Parafrasi e Analisi: "Canto XXVII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Analisi ed Interpretazioni
6) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto XXVII del Paradiso segna un momento di grande intensità e di svolta nel viaggio di Dante attraverso i cieli. Qui, l'atmosfera si carica di solennità e di un profondo senso di trasformazione, poiché il poeta si avvicina sempre più alla piena visione della verità divina. Il canto si distingue per la presenza di temi centrali della Commedia, come la giustizia divina, la condanna della corruzione terrena e il progressivo distacco dalle sfere celesti inferiori per avvicinarsi all'empireo, la sede ultima di Dio.
In questo passaggio, il tono si fa più severo e vibrante, con un forte richiamo al senso morale e alla responsabilità umana, elementi che risuonano nell'intero poema dantesco. Il canto è caratterizzato da un'intensa luce simbolica e da un'ulteriore evoluzione della percezione di Dante, ormai prossimo alla contemplazione finale. La dimensione cosmica e teologica si fondono qui in una riflessione profonda sul destino delle anime e sulla corrispondenza tra l'ordine divino e il disordine del mondo terreno.
Testo e Parafrasi
'Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo', cominciò, 'gloria!', tutto 'l paradiso, sì che m'inebrïava il dolce canto. Ciò ch'io vedeva mi sembiava un riso de l'universo; per che mia ebbrezza intrava per l'udire e per lo viso. Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! oh vita intègra d'amore e di pace! oh sanza brama sicura ricchezza! Dinanzi a li occhi miei le quattro face stavano accese, e quella che pria venne incominciò a farsi più vivace, e tal ne la sembianza sua divenne, qual diverrebbe Iove, s'elli e Marte fossero augelli e cambiassersi penne. La provedenza, che quivi comparte vice e officio, nel beato coro silenzio posto avea da ogne parte, quand' ïo udi': «Se io mi trascoloro, non ti maravigliar, ché, dicend' io, vedrai trascolorar tutti costoro. Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio, il luogo mio, il luogo mio che vaca ne la presenza del Figliuol di Dio, fatt' ha del cimitero mio cloaca del sangue e de la puzza; onde 'l perverso che cadde di qua sù, là giù si placa». Di quel color che per lo sole avverso nube dipigne da sera e da mane, vid' ïo allora tutto 'l ciel cosperso. E come donna onesta che permane di sé sicura, e per l'altrui fallanza, pur ascoltando, timida si fane, così Beatrice trasmutò sembianza; e tale eclissi credo che 'n ciel fue quando patì la supprema possanza. Poi procedetter le parole sue con voce tanto da sé trasmutata, che la sembianza non si mutò piùe: «Non fu la sposa di Cristo allevata del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, per essere ad acquisto d'oro usata; ma per acquisto d'esto viver lieto e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano sparser lo sangue dopo molto fleto. Non fu nostra intenzion ch'a destra mano d'i nostri successor parte sedesse, parte da l'altra del popol cristiano; né che le chiavi che mi fuor concesse, divenisser signaculo in vessillo che contra battezzati combattesse; né ch'io fossi figura di sigillo a privilegi venduti e mendaci, ond' io sovente arrosso e disfavillo. In vesta di pastor lupi rapaci si veggion di qua sù per tutti i paschi: o difesa di Dio, perché pur giaci? Del sangue nostro Caorsini e Guaschi s'apparecchian di bere: o buon principio, a che vil fine convien che tu caschi! Ma l'alta provedenza, che con Scipio difese a Roma la gloria del mondo, soccorrà tosto, sì com' io concipio; e tu, figliuol, che per lo mortal pondo ancor giù tornerai, apri la bocca, e non asconder quel ch'io non ascondo». Sì come di vapor gelati fiocca in giuso l'aere nostro, quando 'l corno de la capra del ciel col sol si tocca, in sù vid' io così l'etera addorno farsi e fioccar di vapor trïunfanti che fatto avien con noi quivi soggiorno. Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, e seguì fin che 'l mezzo, per lo molto, li tolse il trapassar del più avanti. Onde la donna, che mi vide assolto de l'attendere in sù, mi disse: «Adima il viso e guarda come tu se' vòlto». Da l'ora ch'ïo avea guardato prima i' vidi mosso me per tutto l'arco che fa dal mezzo al fine il primo clima; sì ch'io vedea di là da Gade il varco folle d'Ulisse, e di qua presso il lito nel qual si fece Europa dolce carco. E più mi fora discoverto il sito di questa aiuola; ma 'l sol procedea sotto i mie' piedi un segno e più partito. La mente innamorata, che donnea con la mia donna sempre, di ridure ad essa li occhi più che mai ardea; e se natura o arte fé pasture da pigliare occhi, per aver la mente, in carne umana o ne le sue pitture, tutte adunate, parrebber nïente ver' lo piacer divin che mi refulse, quando mi volsi al suo viso ridente. E la virtù che lo sguardo m'indulse, del bel nido di Leda mi divelse, e nel ciel velocissimo m'impulse. Le parti sue vivissime ed eccelse sì uniforme son, ch'i' non so dire qual Bëatrice per loco mi scelse. Ma ella, che vedëa 'l mio disire, incominciò, ridendo tanto lieta, che Dio parea nel suo volto gioire: «La natura del mondo, che quïeta il mezzo e tutto l'altro intorno move, quinci comincia come da sua meta; e questo cielo non ha altro dove che la mente divina, in che s'accende l'amor che 'l volge e la virtù ch'ei piove. Luce e amor d'un cerchio lui comprende, sì come questo li altri; e quel precinto colui che 'l cinge solamente intende. Non è suo moto per altro distinto, ma li altri son mensurati da questo, sì come diece da mezzo e da quinto; e come il tempo tegna in cotal testo le sue radici e ne li altri le fronde, omai a te può esser manifesto. Oh cupidigia, che i mortali affonde sì sotto te, che nessuno ha podere di trarre li occhi fuor de le tue onde! Ben fiorisce ne li uomini il volere; ma la pioggia continüa converte in bozzacchioni le sosine vere. Fede e innocenza son reperte solo ne' parvoletti; poi ciascuna pria fugge che le guance sian coperte. Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, che poi divora, con la lingua sciolta, qualunque cibo per qualunque luna; e tal, balbuzïendo, ama e ascolta la madre sua, che, con loquela intera, disïa poi di vederla sepolta. Così si fa la pelle bianca nera nel primo aspetto de la bella figlia di quel ch'apporta mane e lascia sera. Tu, perché non ti facci maraviglia, pensa che 'n terra non è chi governi; onde sì svïa l'umana famiglia. Ma prima che gennaio tutto si sverni per la centesma ch'è là giù negletta, raggeran sì questi cerchi superni, che la fortuna che tanto s'aspetta, le poppe volgerà u' son le prore, sì che la classe correrà diretta; e vero frutto verrà dopo 'l fiore». |
Tutto il coro di beati del Paradiso iniziò cantando “gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo", così dolcemente che il canto mi inebriava. Ciò che vedevo mi sembrava un tripudio di risa gioiose di tutto l'Universo; poiché l'ebrezza datami dal gioire mi penetrava attraverso la vista e l'udito allo stesso tempo. Oh gioia! Oh inesprimibile gaiezza! Oh vita paradisiaca di amore e di pace! Oh tesoro sicuro, lontano da ogni avidità Davanti ai miei occhi, c'erano le quattro anime (dei tre apostoli e di Adamo) luminose, e quella che prima si era avvicinata (apostolo Pietro) iniziò a rendersi più splendente, e così luminosa divenne nella sua figura simile a come diventerebbe Giove se esso e Marte fossero uccelli e si scambiassero il colore delle piume (uno bianco e l'altro rosso). La Provvidenza divina, che qui in Paradiso distribuisce incarichi e mansioni alle anime, a tutto il beato coro (delle anime) aveva imposto silenzio, quando io udii: “Se io cambio colore non ti sorprendere, perché, quando io parlerò, vedrai cambiare colore a tutti costoro del coro. Quello che usurpa sulla Terra il mio posto, il mio seggio che è attualmente vacante agli occhi di Cristo, Figlio di Dio, ha reso il luogo del mio martirio una fogna di sangue e di sporcizia; per cui il perverso angelo che cadde dal Cielo (Lucifero), ora si rallegra giù sulla Terra". Allora vidi io tutto il cielo di anime cosparso di quel colore rosso acceso che tinge la nuvola di sera o di mattina quando il sole lo investe di fronte con i suoi raggi. E come una donna onesta, che pur essendo sicura di sé, sentendo solo parlare di un peccato altrui, si fa timida per il turbamento, così Beatrice cambiò aspetto e colore impallidendo: e credo che tal cambiamento avvenne nel cielo quando Cristo morì crocifisso. Poi continuarono le parole di Pietro con voce tanto alterata da quella che era prima che l'aspetto non cambiò più della voce: “Non fu la Chiesa, sposa di Cristo, nutrita del mio sangue, di quello dei miei successori Lino e Anacleto, per essere poi usata come strumento di profitto; ma, affinché fosse guida all'acquisto di beatitudine eterna, Sisto, Pio, Callisto e Urbano prima piansero la persecuzione dei cristiani, poi vennero essi stessi uccisi nel martirio. Non fu nostra intenzione che il papato favorisse una parte della cristianità contro l'altra (Guelfi e Ghibellini), una sostenuta, l'altra avversata dai papi nostri successori; né che le insegne della Chiesa (chiavi) che a me furono affidate diventassero insegna da portare in guerra per combattere contro altri cristiani battezzati; né che la mia figura diventasse sigillo di falsi privilegi comprati in cambio di denaro, per i quali io spesso arrossisco e mi adiro di rabbia. Dal Cielo si vedono attraverso tutti i pascoli della Chiesa lupi feroci travestiti da pastori: o vendetta divina, perché tardi ad arrivare? Già Caorsini e Guasconi si apprestano a fare strage del patrimonio della Chiesa, acquistato con il nostro sangue: che triste fine tocca alla Chiesa, che aveva avuto un così buon inizio! Ma la Provvidenza divina, che con Scipione difese Roma e la mantenne gloria del mondo, presto verrà in aiuto, così come io già concepisco (leggendo la mente di Dio). E tu, figliolo, che ancora tornerai giù sulla Terra, poiché non sei sciolto dal peso del corpo mortale, non tacere e rivela agli uomini ciò che io non ti nascondo qui in Paradiso". Così come l'atmosfera terrestre fa cadere in forma di fiocchi di neve i vapori umidi condensati, in inverno quando il sole entra nella costellazione del Capricorno, così io vidi il cielo del Paradiso adornarsi delle luci trionfanti delle anime, che prima si erano intrattenute con noi, e ora risalivano verso l'Empireo con moto silenzioso. Il mio sguardo seguiva i loro moti, e li seguì finché lo spazio in mezzo tra me e loro, mi impedì di distinguere oltre per la troppa distanza. Per cui Beatrice, che mi vide non più impegnato nel guardare in sù, mi disse: “Abbassa lo sguardo, e guarda quale arco hai percorso, volgendoti". Da quando avevo guardato la prima volta verso la Terra, mi resi conto di aver percorso tutto l'arco celeste corrispondente che va da Gerusalemme alla prima delle sette zinne climatiche della Terra; così che io vedevo, da una parte, al di là di Cadice, le acque che Ulisse tentò invano di attraversare, e, dall'altra, le coste da cui Giove rapì la bella Europa. E ancora meglio mi sarebbe stata visibile l'estensione della Terra ; ma il sole procedeva nel suo corso sotto i miei piedi a trenta gradi di distanza da me, non illuminando ciò che era sotto di me. La mia mente, rapita di amore, che sempre si rivolge con amoroso desiderio verso l'immagine di Beatrice, bramava più che mai dal desiderio di guardarla (distogliendo gli occhi dalla Terra): e se mai la natura o l'arte crearono immagini di bellezza, vive o dipinte, capaci di attrarre a sé gli sguardi o di far innamorare le menti come esche, tutte queste bellezza, insieme riunite, sembrerebbero niente al confronto della divina bellezza che vidi brillare nello sguardo quando mi girai verso il suo (di Beatrice) sguardo sorridente. E la forza virtuosa che lo sguardo mi impresse, mi strappò dalla costellazione dei Gemelli e mi spinse verso il cielo che si muove più velocemente di tutti (il Primo Mobile). Tutte le parti sue (de Primo Mobile) vivissime ed eccelse, sono così uniformi , che io non so dire con precisione in quale luogo mi condusse Beatrice. Ma ella, che conosceva il mio desiderio di sapere dove fossi, iniziò a parlare, ridendo così beatamente che sembrava che Dio gioisse nel proprio volto: “Di qui, come dalla sua prima origine, muove tutta la natura del mondo che fa sì che al centro la Terra sia immobile mentre intorno tutto muove intorno ad essa; e questo cielo non ha altro luogo se non la mente divina, nella quale si illumina e si accende l'amore che lo fa ruotare e la virtù che esso trasmette ai cieli sottostanti, L'Empireo, luce e amore, lo cinge dentro di sé come un cerchio, così come questo comprende nel suo giro tutti i cieli minori; e l'Empireo è compreso nel suo operare solamente da Dio. Il suo moto non è determinato da nessun altro movimento: ma, al contrario gli altri si misurano sul suo, così come il numero dieci si divide in cinque e due parti. E ormai ti deve essere chiaro che anche il tempo ha le sue radici in questo Primo Mobile da cui tutto il movimento degli altri cieli dipende. Oh avidità che sotto di te fai affondare gli uomini, così che nessuno ha il potere e la forza di levare gli occhi fuori dalle onde del tuo mare! Fiorisce spontaneamente negli uomini il proposito rivolto al bene; ma le continue piogge tramutano le susine buone in caccole, facendole marcire per l'umidità. Fede e innocenza si possono trovare ora solo nei bambini; poi col passare del tempo entrambe svaniscono prima che le guance siano coperte di barba. Chi, essendo ancora fanciullo, mangia poco, appena cresce divora qualsiasi cibo in qualsiasi stagione, non rispettando le astinenze comandate; e chi, da bambino, ama e dà ascolto alla propria madre, non appena impara a parlare (quando diventa uomo), la odia a tal punto che desidera la sua morte. Cosí la pelle naturalmente bianca dell'uomo si scurisce, diventando da bianca a nera, quando viene esposta ai raggi del sole, che se ne va la sera e compare la mattina. Tu, per non rimanere stupito, pensa che sulla Terra non esiste una guida sicura; per cui l'intera umanità non procede verso il bene. Ma prima che Gennaio giunga nella primavera, per effetto di quelle frazioni del giorno trascurate nel calcolo del tempo, i cieli irradieranno sulla Terra influssi tali che la sorte produrrà gli effetti tanto attesi, girando le poppe delle navi dove ora stanno le prue, così che l'umanità procederà nella giusta rotta; e alle buone intenzioni (fiori) seguiranno i buoni fatti (frutti). |
Riassunto
I beati intonano l'inno di Gloria a Dio (vv. 1-9)
Dante si trova ancora nell'ottavo cielo, circondato dagli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, oltre che da Adamo, come descritto nel Canto 26 del Paradiso. Qui, i beati intonano l'inno di gloria a Dio, e il poeta rimane rapito dall'armonia del canto e dalla luce scintillante che li avvolge.
Invettiva di San Pietro (vv. 10-66)
Dopo il canto, cala un silenzio solenne e lo spirito di San Pietro si accende di un rosso intenso. Egli annuncia che tutti i beati condivideranno la stessa indignazione nel sentire le parole che sta per pronunciare.
Per voce del primo papa, Dante denuncia con fermezza Bonifacio VIII, dichiarando che agli occhi di Dio non è un vero pontefice e che ha corrotto la Chiesa fino a renderla uno strumento del demonio. Come previsto da San Pietro, tutti i beati si infiammano di sdegno e il Paradiso si tinge dei colori di un'alba o di un tramonto infuocato. Anche Beatrice esprime disgusto per la condotta di Bonifacio, i cui peccati sono tanto gravi da suscitare un'indignazione simile a quella per la passione e la morte di Cristo.
San Pietro cita alcuni dei suoi successori più antichi, tutti martiri e santi: Lino, Anacleto, Sisto I, Pio I, Callisto I e Urbano I. Il loro sacrificio per la salvezza dei fedeli si contrappone alla vergogna rappresentata da Bonifacio VIII. Il santo lamenta la diffusione di falsi pastori travestiti da guide spirituali e si chiede perché Dio non li punisca ancora. Tuttavia, assicura che la giustizia divina non tarderà ad arrivare. Infine, esorta Dante a diffondere nel mondo ciò che ha visto e udito durante il suo viaggio, affinché l'umanità possa ritrovare la retta via.
Ascesa di Dante al Primo Mobile (vv. 67-120)
I beati ascendono all'Empireo, scomparendo alla vista di Dante come fiocchi di neve che si dissolvono nel cielo invernale. Beatrice invita il poeta a guardare verso il basso, per fargli prendere coscienza della distanza percorsa e concedergli un'ultima visione della Terra ormai lontana.
Poi Dante si volge nuovamente verso Beatrice, che appare ancora più radiosa e splendente. Si accorge così di essere salito nel nono cielo, il Primo Mobile o Cristallino, l'ultimo confine del mondo fisico. Oltre questo, esiste solo l'Empireo, la dimora di Dio e della Rosa dei beati. Beatrice spiega a Dante che questo cielo è il motore di tutto l'universo, poiché da esso hanno origine il movimento e il tempo.
Invettiva e profezia di Beatrice (vv. 121-148)
Beatrice si scaglia contro la corruzione dell'umanità, sottolineando come l'uomo sia naturalmente inclinato al bene, ma con il passare degli anni perda purezza e virtù. Solo i bambini conservano fede e innocenza, ma crescendo cadono nei peggiori vizi, come la gola o il desiderio di arricchirsi rapidamente, arrivando persino a sperare nella morte dei genitori per ereditarne i beni.
Questa decadenza non sorprende se si considera la crisi profonda che ha travolto le due istituzioni incaricate da Dio di guidare il mondo: Papato e Impero. Tuttavia, Beatrice predice che presto la giustizia divina interverrà per ristabilire ordine e armonia.
Analisi ed Interpretazioni
Il canto si sviluppa in due sezioni distinte, unite dal tema centrale della denuncia della corruzione e dalla profezia di un futuro intervento divino per ripristinare la giustizia. Nella prima parte, san Pietro si scaglia contro la degenerazione della Chiesa e i papi simoniaci, con un attacco particolarmente feroce a Bonifacio VIII, già più volte condannato da Dante. Nella seconda parte, dopo l'ascesa al Primo Mobile e la descrizione del Nono Cielo, è Beatrice a esprimere un'accusa contro la cupidigia umana, la quale sarà oggetto della punizione divina, così come lo saranno i pontefici corrotti.
L'episodio si apre con il maestoso canto del Gloria intonato da tutte le anime beate, un momento di grande esaltazione che riempie Dante di gioia e lo porta a riflettere sulla vera felicità, quella che deriva dalla beatitudine eterna e non dalle ricchezze terrene. Questo slancio prepara il terreno alla violenta invettiva di san Pietro, il cui sdegno è reso visibile dal colore rossastro che avvolge la sua figura, gli altri beati e l'intero Ottavo Cielo. Dante rappresenta questa indignazione collettiva con immagini forti e suggestive, come quella di Giove e Marte paragonati a due uccelli che si scambiano le piume, oppure la nube tinta di rosso dall'alba o dal tramonto.
Le parole di san Pietro, pronunciate in un silenzio carico di tensione, costituiscono un duro attacco a Bonifacio VIII, il papa in carica nel 1300, anno del viaggio immaginario di Dante. Lo accusa di essersi indegnamente appropriato del suo ruolo e di aver trasformato il Vaticano in una cloaca di sangue e corruzione. Il riferimento è al modo in cui Bonifacio succedette a Celestino V e, forse, alla dubbia legittimità della sua elezione. Il santo denuncia la brama di ricchezza del pontefice, che con le sue azioni avrebbe addirittura suscitato la compiacenza di Lucifero stesso.
Il linguaggio utilizzato da Pietro è duro e, in alcuni punti, volutamente crudo. Dopo la descrizione del trascolorare del cielo e di Beatrice, il discorso del santo è accompagnato dal paragone con l'oscurarsi del Sole nel giorno della morte di Cristo, sottolineando il legame tra la figura del papa, vicario di Cristo in Terra, e il colore del sangue, simbolo della sua colpa. Pietro contrappone i primi papi, martiri per la fede, ai pontefici del suo tempo, che usano la Chiesa per arricchirsi e per scopi politici. L'immagine dell'effigie di Pietro sui documenti papali, utilizzati per la compravendita di beni sacri, e delle chiavi apostoliche presenti sugli stendardi usati per combattere i cristiani invece degli infedeli, rafforza la condanna. Particolarmente significativo è il riferimento all'assedio di Palestrina, voluto proprio da Bonifacio VIII.
Nel suo discorso, Pietro non si limita a Bonifacio, ma anticipa le malefatte di due suoi successori: Clemente V e Giovanni XXII, entrambi già oggetto di pesanti critiche da parte di Dante. Prevede la futura dannazione di Clemente fra i simoniaci e scaglia contro Giovanni XXII l'invettiva con cui si concludeva il Canto XVIII. Lo stile del discorso è solenne e ricco di artifici retorici, come la ripetizione triplice di il luogo mio..., l'anafora di Non fu... e il polisindeto al verso 44. Il santo si congeda annunciando un imminente intervento divino, paragonandolo a quello che la Provvidenza predispose ai tempi di Scipione per difendere Roma. Questo richiamo alla storia romana non è casuale: Dante vedeva nell'Impero l'unica autorità in grado di garantire giustizia e ordine nel mondo, a patto che il papato si mantenesse libero dalle colpe che Pietro ha appena denunciato. L'intervento divino preannunciato è volutamente ambiguo, come quello del veltro in Inferno I o del DXV in Purgatorio XXXIII, e lo stesso vale per la profezia di Beatrice alla fine del canto, meno aggressiva rispetto a quella di Pietro, ma ugualmente diretta contro la corruzione dilagante. In entrambi i casi, Dante viene investito del compito di riportare sulla Terra ciò che ha udito, una missione poetica di grande rilevanza.
Il passaggio tra le due parti del canto è segnato dall'ascesa delle anime beate verso l'Empireo, descritte con un'immagine naturalistica che le paragona a fiocchi di neve che salgono dolcemente verso il cielo. Subito dopo, Dante osserva nuovamente la Terra dalla distanza, cogliendone la piccolezza e definendola ancora una volta aiuola, in parallelo con il Canto XXII. Questo sguardo anticipa la sua ascesa al Primo Mobile, guidato, come già avvenuto nel passaggio dal Settimo all'Ottavo Cielo, dallo sguardo di Beatrice. Il Primo Mobile si presenta come una sfera trasparente e uniforme, e la sua descrizione è basata sulla cosmologia tolemaica, recepita dalla dottrina tomistica e alla base della struttura astronomica dell'intero poema. Beatrice ne approfitta per esaltare la perfezione dell'Universo, regolato dall'infinito amore di Dio, e per contrapporre questa armonia alla corruzione della società terrena.
Da qui prende avvio la seconda grande invettiva del canto: Beatrice denuncia la cupidigia degli uomini, causa del degrado morale e politico. L'umanità, creata da Dio per il bene, perde la sua purezza crescendo, proprio come le sosine vere, frutti sani che la pioggia trasforma in bozzacchioni, ovvero frutti guasti e inutili. La mancanza di una guida spirituale e politica viene individuata come la causa principale della corruzione, con un'allusione sia alla decadenza della Chiesa sia alla vacanza dell'autorità imperiale, tema centrale nel pensiero politico di Dante.
L'invettiva di Beatrice si collega quindi a quella di san Pietro e culmina con l'annuncio di una futura punizione divina. Le immagini utilizzate evocano la rinascita di un vero frutto e il ritorno dell'umanità sulla giusta rotta, guidata dalla volontà divina. Qui sembra emergere un riferimento alla mancanza di un leader politico capace di governare con giustizia, in parallelo con l'immagine dell'Italia nave sanza nocchiere in gran tempesta di Purgatorio VI. Beatrice conclude con toni profetici, preparando il terreno per i successivi canti, nei quali Dante approfondirà il tema delle gerarchie angeliche, mettendo in contrasto l'ordine perfetto del Paradiso con il caos morale e politico della Terra. Questo contrasto sarà ulteriormente rafforzato nel Canto XXIX, dove tornerà la critica ai predicatori corrotti che diffondono dottrine errate sugli angeli, spesso per motivi di guadagno. L'invettiva contro la corruzione ecclesiastica, dunque, permea gran parte della parte finale del Paradiso, confermando il ruolo di Dante come poeta investito di una missione morale e politica.
Passi Controversi
Le quattro anime citate al verso 10 rappresentano san Pietro, san Giacomo, san Giovanni e Adamo, mentre quella che compare per prima (v. 11) è san Pietro, la cui luce assume una tonalità rossastra.
Nei versi 13-15 si trova una similitudine particolare, basata sulla differenza cromatica tra Marte, di colore rosso, e Giove, che appare argentato. Il verbo "usurpa" al v. 22 ha fatto ipotizzare che Dante mettesse in discussione la legittimità dell'elezione di Bonifacio VIII, un'idea supportata da Inf., XIX, 52-57; altri ritengono invece che l'intento fosse solo quello di sottolineare l'indegnità del pontefice come vicario di Cristo (cfr. Purg., XX, 86-90, dove l'oltraggio di Anagni è aspramente condannato). Il "cimitero" menzionato al v. 25 è il Vaticano, luogo del martirio e della sepoltura di san Pietro secondo la tradizione, che Bonifacio VIII avrebbe trasformato in un ricettacolo di sangue e corruzione a causa delle lotte interne al mondo cristiano (cfr. anche IX, 139 ss.).
Il "perverso" del v. 26 è Lucifero. La similitudine dei vv. 31-36 richiama il cambiamento di colore di Beatrice, che arrossisce (o, secondo altri, impallidisce) come una donna virtuosa che ascolta discorsi peccaminosi; il cielo assume un colore rosso simile a quello che ebbe il sole quando si oscurò nel giorno della morte di Cristo, la "suprema possanza" (Luc., XXIII, 45). Nei versi successivi (41 ss.), san Pietro cita alcuni dei primi papi della Chiesa: Lino di Volterra, primo successore di Pietro, martirizzato il 23 settembre del 78 d.C.; Cleto (o Anacleto), ucciso sotto Domiziano; Sisto I, morto durante il principato di Adriano; Pio I di Aquileia, deceduto probabilmente nel 149; Calisto I, martirizzato nel 222 sotto Alessandro Severo; Urbano I, suo successore, morto nel 230. Il termine "fleto" al v. 45 deriva dal latino e significa "pianto".
I versi 46-48 si riferiscono all'immagine biblica del Giudizio Universale, quando gli eletti e i dannati siederanno rispettivamente alla destra e alla sinistra di Cristo; i papi corrotti pretendono di anticipare questa sentenza con le loro pratiche simoniache, specialmente attraverso la vendita delle indulgenze.
Il "sigillo" citato al v. 52 è quello papale, che ancora oggi riporta l'effigie di san Pietro; i "privilegi venduti e mendaci" (v. 53) si riferiscono alle indulgenze e alle cariche ecclesiastiche commercializzate dai papi simoniaci. I "lupi rapaci" del v. 55 rimandano a Matteo, VII, 15: "Attendite a falsis prophetis qui veniunt ad vos in vestimentis ovium, intrinsecus autem sunt lupi rapaces", mentre il v. 57 richiama il Salmo XLIII, 24: "Exsurge, quare obdormis, Domine?".
I vv. 58-59 si riferiscono a Clemente V e Giovanni XXII, nati rispettivamente in Guascogna e a Cahors; quest'ultima città era nota per essere popolata da usurai (Inf., XI, 50).
Nei vv. 67-69 si parla della stagione invernale, quando il Sole si trova nella costellazione del Capricorno e i fiocchi di neve cadono dal cielo. L'"etere" citato è l'Ottavo Cielo (cfr. XXII, 132).
I vv. 79-81 fanno riferimento alla suddivisione della Terra in sette climi, secondo gli antichi geografi: fasce parallele dall'Equatore alle zone fredde che corrispondevano ai diversi climi della parte abitabile del globo e coprivano 180 gradi di longitudine; Dante afferma di essersi mosso, insieme al Cielo delle Stelle Fisse, di 90 gradi, dal centro alla fine del primo clima.
Al v. 82, "Gade" è l'antico nome di Cadice, città spagnola oltre la quale si trovava il "varco folle" di Ulisse, ossia l'oceano da lui esplorato.
Nei vv. 83-84, il "lido" è la Fenicia, terra legata al mito di Europa, che venne rapita da Giove trasformato in toro; si discute se Dante intendesse effettivamente la Fenicia o se la confondesse con Creta, l'isola in cui Europa fu portata (cfr. Ovidio, Metamorfosi, II, 833 ss.).
Al v. 88, "donnea" significa "vagheggia amorosamente". Il "bel nido di Leda" del v. 98 è la costellazione dei Gemelli, così chiamata in riferimento a Castore e Polluce, nati dall'uovo di Leda fecondato da Giove sotto forma di cigno.
Al v. 108, "meta" richiama la colonnina nel circo romano che segnava il punto di svolta dei carri durante la corsa; il Primo Mobile viene descritto come principio e fine del mondo sensibile.
I vv. 109-111, di interpretazione complessa, significano che il Primo Mobile ha come unica collocazione la mente divina (l'Empireo), dove si accendono l'amore che lo muove e la forza che esso esercita. Il Decimo Cielo non è un luogo fisico ma corrisponde al pensiero di Dio, Luce e Amore (v. 112), che circondano e mettono in movimento il Nono Cielo.
Al v. 117 si afferma che tutti i movimenti fisici sono proporzionati a quello del Primo Mobile, così come il numero dieci è proporzionato ai suoi sottomultipli cinque e due. Il termine "testo" al v. 118 significa "vaso" in latino.
Nei vv. 125-126 si trova un probabile riferimento a un proverbio secondo cui, se piove la domenica di Passione, tutte le susine diventeranno "bozzacchioni", cioè vuote e guaste; metaforicamente, la pioggia rappresenta l'ambiente corrotto che influenza negativamente gli uomini.
I vv. 136-138 sono tra i più enigmatici del poema: la "bella figlia di quel ch'apporta mane e lascia sera" potrebbe essere l'Aurora, figlia mitologica di Iperione, la Chiesa, figlia di Dio, o Circe, figlia del Sole. Il significato generale sembra alludere al fatto che la pelle chiara si scurisce all'apparire della luce, e in senso figurato gli uomini, inizialmente inclini al bene, finiscono per corrompersi.
I vv. 142 ss. suggeriscono che il tempo dell'intervento divino è vicino: si fa riferimento alla necessità di correggere il calendario giuliano, adottato nel 46 a.C. e responsabile di un ritardo progressivo rispetto all'anno astronomico; senza una riforma (poi realizzata con il calendario gregoriano nel 1582), l'equinozio di primavera si sarebbe spostato di 90 giorni, fino a cadere in gennaio. La "centesma" indica la centesima parte del giorno, ovvero i 12 minuti di scarto annuale nel calendario giuliano.
Al v. 142, "gennaio" è bisillabo per effetto del trittongo.
Al v. 145, "fortuna" può indicare sia una tempesta sia la Provvidenza. Infine, al v. 147, "classe" deriva dal latino e significa "flotta".
Fonti: libri scolastici superiori