Parafrasi e Analisi: "Canto XXXIII" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri

1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto 33 del Paradiso di Dante Alighieri segna l'apice della sua ascesa spirituale, conducendo il poeta al culmine della visione divina. In questo canto, l'argomento centrale è il mistero della visione di Dio, un tema che si intreccia con la riflessione sulla comprensione umana del divino e sul limite della conoscenza terrena. Dante, pur avvicinandosi sempre più alla luce suprema, si trova a confrontarsi con l'ineffabilità di ciò che lo circonda, esplorando il concetto di grazia e di salvezza attraverso un'esperienza mistica che sfida ogni possibilità di narrazione. Questo incontro con il divino non è solo un punto di arrivo, ma rappresenta anche un momento di purificazione dell'intelletto umano, un atto di abbandono totale alla volontà di Dio.
Testo e Parafrasi
«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d'etterno consiglio, tu se' colei che l'umana natura nobilitasti sì, che 'l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura. Nel ventre tuo si raccese l'amore, per lo cui caldo ne l'etterna pace così è germinato questo fiore. Qui se' a noi meridïana face di caritate, e giuso, intra ' mortali, se' di speranza fontana vivace. Donna, se' tanto grande e tanto vali, che qual vuol grazia e a te non ricorre, sua disïanza vuol volar sanz' ali. La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fïate liberamente al dimandar precorre. In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s'aduna quantunque in creatura è di bontate. Or questi, che da l'infima lacuna de l'universo infin qui ha vedute le vite spiritali ad una ad una, supplica a te, per grazia, di virtute tanto, che possa con li occhi levarsi più alto verso l'ultima salute. E io, che mai per mio veder non arsi più ch'i' fo per lo suo, tutti miei prieghi ti porgo, e priego che non sieno scarsi, perché tu ogne nube li disleghi di sua mortalità co' prieghi tuoi, sì che 'l sommo piacer li si dispieghi. Ancor ti priego, regina, che puoi ciò che tu vuoli, che conservi sani, dopo tanto veder, li affetti suoi. Vinca tua guardia i movimenti umani: vedi Beatrice con quanti beati per li miei prieghi ti chiudon le mani!». Li occhi da Dio diletti e venerati, fissi ne l'orator, ne dimostraro quanto i devoti prieghi le son grati; indi a l'etterno lume s'addrizzaro, nel qual non si dee creder che s'invii per creatura l'occhio tanto chiaro. E io ch'al fine di tutt' i disii appropinquava, sì com' io dovea, l'ardor del desiderio in me finii. Bernardo m'accennava, e sorridea, perch' io guardassi suso; ma io era già per me stesso tal qual ei volea: ché la mia vista, venendo sincera, e più e più intrava per lo raggio de l'alta luce che da sé è vera. Da quinci innanzi il mio veder fu maggio che 'l parlar mostra, ch'a tal vista cede, e cede la memoria a tanto oltraggio. Qual è colüi che sognando vede, che dopo 'l sogno la passione impressa rimane, e l'altro a la mente non riede, cotal son io, ché quasi tutta cessa mia visïone, e ancor mi distilla nel core il dolce che nacque da essa. Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla. O somma luce che tanto ti levi da' concetti mortali, a la mia mente ripresta un poco di quel che parevi, e fa la lingua mia tanto possente, ch'una favilla sol de la tua gloria possa lasciare a la futura gente; ché, per tornare alquanto a mia memoria e per sonare un poco in questi versi, più si conceperà di tua vittoria. Io credo, per l'acume ch'io soffersi del vivo raggio, ch'i' sarei smarrito, se li occhi miei da lui fossero aversi. E' mi ricorda ch'io fui più ardito per questo a sostener, tanto ch'i' giunsi l'aspetto mio col valore infinito. Oh abbondante grazia ond' io presunsi ficcar lo viso per la luce etterna, tanto che la veduta vi consunsi! Nel suo profondo vidi che s'interna, legato con amore in un volume, ciò che per l'universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch'i' dico è un semplice lume. La forma universal di questo nodo credo ch'i' vidi, perché più di largo, dicendo questo, mi sento ch'i' godo. Un punto solo m'è maggior letargo che venticinque secoli a la 'mpresa che fé Nettuno ammirar l'ombra d'Argo. Così la mente mia, tutta sospesa, mirava fissa, immobile e attenta, e sempre di mirar faceasi accesa. A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta; però che 'l ben, ch'è del volere obietto, tutto s'accoglie in lei, e fuor di quella è defettivo ciò ch'è lì perfetto. Omai sarà più corta mia favella, pur a quel ch'io ricordo, che d'un fante che bagni ancor la lingua a la mammella. Non perché più ch'un semplice sembiante fosse nel vivo lume ch'io mirava, che tal è sempre qual s'era davante; ma per la vista che s'avvalorava in me guardando, una sola parvenza, mutandom' io, a me si travagliava. Ne la profonda e chiara sussistenza de l'alto lume parvermi tre giri di tre colori e d'una contenenza; e l'un da l'altro come iri da iri parea reflesso, e 'l terzo parea foco che quinci e quindi igualmente si spiri. Oh quanto è corto il dire e come fioco al mio concetto! e questo, a quel ch'i' vidi, è tanto, che non basta a dicer 'poco'. O luce etterna che sola in te sidi, sola t'intendi, e da te intelletta e intendente te ami e arridi! Quella circulazion che sì concetta pareva in te come lume reflesso, da li occhi miei alquanto circunspetta, dentro da sé, del suo colore stesso, mi parve pinta de la nostra effige: per che 'l mio viso in lei tutto era messo. Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa, l'amor che move il sole e l'altre stelle. |
"Maria, vergine ma anche madre, figlia del tuo stesso figlio, la più umile ma in realtà più preziosa di ogni altra creatura, fine prescelto da Dio fin dal tempo antico, tu sei colei che il genere umano ha tanto nobilitato, innalzato di valore, che il suo creatore non disdegnò di divenire egli stesso una sua creatura, di farsi uomo. Nel tuo ventre si rinnovò il fuoco dell'amore divino, grazie al calore del quale, nell'eterna beatitudine ha potuto germogliare questo fiore, la rosa dei beati. Qui nel Paradiso sei per noi un solo ardente di carità, mentre giù sulla terra, tra la gente mortale, se un fontana viva di speranza. Nostra Signora, sei tanto illustre ed hai un così grande potere, che chiunque voglia ottenere una grazia ma non ricorra a te, è come se tentasse di fare volare il proprio desiderio senza ali. La tua benevolenza non va in soccorso soltanto di chi ti prega, ma molte volte, per tua volontà, precede, anticipa, anche la richiesta. In te si raccoglie la misericordia, in te la pietà, in te la generosità, in te si raccoglie qualunque qualità migliore presente nelle creature. Ora costui, Dante, che dall'estrema profondità dell'inferno fino a qui, al Paradiso, ha visto tutte le condizioni in cui possono venirsi a trovarsi le anime morte, ti supplica, ti prega, per la grazia divina, di poter ricevere tanta virtù quanta è necessaria per poter innalzare il proprio sguardo fino alla somma visione di Dio, fonte di eterna beatitudine. Ed io, che per me non ho mai desiderato così tanto ciò che ora desidero per lui, tutte le mie preghiere rivolgo a te, sperando che non siano inadeguate alla richiesta, affinché tu possa liberarlo, con le tue preghiere a Dio, da ogni impedimento umano che gli offusca la mente, e possa infine manifestarsi a lui il sommo piacere, la visione di Dio. E ti prego inoltre, nostra regina, tu che hai il potere di realizzare ogni tua volontà, di conservare sani, puri, i suoi sentimenti, anche dopo la visione di Dio. Possano le tue cure vincere le passioni umane: guarda quante anime beate, insieme a Beatrice, si uniscono alla mia preghiera congiungendo le propri mani!" Gli occhi di Maria, tanto amati ed onorati da Dio, fissi su Bernardo, che aveva parlato, dimostrarono quanto lei gradisse le preghiere di anime devote; li rivolse quindi verso la luce eterna, verso Dio, nella quale luce non si deve credere che una qualsiasi altra creatura possa rivolgere lo sguardo in modo tanto chiaro quanto fece lei. Ed io, che stavo per avvicinarmi al fine ultimo di ogni desiderio umano, così come dovevo, raggiunsi il culmine del mio desiderio. Bernardo mi sorrideva e mi faceva cenno di guardare verso l'alto; ma io avevo già iniziato a fare da solo quanto lui voleva che io facessi: così che il mio sguardo, divenendo sempre più puro, entrava sempre di più all'interno del raggio di quella suprema luce che è origine di ogni altra luce ed è quindi l'unica vera luce. Da qui in avanti la mia capacità di vedere fu assai superiore a quanto possa spiegare con le parole, poiché dinnanzi a quella visione perde di capacità la parola e di fronte ad un tale eccesso (di gioia) diviene insufficiente la memoria. Come chi vede qualcosa in sogno, e dopo essersi svegliato rimane con la sensazione del sogno impressa nella mente, ma non riesce però a ricordare niente, nella stessa situazione mi trovo io, poiché è quasi completamente svanita dalla mia memoria quella visione, ma sento ancora nel cuore la dolcezza che essa mi provocò allora. Così come la neve si scioglie al sole; così come, scritto sulle foglie, si disperdeva poi al vento il responso della Sibilla. O altissima luce, luce divina, che sei tanto al di sopra di ogni mente umana, alla mia memoria concedi ancora un poco di quella tua visione, e rendi la mia lingua tanto potente così che almeno una scintilla della tua magnificenza possa essere lasciata ai posteri; perché, se riuscissi a ricordare un poco e tradurre quindi la tua visione in questi versi, la tua somma potenza potrà essere con essi meglio compresa dagli uomini. Credo che per l'intensità di quella luce viva, che affrontai con lo sguardo, sarei potuto rimanere abbagliato se avessi distolto gli occhi da essa. E ricordo quindi che fui pertanto più tenace, per questo motivo, nel sostenerne l'intensità, tanto che raggiunsi infine con i miei occhi l'infinito valore di Dio. Oh immensa grazia, che mi hai fatto trovare il coraggio di spingere il mio sguardo nella luce eterna di Dio, tanto che lo sguardo stesso fu portato al suo limite! Nel profondo di quella luce divina vidi che era contenuto, compatto come rilegato in un unico volume, tutto ciò che è disperso per l'universo: vidi gli elementi, le loro caratteristiche e le loro relazioni, quasi uniti insiemi, in un modo che le mie parole non riescono assolutamente a descrivere, ne rappresentano solo un barlume. La forma universale di questo assieme credo di aver visto allora, perché sento allargarsi di più il mio cuore mentre ne parlo, per il piacere, per la gioia che provo. Un solo attimo ha provocato in me una dimenticanza maggiore di quella generata dai venticinque secoli trascorsi dall'impresa degli Argonauti, che suscitò lo stupore di Nettuno per la vista dell'ombra della prima nave. Fino a questo punto la mia mente, tutta assorta, contemplava intensamente, immobile ed attenta, concentrata, e desiderava sempre di più addentrarsi nella contemplazione di Dio. Di fronte a quella luce divina si raggiunge tale stato di contemplazione, tale che il volgere lo sguardo altrove diviene impossibile da fare; dal momento che il bene, oggetto della volontà, del desiderio, è tutto raccolto in essa, ed al di fuori di quella luce è ciò che ha difetti è invece in lei perfetto. D'ora in avanti la mia parola sarà più incerta, anche rispetto a quel poco che ricordo, di quella di un bambino che venga ancora allattato dalla propria madre. Non perché più di un aspetto fosse contenuto in quella viva luce che contemplavo, non perché cambiasse di aspetto, essendo essa immutabile, sempre uguale a quella che io avevo dinnanzi; ma per il fatto che la mia capacità visiva aumentava man mano che contemplavo la luce, quell'unica visione, immutabile, cambiava ai miei occhi perché riuscivo meglio a vederla. Nell'infinita e luminosa essenza di quella luce divina mi apparvero tre cerchi luminosi di tre differenti colori ma di una stessa dimensione; e l'uno nell'altro, come un arcobaleno nato da un altro arcobaleno, sembrava riflettersi, mentre il terzo cerchio sembrava un fuoco generato, allo stesso modo, in parte dall'uno ed in parte dall'altro dei primi cerchi. Oh quanto risultano inadeguate le parole e così inferiori al concetto che voglio esprimere! E la misura del mio ricordo, rispetto a ciò che vidi, è tale che non basterebbe dire che è poco. Oh luce eterna, che solo da te stessa sei racchiusa, che tu sola sei in grado di comprenderti, e solo tu ti conosci e conoscendoti rivolgi a te il tuo amore e la tua luce! Quel cerchio di luce, il secondo, che così generato appariva in te come una luce riflessa, dopo essere stato a lungo da me osservato, dentro di sé, disegnata nel suo stesso colore, mi sembrò contenere l'immagine di un uomo: per cui il mio sguardo era tutto intento a contemplare in esso. Come il geometra, il matematico, che si impegna intensamente per fare quadrare il cerchio, ma non riesce a trovare, pur pensandoci a fondo, il principio su cui basare il proprio calcolo, così stavo io di fronte a quella straordinaria visione: volevo vedere, capire, come si adattasse al cerchio quell'immagine umana, e come vi trovasse posto; ma le mie capacità non erano adeguate ad una simile impresa: se non che, all'improvviso, la mia mente fu colpita da una bagliore che fece esaudire il suo desiderio. Alla mia capacità di immaginazione mancarono a questo punto le forze; ma già il mio desiderio di sapere e la mia volontà venivano indirizzati altrove, così come è il moto uniforme di una ruota, da Dio , che muove il sole e tutti gli altri astri. |
Riassunto
Il Canto XXXIII del Paradiso di Dante si svolge nell'Empireo, dove, grazie all'intercessione della Vergine Maria, Dante può finalmente accedere alla visione di Dio. Il Canto inizia con una lunga preghiera di san Bernardo, che chiede a Maria di intercedere per il poeta, permettendogli di vedere la luce divina. Questa richiesta è fatta con tanto desiderio che Bernardo la esprime quasi come se la stesse chiedendo per sé stesso. La preghiera si unisce a quella di tutti i beati e di Beatrice, ed è un atto di grande devozione e speranza.
Dopo l'invocazione, san Bernardo, con un gesto di amore e ammirazione, presenta Dante alla Vergine, descrivendolo come un viaggiatore che, grazie alla volontà divina, ha ascendente dalle profondità dell'Inferno fino ai cieli del Paradiso. Ora, grazie alla sua intercessione, Dante è pronto a concludere il suo cammino salvifico con la visione finale di Dio. A questo punto, Dante è invitato a guardare verso la luce divina, seguendo i consigli di san Bernardo.
La Vergine, dopo aver rivolto uno sguardo a san Bernardo, non risponde direttamente alla sua preghiera, ma si volge verso la luce di Dio. Questo gesto segna l'inizio della visione per Dante, che, seguendo il suggerimento della guida, alza lo sguardo verso la luce divina. Con lo sguardo fisso, la sua visione si fa via via più nitida e chiara, immergendosi in una visione che la mente umana non può descrivere compiutamente. Dante si rende conto che ciò che vede è qualcosa che sfida la possibilità di comunicazione, un'esperienza che svanisce come un sogno al risveglio.
In un momento di profonda consapevolezza, Dante, attraverso un'invocazione a Dio, chiede che la sua mente possa conservare anche solo un frammento di quella visione. In quel momento, quando il suo sguardo rimane fisso nella luce divina, la sua vista si intensifica, e Dante comincia a vedere i misteri dell'universo in modo diretto, come se fosse in grado di leggere nell'infinito. La luce che lo circonda è così potente da minacciare la sua vista, ma più lui si concentra su di essa, più diventa capace di comprendere la sua profondità.
A questo punto, Dante percepisce come gli elementi dell'universo siano legati tra loro, costituendo un'unica realtà armoniosa. La sua visione si trasforma in un'esperienza mistica, dove l'Universo appare come un libro sacro che contiene la totalità del creato. La percezione di quest'unità lo colma di gioia, mentre contempla la perfezione della mente divina. Mentre l'esperienza si approfondisce, Dante può solo intuire la grandezza di ciò che sta vivendo, un qualcosa che supera ogni capacità di espressione verbale.
Nella luce che ora vede chiaramente, Dante distingue tre cerchi concentrici di colori diversi. La sua mente riconosce in questi cerchi una metafora della Trinità, un'unità divina che si manifesta in tre aspetti distinti ma inseparabili. Il secondo cerchio sembra riflettere il primo, e il terzo, come una fiamma che avvolge gli altri due, rappresenta il mistero del Dio che arde d'amore e comprende se stesso in una perfezione assoluta.
Nel cerchio centrale, Dante percepisce un'altra dimensione del mistero divino: il Figlio di Dio, che si manifesta all'interno del secondo cerchio. Questo è il momento in cui Dante esplora il mistero dell'Incarnazione, un'idea che appare razionalmente incomprensibile, come il rapporto tra il quadrato e il cerchio per un matematico. Dante si trova di fronte al paradosso e alla sacra verità dell'Incarnazione, ma la sua mente è incapace di comprenderlo interamente.
In un'esperienza che trascende ogni parola, Dante viene sopraffatto dall'estasi mistica, un rapimento che supera la sua forza immaginativa e che non può essere descritto. Alla fine di questa visione, però, Dante sente che la sua mente è in armonia con la volontà divina, un'esperienza che lo cambia profondamente.
Il Canto XXXIII si può così suddividere in sei fasi:
vv. 1-39: L'invocazione di san Bernardo alla Vergine, che intercede per Dante.
vv. 40-66: La Vergine non risponde direttamente, ma si rivolge alla luce divina, e Dante inizia la sua visione.
vv. 67-108: L'invocazione di Dante a Dio per poter ricordare e descrivere la visione e il suo progressivo ingresso nella luce divina.
vv. 109-126: Dante percepisce i tre cerchi, la metafora del mistero trinitario.
vv. 127-138: Dante scorge nel secondo cerchio una figura umana, il mistero dell'Incarnazione.
vv. 139-145: L'estasi mistica di Dante, che trova la sua mente in perfetta sintonia con la volontà divina.
Figure Retoriche
v. 12 e v. 103: "di speranza fontana vivace", "del volere obietto": Anastrofe.
vv. 5-6, vv. 29-30, v. 38: "'l suo fattore / non disdegnò di farsi sua fattura", "tutti miei prieghi ... e priego", "vedi Beatrice con quanti beati": Figura Etimologica.
v. 111, vv. 124-126, vv. 144-145: "che tal è sempre qual s'era davante", "in te sidi ... t'intendi, e da te intelletta / et intendente te", "è mossa ... move": Poliptoto.
vv. 31-32, v. 71: "ogne nube ... di sua mortalità", "una favilla sol de la tua gloria": Analogia Preposizionale (la prep. di lega determinante e determinato).
vv. 28-29, vv. 94-96, vv. 106-108: "Et io, che mai per mio veder non arsi / più ch'i' fo per lo suo", "Un punto solo ... l'ombra d'Argo", "Omai sarà più corta ... a la mammella": Comparazione.
vv. 10-12, v. 15, vv. 86-87, v. 90: "meridïana face / di caritate e di speranza fontana vivace", "Maria Vergine; sua disïanza vuol volar sanz'ali, il suo desiderio non può realizzarsi", "legato con amore in un volume ... si squaderna", "un semplice lume", "un pallido riflesso": Metafora.
vv. 58-63, v. 64, vv. 65-66, vv. 118-119, v. 119, v. 128, v. 139, v. 144: "Qual è coluï che sognando vede ... che nacque da essa", "Così la neve al sol si disigilla", "così al vento ... Sibilla", "l'oblio della visione divina; e l'un da l'altro come iri da iri / parea reflesso", "il Padre genera il Figlio come un arcobaleno ne proietta un secondo; e 'l terzo parea foco", "lo Spirito Santo; pareva in tre come lume reflesso", "l'immagine del Figlio; Qual è 'l geomètra ... le proprie penne", "sì come rota che igual-mente è mossa": Similitudine.
v. 8, v. 27, v. 33, v. 43, v. 54, v. 67, v. 81, v. 83, v. 116, v. 124: "ne l'etterna pace 'in paradiso'", "l'ultima salute", "'l sommo piacer", "l'etterno lume", "l'alta luce che da sé è vera", "somma luce", "il valore infinito", "la luce etterna", "l'alto lume", "luce etterna". Perifrasi.
v. 5, 33, 56, 103, 132, 133, 143, v. 95: "'l 'il'", "'mpresa": Aferesi di "i".
v. 65, v. 136, v. 145: "lèvi 'lievi'", "nova", "move": Monottongo.
v. 1: "figlia del tuo figlio": Paradosso.
v. 1, v. 2: "Vergin Madre", "humile e alta": Ossimoro.
vv. 19-20: "In te ... in te ... in te ... in te": Anafora.
vv. 22-24: "Or questi, che da l'infima lacuna / de l'universo infin qui à vedute / le vite spiritali ad una ad una": Percursio (breve sunto).
vv. 56-57: "... cede, / e cede": Anadiplosi.
v. 98: "fissa et immobile et attenta": Polisindeto.
vv. 124-126: "O luce etterna che sola in te sidi, / sola t'intendi, e da te intelletta / et intendente te ami et arridi!": Allitterazione.
Analisi ed Interpretazioni
L'ultimo canto del Paradiso di Dante si articola in due sezioni principali: la preghiera di san Bernardo alla Vergine e la descrizione della visione divina che Dante riceve. La preghiera di Bernardo, un capolavoro di retorica, inizia con lodi alla Vergine, riconoscendola come la "gratia plena", colei che intercede con Dio per chi le chiede grazia. Bernardo implora Maria affinché permetta a Dante di vedere la mente divina, e lo protegga da un'esperienza che potrebbe essere troppo travolgente per un mortale. La preghiera sottolinea la figura di Maria come un ponte tra l'umiltà e l'altezza, scelta da Dio per incarnare l'amore che unisce il Cielo e la Terra.
La visione che segue è tanto intellettuale quanto mistica. Dante cerca di esprimere l'ineffabile, ma la sua capacità di comprendere è limitata. La rappresentazione della Trinità, dell'Incarnazione e dell'Unità dell'Universo si avvale di immagini geometriche e astratte, come cerchi che rappresentano le Persone Divine e la figura umana del Figlio. Dante non può però cogliere appieno il mistero, e il suo tentativo di comprendere razionalmente l'incomprensibile culmina in un'esperienza mistica che trascende la ragione. L'illuminazione divina che riceve è un atto di grazia, un dono che gli consente di vedere ciò che è al di là dell'umano. Questo momento rappresenta la culminazione del desiderio di conoscenza di Dante e segna la fine del suo viaggio nel Paradiso.
Il paragone tra Dante e Petrarca emerge nel modo in cui entrambi utilizzano la Vergine: per Dante, Maria è il veicolo di un dono di grazia divino, mentre per Petrarca la Vergine rappresenta una via di salvezza per un peccatore tormentato dal proprio passato amoroso. Dante si rivolge a Maria come colei che ha permesso la salvezza attraverso l'Incarnazione, mentre Petrarca la invoca come fonte di redenzione dal peccato. La contrastante visione di Laura e Maria nei poeti sottolinea l'incompatibilità tra l'amore terreno e l'amore divino, con la Vergine che simboleggia la purezza eterna rispetto all'effimero amore terreno.
La descrizione di Dante dell'incontro con la divinità in questo canto, quindi, è un punto culminante del Paradiso, dove la fede e la ragione si incontrano, ma alla fine la grazia divina è ciò che permette all'uomo di giungere alla comprensione ultima, un momento di illuminazione che trascende ogni limite umano.
Passi Controversi
Nel verso 7 Dante fa riferimento al "ventre" di Maria, un concetto che era già stato introdotto dall'arcangelo Gabriele nel XXIII, 104. Si è notato che altrove questa parola è legata a significati negativi, ma qui il poeta probabilmente si ispira al versetto dell'Ave Maria (benedictus fructus ventris tui). Il "fiore" del verso 9 simboleggia la rosa dei beati. Nel verso 10, la Vergine viene definita "meridiana face" perché paragonata a una fiamma che brilla come il sole a mezzogiorno. Nel verso 20, "magnificenza" potrebbe essere interpretato come "liberalità" o "generosità", poiché Maria è spesso descritta come colei che concede grazia senza la necessità di una richiesta, come si evince in Par., XVII, 73-75, 85.
I versi 22-24 suggeriscono il cammino di Dante dall'Inferno all'Empireo e la sua visione dello stato delle anime dopo la morte, comprese quelle dannate. Nei versi 29 e seguenti, Bernardo utilizza ripetutamente il verbo "pregare" e forme simili, come "tutti miei prieghi" (29), "priego" (30), "co' prieghi tuoi" (32), "ancor ti priego" (34) e "per li miei prieghi" (39). Al verso 38, Beatrice è menzionata per l'ultima volta nel poema. Nei versi 44-45, si sottolinea che Maria è colei che più di ogni altra creatura riesce a penetrare profondamente nella mente di Dio.
Il verso 48 ha suscitato varie interpretazioni, ma probabilmente Dante intende dire che ha raggiunto il culmine di ogni desiderio ardente. Nel verso 57, "oltraggio" è usato con il significato di "eccedenza" o "sproporzione". Il verso 64 suggerisce che la neve, al sole, si scioglie senza lasciare tracce. Nei versi 65-66, Dante fa riferimento al mito della Sibilla Cumana, che scriveva i suoi oracoli su foglie che il vento dispersava, rendendo impossibile decifrarli. In Aen., VI, 74-76, Enea prega la Sibilla di evitare tale metodo, poiché ha bisogno di comprendere le sue parole in modo chiaro.
Il verso 84 non implica che Dante abbia esaurito la sua visione, ma che abbia portato la sua capacità di percezione alle estreme possibilità umane. I versi 85-87 paragonano l'Universo a un libro che raccoglie e rilegge tutte le pagine del creato, mentre nei versi seguenti (88-90) Dante esprime lo stesso concetto con termini filosofici, parlando di sostanze (ciò che esiste di per sé), accidenti (le qualità delle sostanze) e lor costume (il legame che le unisce). Nei versi 94-96, molto discussi dai critici, si intende che un singolo istante della visione di Dante rappresenta un oblio maggiore rispetto all'impresa della nave Argo, che, nonostante sia avvenuta venticinque secoli prima, è ancora ricordata. Il mito degli Argonauti, che furono i primi a solcare il mare con una nave, rimarca l'idea che Dante è il primo a trattare l'alta materia del Paradiso, come già accennato in II, 16-18.
I tre giri del verso 117 sono stati interpretati come tre cerchi o sfere. La "circulazion" del verso 127 è il secondo cerchio, che rappresenta il Figlio. Nei versi 133-138, Dante cerca di comprendere il legame tra l'immagine umana e il cerchio, poiché l'immagine umana è inscritta nel cerchio con lo stesso colore, risultando quindi indistinguibile. In questo modo, il matematico cerca di calcolare la circonferenza, ma non ci riesce per mancanza di un elemento fondamentale (il rapporto raggio-circonferenza). Al verso 138, "vi s'indova" è un neologismo dantesco, che significa "vi trova posto" o "vi si colloca".
I versi 140-141 indicano che la mente di Dante è illuminata da una luce superiore, che gli consente, con un'intuizione suprema, di cogliere la relazione tra l'umano e il divino, comprendendo così il mistero dell'Incarnazione. Il verso finale della Cantica (145) termina con la parola "stelle", un rimando alle stesse parole con cui terminano sia l'Inferno (XXXIV, 139) che il Purgatorio (XXXIII, 145).
Fonti: libri scolastici superiori