Parafrasi e Analisi: "Canto XXIX" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Analisi ed Interpretazioni
6) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto 29 del Paradiso di Dante Alighieri si inserisce all'interno di un più ampio discorso sull'ordine cosmico e divino, temi che attraversano tutta la Divina Commedia. In questo canto, l'argomento centrale è il concetto di "provvidenza divina", ovvero come la volontà di Dio governa il destino dell'universo e degli esseri umani, stabilendo un piano perfetto e giusto. Dante affronta la difficoltà di comprendere la complessità di tale provvidenza, cercando di conciliare il libero arbitrio umano con l'ordine immutabile di Dio. Il Canto rappresenta un momento di riflessione profonda sulle leggi divine che regolano il cosmo e sulla capacità dell'uomo di comprendere, seppur in parte, questo misterioso disegno.
Testo e Parafrasi
Quando ambedue li figli di Latona, coperti del Montone e de la Libra, fanno de l'orizzonte insieme zona, quant' è dal punto che 'l cenìt inlibra infin che l'uno e l'altro da quel cinto, cambiando l'emisperio, si dilibra, tanto, col volto di riso dipinto, si tacque Bëatrice, riguardando fiso nel punto che m'avëa vinto. Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, quel che tu vuoli udir, perch' io l'ho visto là 've s'appunta ogne ubi e ogne quando. Non per aver a sé di bene acquisto, ch'esser non può, ma perché suo splendore potesse, risplendendo, dir "Subsisto", in sua etternità di tempo fore, fuor d'ogne altro comprender, come i piacque, s'aperse in nuovi amor l'etterno amore. Né prima quasi torpente si giacque; ché né prima né poscia procedette lo discorrer di Dio sovra quest' acque. Forma e materia, congiunte e purette, usciro ad esser che non avia fallo, come d'arco tricordo tre saette. E come in vetro, in ambra o in cristallo raggio resplende sì, che dal venire a l'esser tutto non è intervallo, così 'l triforme effetto del suo sire ne l'esser suo raggiò insieme tutto sanza distinzïone in essordire. Concreato fu ordine e costrutto a le sustanze; e quelle furon cima nel mondo in che puro atto fu produtto; pura potenza tenne la parte ima; nel mezzo strinse potenza con atto tal vime, che già mai non si divima. Ieronimo vi scrisse lungo tratto di secoli de li angeli creati anzi che l'altro mondo fosse fatto; ma questo vero è scritto in molti lati da li scrittor de lo Spirito Santo, e tu te n'avvedrai se bene agguati; e anche la ragione il vede alquanto, che non concederebbe che ' motori sanza sua perfezion fosser cotanto. Or sai tu dove e quando questi amori furon creati e come: sì che spenti nel tuo disïo già son tre ardori. Né giugneriesi, numerando, al venti sì tosto, come de li angeli parte turbò il suggetto d'i vostri alimenti. L'altra rimase, e cominciò quest' arte che tu discerni, con tanto diletto, che mai da circüir non si diparte. Principio del cader fu il maladetto superbir di colui che tu vedesti da tutti i pesi del mondo costretto. Quelli che vedi qui furon modesti a riconoscer sé da la bontate che li avea fatti a tanto intender presti: per che le viste lor furo essaltate con grazia illuminante e con lor merto, sì c'hanno ferma e piena volontate; e non voglio che dubbi, ma sia certo, che ricever la grazia è meritorio secondo che l'affetto l'è aperto. Omai dintorno a questo consistorio puoi contemplare assai, se le parole mie son ricolte, sanz' altro aiutorio. Ma perché 'n terra per le vostre scole si legge che l'angelica natura è tal, che 'ntende e si ricorda e vole, ancor dirò, perché tu veggi pura la verità che là giù si confonde, equivocando in sì fatta lettura. Queste sustanze, poi che fur gioconde de la faccia di Dio, non volser viso da essa, da cui nulla si nasconde: però non hanno vedere interciso da novo obietto, e però non bisogna rememorar per concetto diviso; sì che là giù, non dormendo, si sogna, credendo e non credendo dicer vero; ma ne l'uno è più colpa e più vergogna. Voi non andate giù per un sentiero filosofando: tanto vi trasporta l'amor de l'apparenza e 'l suo pensiero! E ancor questo qua sù si comporta con men disdegno che quando è posposta la divina Scrittura o quando è torta. Non vi si pensa quanto sangue costa seminarla nel mondo e quanto piace chi umilmente con essa s'accosta. Per apparer ciascun s'ingegna e face sue invenzioni; e quelle son trascorse da' predicanti e 'l Vangelio si tace. Un dice che la luna si ritorse ne la passion di Cristo e s'interpuose, per che 'l lume del sol giù non si porse; e mente, ché la luce si nascose da sé: però a li Spani e a l'Indi come a' Giudei tale eclissi rispuose. Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi quante sì fatte favole per anno in pergamo si gridan quinci e quindi: sì che le pecorelle, che non sanno, tornan del pasco pasciute di vento, e non le scusa non veder lo danno. Non disse Cristo al suo primo convento: 'Andate, e predicate al mondo ciance'; ma diede lor verace fondamento; e quel tanto sonò ne le sue guance, sì ch'a pugnar per accender la fede de l'Evangelio fero scudo e lance. Ora si va con motti e con iscede a predicare, e pur che ben si rida, gonfia il cappuccio e più non si richiede. Ma tale uccel nel becchetto s'annida, che se 'l vulgo il vedesse, vederebbe la perdonanza di ch'el si confida: per cui tanta stoltezza in terra crebbe, che, sanza prova d'alcun testimonio, ad ogne promession si correrebbe. Di questo ingrassa il porco sant' Antonio, e altri assai che sono ancor più porci, pagando di moneta sanza conio. Ma perché siam digressi assai, ritorci li occhi oramai verso la dritta strada, sì che la via col tempo si raccorci. Questa natura sì oltre s'ingrada in numero, che mai non fu loquela né concetto mortal che tanto vada; e se tu guardi quel che si revela per Danïel, vedrai che 'n sue migliaia determinato numero si cela. La prima luce, che tutta la raia, per tanti modi in essa si recepe, quanti son li splendori a chi s'appaia. Onde, però che a l'atto che concepe segue l'affetto, d'amar la dolcezza diversamente in essa ferve e tepe. Vedi l'eccelso omai e la larghezza de l'etterno valor, poscia che tanti speculi fatti s'ha in che si spezza, uno manendo in sé come davanti». |
Quanto è il tempo impiegato dal sole e dalla luna, figli di Latona, rispettivamente a tramontare e a sorgere sulla linea dell'orizzonte, fino a che si trovano alle estremità del cielo, in congiunzione l'uno con la costellazione dell'Ariete, l'altro della Bilancia, e prima si fronteggiano in equilibrio perfetto, poi una sale e l'altra scende rispetto alla linea dell'orizzonte, tanto fu il tempo in cui Beatrice tacque, con il volto dipinto di riso, sorridente, guardando verso il punto che mi aveva abbagliato. Poi cominciò: "io rispondo al tuo dubbio, senza fatti domande, perché ho letto il tuo desiderio nella mente di Dio, dove ogni luogo e ogni tempo sono racchiusi. Non per acquisire per sé una maggiore quantità di bene, perché ciò non sarebbe possibile, ma affinché il suo splendore, riflettendosi, potesse prendere coscienza di sé, l'amore infinito di Dio, nella sua eternità al di fuori di ogni tempo e di ogni spazio, nel momento e nelle modalità che lui stabilì, si espanse dando origine a nuovi esseri amanti. Né si può dire che egli prima di questa operazione rimanesse inoperoso; poiché non c'era né un prima né un poi, finché Dio non creò il Primo Mobile sopra cui si trovano le acque superiori e da cui deriva la scansione del tempo. Le intelligenze angeliche e la materia informe, nella loro assoluta purezza e nella loro congiunzione da cui derivano i cieli, scaturirono dalla mente di Dio senza alcun difetto, come tre saette scagliate contemporaneamente da un arco con tre corde. E come in un istante un raggio di luce si diffonde su un oggetto trasparente, vetro, ambra o cristallo, così quel triplice effetto dell'atto di Dio si sprigionò dalla sua mente raggiungendo subito la pienezza dell'essere, senza successione temporale. Insieme alle sostanze angeliche furono creati l'ordine e le struttura del cosmo; e quelle sostanze create come atto puro ottennero il posto più elevato nell'ordine della creazione; La materia pura invece ottenne il luogo più basso; in mezzo furono collocati i cieli, che risultano dalla composizione indissolubile tra materia e atto. San Gerolamo affermò nei suoi scritti che gli angeli furono creati molti secoli prima rispetto al mondo, ma quello che io ti ho detto riguardo la contemporaneità della loro creazione è ribadito in molti passi della Sacra Scrittura, e tu stesso te ne accorgerai se li leggi attentamente; e anche la ragione stessa può inoltre comprendere come ciò sia vero, poiché non si può ammettere che quelle intelligenze create per muovere i cieli siano rimaste per tanto tempo prive della materia su cui influiscono. Ora tu sai dove e quando furono create queste sostanze angeliche, cosicché il tuo desiderio di sapere è già stato soddisfatto in tre punti. E in meno di quanto ci voglia per contare da uno a venti, una parte degli angeli, precipitando sulla terra, la sconvolse. Le altre creature angeliche rimasero nel cielo e cominciarono a svolgere la loro attività di motori del cielo, come tu puoi vedere, facendolo con tanta gioia da non smettere mai. La causa che provocò la caduta di quegli angeli fu la fatale superbia di Lucifero, che tu hai visto conficcato al centro della Terra costretto sotto il peso del mondo. Le creature angeliche che tu vedi qui furono invece umili nel riconoscere che la loro essenza dipende dalla bontà di Dio che le aveva creati inclini a contemplare i misteri divini; per cui la loro capacità di vedere Dio fu esaltata con grazia illuminante e con il loro merito, cosicché la loro volontà è solida e pienamente benevola. E non voglio che tu dubiti, ma che ti sia chiaro che il fatto di ricever la grazia dipenda dal merito secondo la misura in cui si è disposti a riceverla (la grazia). Ormai, anche senza il mio aiuto puoi comprendere molte cose riguardo a questo consorzio degli angeli, se hai ben colto le mie parole. Ma poiché sulla terra si insegna nelle vostre scuole che la natura angelica è provvista di intelletto, memoria e volontà ti darò ulteriori spiegazioni perché tu veda con chiarezza quella verità che sulla terra sembra distorta, a causa dell'ambiguità con cui quegli insegnamenti vengono divulgati. Queste sostanza angeliche, dopo che furono appagate della visione di Dio, non distolsero mai il loro sguardo da lui, a cui nessuna realtà rimane nascosta: perciò la loro percezione visiva non è distratta da altri oggetti, e perciò non è necessario che essi facciano ricorso alla memoria astraendo le immagini sensibili; in tal modo sulla Terra molti maestri vaneggiano, sia che sostengano il vero sia che affermino cose in cui non credono; e in questo caso la loro colpa, così come la vergogna, è più grave. Voi uomini nel fare filosofia, non procedete tutti per un'unica via, quella della verità; tanto è grande il vostro desiderio di distinguervi! E tuttavia questo desiderio quassù in cielo è tollerato con maggiore indulgenza rispetto all'atteggiamento di quelli che antepongono i filosofi alla Sacra Scrittura o ne capovolgono il senso. Non pensano a quanto è costato diffonderlo e annunciarlo al mondo, e a quanto sia gradito a Dio chi vi si accosta umilmente. Ognuno si ingegna e fa le proprie affermazioni per apparire originale, ed esse vengono riportate dai predicatori, che invece trascurano il Vangelo. Uno dice che al momento della passione di Cristo la Luna retrocesse e si spostò di fronte al Sole in modo da provocare un'eclissi oscurando il Sole sulla Terra; ma mente, perché la luce del Sole si oscurò da sé; perciò tale eclissi coprì tutta la Terra dalla Spagna all'India, non solo Gerusalemme. Non ci sono a Firenze tanti uomini chiamati Lapo o Bindo, quante sono le favole che ogni anno vengono gridate dai pulpiti da una parte all'altra; cosicché i fedeli, ignari, tornano dalla predica nutriti d'aria e non sono giustificati poiché sono ignoranti. Cristo non disse ai suoi primi apostoli: "Andate e raccontate al mondo e fandonie"; ma affidò loro un'autentica dottrina; e solo quella risuonò dalle bocche degli apostoli, cosicché nella lotta per difendere la fede, non vollero altra arma che il Vangelo. Ora invece si va a predicare con motti e freddure, e il predicatore si vanta poiché il pubblico ride e ne cerca di ottenere un altro effetto. Ma nella punta del cappuccio di quei predicatori si annida il diavolo, come un uccello, e se il pubblico lo vedesse, capirebbe il valore delle indulgenze che gli vengono promesse; perciò sulla Terra tanto è aumentata la stoltezza degli uomini, che essi sono pronti ad accorrere ad ogni promessa fatta a loro, senza neppure verificare se abbia l'approvazione della chiesa. Da questa situazione ci guadagnano i monaci di Sant'Antonio e molti altri ancora più disonesti di loro, perché ricambiano le offerte dei fedeli con promesse senza valore. Ma poiché ci siamo allontanati dal nostro tema iniziale, riporta ora la mente a ciò di cui stavamo parlando, così da abbreviarlo per il breve tempo che ci resta in questo cielo. Il numero degli angeli cresce in proporzione tale che né le parole né il pensiero umano potrebbero arrivare mai a capirlo; e se tu consideri ciò che il profeta Daniele rivela, vedrai che quando parla di migliaia, non intende un numero preciso, ma piuttosto una quantità infinita. La luce di Dio che illumina tutti gli angeli, viene accolta da ciascuno di loro in modi diversi a seconda della capacità di ognuno di recepirla. E, poiché all'atto della visione intellettuale di Dio, effetto della grazia, consegue l'amore, è ovvio che ciascuna creatura arda d'amore in modo più o meno intenso secondo la sua capacità. Ormai puoi capire la grandezza e generosità di Dio, che ha originato tante creature nelle quali si riflette, moltiplicandosi come in tanti specchi, ma rimanendo sempre unico e intero in sé. |
Riassunto
vv. 1-9 - Beatrice e il Punto Luminoso
Dopo aver concluso la spiegazione riguardante l'ordine degli angeli, Beatrice si ferma per un momento, immersa nella contemplazione di un punto luminoso, un'immagine celeste che simboleggia il divino. In silenzio, la sua mente si volge verso quel mistero che ha appena rivelato, come se stesse riflettendo sull'ineffabilità di ciò che ha appena condiviso.
vv. 10-48 - La Creazione degli Angeli
Beatrice riprende a parlare, leggendo in silenzio il desiderio di Dante che giace nel suo cuore. Ella gli spiega che gli angeli sono stati creati da Dio non per aumentare la Sua beatitudine, ma per riflettere il Suo amore infinito. Questi esseri puri e perfetti sono stati generati nell'Empireo, un luogo fuori dal tempo, ben prima che il tempo stesso iniziasse con la creazione dell'universo.
vv. 49-66 - La Ribellione degli Angeli
Poco dopo la creazione degli angeli, Lucifero, la più nobile delle creature, fu protagonista della ribellione contro Dio a causa della sua superbia. Alcuni angeli lo seguirono nella sua caduta e furono cacciati sulla terra, mentre coloro che rimasero fedeli continuarono a girare attorno a Dio, come Dante aveva visto, e furono ricompensati con una grazia che accrebbe il loro amore per Dio stesso.
vv. 67-84 - Le Facoltà degli Angeli
Concludendo il suo discorso, Beatrice sottolinea che ora Dante è pronto per continuare a riflettere da solo, ma aggiunge un chiarimento necessario. Alcuni teologi sulla Terra, infatti, sostengono erroneamente che gli angeli possiedano memoria. Beatrice smentisce questa affermazione, spiegando che gli angeli, essendo in perenne visione di Dio, che vede tutto in un unico istante, non hanno bisogno della memoria, in quanto ogni cosa esiste eternamente nel suo sguardo divino.
vv. 85-126 - Beatrice Condanna i Filosofi e Predicatori Errati
Beatrice critica aspramente chi insegna tali falsità senza una vera convinzione, definendo questi insegnanti ancora più colpevoli di chi espone tali errori per ignoranza. I filosofi, infatti, troppo spesso diffondono teorie infondate non per amore della verità, ma per apparire sapienti agli occhi degli altri. La missione degli apostoli, invece, è quella di divulgare le verità della Scrittura e non di perdere tempo con speculazioni vane. Purtroppo, molti predicatori oggi ingannano i fedeli, inducendoli in errore senza che ne siano consapevoli, rischiando così di condurli alla perdizione.
vv. 127-145 - Il Numero degli Angeli e la Grandezza Divina
Beatrice riprende la discussione sugli angeli, spiegando che il loro numero è così vasto che non può essere concepito dalla mente umana. La luce divina viene ricevuta da ciascun angelo in modo diverso, e da questo Dante può intuire la grandezza e la potenza di Dio. Nonostante la molteplicità delle percezioni angeliche, la luce che esse ricevono rimane una, infinitamente riflessa in una pluralità di modi, ma pur sempre una e unica, testimoniando l'incommensurabile grandezza del Creatore.
Analisi ed Interpretazioni
Il Canto prosegue e conclude il discorso sull'angelologia avviato nel Canto XXVIII, descrivendo le gerarchie e gli ordini angelici. Beatrice, infatti, chiarisce a Dante alcune importanti questioni relative alla creazione degli angeli, alla ribellione di Lucifero, alle facoltà degli angeli e al loro numero. A metà del Canto, si inserisce una digressione che contiene una severa invettiva contro i cattivi filosofi e i falsi predicatori, accusati di distorcere la verità rivelata e di divulgare leggende infondate per arricchirsi a spese della credulità popolare. Questa accusa è rivolta soprattutto (ma non esclusivamente) ai frati dell'Ordine di sant'Antonio Abate. L'inizio del Canto è decisamente solenne, con la descrizione di Beatrice che, fissando lo sguardo nella mente di Dio, acquisisce la sapienza necessaria per la sua dotta disquisizione. Restando in silenzio per un brevissimo istante (Dante usa una complessa similitudine astronomica per descriverla), Beatrice comincia poi a spiegare senza che il poeta faccia alcuna domanda. Parla ininterrottamente fino alla fine, impostando una vera e propria lezione, il cui linguaggio è ricco di termini tecnici della filosofia scolastica. Questo ha portato alcuni critici a considerare questo Canto come il più denso di questioni dottrinali di tutto il Paradiso. L'insolita ampiezza di una trattazione su un tema che potrebbe sembrare marginale si giustifica con la delicatezza della materia angelologica e con le numerose e contraddittorie nozioni che circolavano tra i filosofi dell'epoca di Dante sugli angeli. Come nel Canto precedente, Dante ribadisce che solo la Scrittura può fornire una risposta definitiva su queste questioni, poiché è la parola rivelata da Dio che ha ispirato gli autori terreni dei testi sacri. È invece disdicevole, quando non addirittura eretico, distorcere il senso della Scrittura, sia in buona che in cattiva fede (Dante si riferisce non solo ai vani predicatori, ma anche a filosofi di primo piano come san Girolamo e san Tommaso d'Aquino, le cui convinzioni talvolta contraddicono la lettera del testo biblico).
Il discorso di Beatrice si concentra su alcuni degli aspetti più delicati dell'angelologia, cominciando dalla creazione delle intelligenze angeliche. Questo atto d'amore di Dio, che volle riflettere la propria bontà in altri esseri al di fuori di sé, ha dato forma e ordine all'intero Universo, come Beatrice aveva già spiegato nel Canto precedente. La creazione degli angeli è stata dunque simultanea alla creazione dei Cieli e della Terra, in contrasto con le affermazioni di san Girolamo, che Dante qui confuta seguendo Tommaso e citando soprattutto l'autorità della Bibbia e l'argomento aristotelico secondo cui le intelligenze angeliche non potevano restare inoperose, senza ruotare i Cieli di cui sono motrici. Si passa poi a trattare della ribellione di Lucifero e degli altri angeli, superbi e invidiosi della grandezza di Dio, irriconoscenti per la bontà della loro creazione. Tale ribellione avvenne in un istante brevissimo, come sostenevano molti Padri della Chiesa, e fu punita con la caduta del maligno al centro della Terra, mentre gli angeli fedeli rimasero in Cielo e continuarono a fissare la mente divina traendo da essa un indescrivibile diletto. Questo spiega l'altro punto trattato da Beatrice: le facoltà degli angeli. Dante ammette solo la volontà e l'intelletto, negando la memoria, poiché gli angeli non distolgono mai lo sguardo da Dio e non hanno bisogno di ricordare, non avendo altro oggetto della loro visione. Questo punto ha suscitato molte discussioni, e alcuni critici sostengono che Dante possa aver preso questa dottrina da Averroè, anche se potrebbe semplicemente voler condannare l'eccessiva sottigliezza delle distinzioni filosofiche, affermando che la visione beatifica degli angeli è continua e va al di là della comprensione umana.
Questo argomento offre a Beatrice l'occasione di lanciare una dura invettiva contro coloro che distorcono la verità rivelata, mentre la parola di Dio è stata diffusa attraverso il Vangelo e a costo del sangue degli Apostoli e dei martiri. L'accusa riguarda soprattutto i filosofi che, in perfetta buona fede, esercitano un'eccessiva sottigliezza nelle questioni dottrinali, ma anche coloro che, in malafede, falsano la Scrittura per piegarla alle proprie opinioni, condannandoli per eresia. In questo senso, Dante fa riferimento ai pensatori che avevano diffuso dottrine in contrasto con l'ortodossia. Questo tema si collega a quanto affermato da san Tommaso in un altro passo, in cui condanna coloro che, con le loro teorie eretiche, avevano distorto le Scritture. Dante, qui, riafferma la verità rivelata come unica fonte per la conoscenza delle cose ultraterrene, come dimostra l'erronea teoria che cercava di spiegare l'oscuramento del Sole il giorno della morte di Cristo con un'eclissi, contraria tanto alla logica quanto ai Vangeli. Beatrice prosegue condannando i predicatori che diffondono falsità e leggende solo per guadagnare elemosine. In particolare, l'accusa è rivolta ai frati antoniani, che nel Due-Trecento erano noti per ingannare il popolo con ciance e storie incredibili, come il frate Cipolla protagonista della novella del Decameron di Giovanni Boccaccio. Beatrice accusa i falsi predicatori di seminare ciance, di predicare con lazzi per suscitare il riso, di comportarsi come porci che ingrassano con le offerte estorte, di nascondere in sé il diavolo mentre fanno false promesse ai fedeli e diffondono false indulgenze, paragonate a una moneta senza conio. Se questi predicatori sono da condannare, non si può completamente scusare il popolo, che, pur conoscendo la lettera del Vangelo anche attraverso l'arte figurativa, continua a credere alle menzogne dei predicatori. Questo rischio ha conseguenze anche sul piano della salvezza spirituale.
Il Canto si conclude con l'ultima questione riguardante il numero degli angeli, che è incommensurabile, come Dante aveva già affermato nel Canto XXVIII. Questo numero è una testimonianza dell'infinita bontà di Dio, poiché la luce divina si riflette su tutte le intelligenze angeliche, ciascuna delle quali la riceve in modo diverso, sperimentando un amore per il Creatore di intensità variabile. La bontà divina si spezza così in tanti specchi, pur rimanendo unica in se stessa. Questo commosso inno di Beatrice alla grandezza di Dio chiude il discorso, preparando il lettore alla successiva ascesa all'ultimo Cielo dell'Empireo, dove il poeta vedrà la candida rosa dei beati, descritta come un fiume di luce, e sarà introdotto alla visione finale di Dio.
Frate Cipolla e la piuma dell'arcangelo Gabriele
Nel Canto XXIX del Paradiso, Beatrice lancia una severa invettiva contro i falsi e vani predicatori che ingannano il popolo con ciance, promettendo false indulgenze per raccogliere offerte e arricchirsi. Fra questi, i frati dell'Ordine di sant'Antonio Abate sono particolarmente noti per sfruttare la credulità popolare, vendendo false reliquie. Dante li accusa con dure parole, paragonandoli ai porci, simbolo del santo fondatore dell'ordine, dato che nei conventi antoniani venivano allevati maiali ritenuti sacri dai contadini, rappresentando la corruzione di quei religiosi. La polemica contro i predicatori falsi si ritrova anche nel Decameron di Giovanni Boccaccio, specialmente nell'ultima novella della VI Giornata, dove frate Cipolla, un antoniano, gira di paese in paese sfoggiando false reliquie e raccogliendo offerte. In questa novella, Cipolla è il ritratto di un ciarlatano che intrattiene il pubblico con battute e falsità, senza timore di offendere la sacralità. Un esempio delle sue falsità è una piuma di pappagallo, che lui spaccia come la piuma dell'arcangelo Gabriele, che avrebbe perso durante l'Annunciazione. Nonostante la falsità evidente di questa affermazione, i fedeli, ignari, si accalcano per vedere la reliquia e offrono denaro a Cipolla. Tuttavia, quando due giovani amici gli rubano la piuma e la sostituiscono con dei carboni, Cipolla si esibisce in un discorso che giustifica l'inganno con una spiegazione assurda, ma ottiene comunque maggiori offerte. Questo comportamento era comune tra i predicatori dell'epoca, e Boccaccio ne fa un'immagine caricaturale, ma allo stesso tempo riflette la realtà del tempo, in cui i religiosi sfruttavano la credulità popolare e la devozione per accumulare ricchezze. La fama dei frati antoniani e la loro abilità nel commercio di reliquie false erano un fenomeno ben conosciuto e denunciato anche da Dante, come si vede nei Canti XXVIII e XXIX del Paradiso.
Passi Controversi
La similitudine complessa dei vv. 1-9 descrive un momento astronomico in cui il Sole e la Luna, identificati con Apollo e Diana, sono allineati con i segni dell'Ariete e della Bilancia, posizionandosi simultaneamente sulla linea dell'orizzonte che separa i due emisferi. L'intervallo di tempo che separa il sorgere di uno e il tramonto dell'altro è breve quanto il tempo che Beatrice impiega a fissare il punto luminoso. Alcuni ritengono che questo intervallo duri un solo istante, ma ciò renderebbe difficile capire come Dante possa coglierne la percezione guardando Beatrice, considerando che si tratta probabilmente di meno di un minuto.
Al v. 4, "cenìt" è un termine di origine araba, che corrisponde al concetto di "zenit". "Inlibra" significa "mantiene in equilibrio", e Dante utilizza l'idea dello zenit come il punto più alto di una bilancia, con il Sole e la Luna come piatti, ciascuno dei quali si sposta sopra o sotto la linea dell'orizzonte, simboleggiando la loro liberazione.
Il termine "subsisto" al v. 15 è un tecnicismo scolastico che, derivato dal latino, significa "io esisto per me stesso". Ai vv. 16-17, Dante fa riferimento al concetto che Dio esisteva al di fuori del tempo e dello spazio prima della creazione, un concetto che viene ripreso ai vv. 20-21, dove si sottolinea come il concetto di "prima" e "dopo" non abbia senso al di fuori della creazione, poiché il tempo non esisteva ancora.
Nel v. 21, "quest'acque" potrebbe riferirsi ai Cieli, e in particolare al Primo Mobile, alludendo alla genesi dell'Universo. Al v. 22, la "Forma" rappresenta l'atto puro, corrispondente alle sostanze angeliche, mentre la "materia" simboleggia la potenza pura, che è legata al mondo sensibile, mentre il connubio tra l'atto e la potenza dà forma ai Cieli. "Purette" vuol dire "assolutamente pure".
Nei vv. 28-30, si dice che l'atto divino della creazione è stato immediato, e che la formazione delle sostanze e il loro ordine sono stati creati simultaneamente. Al v. 34, la "parte ima" fa riferimento al mondo sensibile, mentre al v. 36 il verbo "divima" ("si scioglie") è probabilmente un neologismo dantesco derivato dalla parola "vime", indicante legame.
I vv. 37 e seguenti accennano alla teoria di san Girolamo nel suo trattato "Super epistulam ad Titum", dove afferma che la creazione degli angeli avvenne prima della creazione del mondo. Dante respinge questa teoria, seguendo san Tommaso e il testo biblico, che afferma che Dio ha creato il cielo e la terra contemporaneamente, come si legge in Genesi 1:1 e in Ecclesiaste 18:1.
Nei vv. 43-45, Dante si ispira a un concetto aristotelico, suggerendo che le intelligenze angeliche, avendo atteso a lungo il movimento dei Cieli per il quale erano state create, non avrebbero adempiuto al loro scopo senza di essi. Al v. 51, "suggetto d'i vostri alimenti" si riferisce probabilmente agli elementi del mondo sensibile, disturbato dalla ribellione degli angeli.
L'arte di cui si parla al v. 52 non riguarda il movimento dei Cieli, ma la visione di Dio; al v. 54, "circuir" indica il ruotare intorno al punto luminoso che rappresenta Dio. I vv. 56-57 si riferiscono a Lucifero, che, a causa del suo peccato, è confinato al centro della Terra.
Nei vv. 59-60, Dante descrive come gli angeli fedeli riconoscano di aver ricevuto la loro natura dalla bontà divina, mentre il termine "riconoscere" non implica un semplice "essere grati", ma piuttosto un atto di consapevolezza della provenienza della loro essenza. Al v. 75, "lettura" si intende come "insegnamento" (simile al concetto di "si legge" nel v. 71).
Al v. 83, "credendo e non credendo dicer vero" significa "affermando queste cose con buona o cattiva fede". Nei vv. 95-102, Dante discute un'interpretazione dell'oscuramento del Sole durante la morte di Cristo, un'interpretazione ripresa da Tommaso ma che Dante confuta, seguendo san Girolamo, perché contraria al Vangelo (Matteo 27:45) e alla fisica dell'eclissi.
Il termine "mente" al v. 100 non ha una connotazione negativa, ma piuttosto indica semplicemente "dire qualcosa che non è esatto", simile al latino "mentiri". Al v. 103, "Lapi" e "Bindi" sono nomi comuni a Firenze, diminutivi di Iacopo e Ildebrando.
Il riferimento alle "guance" al v. 111 potrebbe riguardare gli Apostoli, i quali portavano nel loro cuore il Vangelo e lo diffusero tra i popoli. Al v. 115, "iscede" sta per "battute" o "lazzi", in un'accezione simile a quella usata da Boccaccio.
I vv. 118-120 descrivono la figura del diavolo, rappresentato come un uccello nero che si annida nel cappuccio dei predicatori, suggerendo che se i fedeli potessero vederlo, comprenderebbero il vero significato delle indulgenze. Al v. 124, "il porco di Sant'Antonio" allude probabilmente all'uso di denaro e inganno da parte di alcuni ordini religiosi per guadagnare soldi, ma con una possibile interpretazione simbolica riguardante il diavolo.
I vv. 133-135 richiamano Daniele 7:10, in cui il profeta descrive una visione di innumerevoli angeli intorno a Dio, simbolizzando una grande moltitudine che è impossibile da contare.
Fonti: libri scolastici superiori