre adesso non più, cioè la Chiesa è diventata corrotta.
v. 115: "Baron": Perifrasi. Per indicare Pietro.
v. 115: "Di ramo in ramo": Metafora. E' un modo di dire.
v. 116: "Tratto m'avea": Anastrofe.
v. 117: "Che a l'ultime fronde appressavamo": Metafora. Continua la metafora dell'albero, dato che le fronde sono l'insieme dei rami e delle foglie di un albero. In questo caso sta a significare che l'esame sulle feda rivolto a Dante stava per giungere alla conclusione.
vv. 118-119: "Che donnea / con la tua mente": Enjambement.
v. 126: "Più giovani piedi": Perifrasi. Per indicare san Giovanni, che arrivò prima di Pietro al sepolcro di Cristo.
v. 128: "Creder mio": Anastrofe.
vv. 129-130: "Uno Dio solo": Anastrofe.
vv. 131-132: "Che tutto 'l ciel move, non moto": Antitesi.
v. 132: "Con amore e con disio": Endiadi.
v. 147: "E come stella in cielo in me scintilla": Similitudine.
vv. 148-153: "Come 'l segnor ch'ascolta quel che i piace, da indi abbraccia il servo, gratulando per la novella, tosto ch'el si tace; così, benedicendomi cantando, tre volte cinse me, sì com'io tacqui, l'appostolico lume al cui comando": Similitudine.
Analisi ed Interpretazioni
Nel Canto XXIV del Paradiso, san Pietro diventa protagonista centrale, introducendo un esame fondamentale per Dante sulla fede. Questo dialogo segna un passaggio cruciale, con il poeta che si confronta con le tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Dopo l'apparizione trionfale di Cristo e Maria, che simboleggiano la gloria e la salvezza, Dante si trova a dover fare solenne professione della sua fede. Questo avviene attraverso un esame che Pietro, Giacomo e Giovanni, in seguito, gli sottoporranno riguardo alla fede, alla speranza e alla carità, preparandolo così a proseguire il suo cammino verso i cieli superiori, il Primo Mobile e l'Empireo.
La scelta dei tre Apostoli non è casuale: essi sono stati considerati i prescelti da Cristo e vengono accostati alle virtù teologali. San Pietro, figura centrale del Canto, interviene con una preghiera di Beatrice, che chiede agli apostoli di concedere a Dante parte della loro sapienza. Le luci celesti cominciano a ruotare attorno al santo, e il poeta si prepara a rispondere, come un baccelliere impegnato in un esame di teologia. Nonostante Pietro sappia già che Dante possiede intatte tutte le virtù, l'esame serve a sottolineare l'importanza della fede come prerequisito fondamentale per la salvezza.
Il colloquio si sviluppa in tre momenti distinti. Prima Dante definisce la fede, richiamando la formulazione paolina tratta dalla Lettera agli Ebrei, evidenziando l'impossibilità di comprendere i misteri divini durante la vita, e ponendo la fede come atto supremo della volontà, che va al di là della ragione umana. Questa visione ribalta in qualche modo la prospettiva del Convivio, dove la ragione era esaltata come strumento per la comprensione della verità, pur nel suo limite rispetto ai misteri celesti. Dante adotta piuttosto la formula agostiniana credo ut intelligam, subordinando la ragione alla fede, proprio come Virgilio era stato subordinato a Beatrice. In questo passaggio, san Pietro si compiace della risposta di Dante, apprezzando la sua comprensione della dottrina, che rende vani gli argomenti dei sofisti.
In seguito, Dante sostiene che la Scrittura è la fonte primaria della fede, citando i miracoli raccontati nei testi sacri come prova della loro veridicità. San Pietro, però, obietta che questi miracoli sono confermati dalle stesse Scritture. Dante ribatte con l'argomento agostiniano della diffusione del cristianesimo come miracolo sufficiente a dimostrare l'autenticità dei testi sacri, con particolare enfasi sulla predicazione di Pietro, che ha gettato le basi della Chiesa, pur in povertà.
Infine, Dante è chiamato a esprimere il suo credo, dichiarando la sua fede nel Dio trinitario e nell'esistenza di un solo Dio eterno. La sua professione di fede, che ricalca la formula ufficiale della dottrina cristiana, riceve la benedizione di san Pietro, il quale circonda Dante con una luce radiosa, simboleggiando l'approvazione celeste. Questo incontro segna la riconciliazione finale tra Dante e la teologia cristiana, dopo le sue precedenti riflessioni filosofiche, rappresentando un momento di pura contemplazione.
Il Canto XXIV, quindi, segna l'inizio di un percorso più contemplativo e spirituale, dove Dante, attraverso il dialogo con Pietro, non solo conferma la sua fede, ma intraprende anche una riflessione più profonda sull'essenza della salvezza e sul ruolo centrale della fede nella sua ascesa verso la visione di Dio. Questo esame si configura come una sorta di rito di passaggio, fondamentale per affrontare l'ultima parte del viaggio celeste e completare la sua purificazione spirituale.
Passi Controversi
Nel verso 1, la "gran cena" è una metafora per la vita eterna, ma probabilmente fa anche riferimento agli Apostoli e all'Ultima Cena con Gesù, il benedetto Agnello, che ora in Paradiso invita i suoi discepoli a partecipare a un banchetto di sapienza. Beatrice intercede per Dante, pregando affinché egli possa anch'egli assaporare le briciole che cadono dalla mensa celeste, un'immagine simile a quella che appare nel Convito (I, 1, 10).
Nel verso 6, "prescriba" significa "porre un limite", riferendosi alla morte. Nei versi 8-9, l'immagine dei beati che dovranno estinguere la sete di conoscenza di Dante evoca numerosi richiami scritturali, come in Purgatorio (XXI, 1-3).
I versi 10-12 sono stati oggetto di diverse interpretazioni, ma probabilmente Dante intende suggerire che le luci dei beati formano cerchi che ruotano attorno a un centro fisso. Tale dinamica è paragonata agli ingranaggi di un orologio, con le ruote dentate che si muovono a velocità variabile, un altro riferimento agli orologi si trova in Paradiso (X, 139 ss.).
Nel verso 16, "carole" indica balli in tondo. L'avverbio "differente-mente" è diviso tra i due versi successivi, un espediente poetico tipico del Due-Trecento. Al verso 19, "carezza" assume il significato di "preziosità", derivato dal latino "caritia".
L'immagine nei versi 25-57 fa riferimento alla tecnica pittorica per rappresentare le pieghe di un abito, che richiedono tonalità più scure. Dante suggerisce che, se tentasse di descrivere il canto di Pietro, risulterebbe come dipingere quelle pieghe con una tinta troppo vivace e quindi inappropriata.
Al verso 37, "di punti lievi e gravi" sta a significare "su questioni secondarie ed essenziali", in accordo con il linguaggio scolastico. Il verso 39 fa riferimento all'episodio evangelico (Matteo, XIV, 28-29) in cui Gesù cammina sulle acque e invita Pietro a seguirlo, simbolo della fede incondizionata dell'Apostolo; tuttavia, Pietro si spaventa e viene rimproverato da Cristo per la sua poca fede.
Il "baccialier" citato al verso 46 deriva dal francese bachelier, riferendosi a uno studente di teologia che affronta l'esame finale. Dante implica che il suo ruolo sia quello dello studente che deve approvare la questione proposta dal maestro, mentre quest'ultimo si occupa di confutare le obiezioni e concludere l'esposizione.
Nel verso 51, "querente" si riferisce a san Pietro, che deve esaminare Dante sulla sua fede. "La professione" indica la fede stessa. Al verso 59, "primipilo" è un termine militare romano che designa il centurione a capo del primo manipolo dei triari, qui utilizzato per definire Pietro come il condottiero della Chiesa, primo papa.
I versi 61-63 alludono a san Paolo, che Pietro definisce "carissimus frater noster" (II Lettera di Pietro, III, 5), e che con lui ha guidato il mondo sulla retta via della fede. La fede stessa è descritta da Paolo (Lettera agli Ebrei, XI, 1) come "sperandarum substantia rerum, argumentum non apparentium", un concetto ripreso da Dante nei versi 64-65, secondo il quale la fede è la base della speranza di vita eterna e il fondamento delle argomentazioni su ciò che non vediamo.
Nel verso 75, "intenza" è un termine scolastico che significa "denominazione". I versi 82-87 usano la metafora della moneta per descrivere la fede: Dante sostiene di possederla con certezza, come una moneta lucida e tonda, senza dubbi sul suo valore. "Inforsa" è un neologismo dantesco, come altri usati nel testo.
Nel verso 93, "le vecchie e le nuove cuoia" si riferiscono rispettivamente ai libri del Vecchio e Nuovo Testamento, ispirati dallo Spirito Santo. L'argomento nei versi 106-108 riprende Agostino (De civitate Dei, XXII, 5) e san Tommaso (Summa contra gentiles, I, 6).
Nel verso 115, san Pietro è definito "baron", un titolo popolare che si dava a Cristo e ai santi. Il verbo "donnea" (verso 118) significa "signoreggia" o "domina", derivato dal provenzale domnejar.
I versi 124-126 alludono all'episodio evangelico (Giovanni, XX, 1-9) in cui Pietro e Giovanni, dopo essere stati informati dalla Maddalena che il sepolcro di Cristo era vuoto, corrono per verificarlo. Sebbene questo non rappresenti nel Vangelo una prova della fede nella Resurrezione, Dante altera il racconto, facendo arrivare prima Pietro, mentre nel Vangelo è Giovanni il primo ad arrivare.
Infine, i versi 136-138 menzionano i libri della Bibbia secondo la tradizionale divisione: il Pentateuco, i libri storici e profetici, i libri didattici (Salmi), i Vangeli, gli Atti, le Epistole e l'Apocalisse, scritti da Pietro e dagli altri Apostoli.
Fonti: libri scolastici superiori