Parafrasi e Analisi: "Canto XXV" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Nel Canto XXV del Paradiso, Dante esprime una profonda speranza: il suo ritorno a Firenze e la consacrazione poetica attraverso la corona d'alloro, simbolo di gloria e riconoscimento. Questo canto si distingue per il tono personale e per l'intensa riflessione sul concetto di speranza cristiana, una delle tre virtù teologali. Dante si appresta a essere esaminato su questa virtù da San Giacomo, l'apostolo tradizionalmente associato proprio alla speranza. Il canto si inserisce così nel percorso di approfondimento delle tre virtù fondamentali della fede cristiana, proseguendo il dialogo teologico iniziato nei canti precedenti. Sullo sfondo, emerge anche il desiderio dell'autore di vedere riconosciuta la sua opera e il suo valore, tanto nella dimensione terrena quanto in quella spirituale.
Testo e Parafrasi
Se mai continga che 'l poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra, sì che m'ha fatto per molti anni macro, vinca la crudeltà che fuor mi serra del bello ovile ov' io dormi' agnello, nimico ai lupi che li danno guerra; con altra voce omai, con altro vello ritornerò poeta, e in sul fonte del mio battesmo prenderò 'l cappell; però che ne la fede, che fa conte l'anime a Dio, quivi intra' io, e poi Pietro per lei sì mi girò la fronte. Indi si mosse un lume verso noi di quella spera ond' uscì la primizia che lasciò Cristo d'i vicari suoi; e la mia donna, piena di letizia, mi disse: «Mira, mira: ecco il barone per cui là giù si vicita Galizia». Sì come quando il colombo si pone presso al compagno, l'uno a l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione; così vid' ïo l'un da l'altro grande principe glorïoso essere accolto, laudando il cibo che là sù li prande. Ma poi che 'l gratular si fu assolto, tacito coram me ciascun s'affisse, ignito sì che vincëa 'l mio volto. Ridendo allora Bëatrice disse: «Inclita vita per cui la larghezza de la nostra basilica si scrisse, fa risonar la spene in questa altezza: tu sai, che tante fiate la figuri, quante Iesù ai tre fé più carezza». «Leva la testa e fa che t'assicuri: ché ciò che vien qua sù del mortal mondo, convien ch'ai nostri raggi si maturi». Questo conforto del foco secondo mi venne; ond' io leväi li occhi a' monti che li 'ncurvaron pria col troppo pondo. «Poi che per grazia vuol che tu t'affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l'aula più secreta co' suoi conti, sì che, veduto il ver di questa corte, la spene, che là giù bene innamora, in te e in altrui di ciò conforte, dì quel ch'ell' è, dì come se ne 'nfiora la mente tua, e dì onde a te venne». Così seguì 'l secondo lume ancora. E quella pïa che guidò le penne de le mie ali a così alto volo, a la risposta così mi prevenne: «La Chiesa militante alcun figliuolo non ha con più speranza, com' è scritto nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: però li è conceduto che d'Egitto vegna in Ierusalemme per vedere, anzi che 'l militar li sia prescritto. Li altri due punti, che non per sapere son dimandati, ma perch' ei rapporti quanto questa virtù t'è in piacere, a lui lasc' io, ché non li saran forti né di iattanza; ed elli a ciò risponda, e la grazia di Dio ciò li comporti». Come discente ch'a dottor seconda pronto e libente in quel ch'elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda, «Spene», diss' io, «è uno attender certo de la gloria futura, il qual produce grazia divina e precedente merto. Da molte stelle mi vien questa luce; ma quei la distillò nel mio cor pria che fu sommo cantor del sommo duce. 'Sperino in te', ne la sua tëodia dice, 'color che sanno il nome tuo': e chi nol sa, s'elli ha la fede mia? Tu mi stillasti, con lo stillar suo, ne la pistola poi; sì ch'io son pieno, e in altrui vostra pioggia repluo». Mentr' io diceva, dentro al vivo seno di quello incendio tremolava un lampo sùbito e spesso a guisa di baleno. Indi spirò: «L'amore ond' ïo avvampo ancor ver' la virtù che mi seguette infin la palma e a l'uscir del campo, vuol ch'io respiri a te che ti dilette di lei; ed emmi a grato che tu diche quello che la speranza ti 'mpromette». E io: «Le nove e le scritture antiche pongon lo segno, ed esso lo mi addita, de l'anime che Dio s'ha fatte amiche. Dice Isaia che ciascuna vestita ne la sua terra fia di doppia vesta: e la sua terra è questa dolce vita; e 'l tuo fratello assai vie più digesta, là dove tratta de le bianche stole, questa revelazion ci manifesta». E prima, appresso al fin d'este parole, 'Sperent in te' di sopr' a noi s'udì; a che rispuoser tutte le carole. Poscia tra esse un lume si schiarì sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì. E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo, così vid' io lo schiarato splendore venire a' due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore. Misesi lì nel canto e ne la rota; e la mia donna in lor tenea l'aspetto, pur come sposa tacita e immota. «Questi è colui che giacque sopra 'l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto». La donna mia così; né però piùe mosser la vista sua di stare attenta poscia che prima le parole sue. Qual è colui ch'adocchia e s'argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa; tal mi fec' ïo a quell' ultimo foco mentre che detto fu: «Perché t'abbagli per veder cosa che qui non ha loco? In terra è terra il mio corpo, e saragli tanto con li altri, che 'l numero nostro con l'etterno proposito s'agguagli. Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro; e questo apporterai nel mondo vostro». A questa voce l'infiammato giro si quïetò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l'acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d'un fischio. Ahi quanto ne la mente mi commossi, quando mi volsi per veder Beatrice, per non poter veder, benché io fossi presso di lei, e nel mondo felice! |
Se mai avverrà che il sacro poema nel quale hanno contribuito sia il Cielo sia la Terra, che mi ha tenuto impegnato per molti anni, vinca la crudeltà che mi chiude fuori dal bell'ovile (Firenze) dove io da agnello (bambino) dormii odiato dai nemici, come lupi che gli fan guerra; ormai con voce ben diversa, e con altri capelli (invecchiato) ritornerò lì come poeta, e sulla fronte del mio battesimo (Battistero di San Giovanni) riceverò la corona di alloro; poiché lì (a Firenze) io entrai nella fede, che rende gradite le anime a Dio, e in seguito Pietro girò intorno alla mia fronte con la sua luce in segno di approvazione. Poi un'altra luce si mosse verso di noi da quella corona di beati da dove era uscito il primo dei vicari di Cristo in Terra; e Beatrice, piena di gioia, mi disse: "Guarda, guarda: ecco il santo per cui sulle Terra si va in pellegrinaggio in Galizia (Santiago de Compostela)". come quando il piccione si avvicina al compagno, l'uno e l'altro manifestano il proprio affetto, girando e facendo il verso; così io vidi l'uno (Giacomo) essere accolto dall'altro (Pietro) principe glorioso, lodando il cibo spirituale che in paradiso li nutre. Ma dopo che il vicendevole rallegrarsi fu terminato, ciascuno in silenzio si fermò davanti a me, splendente tanto da costringere il mio volto a chinarsi. Allora Beatrice disse ridendo "Oh anima gloriosa da cui fu esaltata la liberalità di questa celeste reggia (paradiso), in questo cielo fai risuonare la speranza: tu la conosci bene, poiché tante volte la rappresenti, quante Gesù mostrò la sua predilezione ai suoi tre apostoli". "Alza la testa e lasciati rassicurare; poiché ciò che arriva quassù dal mondo mortale c'è bisogno che si perfezioni adeguandosi al nostro splendore". Questo incoraggiamento mi arrivò dalla seconda anima lucente; quando verso i due apostoli io alzai gli occhi, che prima erano stati costretti ad abbassarsi per il troppo splendore. "Poiché il nostro imperatore, per singolare grazia, vuole che tu, prima di morire ti presenti nell'aula più segreta con la sua corte, cosicché tu, dopo aver contemplato il paradiso per com'è, possa ravvivare in te stesso e negli altri, descrivendolo, la speranza che in terra accende gli animi con l'amore, dimmi cos'è la speranza, dimmi in che misura se ne adorna la tua anima e da dove ti venne". Così seguitò dicendo ancora la seconda luce. E Beatrice che mi guidò nella mia ascesa a un così alto volo in paradiso, mi precedette nel rispondere, dicendo così: "Non esiste fra i Cristiani alcuna creatura con più speranza di quanta ne abbia costui, com'è scritto nella mente di Dio, Sole che illumina tutti noi beati: Perciò a lui è concesso di uscire dal mondo terreno per arrivare alla Gerusalemme celeste, per vedere, prima che sia terminato il tempo assegnato alla sua milizia terrena. Intorno agli altri due quesiti che gli hai posto, non per sapere ma perché lui stesso possa raccontare quanto questa virtù tu abbia a cuore, lascio a lui che ti risponda, poiché non gli risulterà difficile né sarà occasione di vanagloria; ed egli stesso a ciò risponda, e lo sostenga in questo compito alla grazia di Dio". Come uno scolaro che asseconda il maestro presto e volentieri in ciò in cui è ben preparato, affinché sia dimostrata la propria preparazione, "la speranza" dissi io "è una fiduciosa attesa della gloria futura, che nasce dalla grazia divina e dal merito precedente (terreno). Da molti testi (stelle) mi viene questa luce di sapienza; ma ciò che prima la stillò nel mio cuore fu l'autore dei Salmi. "Sperino in te coloro che conoscono il tuo nome" Dice egli nella sua lode a Dio: E come fa a non conoscerlo chi ha la fede cristiana? Tu m'infondesti la speranza, con la parola e in seguito con l'epistola; cosicché il mio cuore trabocca di virtù, e io posso riversarlo nei cuori altrui". Mentre io parlavo così, nel cuore di quella fiamma luminosa si intravide un bagliore improvviso e rapido come un baleno. Quindi disse: "L'amore di cui io ardo ancora per la virtù che mi accompagnò fino al martirio e alla morte, mi spinge a parlare con te che mostri di amarla; e mi piace che tu parli di ciò che attendi in virtù della speranza stessa". E io risposi: "Il Nuovo e l'Antico Testamento indicano la meta, questa meta che io ho raggiunto (paradiso) mi dà la certezza della speranza stessa. Dice Isaia che ciascuna delle anime elette nella sua terra otterrà una doppia veste; e la loro terra è questa eterna beatitudine. E tuo fratello (Giovanni) conferma questa rivelazione in maniera più elaborata e complessa (nell'Apocalisse), quando parla delle anime avvolte in bianche vesti". E, verso la fine di questo discorso, si sentì per prima cosa sopra di noi "sperino in te"; al quale tutte le corone di anime risposero. Poi tra di loro una luce si schiarì facendosi così splendente che se il Cancro avesse una tale stella luminosa, per un mese intero non avremmo più notte d'inverno. E come una lieta fanciulla si alza ed entra nelle danze, solo per fare onore alla novella sposa, e non per vanità, così io vidi quell'anima più luminosa avvicinarsi verso i due apostoli che danzavano a ritmo come si conviene al loro ardore di carità. Si unì a loro nel coro e nella danza; e Beatrice li guardava, come una sposa silenziosa e immobile. "Costui è l'apostolo Giovanni che posò il capo sul petto di Cristo che dall'alto della croce lo elesse al grande incarico" Mi disse così Beatrice e neppure mentre pronunciava le sue parole distolse mai lo sguardo dalla corona di anime. Come colui che aguzza la vista e cerca di vedere il Sole eclissarsi un po', e che, per vedere, diventa cieco; così feci io di fronte a quell'ultima anima mentre mi fu detto: "Perché ti sforzi per vedere qualcosa che non c'è? In Terra riposa il mio corpo e vi rimarrà insieme con tutti gli altri, finché il numero di beati raggiunga la quantità stabilita da Dio. Con la doppia veste (anima e corpo) ci sono soltanto in paradiso i due che hai visto salire (Cristo e la Vergine); e così tu riferirai sulla Terra". A queste parole la corona di luci si fermò e insieme anche la dolce armonia prodotta dal suono delle loro tre voci, così come, per evitare la fatica o il pericolo, i remi di una nave, che prima colpivano l'acqua, si fermano tutti insieme al suono di un fischio. Ah quanto rimasi sorpreso nella mente quando mi voltai per vedere Beatrice, poiché non potevo vederla, benché io fossi accanto a lei e in Paradiso! |
Riassunto
La Consapevolezza del Valore Poetico di Dante (vv. 1-12)
All'inizio del canto, Dante esprime un pensiero nostalgico verso la sua patria, da cui è stato esiliato a causa dei suoi avversari politici. Il poeta spera un giorno di potervi fare ritorno e di ricevere l'incoronazione poetica nel battistero di San Giovanni, lo stesso luogo in cui fu battezzato.
L'Apparizione di San Giacomo e l'Esame sulla Speranza (vv. 13-48)
Dalla schiera luminosa dei beati si distacca un'altra anima, accolta con gioia da San Pietro e posta di fronte a Dante. È San Giacomo, che, su invito di Beatrice, sottopone il poeta a un esame sulla virtù della speranza. Il santo gli pone tre domande fondamentali: che cos'è la speranza, in che misura egli la possiede e quale ne sia l'origine nella sua esperienza spirituale.
Beatrice Risponde per Dante (vv. 49-63)
Alla seconda domanda, Beatrice interviene direttamente in favore di Dante, dichiarando che nessuno possiede una speranza più grande della sua. Proprio per questo, Dio gli ha concesso l'eccezionale privilegio di visitare il Paradiso ancora in vita.
Le Risposte di Dante e la Reazione dei Beati (vv. 64-99)
Dante prosegue rispondendo alle altre due domande. Definisce la speranza come la fiduciosa attesa della gloria celeste, fondata sia sulla grazia divina sia sui meriti personali. Spiega poi di averla appresa dalle Sacre Scritture, in particolare dai Salmi di David e dall'Epistola di San Giacomo. Raggiante di gioia, il santo gli chiede cosa gli prometta la speranza, e Dante risponde che essa gli assicura la beatitudine eterna, sia nell'anima che nel corpo. Al sentire queste parole, i beati intonano il salmo Sperent in te, inneggiando alla speranza.
L'Apparizione di San Giovanni (vv. 100-117)
Un'altra anima luminosa si avvicina agli altri due santi: è San Giovanni Evangelista. Egli è l'apostolo che, durante l'Ultima Cena, posò il capo sul petto di Cristo e che, sotto la croce, ricevette da Gesù l'incarico di prendersi cura di Maria.
Il Mistero del Corpo di San Giovanni (vv. 118-129)
Dante osserva con attenzione la luce di San Giovanni, cercando di capire se il santo sia salito al cielo con il proprio corpo, come si credeva nel Medioevo. Comprendendo il pensiero del poeta, l'Evangelista chiarisce che il suo corpo è rimasto sulla terra e si è dissolto in polvere, precisando che solo Gesù e Maria hanno raggiunto il Paradiso con il loro corpo.
Dante Accecato dalla Luce Divina (vv. 130-139)
Dante si volge verso Beatrice per cercare aiuto, ma si accorge di non riuscire a vederla: i suoi occhi sono stati abbagliati dalla luce intensa emanata da San Giovanni, segno della straordinaria potenza spirituale della sua presenza.
Figure Retoriche
v. 2: "Ha posto mano": Sineddoche. Il singolare per il plurale, in quanto il verbo e collegato sia al Cielo sia alla Terra.
v. 3: "M'ha fatto ... macro": Iperbato.
v. 5: "Bello ovile": Perifrasi. Per indicare Firenze.
vv. 5-6: "Del bello ovile ov'io dormi' agnello, nimico ai lupi che li danno guerra": Metafora.
vv. 7-8: "Fonte / del mio battesimo": Enjambement.
v. 9: "'l cappello": Perifrasi. Per indicare l'alloro poetico, la corona poetica.
v. 12: "La fronte": Sineddoche. La parte per il tutto, la fronte anziché il capo.
vv. 14-15: "La primizia che lasciò Cristo d'i vicari suoi": Perifrasi. Per indicare san Pietro.
v. 16: "La mia donna": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
vv. 17-18: "Il barone per cui là giù si vicita Galizia": Perifrasi.
vv. 19-23: "Sì come quando il colombo si pone presso al compagno, l'uno a l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione; così vid'io l'un da l'altro grande principe glorioso essere accolto": Similitudine.
vv. 22-23: "Grande / principe glorioso": Enjambement e Perifrasi. Per indicare san Pietro.
v. 24: "Il cibo che là sù li prande": Allegoria. Per indicare la beatitudine.
v. 33: "Ai tre fé più carezza": Perifrasi. Per indicare i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni a cui Gesù mostrò particolare benevolenza.
v. 35: "Mortal mondo": Anastrofe.
v. 37-38: "Del foco secondo mi venne": Anastrofe.
v. 41: "Lo nostro Imperadore": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 40-43: "Poi che per grazia vuol che tu t'affronti lo nostro Imperadore, anzi la morte, ne l'aula più secreta co' suoi conti, sì che, veduto il ver di questa corte": Metafora. Qui il Paradiso è paragonato a una corte in cui l'Imperadore è Dio, i suoi conti sono i più i santi più importanti, mentre l'aula più segreta potrebbe essere l'Empireo, o gli ultimi due Cieli, oppure tutto il Paradiso".
v. 47: "Mente tua": Anastrofe.
vv. 49-50: "Quella pia che guidò le penne de le mie ali a così alto volo": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
vv. 52-53: "Alcun figliuolo non ha": Anastrofe.
v. 54: "Nel Sol": Perifrasi. Per indicare la mente divina.
v. 55: "Egitto": Sineddoche. La parte per il tutto, l'Egitto anziché dalla Terra.
v. 57: "Anzi che 'l militar li sia prescritto": Eufemismo. Ovvero prima che muoia.
vv. 64-66: "Come discente ch'a dottor seconda pronto e libente in quel ch'elli è esperto, perché la sua bontà si disasconda": Similitudine.
v. 65: "Pronto e libente": Endiadi.
v. 70: "Questa luce": Perifrasi. Per indicare la virtù.
v. 70: "Da molte stelle mi vien questa luce": Metafora. Le molte stelle sono le fonti, la luce è la virtù.
v. 72: "Sommo cantor del sommo duce": Perifrasi. Per indicare il supremo cantore di Dio, ovvero Davide, autore dei Salmi.
v. 74: "Il nome tuo": Anastrofe.
v. 75: "La fede mia": Anastrofe.
v. 76: "Stillasti ... stillar": Figura Etimologica. Hanno la stessa radice.
v. 76: "Stillar suo": Anastrofe.
v. 81: "A guisa di baleno": Similitudine.
v. 84: "L'uscir del campo": Eufemismo.
v. 92: "Doppia vesta": Metafora.
vv. 92-93: "Ne la sua terra ... e la sua terra": Anafora.
v. 93: "Dolce vita": Perifrasi. Per indicare il Paradiso.
v. 94: "Tuo fratello": Perifrasi. Per indicare san Giovanni Evangelista, fratello di s. Giacomo Maggiore, entrambi figli di Zebedeo.
v. 95: "Là dove tratta de le bianche stole": Perifrasi. Per indicare l'Apocalisse , il cui autore è san Giovanni.
vv. 100-102: "Poscia tra esse un lume si schiarì sì che, se 'l Cancro avesse un tal cristallo, l'inverno avrebbe un mese d'un sol dì": Similitudine.
vv. 103-108: "E come surge e va ed entra in ballo vergine lieta, sol per fare onore a la novizia, non per alcun fallo, così vid'io lo schiarato splendore venire a' due che si volgieno a nota qual conveniesi al loro ardente amore": Similitudine.
v. 110: "La mia donna": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
vv. 110-111: "Tenea l'aspetto, pur come sposa tacita e immota": Similitudine.
v. 111: "Tacita e immota": Endiadi.
vv. 112-114: "Questi è colui che giacque sopra 'l petto del nostro pellicano, e questi fue di su la croce al grande officio eletto": Perifrasi.
v. 115: "La donna mia": Anastrofe.
v. 116: "La vista sua": Anastrofe.
v. 117: "Le parole sue": Anastrofe.
vv. 118-121: "Qual è colui ch'adocchia e s'argomenta di vedere eclissar lo sole un poco, che, per veder, non vedente diventa; tal mi fec'io a quell'ultimo foco": Similitudine.
v. 120: "Per veder, non vedente diventa": Antitesi.
vv. 127-128: "Con le due stole nel beato chiostro son le due luci sole che saliro": Perifrasi. Per indicare Cristo e Maria, le sole due luci che sono salite all'Empireo.
vv. 130-135: "A questa voce l'infiammato giro si quietò con esso il dolce mischio che si facea nel suon del trino spiro, sì come, per cessar fatica o rischio, li remi, pria ne l'acqua ripercossi, tutti si posano al sonar d'un fischio": Similitudine.
v. 139: "Nel mondo felice": Perifrasi. Per indicare il Paradiso.
Analisi ed Interpretazioni
Il canto si apre con una delle dichiarazioni più intense e orgogliose della consapevolezza poetica di Dante. L'autore esprime il desiderio di ricevere la corona d'alloro nel Battistero di San Giovanni a Firenze, un riconoscimento che simboleggerebbe il trionfo della sua fama poetica sulle avversità politiche che lo hanno costretto all'esilio. Tuttavia, più che una reale speranza di ritorno in patria – ormai improbabile dopo il 1315, come emerge dall'Epistola XII – questa affermazione rappresenta una dichiarazione della sua grandezza. Il suo esame sulla fede, superato con l'approvazione di San Pietro, lo porta a immaginare un ritorno a Firenze come poeta consacrato, sebbene sia consapevole dell'impossibilità di realizzare tale desiderio. Il canto, che probabilmente risale agli anni 1319-1320, riflette questa consapevolezza, ponendo l'accento sulla speranza ultraterrena della beatitudine eterna piuttosto che su quella, ormai vana, di un rientro nella sua città natale.
L'esame sulla speranza, condotto da San Giacomo Maggiore, si sviluppa attraverso tre domande chiave: la definizione della speranza, la misura in cui Dante la possiede e la sua origine. Beatrice interviene per rispondere alla seconda domanda, affermando che il poeta è il più fiducioso tra i fedeli, mentre Dante stesso fornisce la definizione della speranza citando Pietro Lombardo: essa è l'attesa certa della felicità eterna. Le Scritture, in particolare i Salmi e un'epistola tradizionalmente attribuita a San Giacomo, vengono indicate come fonti di questa virtù. Dante utilizza una metafora suggestiva per descrivere il suo ruolo: le verità da lui assimilate sono come gocce di saggezza che possono ricadere sui lettori sotto forma di pioggia benefica. L'esame si conclude con una conferma della validità della sua speranza, sottolineata dal riferimento alle parole di Isaia e di San Giovanni, autore dell'Apocalisse. Quest'ultimo, apparendo in scena, segna il passaggio all'esame sulla carità che avverrà nel canto successivo.
L'ingresso di San Giovanni suscita in Dante una curiosità: secondo una leggenda medievale, l'apostolo sarebbe asceso in cielo con il proprio corpo mortale, come accaduto a Cristo e alla Vergine Maria. Pur riconoscendo che alcuni teologi, tra cui San Tommaso, consideravano questa ipotesi possibile, Dante la respinge basandosi su altre autorità dottrinali, in particolare la teologia francescana. Il poeta, credendo inizialmente che la luce di Giovanni celasse un corpo fisico, cerca di scorgerne la figura, ma rimane abbagliato fino a perdere temporaneamente la vista. Questo episodio simboleggia il fallimento della sua convinzione e prepara il terreno per la successiva rivelazione: Giovanni conferma che il suo corpo giace ancora sulla Terra, come quello di tutti gli altri santi, con l'unica eccezione di Cristo e Maria. Il canto si chiude con Dante che, smarrito, non riesce più a vedere il volto di Beatrice, lasciando il lettore in sospeso fino al successivo intervento della guida, che gli restituirà la vista nel canto seguente.
Nell'iconografia tradizionale, Dante è spesso raffigurato con la fronte cinta d'alloro, simbolo di eccellenza poetica. Tuttavia, nella realtà, egli non ricevette mai questo riconoscimento attraverso una cerimonia ufficiale, nonostante il suo desiderio espresso nel Paradiso (canto I e canto XXV). In quest'ultimo passo, il poeta spera di poter tornare a Firenze e ottenere la consacrazione poetica nel Battistero di San Giovanni, anche se è consapevole dell'impossibilità di tale evento.
Dante avrebbe potuto ricevere la laurea poetica se avesse accettato l'invito del professore bolognese Giovanni Del Virgilio, che nel 1319-1320 gli propose di essere incoronato a Bologna. Tuttavia, il riconoscimento era subordinato alla condizione di abbandonare la poesia in volgare per dedicarsi a componimenti epici in latino su eventi storici contemporanei. Questa proposta rifletteva il pregiudizio dei pre-umanisti, che consideravano la poesia volgare inferiore rispetto a quella latina. Dante rispose con la prima delle sue Egloghe, un componimento in esametri in cui, attraverso il dialogo tra i pastori Titiro e Melibeo, difende la sua scelta di scrivere in volgare e afferma la sua grandezza poetica.
Nell'egloga, Titiro, alter ego di Dante, riceve da Mopso (figura di Del Virgilio) l'invito a lasciare l'umile occupazione di pastore per dedicarsi alla poesia epica, degna degli antichi vati. Titiro, però, risponde che non è ancora il momento: egli spera di essere incoronato d'alloro solo dopo aver completato la sua opera, che narra delle anime, del Paradiso e dell'Inferno. Il pastore Melibeo, simbolo della saggezza popolare, gli ricorda che il tempo scorre veloce, ma Titiro ribadisce la sua intenzione di portare a termine la sua missione poetica prima di accettare qualsiasi riconoscimento.
Questo scambio di versi mette in evidenza il rifiuto di Dante di sottomettersi alle convenzioni accademiche del tempo e la sua convinzione che la poesia volgare potesse affrontare temi elevati e universali. Nonostante non abbia mai ricevuto ufficialmente la corona d'alloro, la sua Commedia gli ha garantito una fama immortale, rendendolo il poeta laureato per eccellenza nella memoria collettiva.
Passi Controversi
Ai vv. 4-6 Dante paragona la sua città all'ovile in cui ha dormito come agnello, ovvero in cui è nato e cresciuto, mentre i suoi nemici politici che fanno guerra a Firenze sono detti lupi, con evidente contrasto di significato (l'immagine è di ascendenza biblica). Al v. 5 ovile ov'io presenta una paronomàsia con ripetizione dei primi tre suoni (ovi-).
I vv. 7-9 sono stati variamente interpretati, ma è probabile che Dante voglia dire che, nel caso di un suo ritorno a Firenze, sarà un poeta dotato di altra voce e fama rispetto al passato, mentre il vello allude forse ai capelli incanutiti. Il cappello è ovviamente l'alloro poetico.
Ai vv. 14-15 la primizia / che lasciò Cristo d'i vicari suoi è san Pietro, primo fra i papi successori di Cristo.
Al v. 18 l'accenno alla Galizia si riferisce al sepolcro di san Giacomo Maggiore, che si trova a Santiago de Compostela, in Spagna. Vicita è forma attestata per «visita».
Il paragone (vv. 19-24) tra Pietro e Giacomo e due colombi che tubano è parso ad alcuni crtitici irriverenti, ma è una comparatio domestica non così insolita nel Paradiso; la colomba era, del resto, simbolo dello Spirito Santo.
Al v. 27 ignito è latinismo per «infuocato».
Al v. 29 larghezza (alcuni mss. leggono allegrezza) indica la generosità del Paradiso, la nostra basilica, di cui fa cenno l'Epistola un tempo attribuita a san Giacomo Maggiore.
I vv. 40-43 paragonano il Paradiso a una corte in cui l'Imperadore è Dio, i suoi conti sono i più illustri fra i beati, mentre l'aula più segreta potrebbe essere l'Empireo, o gli ultimi due Cieli, oppure (ma è meno probabile) tutto il Paradiso. La terminologia è di derivazione feudale, come il titolo barone attribuito qui a Giacomo e in XXIV, 115 a Pietro.
Al v. 57 militar indica la vita terrena, vista appunto come «milizia».
Al v. 64 discente e dottor indicano rispettivamente l'allievo e il docente (è linguaggio universitario, come nel Canto XXIV).
La definizione della speranza ai v. 67-69 è la traduzione letterale di Pietro Lombardo, Sententiae, III, 26: Spes est certa expectatio futurae beatitudinis, veniens ex Dei gratia et ex meritis praecedentibus, ripresa anche da san Tommaso in Summa theol. (cfr. X, 106-108).
I vv. 71-75 alludono a David, considerato autore di molti Salmi e per questo definito sommo cantor del sommo duce: la teodia è letteralmente il «canto rivolto a Dio» e si tratta di una parola di derivazione greca, probabile neologismo dantesco (il poeta conosceva le due parole greche theos, «Dio» e odé, «canto», attraverso i lessici medievali). Dante traduce il versetto 11 del Salmo IX, Sperent in te qui noverunt nomen tuum, che è lo stesso citato al v. 98.
Al v. 77 la pìstola è l'Epistola attribuita a Giacomo Maggiore e in realtà scritta da Giacomo Minore, in cui ci sono accenni al premio promesso da Dio a chi vince le tentazioni.
Al v. 78 replùo è lat. che vuol dire «ripiovo», «faccio ricadere». Tutta la terzina insiste sull'immagine delle gocce e della pioggia, paragonate alla speranza.
Il v. 84 allude al martirio di san Giacomo, che secondo gli Atti degli Apostoli morì a Gerusalemme di cui la palma è simbolo; la morte è l'uscita dalla milizia della vita, quindi dal campo. Giacomo precisa di nutrire ancora speranza perché i beati, per ragioni opposte ai dannati, ne sono ormai privi avendo raggiunto la felicità eterna.
I vv. 88-90, alquanto aggrovigliati, prob. devono essere interpretati così: «Il Vecchio e il Nuovo Testamento esprimono il termine cui giungono le anime che Dio ha eletto e questo termine mi indica ciò che la speranza promette».
I vv. 91-93 citano e interpretano Isaia, LXI, 7, dove il profeta parla di coloro che nella loro terra possiederanno il «doppio» e la loro felicità sarà eterna: il «doppio» viene ad essere l'unione di corpo e anima dopo il Giudizio Universale e la terra è il Paradiso.
Ai vv. 94-96 Dante allude a san Giovanni, autore dell'Apocalisse e fratello di Giacomo, che in Apoc., VII, 9 descrive le anime di fronte al trono di Dio come vestite di «bianche stole»: Dante le interpreta come le anime rivestite del corpo dopo la resurrezione.
La similitudine ai vv. 100-102 indica l'ipotesi assurda che la costellazione del Cancro si arricchisca di una stella luminosa al pari della luce di san Giovanni: se così fosse, in inverno (quando il Sole è nel Capricorno e il Cancro è visibile sull'orizzonte solo di notte) ci sarebbe un giorno della durata di un mese, perché al tramonto del Sole sorgerebbe il Cancro luminosissimo).
Al v. 105 la novizia è la sposa novella.
I vv. 112-114 si riferiscono al passo evangelico (Ioann., XIII, 23) in cui si narra che Giovanni durante l'Ultima Cena appoggiò il capo sul petto di Cristo: questi è detto pellicano perché anticamente si credeva che questo uccello risorgesse e e nutrisse i suoi figli squarciandosi il petto, come in un certo senso fece Gesù con il martirio (cfr. Salmo CI, 7).
I vv. 127-129 intendono dire che solo Cristo e Maria sono stati assunti in cielo con le due stole, ovvero i corpi mortali (anche se il dogma dell'Assunzione della Vergine è stato fissato dalla Chiesa solo nel 1950). Dante non fa cenno ad Enoc ed Elia, per cui è probabile che respingesse anche la leggenda circa l'assunzione in Cielo dei due profeti (l'accenno in Inf., XXVI, 35 ha solo valore metaforico). Quanto alla leggenda su san Giovanni, essa trae origine da un passo del suo Vangelo (XXI, 21-23) in cui tra gli Apostoli si sparse la voce che non dovesse morire.
Fonti: libri scolastici superiori