Parafrasi e Analisi: "Canto XXVI" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XXVI del Paradiso si inserisce nella sfera dell'Ottavo Cielo, il cielo delle Stelle Fisse, dove Dante continua il suo viaggio spirituale attraverso le alte vette della conoscenza e della fede. In questo canto, il poeta affronta tematiche fondamentali legate alla sapienza divina e alla luce della verità, approfondendo il rapporto tra intelletto umano e rivelazione. Attraverso il dialogo con anime eccelse, viene esplorata la natura dell'amore e della conoscenza, in un percorso che esalta la dimensione teologica del cammino dantesco. L'importanza della fede e la sua connessione con l'intelletto emergono come elementi centrali della riflessione, guidando il pellegrino verso una comprensione sempre più profonda del divino.


Testo e Parafrasi


Mentr' io dubbiava per lo viso spento,
de la fulgida fiamma che lo spense
uscì un spiro che mi fece attento,

dicendo: «Intanto che tu ti risense
de la vista che haï in me consunta,
ben è che ragionando la compense.

Comincia dunque; e dì ove s'appunta
l'anima tua, e fa ragion che sia
la vista in te smarrita e non defunta:

perché la donna che per questa dia
regïon ti conduce, ha ne lo sguardo
la virtù ch'ebbe la man d'Anania».

Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo
vegna remedio a li occhi, che fuor porte
quand' ella entrò col foco ond' io sempr' ardo.

Lo ben che fa contenta questa corte,
Alfa e O è di quanta scrittura
mi legge Amore o lievemente o forte».

Quella medesma voce che paura
tolta m'avea del sùbito abbarbaglio,
di ragionare ancor mi mise in cura;

e disse: «Certo a più angusto vaglio
ti conviene schiarar: dicer convienti
chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio».

E io: «Per filosofici argomenti
e per autorità che quinci scende
cotale amor convien che in me si 'mprenti:

ché 'l bene, in quanto ben, come s'intende,
così accende amore, e tanto maggio
quanto più di bontate in sé comprende.

Dunque a l'essenza ov' è tanto avvantaggio,
che ciascun ben che fuor di lei si trova
altro non è ch'un lume di suo raggio,

più che in altra convien che si mova
la mente, amando, di ciascun che cerne
il vero in che si fonda questa prova.

Tal vero a l'intelletto mïo sterne
colui che mi dimostra il primo amore
di tutte le sustanze sempiterne.

Sternel la voce del verace autore,
che dice a Moïsè, di sé parlando:
'Io ti farò vedere ogne valore'.

Sternilmi tu ancora, incominciando
l'alto preconio che grida l'arcano
di qui là giù sovra ogne altro bando».

E io udi': «Per intelletto umano
e per autoritadi a lui concorde
d'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano.

Ma dì ancor se tu senti altre corde
tirarti verso lui, sì che tu suone
con quanti denti questo amor ti morde».

Non fu latente la santa intenzione
de l'aguglia di Cristo, anzi m'accorsi
dove volea menar mia professione.

Però ricominciai: «Tutti quei morsi
che posson far lo cor volgere a Dio,
a la mia caritate son concorsi:

ché l'essere del mondo e l'esser mio,
la morte ch'el sostenne perch' io viva,
e quel che spera ogne fedel com' io,

con la predetta conoscenza viva,
tratto m'hanno del mar de l'amor torto,
e del diritto m'han posto a la riva.

Le fronde onde s'infronda tutto l'orto
de l'ortolano etterno, am' io cotanto
quanto da lui a lor di bene è porto».

Sì com' io tacqui, un dolcissimo canto
risonò per lo cielo, e la mia donna
dicea con li altri: «Santo, santo, santo!».

E come a lume acuto si disonna
per lo spirto visivo che ricorre
a lo splendor che va di gonna in gonna,

e lo svegliato ciò che vede aborre,
sì nescïa è la sùbita vigilia
fin che la stimativa non soccorre;

così de li occhi miei ogne quisquilia
fugò Beatrice col raggio d'i suoi,
che rifulgea da più di mille milia:

onde mei che dinanzi vidi poi;
e quasi stupefatto domandai
d'un quarto lume ch'io vidi tra noi.

E la mia donna: «Dentro da quei rai
vagheggia il suo fattor l'anima prima
che la prima virtù creasse mai».

Come la fronda che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtù che la soblima,

fec' io in tanto in quant' ella diceva,
stupendo, e poi mi rifece sicuro
un disio di parlare ond' ïo ardeva.

E cominciai: «O pomo che maturo
solo prodotto fosti, o padre antico
a cui ciascuna sposa è figlia e nuro,

divoto quanto posso a te supplìco
perché mi parli: tu vedi mia voglia,
e per udirti tosto non la dico».

Talvolta un animal coverto broglia,
sì che l'affetto convien che si paia
per lo seguir che face a lui la 'nvoglia;

e similmente l'anima primaia
mi facea trasparer per la coverta
quant' ella a compiacermi venìa gaia.

Indi spirò: «Sanz' essermi proferta
da te, la voglia tua discerno meglio
che tu qualunque cosa t'è più certa;

perch' io la veggio nel verace speglio
che fa di sé pareglio a l'altre cose,
e nulla face lui di sé pareglio.

Tu vuogli udir quant' è che Dio mi puose
ne l'eccelso giardino, ove costei
a così lunga scala ti dispuose,

e quanto fu diletto a li occhi miei,
e la propria cagion del gran disdegno,
e l'idïoma ch'usai e che fei.

Or, figliuol mio, non il gustar del legno
fu per sé la cagion di tanto essilio,
ma solamente il trapassar del segno.

Quindi onde mosse tua donna Virgilio,
quattromilia trecento e due volumi
di sol desiderai questo concilio;

e vidi lui tornare a tutt' i lumi
de la sua strada novecento trenta
fïate, mentre ch'ïo in terra fu'mi.

La lingua ch'io parlai fu tutta spenta
innanzi che a l'ovra inconsummabile
fosse la gente di Nembròt attenta:

ché nullo effetto mai razïonabile,
per lo piacere uman che rinovella
seguendo il cielo, sempre fu durabile.

Opera naturale è ch'uom favella;
ma così o così, natura lascia
poi fare a voi secondo che v'abbella.

Pria ch'i' scendessi a l'infernale ambascia,
I s'appellava in terra il sommo bene
onde vien la letizia che mi fascia;

e El si chiamò poi: e ciò convene,
ché l'uso d'i mortali è come fronda
in ramo, che sen va e altra vene.

Nel monte che si leva più da l'onda,
fu' io, con vita pura e disonesta,
da la prim' ora a quella che seconda,

come 'l sol muta quadra, l'ora sesta».
Mentre io ero incerto a causa della mia vista spenta,
dalla fulgida luce che mi aveva abbagliato
uscì una voce che catturò la mia attenzione,

dicendo: mentre attendi di riacquistare
il senso della vista che hai consumato fissandoti su di me,
è opportuno che compensi questa mancanza con l'esercizio della ragione.

Dunque comincia; e dimmi l'anima tua
a quale fine aspira, e fai conto che sia la tua vista
in te temporaneamente smarrita e non perduta per sempre;

perché Beatrice, che per questa divina
regione (paradiso) ti guida, ha nel suo sguardo
la virtù che ebbe la mano di Anania".

Io dissi: "Presto o tardi, a suo piacimento, venga il rimedio
ai miei occhi che furono come le porte attraverso le quali essa
penetrò nel mio animo con quel fuoco di amor di cui io sempre ardo.

Il bene che rende beata questa corte, Dio,
è principio e fine di tutto il mio amore
sia per le cose importanti sia per le meno importanti".

Quella stessa voce che mi aveva tolto
la paura dall'improvviso abbagliamento,
mi incoraggiò di nuovo a parlare;

e disse: "Il tuo pensiero dev'essere chiarito
filtrandolo ad un setaccio sempre più sottile: ti conviene dire
chi indirizzò l'arco del tuo amore a così alto segno (a Dio)".

E io: "Tale amore conviene che si infonda nella mia mente
attraverso sia filosofici argomenti
sia l'autorità della sacra scrittura che dal cielo scende;

poiché il bene, quando è inteso come tale
accende amore di sé, e un amore tanto grande
quanta più bontà comprende in sé stesso.

Dunque la mente di ogni uomo,
che, amando, discerne la verità insita in questa prova,
necessariamente si deve rivolgere verso quell'essenza (Dio)

che di tanto supera tutte le altre in bontà,
al punto che ogni bene all'infuori di essa
è solo un riflesso di tutto ciò che deriva dalla sua luce.

Tale verità è chiarita alla mia mente
da quel filosofo che spiega come Dio sia il principio di amore
a cui tendono tutte le anime create immortali.

Lo dimostra la voce stessa di Dio, autore del mondo,
che dice a Mosè, parlando di sé stesso,
"Io ti mostrerò ogni bene".

Me lo dimostri anche tu ancora, incominciando
il tuo libro che, più di ogni altro annuncio,Comprare libri best seller online
svela sulla Terra il mistero del Cielo".

E io udii: "Per gli argomenti della ragione umana
e per l'autorità della Sacra Scrittura
il supremo dei tuoi amori si indirizza come a suo oggetto, a Dio.

Ma dimmi ancora se tu ti senti attratto
verso di lui, cosicché tu manifesti
con quanti denti tu sei morso da questo amore".

Non mi rimase nascosta la sacra volontà
dell'aquila di Cristo, anzi mi accorsi subito
dove voleva condurre la mia professione di carità.

Perciò ricominciai: "Tutti quegli stimoli
che invitano il cuore a rivolgersi a Dio,
sono venuti in soccorso ad alimentare la mia carità:

perché l'essenza del mondo e di me stesso,
la morte che egli sostenne per la mia salvezza,
e ciò che ogni fedele spera come spero io,

Insieme alla già detta conoscenza della verità,
tutti questi motivi mi hanno sottratto al mare tempestoso degli amori fallaci
verso il sicuro approdo del vero amore.

Io amo così tanto le creature di cui
si adorna l'orto dell'eterno ortolano (Dio),
quanto esse (le creature) partecipano della sua bontà".

non appena io tacqui, un dolcissimo canto
risuonò nel paradiso, e Beatrice
insieme alle altre anime diceva: "Santo, Santo, Santo!"

E come di fronte a una intensa luce improvvisa
l'uomo si sveglia perché lo spirito visivo che corre
dal cervello alla pupilla lungo il nervo,

e così svegliato non capisce ciò che vede,
è tanto privo di coscienza repentina
finché non recupera la facoltà percettiva;

così Beatrice allontanò ogni ombra dai miei occhi
con la luce raggiante dei suoi,
che risplendeva da più di mille miglia:

per cui da quel momento vidi meglio di prima;
e quasi stupito domandai
chi fosse quella quarta anima luminosa che vidi tra noi.

E Beatrice: "Dentro questa luce
contempla amorosamente il suo creatore, la prima anima,
che fu la prima ad essere creata da Dio".

Come il ramo che piega la sua cima
al soffio del vento, e poi si raddrizza
per la propria inclinazione naturale a levarsi,

così feci io mentre che questa parlava,
per lo stupore, e poi ripresi coraggio
poiché ardevo dal desiderio di parlare.

E iniziai: "Oh uomo che fosti creato
solo e già adulto, oh padre antico
di fronte al quale ogni sposa è anche figlia e nuora,

ti supplico con tutta la devozione che possiedo
affinché mi parli: tu vedi in Dio cosa desidero da te,
e per ascoltare prima le tue parole non ti pongo la mia richiesta".

Come un animale coperto con un panno si agita confusamente,
cosicché i suoi istinti necessariamente si svelano a chi guarda
perché l'involucro che lo fascia rivela i suoi movimenti;

così l'anima di Adamo
mi faceva trasparire dalla coperta di luce
quanto essa fosse lieta di soddisfarmi.

Così disse: "Sebbene tu non l'abbia espressa (la tua voglia),
distinguo bene ciò che desideri,
meglio di qualunque cosa che ti è più certa;

poiché io la vedo nello specchio della mente divina
che fa di sé riflesso di altre cose,
senza che nessuna possa riflettere lui (Dio) intensamente.

Tu vuoi sentire da quanto tempo Dio mi ha posto
nel giardino divino ( Paradiso) dove costei (Beatrice)
ti ha permesso di salire attraverso i cieli,

e quanto fu amato per i miei occhi,
e quale fu la vera ragione (del peccato originale) della grande ira (di Dio),
e quale la lingua che usai e creai.

Ora, figlio mio, la ragione dell'esilio dall'Eden non fu
il fatto di aver mangiato il frutto proibito in sé,
ma l'aver voluto oltrepassare il limite che mi era stato assegnato.

Dal limbo da cui Beatrice chiamò Virgilio (per guidarti),
desiderai di salire a questo celeste concilio
(aspettando) quattromila trecento due anni;

e prima (di salirci), finchè vissi sulla terra,
vidi il Sole ripercorrere la sua strada
novecento trenta volte.

La lingua che io parlai si estinse
prima che il popolo babilonese, sotto la guida di Nembròt
si accingesse all'opera, mai finita, della torre di Babele;

poiché nessun prodotto della ragione umana
fu mai durevole per sempre a causa dell'instabilità del gusto
che si rinnova perennemente secondo gli influssi astrali.

E' cosa naturale che l'uomo parli;
ma esprimersi in questo o quel modo non è effetto di natura
ma piuttosto una scelta libera degli uomini.

Prima che io scendessi all' Inferno,
il sommo bene (Dio) da cui deriva la giocosità che mi avvolge lucente,
era chiamato in Terra "I";

in seguito venne chiamato "El": e ciò è necessario,
poiché gli usi dei mortali sono con una foglia
su un ramo, cade e viene sostituita da un'altra.

Nel paradiso terrestre, più alto monte sulla superficie del mare,
rimasi io prima e dopo il peccato,
dalla prima ora del giorno alla seconda, che segue la sesta,

quando il Sole muta quadrante (sei ore in tutto)".



Riassunto


San Giovanni esamina Dante sulla Carità (vv. 1-69)
Dante, ancora turbato e incerto a causa della temporanea cecità provocata dalla luce abbagliante di San Giovanni (evento avvenuto nel canto precedente), viene interrogato dal santo sulla terza virtù teologale: la Carità.

San Giovanni gli chiede innanzitutto quale sia l'oggetto del suo amore. Dante risponde senza esitazione che è Dio la meta suprema del suo amore. Il santo prosegue, chiedendo chi abbia orientato il suo amore verso Dio. Il poeta spiega che il bene, in quanto tale, genera amore nell'uomo in proporzione alla sua bontà; poiché Dio è il Bene Assoluto, chi riconosce questa verità non può che amarlo sopra ogni cosa. A sostegno di questa affermazione, Dante cita sia la filosofia, fondata sulla ragione, sia la Sacra Scrittura, che è rivelazione divina.

Infine, San Giovanni domanda quali siano le ragioni che lo spingono ad amare Dio. Dante elenca quattro motivi fondamentali: la creazione dell'universo e dell'umanità; la redenzione dal peccato originale attraverso la crocifissione di Cristo; la promessa del Paradiso e della beatitudine eterna; e, infine, la verità razionale che riconosce Dio come il Sommo Bene.

Al termine di questa esposizione, che segna la conclusione dell'esame sulla Carità, i beati intonano l'inno di lode Sanctus per glorificare Dio.

Dante riacquista la vista e incontra Adamo (vv. 70-142)
Gradualmente, Dante recupera la vista: inizialmente in modo sfocato, poi, grazie allo sguardo risanatore di Beatrice, con chiarezza completa. È allora che si accorge della presenza di una quarta luce splendente accanto agli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni. Incuriosito, chiede chi sia quella nuova anima luminosa. Beatrice gli rivela che si tratta di Adamo, il primo uomo creato da Dio.

Colpito dalla rivelazione, Dante china il capo in segno di profondo rispetto; poi, spinto dal desiderio di rivolgergli la parola, lo rialza. Il suo gesto viene paragonato al movimento della cima di un albero che si piega dolcemente al soffio del vento.

Adamo, che in quanto beato può leggere direttamente nei pensieri di Dante, comprende i suoi interrogativi ancora prima che vengano pronunciati. Il poeta vorrebbe sapere quando fu creato il primo uomo, per quanto tempo rimase nell'Eden, quale peccato lo condannò all'esilio e quale fosse la lingua da lui parlata.

Adamo risponde, ma non seguendo l'ordine delle domande. Per prima cosa, chiarisce che la sua colpa non fu semplicemente quella di aver mangiato il frutto proibito, ma piuttosto di aver commesso un atto di superbia violando il divieto divino. Poi rivela che la creazione dell'uomo risale a 6498 anni prima dell'incontro con Dante, avvenuto nel 1300. Riguardo alla lingua, afferma che l'idioma da lui parlato si era già estinto prima della costruzione della Torre di Babele. Infine, conclude dicendo che il suo soggiorno nel Paradiso Terrestre fu brevissimo: solo sette ore.


Figure Retoriche


v. 1: "Lo viso": Metonimia. Il concreto per l'astratto, il viso anziché la vista.
v. 8: "L'anima tua": Anastrofe.
v. 9: "Smarrita e non defunta": Antitesi.
v. 10: "La donna": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
vv. 10-11: "Dia / region": Enjambement.
v. 13: "Tosto e tardo": Antitesi.
v. 15: "Quand'ella entrò col foco ond'io sempr'ardo": Metafora. Per dire che lo fece innamorare.
v. 16: "Lo ben che fa contenta questa corte": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 19-20: "Che paura tolta m'avea": Anastrofe.
v. 24: "L'arco tuo": Anastrofe.
v. 24: "Chi drizzò l'arco tuo a tal berzaglio": Metafora.
vv. 38-39: "Colui che mi dimostra il primo amore di tutte le sustanze sempiterne": Perifrasi. Probabilmente per indicare il filosofo Aristotele.
v. 44: "L'arcano": Perifrasi. Per indicare il mistero dell'incarnazione.
v. 48: "D'i tuoi amori a Dio guarda il sovrano": Anastrofe.
v. 51: "Sì che tu suone con quanti denti questo amor ti morde": Metafora.
v. 53: "L'aguglia di Cristo": Perifrasi. Per indicare san Giovanni.
vv. 52-54: "Non fu latente ... anzi m'accorsi dove volea menar": Antitesi.
v. 62: "Tratto m'hanno": Anastrofe.
v. 62: "Del mar de l'amor torto": Metafora. Per indicare i beni terreni.
v. 63: "Del diritto m'han posto a la riva": Metafora. Per indicare i beni celesti.
vv. 64-65: "Le fronde onde s'infronda tutto l'orto de l'ortolano etterno": Metafora. Le fronte che ama sono le creature, che vanno ad abbellire tutto l'orto dell'ortolano eterno che è Dio.
vv. 70-77: "E come a lume acuto si disonna per lo spirto visivo che ricorre a lo splendor che va di gonna in gonna, e lo svegliato ciò che vede aborre, sì nescia è la sùbita vigilia fin che la stimativa non soccorre; così de li occhi miei ogni quisquilia fugò Beatrice col raggio d'i suoi, che rifulgea da più di mille milia": Similitudine.
v. 83: "L'anima prima": Anastrofe e antonomasia. Per indicare Adamo, il primo uomo.
v. 84: "La prima virtù": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 85-90: "Come la fronda che flette la cima nel transito del vento, e poi si leva per la propria virtù che la soblima, fec'io in tanto in quant'ella diceva, stupendo, e poi mi rifece sicuro un disio di parlare ond'io ardeva": Similitudine.
v. 92: "Prodotto fosti": Anastrofe.
vv. 91-93: "O pomo che maturo solo prodotto fosti, o padre antico a cui ciascuna sposa è figlia e nuro": Perifrasi. Si parla sempre di Adamo, ovvero il frutto nato già maturo, di cui ogni donna è sua figlia in quanto discende da lui, e ne è anche nuora in quanto sposata con un suo discendente.
vv. 97-102: "Talvolta un animal coverto broglia, sì che l'affetto convien che si paia per lo seguir che face a lui la 'nvoglia; e similmente l'anima primaia mi facea trasparer per la coverta quant'ella a compiacermi venìa gaia": Similitudine.
v. 106: "Verace speglio": Perifrasi. Per indicare la mente di Dio.
v. 112: "Occhi miei": Anastrofe.
v. 115: "Legno": Sineddoche. In questo caso per legno s'intende l'albero, quindi il tutto per la parte, che sarebbe dovuta essere il frutto proibito.
vv. 122-123: "Novecento trenta / fiate": Enjambement.
v. 125: "L'ovra inconsummabile": Perifrasi. Per indicare la costruzione della Torre di Babele.
v. 133: "Infernale ambascia": Perifrasi. Per indicare il Limbo.
v. 134: "Il sommo bene": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 137-138: "L'uso d'i mortali è come fronda in ramo, che sen va e altra vene": Similitudine.
v. 139: "Nel monte che si leva più da l'onda": Perifrasi. Per indicare l'Eden che si trova alla cima del Purgatorio.
v. 139: "Da l'onda": Sineddoche. La parte per il tutto, l'onda anziché il mare.
v. 140: "Pura e disonesta": Ossimoro.


Analisi ed Interpretazioni


Struttura del Canto e Temi Principali
Il Canto si articola in due sezioni ben distinte: la prima riguarda l'esame di san Giovanni sulla carità e la successiva restituzione della vista a Dante, mentre la seconda introduce Adamo, a cui il poeta rivolge quattro domande sulla sua esperienza nell'Eden e sul peccato originale. Nonostante la loro apparente separazione, esiste un filo conduttore che collega i due momenti, giustificando l'accostamento del primo uomo ai tre santi rappresentanti delle virtù teologali. Adamo, infatti, fu l'unico a possedere naturalmente fede, speranza e carità, ma con la sua disobbedienza le perse, rendendo necessaria la redenzione operata dal sacrificio di Cristo.

Uno degli aspetti più significativi della rivelazione di Adamo è la chiarificazione della natura del suo peccato: non si trattò di gola, ma di superbia, poiché egli volle oltrepassare il limite imposto da Dio alla conoscenza umana. Questo tema si collega strettamente al percorso personale di Dante, che nel Canto precedente aveva temporaneamente perso la vista per aver fissato troppo intensamente la luce di san Giovanni. Tale accecamento può essere interpretato simbolicamente come una punizione per la sua volontà di conoscere ciò che è precluso alla ragione umana, un errore simile a quello commesso da Adamo. Anche la leggenda secondo cui san Giovanni sarebbe salito in Cielo con il corpo mortale viene smentita nel canto precedente, a dimostrazione del fatto che la ricerca della verità non può basarsi su credenze errate. Beatrice, che restituisce la vista a Dante, viene paragonata ad Anania, il quale, per volontà divina, restituì la vista a san Paolo. Questo accostamento tra Dante e l'Apostolo non è casuale e rafforza l'idea che il viaggio ultraterreno del poeta sia guidato dalla grazia divina, come accadde per Paolo quando fu rapito in estasi al terzo Cielo per diffondere il messaggio evangelico.

Il Ruolo della Carità e il Collegamento con il Peccato di Adamo
L'esame sulla carità funge da elemento di transizione tra le due parti del Canto, poiché l'amore per Dio è l'antitesi del peccato di superbia, che ha causato sia la disobbedienza di Adamo sia la caduta di Lucifero, origine del male nel mondo. A differenza degli esami precedenti su fede e speranza, quello sulla carità non viene introdotto da Beatrice e non si concentra su una definizione della virtù (già ben nota secondo la dottrina tomista), bensì sul suo oggetto e sulla sua origine. Dante afferma che il suo amore per Dio è alimentato dagli insegnamenti filosofici e dalle Sacre Scritture, con particolare riferimento al Vangelo di Giovanni, che si distingue dagli altri per il suo spiccato carattere teologico.

Il poeta sottolinea la necessità di subordinare la filosofia alla rivelazione divina, coerentemente con la struttura concettuale dell'intera Commedia. La carità, per lui, nasce dalla consapevolezza della grandezza della creazione, dal sacrificio di Cristo e dalla speranza della vita eterna. Alcuni studiosi hanno osservato che la trattazione della carità in questo Canto sembra più un ragionamento filosofico che un'espressione spontanea di amore verso Dio e il prossimo. Tuttavia, ciò si spiega con la volontà di Dante di fondare le verità teologiche su basi razionali, un approccio già evidente nei precedenti esami sulle altre virtù teologali. Il poeta vuole mettere in luce i limiti della ragione umana, che non può spingersi oltre ciò che Dio ha stabilito. Egli stesso riconosce che il peccato che lo ha portato a smarrirsi nella selva oscura è stato proprio un eccesso di fiducia nell'intelletto, un desiderio di conoscenza che lo ha allontanato dalla verità. Non a caso, nella sua professione di carità, dichiara di essersi allontanato dal "mare dell'amor torto" per approdare alla riva del giusto amore. Alla fine del discorso, i beati e Beatrice lodano Dio, segnando simbolicamente la definitiva redenzione di Dante, che ora può contemplare le verità divine con piena consapevolezza.

L'Incontro con Adamo e la Conoscenza Umana
Dopo aver superato la prova, Dante incontra Adamo, il primo uomo creato dall'amore divino e il primo a trasgredire i suoi comandamenti. Il poeta, spinto dal desiderio di sapere, gli pone quattro domande sulle sue vicende nel Paradiso terrestre. Adamo afferma di conoscere i pensieri di Dante attraverso la mente di Dio, paragonata a uno specchio di verità assoluta che riflette ogni cosa senza essere a sua volta riflesso, a sottolineare l'incommensurabilità tra la conoscenza umana e quella divina.

L'ex progenitore chiarisce che la sua cacciata dall'Eden non fu causata dalla gola, come spesso si crede, ma dal desiderio di oltrepassare il limite imposto da Dio. Questo peccato di superbia intellettuale è paragonabile a quello di Ulisse, il quale superò le Colonne d'Ercole per cercare l'ignoto e finì per trovare la morte. Adamo, invece, dopo seimila anni di attesa nel Limbo, ha potuto ascendere al Paradiso. Un altro punto cruciale riguarda la lingua parlata nell'Eden. Qui Dante corregge una sua precedente convinzione, espressa nel De vulgari eloquentia, secondo cui la lingua di Adamo era l'ebraico e non subì mutazioni fino alla confusione babelica. Adamo, invece, spiega che il linguaggio è sempre soggetto a cambiamenti, poiché dipende dall'intelletto umano. Afferma inoltre che la sua lingua originaria era già estinta ai tempi della Torre di Babele e che il nome di Dio non era "El", come si credeva, ma "I".

Questa questione, apparentemente secondaria, si inserisce nel tema centrale del Canto: il rapporto tra conoscenza umana e rivelazione divina. Dante ribadisce che la verità assoluta può essere conosciuta solo attraverso la rivelazione, mentre la speculazione filosofica è inevitabilmente soggetta a errori. Adamo diventa così la prova vivente di quanto già emerso nel viaggio del poeta: la ragione umana da sola non basta a comprendere la realtà ultima, ma deve essere guidata dalla fede e dalla grazia divina. Questa idea è presente in tutta la terza cantica e trova qui un'ulteriore conferma. Il colloquio con Adamo segna la chiusura dell'esame sulle virtù teologali, preparando Dante a proseguire il suo cammino verso la visione suprema di Dio.


Passi Controversi


v. 4 – Il verbo "ti risense"
Dante introduce un probabile neologismo con il verbo ti risense, che significa "recuperi il senso", riferendosi in questo caso alla vista.

vv. 7-8 – La domanda di San Giovanni
San Giovanni chiede a Dante quale sia la direzione della sua anima, ovvero su cosa si concentri il suo amore e la sua devozione.

vv. 10-12 – Riferimento agli Atti degli Apostoli
In questi versi Dante allude a un episodio narrato negli Atti degli Apostoli (IX, 8-18), in cui Anania, uno dei primi seguaci di Cristo a Damasco, restituisce la vista a San Paolo, accecato dopo l'apparizione divina, imponendogli le mani sul capo.

vv. 16-18 – Il significato di "Amore" e "scrittura"
L'interpretazione di questi versi è complessa, ma se si considera Amore come soggetto e scrittura nel senso di "affetto", il loro significato potrebbe essere che Dio è il principio e la fine dell'amore che Dante apprende, in misura variabile, attraverso la sua esperienza. L'espressione Alfa e O fa riferimento alla prima e all'ultima lettera dell'alfabeto greco, concetto presente nell'Apocalisse (I, 8), dove Dio afferma: "Io sono l'Alfa e l'Omega, il principio e la fine".

vv. 22-23 – L'invito a una maggiore chiarezza
San Giovanni esorta Dante a rendere il proprio pensiero più comprensibile, affinando il modo in cui lo esprime, proprio come si userebbe un setaccio più fine per separare le parti più sottili.

vv. 37-39 – Il filosofo citato
Qui Dante si riferisce chiaramente a un filosofo, ma l'identità non è certa. Molti studiosi ritengono che sia Aristotele, ma altre ipotesi includono Platone, Dionigi Areopagita o addirittura Virgilio. Alcuni pensano che possa riferirsi all'autore del De causis, un trattato erroneamente attribuito ad Aristotele e citato da Dante nel Convivio.

vv. 40-42 – Il riferimento all'Esodo
Questi versi si ricollegano a un passo dell'Esodo (XXXIII, 19), dove Dio risponde a Mosè, che gli aveva chiesto di rivelargli tutta la sua gloria, dicendogli: "Io ti mostrerò ogni bene".

vv. 43-45 – Possibile richiamo al Vangelo di Giovanni
Questi versi potrebbero riferirsi al Vangelo di Giovanni, che fin dall'inizio sottolinea il dogma dell'incarnazione, ossia il divino che si fa umano. Alcuni studiosi ipotizzano un collegamento con l'Apocalisse, ma questa interpretazione è meno condivisa.

vv. 46-48 – Il significato del verbo "guarda"
San Giovanni spiega a Dante che il fulcro del suo amore, ovvero la carità, è rivolto a Dio. Il verbo guarda deve quindi essere inteso all'indicativo e non come un imperativo, contrariamente a quanto alcuni interpretano.

v. 53 – L'aquila e San Giovanni
San Giovanni viene chiamato aguglia di Cristo perché l'aquila è tradizionalmente il simbolo che rappresenta l'Evangelista.

v. 64 – Il significato delle fronde
Le fronde menzionate in questo verso simboleggiano le creature di Dio, che è definito l'ortolano eterno.

v. 69 – Il canto di Beatrice e la Messa
Il canto di Beatrice sembra riecheggiare il celebre inno liturgico della Messa: Sanctus, sanctus, sanctus, Dominus Deus Sabaoth.

v. 70 – Il significato di "si disonna"
Il verbo si disonna significa "si sveglia, si desta".

v. 73 – L'origine del verbo "aborre"
La parola aborre potrebbe derivare da aborrare, che significa "non distinguere chiaramente". Questa interpretazione trova un precedente nell'Inferno (XXXI, 24). Tuttavia, la terminazione in -e non è del tutto chiara.

v. 75 – Il concetto di "stimativa"
La stimativa è la capacità percettiva dell'anima che permette di riconoscere ciò che si vede.

v. 76 – Il significato di "quisquilia"
Il termine latino quisquilia significa "pagliuzza" ed è usato per indicare l'offuscamento visivo di Dante.

vv. 92-93 – Il rapporto tra Adamo e l'umanità
Dante sottolinea che ogni donna discende da Adamo e, allo stesso tempo, ne è nuora in quanto sposa di uno dei suoi discendenti.

vv. 95-102 – La metafora di Adamo
Adamo è paragonato a un animale avvolto in un involucro che si muove irrequieto sotto la copertura. Potrebbe trattarsi di un cane, un porcellino o un falcone con il cappuccio. Questo paragone rappresenta la gioia del beato, manifestata attraverso l'intensificarsi del suo splendore.

vv. 118-123 – Il calcolo degli anni di Adamo
Adamo spiega di aver trascorso nel Limbo 4302 anni, lo stesso luogo in cui Beatrice aveva mandato Virgilio. Dice poi di essere vissuto sulla Terra per 930 anni. Cristo, dopo la sua morte nel 34 d.C., ha liberato le anime dei patriarchi dal Limbo, e poiché l'anno della visione di Dante è il 1300, sono trascorsi altri 1266 anni. Sommando questi numeri (4302 + 930 + 1266), si ottiene 6498, l'età del mondo secondo la tradizione biblica seguita da Dante.

vv. 121-122 – I "lumi della strada del Sole"
Questa espressione indica i segni zodiacali.

v. 125 – Il significato dell'"ovra inconsummabile"
L'ovra inconsummabile si riferisce alla Torre di Babele, opera ritenuta impossibile da completare. Secondo una tradizione errata, sarebbe stata costruita dal gigante Nembrod.

vv. 133-138 – La prima parola di Adamo
In questi versi, Dante corregge una sua precedente affermazione nel De vulgari eloquentia (I, 4), dove sosteneva che la prima parola pronunciata da Adamo fosse El, il nome ebraico di Dio. Qui, invece, Adamo afferma che il primo termine pronunciato fu I, probabilmente una creazione dello stesso Dante.

vv. 139-142 – Il tempo trascorso da Adamo nell'Eden
Adamo dichiara di essere rimasto nel Paradiso Terrestre per sette ore, dalla prima ora del giorno (le 6 del mattino) fino a poco dopo la sesta ora (mezzogiorno), quando il Sole cambia quadrante.

Fonti: libri scolastici superiori

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