Parafrasi e Analisi: "Canto XXXI" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Analisi ed Interpretazioni
6) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XXXI del Paradiso segna un momento di straordinaria elevazione spirituale e contemplativa nel viaggio ultraterreno di Dante. Giunto al culmine della visione celeste, il poeta si trova immerso nella gloria della Candida Rosa, l'assemblea luminosa dei beati disposti in forma di mistico fiore. Qui, il suo sguardo si apre alla pienezza dell'ordine divino e alla beatitudine eterna, mentre la guida di Beatrice, che lo ha condotto fino a questo punto, lascia il posto a un nuovo accompagnatore. In questo canto, Dante esprime il senso di meraviglia e la difficoltà di tradurre in parole l'immensità della visione divina, sottolineando il limite dell'intelletto umano di fronte alla perfezione celeste. L'armonia del Paradiso si manifesta nella disposizione ordinata delle anime e nella luce che permea ogni cosa, simbolo della verità assoluta e dell'amore infinito di Dio.


Testo e Parafrasi


In forma dunque di candida rosa
mi si mostrava la milizia santa
che nel suo sangue Cristo fece sposa;

ma l'altra, che volando vede e canta
la gloria di colui che la 'nnamora
e la bontà che la fece cotanta,

sì come schiera d'ape che s'infiora
una fïata e una si ritorna
là dove suo laboro s'insapora,

nel gran fior discendeva che s'addorna
di tante foglie, e quindi risaliva
là dove 'l süo amor sempre soggiorna.

Le facce tutte avean di fiamma viva
e l'ali d'oro, e l'altro tanto bianco,
che nulla neve a quel termine arriva.

Quando scendean nel fior, di banco in banco
porgevan de la pace e de l'ardore
ch'elli acquistavan ventilando il fianco.

Né l'interporsi tra 'l disopra e 'l fiore
di tanta moltitudine volante
impediva la vista e lo splendore:

ché la luce divina è penetrante
per l'universo secondo ch'è degno,
sì che nulla le puote essere ostante.

Questo sicuro e gaudïoso regno,
frequente in gente antica e in novella,
viso e amore avea tutto ad un segno.

Oh trina luce che 'n unica stella
scintillando a lor vista, sì li appaga!
guarda qua giuso a la nostra procella!

Se i barbari, venendo da tal plaga
che ciascun giorno d'Elice si cuopra,
rotante col suo figlio ond' ella è vaga,

veggendo Roma e l'ardüa sua opra,
stupefaciensi, quando Laterano
a le cose mortali andò di sopra;

ïo, che al divino da l'umano,
a l'etterno dal tempo era venuto,
e di Fiorenza in popol giusto e sano,

di che stupor dovea esser compiuto!
Certo tra esso e 'l gaudio mi facea
libito non udire e starmi muto.

E quasi peregrin che si ricrea
nel tempio del suo voto riguardando,
e spera già ridir com' ello stea,

su per la viva luce passeggiando,
menava ïo li occhi per li gradi,
mo sù, mo giù e mo recirculando.

Vedëa visi a carità süadi,
d'altrui lume fregiati e di suo riso,
e atti ornati di tutte onestadi.

La forma general di paradiso
già tutta mïo sguardo avea compresa,
in nulla parte ancor fermato fiso;

e volgeami con voglia rïaccesa
per domandar la mia donna di cose
di che la mente mia era sospesa.

Uno intendëa, e altro mi rispuose:
credea veder Beatrice e vidi un sene
vestito con le genti glorïose.

Diffuso era per li occhi e per le gene
di benigna letizia, in atto pio
quale a tenero padre si convene.

E «Ov' è ella?», sùbito diss' io.
Ond' elli: «A terminar lo tuo disiro
mosse Beatrice me del loco mio;

e se riguardi sù nel terzo giro
dal sommo grado, tu la rivedrai
nel trono che suoi merti le sortiro».

Sanza risponder, li occhi sù levai,
e vidi lei che si facea corona
reflettendo da sé li etterni rai.

Da quella regïon che più sù tona
occhio mortale alcun tanto non dista,
qualunque in mare più giù s'abbandona,

quanto lì da Beatrice la mia vista;
ma nulla mi facea, ché süa effige
non discendëa a me per mezzo mista.

«O donna in cui la mia speranza vige,
e che soffristi per la mia salute
in inferno lasciar le tue vestige,

di tante cose quant' i' ho vedute,
dal tuo podere e da la tua bontate
riconosco la grazia e la virtute.

Tu m'hai di servo tratto a libertate
per tutte quelle vie, per tutt' i modi
che di ciò fare avei la potestate.

La tua magnificenza in me custodi,
sì che l'anima mia, che fatt' hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi».

Così orai; e quella, sì lontana
come parea, sorrise e riguardommi;
poi si tornò a l'etterna fontana.

E 'l santo sene: «Acciò che tu assommi
perfettamente», disse, «il tuo cammino,
a che priego e amor santo mandommi,

vola con li occhi per questo giardino;
ché veder lui t'acconcerà lo sguardo
più al montar per lo raggio divino.

E la regina del cielo, ond' ïo ardo
tutto d'amor, ne farà ogne grazia,
però ch'i' sono il suo fedel Bernardo».

Qual è colui che forse di Croazia
viene a veder la Veronica nostra,
che per l'antica fame non sen sazia,

ma dice nel pensier, fin che si mostra:
'Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace,
or fu sì fatta la sembianza vostra?';

tal era io mirando la vivace
carità di colui che 'n questo mondo,
contemplando, gustò di quella pace.

«Figliuol di grazia, quest' esser giocondo»,
cominciò elli, «non ti sarà noto,
tenendo li occhi pur qua giù al fondo;

ma guarda i cerchi infino al più remoto,
tanto che veggi seder la regina
cui questo regno è suddito e devoto».

Io levai li occhi; e come da mattina
la parte orïental de l'orizzonte
soverchia quella dove 'l sol declina,

così, quasi di valle andando a monte
con li occhi, vidi parte ne lo stremo
vincer di lume tutta l'altra fronte.

E come quivi ove s'aspetta il temo
che mal guidò Fetonte, più s'infiamma,
e quinci e quindi il lume si fa scemo,

così quella pacifica oriafiamma
nel mezzo s'avvivava, e d'ogne parte
per igual modo allentava la fiamma;

e a quel mezzo, con le penne sparte,
vid' io più di mille angeli festanti,
ciascun distinto di fulgore e d'arte.

Vidi a lor giochi quivi e a lor canti
ridere una bellezza, che letizia
era ne li occhi a tutti li altri santi;

e s'io avessi in dir tanta divizia
quanta ad imaginar, non ardirei
lo minimo tentar di sua delizia.

Bernardo, come vide li occhi miei
nel caldo suo caler fissi e attenti,
li suoi con tanto affetto volse a lei,

che ' miei di rimirar fé più ardenti.
L'esercito trionfante dei beati,
redenti da Cristo col suo sangue,
mi appariva in forma di una rosa scintillante;

mentre l'altra schiera, degli angeli, che volando contemplano
e cantano la gloria di Dio, il quale li attrae con il suo amore
e nella sua bontà li creò capaci di un così grande amore,

era simile a uno sciame di api, che ora si immerge tra
i fiori e ora torna all'alveare dove trasforma
la sua fatica in dolce miele,

gli angeli infatti scendevano in mezzo ai petali
della rosa adorna di foglie e da lì risalivano
alla luce di Dio, cui perennemente volgono il loro amore.

Essi avevano tutti i volti incandescenti,
le ali d'oro e il resto di un bianco così intenso
da superare il candore della neve.

Quando scendevano nel fiore, trasmettevano
alle anime, di gradino in gradino, la pace e l'amore
che essi attingono da Dio.

E sebbene questa moltitudine volante di angeli
si frapponesse tra Dio e le anime sedute sui petali del fiore, ciò
non impediva a quest'ultime di godere della visione e dello splendore divino;

poiché la luce divina illumina le creature
a seconda del loro merito
e niente può ostacolarla.

Questo regno di gaudio eterno, popolato di anime
dell'Antico e del Nuovo Testamento, era tutto rivolto
ad un unico punto, con gli occhi ed il cuore.

O Trinità divina, che risplendendo ai loro occhi
in un'unica luce li appaghi così pienamente,
guarda sulla Terra la tempesta che sconvolge il mondo!

Se le popolazioni barbare, scendendo da quelle terre
del Nord illuminate perennemente dalla costellazione
dell'Orsa Maggiore, che ruota in cielo con quella di Boote,

si stupivano vedendo Roma e i suoi splendidi edifici,
quando il Laterano superò in magnificenza
le creazioni degli uomini,

allora io, che ero passato dalla Terra al cielo,
dal mondo soggetto al tempo all'eternità celeste e
da Firenze ad una città di anime giuste ed oneste

quanto più dovevo essere preso da stupore!
Certamente tra lo stupore e la gioia della beatitudine
mi era gradito non ascoltare e restare in silenzio.

E come un pellegrino che si ristora ammirando
il santuario che aveva fatto voto di visitare e desidera
già di raccontare come sia fatto, una volta tornato a casa

così io facevo scorrere i miei occhi attraverso
lo splendore della candida rosa per i gradoni,
ora in alto ora in basso ora tutt'intorno.

Vedevo molti volti che incitavano alla carità, risplendenti
della luce di Dio e del bagliore della loro stessa beatitudine,
in atteggiamenti di assoluta dignità.

Il mio sguardo aveva abbracciato la struttura del Paradiso
in generale, senza ancora essersi soffermato
nello specifico su alcun particolare;

ed io, preso da nuova curiosità, mi voltai
di nuovo verso Beatrice perché chiarisse i dubbi
che erano sorti nella mia mente avida di sapere.

Questa era la mia intenzione, ma ebbe un esito diverso
da ciò che mi aspettavo: credevo di veder Beatrice e invece
vidi un vecchio vestito di bianco, come le anime gloriose.

Aveva gli occhi ed il volto cosparsi di benevola gioia
ed un atteggiamento pieno di carità,
come si conviene ad un padre affettuoso.

Ed immediatamente io dissi: "Dov'è Beatrice?".
Al che lui mi rispose: "Beatrice ha chiamato me per
aiutarti a portare a compimento il tuo viaggio;

e se guardi il terzo gradino a partire dell'alto,
la vedrai seduta nel luogo che le è stato
assegnato in base ai suoi meriti".

Senza nemmeno rispondere, io alzai gli occhi,
e la vidi circondata dal riflesso della luce divina
che risplendeva tutto intorno a lei.

Quel luogo del cielo dove si formano i tuoni
non è tanto distante dagli occhi dell'uomo,
quand'anche si immerga nella profondità degli abissi marini,

quanto era distante da me Beatrice; ma la distanza non
comprometteva la chiarezza con cui io la vedevo, perché la sua
immagine non mi giungeva offuscata da nessun mezzo materiale.

"O donna che alimenti la mia speranza
e che per la mia salvezza
accettasti di scendere all' Inferno,

io riconosco che soltanto grazie alla tua forza
e alla tua bontà mi sono stati concessi
il dono e la possibilità di vedere tutte le cose che ho visto".

"Tu, con tutti i mezzi che erano in tuo potere,
da schiavo, del peccato
mi hai reso libero.

Conserva in me questa libertà spirituale
cosicché la mia anima, che tu hai sanato dal peccato,
si separi dal corpo, nella morte, in modo da esserti gradita".

Le rivolsi questa preghiera e lei,
così lontana come appariva, mi sorrise e mi guardò;
poi tornò a rivolgersi a Dio, eterna fonte di grazia.

E il Santo vecchio mi disse: "Per concludere degnamente
il tuo viaggio, scopo per il quale sono stato inviato a te
dalla preghiera e dall'amore di Beatrice,

scorri con gli occhi questa rosa di beati;
poiché guardandola il tuo sguardo migliorerà
la sua capacità di vedere Dio.

E la Vergine, regina del Paradiso, per cui io
nutro un amore profondo, ci concederà ogni grazia
poiché io sono il suo fedele Bernardo".

Come il pellegrino che viene a Roma, da lontano
per vedere l'immagine di Cristo e non riesce ad appagare
il proprio desiderio perché lo porta dentro di sé da tanto tempo,

ma pensa, finché l'immagine rimane esposta:
"Signore mio Gesù Cristo, vero Dio,
fu davvero questo il tuo volto?";

così ero io mentre guardavo la viva carità
di colui che, già nella vita eterna, con la contemplazione,
riuscì a gustare la pace divina.

"Figlio prescelto dalla grazia di Dio",
cominciò allora, "tu non potrai conoscere la beatitudine
se guarderai soltanto i cerchi più bassi della rosa;

guarda invece tutti i cerchi fino al più alto,
dove vedi sedere Maria, la Vergine
regina di questo regno paradisiaco".

Io alzai gli occhi e, come all'alba il cielo
ad oriente supera in splendore
quello ad occidente,

così, quasi elevando lo sguardo dalla valle
fino alla cima di un colle, vidi la parte più
alta superare in luminosità tutto il resto della rosa.

E come ad oriente, dove si attende il sorgere del sole,
il cielo si rischiara più intensamente, mentre la sua luce va
attenuandosi da entrambe le parti man mano che ci si allontana,

così quella luce incandescente, portatrice di pace
era più intensa al centro e andava attenuandosi
allo stesso modo da entrambe le parti.

E intorno a quel punto luminoso io vidi più
di mille angeli festanti con le ali aperte, ognuno dei quali
era diverso dagli altri per intensità di splendore e per funzioni.

Vidi Maria risplendere alla loro esultanza
e ai loro canti, e la sua gioia si rifletteva
negli occhi di tutti gli altri santi;

E se anche io fossi tanto abile nel raccontare
quanto lo sono nell'immaginare, non oserei neppure
provare ad esprimere la minima parte della sua bellezza.

Bernardo, non appena vide i miei occhi fissi e rivolti
all'oggetto del suo ardente desiderio d'amore,
li fissò là anche lui con un affetto tale da rendermi

ancora più desideroso di contemplare Maria.



Riassunto


vv. 1-24 - La Candida Rosa
Davanti agli occhi di Dante si manifesta una visione straordinaria: una sterminata rosa candida, nella quale i beati risplendono nella loro gloria celeste. Intorno a loro, in un movimento incessante, gli angeli si muovono come uno sciame di api, passando continuamente da Dio ai beati per trasmettere loro il fuoco della carità divina. Nonostante l'intensa luminosità di queste figure, la luce di Dio riesce a diffondersi ovunque, avvolgendo l'intera scena in un fulgore perfetto. vv. 25-51 - Stupore e Commozione di Dante
Di fronte a tale spettacolo, Dante rimane sopraffatto dallo stupore. Abituato alla corruzione della sua città natale, Firenze, il contrasto con la purezza della visione celeste lo lascia senza parole. Il suo smarrimento è paragonabile a quello dei popoli barbari che, giunti a Roma, restavano incantati dalla magnificenza dell'Impero.

vv. 52-93 - Apparizione di San Bernardo
Colmo di emozione, Dante cerca con lo sguardo Beatrice, ma al suo posto appare un uomo anziano, vestito di bianco. Si tratta di san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), che gli spiega come Beatrice sia tornata al proprio posto nella candida rosa, affidandogli ora la guida per l'ultima parte del viaggio. Dante, alzando gli occhi, scorge Beatrice immersa nella luce divina e, con il cuore colmo di riconoscenza, le rivolge un commosso saluto.
vv. 94-117 - San Bernanrdo Invita Dante a Contemplare la Candida Rosa
San Bernardo esorta Dante ad osservare l'intera distesa della candida rosa, affinché i suoi occhi si abituino a tanta luce prima di rivolgersi alla visione suprema di Dio. Al vertice della rosa splende Maria, la Vergine gloriosa, avvolta da un'aura di luce più intensa di qualsiasi altro beato, mentre innumerevoli angeli le si raccolgono intorno in un gioioso corteo.

vv. 118-142 - Trionfo Di Maria
San Bernardo invita Dante a contemplare il trionfo di Maria, figura centrale della visione celeste. Il poeta, sopraffatto dalla bellezza e dalla maestosità della Vergine, riconosce di non avere parole per descrivere la sua magnificenza, fonte di gioia infinita per tutti i beati.


Analisi ed Interpretazioni


Il Canto prosegue senza soluzione di continuità dal precedente, completandone la descrizione della rosa dei beati e dell'anfiteatro di luce che ospita le anime. Dopo aver illustrato la disposizione dei beati, Dante si concentra ora sul movimento incessante degli angeli, che si muovono tra Dio e le anime come uno sciame d'api in un alveare. Questa immagine, ispirata alla tradizione virgiliana e legata alla simbologia della rosa mystica, trasmette l'idea dell'instancabile opera degli angeli, i quali, con i volti ardenti e le ali dorate, diffondono tra i beati la pace e l'amore divino.

Dante è profondamente colpito dalla moltitudine angelica, che pur frapposta tra il suo sguardo e la luce divina non ne ostacola la visione. In preda allo stupore, il poeta eleva un canto di lode alla Trinità, avvolto dal senso di meraviglia di chi ha finalmente raggiunto la propria meta dopo un lungo e difficile cammino. Il suo smarrimento viene paragonato a quello dei popoli barbari che, giunti a Roma, restavano incantati dinanzi alla grandiosità dei suoi monumenti. Poco dopo, Dante rafforza ulteriormente questa immagine, accostando se stesso a un pellegrino che, dopo un lungo viaggio, si trova di fronte al santuario tanto desiderato, lasciando che i suoi occhi si nutrano di quella visione. Questa metafora, comune nella letteratura religiosa, identifica l'esistenza terrena come un pellegrinaggio che culmina nella cittadinanza della Gerusalemme celeste, concetto centrale nelle ultime cantiche della Commedia. Un altro paragone simile apparirà più avanti, quando Dante descriverà se stesso mentre osserva il volto di san Bernardo, il quale contempla la Vergine, e lo confronterà con un pellegrino croato giunto a Roma per vedere il Volto Santo impresso sul velo della Veronica.

Il poeta sottolinea anche la distanza ormai incolmabile tra il Paradiso e la realtà terrena, che ha lasciato nel caos politico e morale. A questa Roma celeste, abitata da un popolo giusto e puro, contrappone la sua Firenze corrotta, costruendo un contrasto chiastico tra le due realtà: il divino e l'umano, l'eterno e il temporale, la città ideale e quella segnata dal degrado. Si avvicina il culmine del viaggio, la visione suprema di Dio, che porrà fine al poema in una dimensione ben lontana dalla corruzione del mondo, evocata per l'ultima volta nelle parole di Beatrice alla fine del Canto precedente.

Dante, desideroso di comprendere le meraviglie che ha dinanzi, si volta per rivolgersi a Beatrice, ma al suo posto trova un anziano venerabile, che scoprirà presto essere san Bernardo. Il poeta rimane stupefatto, e molti commentatori hanno sottolineato il parallelismo con la scomparsa di Virgilio nel Purgatorio, sebbene qui la reazione di Dante sia molto diversa: se lì il poeta si abbandonava al pianto, qui si limita a chiedere dove sia Beatrice, apprendendo che la donna ha ripreso il suo posto tra i beati. L'immagine di Beatrice nella sua gloria celeste rappresenta l'ultimo omaggio alla guida che lo ha salvato dal peccato e lo ha condotto attraverso il Paradiso. Dante le esprime la sua riconoscenza con parole di commosso ringraziamento, prima di affidarsi completamente a san Bernardo, che ora assume il ruolo di guida per condurlo alla visione suprema. Bernardo incarna il lumen gloriae, la luce della grazia necessaria per accedere alla contemplazione divina, e lo esorta a rivolgere il suo sguardo alla rosa dei beati, soffermandosi in particolare sulla figura della Vergine Maria.

Non sorprende l'attenzione di Bernardo per Maria, poiché il santo era noto per la sua profonda devozione mariana, e Dante ne riprende la figura come suo fedele discepolo. Bernardo spiega che solo l'intercessione della Vergine potrà concedere a Dante, ancora in vita, il privilegio di contemplare Dio, esperienza raramente concessa a un mortale. Questo tema anticipa il fulcro del Canto successivo, in cui Bernardo innalzerà una solenne preghiera a Maria, grazie alla quale Dante potrà fissare lo sguardo nella mente divina e scorgere la struttura dell'universo. In questo Canto, la gloria della Vergine viene descritta come una luce purissima che sovrasta la rosa celeste, mentre più di mille angeli festanti ne celebrano il trionfo, riprendendo il tema dell'apertura del Canto.

L'accostamento tra Maria e Beatrice è inevitabile, non solo per il valore simbolico della donna fiorentina, ma anche perché la Vergine aveva avuto un ruolo fondamentale nella salvezza di Dante. Fu infatti Maria a sollecitare Beatrice affinché intervenisse in suo soccorso, come ricordato nell'Inferno, per tramite di santa Lucia, che qui non viene menzionata ma comparirà nel Canto successivo accanto a san Giovanni Battista nella rosa dei beati. Così, le tre donne che hanno guidato Dante nel suo cammino spirituale sono nuovamente riunite. Dopo l'omaggio a Beatrice a metà del Canto, ora il poeta si concentra sulla glorificazione di Maria, tema centrale anche nel Canto successivo. Le ultime parole descrivono san Bernardo in contemplazione estatica della Vergine, il che spinge Dante a fissare lo sguardo su di lei con ancora maggiore fervore. L'atmosfera è carica di attesa, destinata a sciogliersi solo con la preghiera che aprirà il Canto XXXIII, una delle vette più sublimi di tutta la Commedia.

San Bernardo, la terza guida di Dante
San Bernardo è la terza guida che accompagna Dante nel suo viaggio ultraterreno, subentrando a Beatrice nel XXXI Canto del Paradiso, proprio come quest'ultima aveva preso il posto di Virgilio nel XXX Canto del Purgatorio. Se il ruolo allegorico di Virgilio e Beatrice è piuttosto chiaro—il primo rappresenta la ragione naturale dei filosofi, la seconda la teologia rivelata e la grazia divina—quello di San Bernardo è stato oggetto di numerose interpretazioni da parte della critica. Il suo culto mariano e la sua profonda vocazione mistica lo rendono certamente una figura adatta a guidare Dante verso la visione di Dio, ma il suo significato simbolico può essere analizzato con maggiore precisione, mettendolo in relazione con quello delle altre due guide.

Lo studioso americano Charles S. Singleton, nel suo saggio Journey to Beatrice, ha approfondito la struttura allegorica della Divina Commedia, facendo riferimento a un passaggio di San Tommaso d'Aquino che distingue tre diversi tipi di visione di Dio, ciascuno associato a una particolare "luce" che lo rende possibile. La prima è la luce naturale dell'intelletto, sufficiente per contemplare le realtà invisibili attraverso i principi della ragione: questo era l'approccio dei filosofi, i quali vedevano in essa il culmine della felicità umana. La seconda è la luce della fede, che permette ai santi di percepire la verità divina mentre si trovano ancora sulla Terra. La terza è la luce della gloria, quella propria dei beati in Paradiso, che consente loro di vedere Dio nella sua essenza, come fonte ultima della beatitudine. Questo tipo di visione, pur appartenendo esclusivamente alla dimensione celeste, può talvolta essere concesso anche a chi si trova ancora nel mondo terreno, come accadde a San Paolo durante la sua estasi.

Applicando questo schema alla Commedia, si può identificare la prima luce con Virgilio, che incarna la razionalità umana, e la seconda con Beatrice, che rappresenta la fede rivelata. Tuttavia, neppure la fede, pur superiore alla ragione, è sufficiente per arrivare alla visione perfetta della natura divina, che rimane accessibile solo attraverso un'illuminazione superiore: la luce della gloria. Questo è il ruolo di San Bernardo nel poema, poiché è lui a condurre Dante nell'ultima tappa del suo viaggio, preparandolo all'istante in cui la sua mente verrà colpita da un fulgore divino, permettendogli di scorgere, sia pure per un attimo, l'essenza stessa di Dio. Il parallelismo con San Paolo, più volte evocato nel Paradiso, sottolinea l'eccezionalità di questa esperienza, che non dipende dalle capacità dell'intelletto umano, ma da un intervento divino.

La scelta di San Bernardo come guida finale è senza dubbio legata al suo fervente culto per la Vergine Maria e alla sua opposizione all'eccessivo razionalismo, aspetti che lo rendono particolarmente adatto a questo ruolo. Tuttavia, l'esperienza mistica vissuta da Dante non è un semplice abbandono estatico alla divinità: la sua visione di Dio mantiene un carattere intellettuale, poiché egli comprende con la mente ciò che gli viene concesso di vedere. Se è vero che Dante ribadisce più volte la subordinazione della ragione alla rivelazione, nei canti finali del Paradiso emerge anche il valore dell'intelletto nel processo di avvicinamento a Dio. La sola ragione umana non potrebbe mai arrivare a tale visione, ma essa gioca comunque un ruolo essenziale, perché è attraverso la comprensione intellettuale che l'anima si dispone a ricevere la luce della gloria.

Questa struttura, analizzata da Singleton attraverso le fonti tomistiche, offre una chiave di lettura coerente per interpretare il ruolo di San Bernardo: egli incarna la luce ultima, quella indispensabile affinché Dante possa superare ogni limite umano e giungere alla visione suprema, che né la ragione né la sola fede potrebbero mai raggiungere da sole.

Petrarca e il velo della Veronica
Nel Canto XXXI del Paradiso, Dante utilizza una suggestiva similitudine per descrivere il proprio atteggiamento mentre osserva il volto di san Bernardo assorto nella contemplazione della Vergine. Il poeta si paragona a un pellegrino giunto a Roma dalla lontana Croazia per ammirare la sacra reliquia della Veronica, il velo su cui, secondo una tradizione medievale, sarebbe rimasta impressa l'immagine del volto di Cristo. Questa reliquia, ancora oggi conservata nella Basilica di San Pietro, è legata a una leggenda del XIII secolo secondo cui una pia donna—identificata con l'emorroissa guarita da Gesù nei Vangeli (Matteo 9,20-22; Luca 8,43-48)—avrebbe usato il panno per asciugare il volto sofferente del Salvatore. Il nome Veronica potrebbe derivare proprio dalla locuzione vera icon, con cui la reliquia era conosciuta nel Medioevo.

Alcuni commentatori hanno ritenuto eccessivo il paragone, ma il suo significato è chiaro: non si tratta di un confronto tra san Bernardo e Cristo, bensì tra Dante e il pellegrino devoto, accomunati dalla stessa ansia di contemplazione. Questo parallelismo si inserisce nella visione medievale della vita come un cammino verso la salvezza, un lungo pellegrinaggio che giunge a compimento solo in Paradiso, la vera patria dell'anima beata. La metafora del pellegrino trova ampio spazio in tutto il Canto e si ricollega all'idea della Gerusalemme celeste, meta ultima del viaggio spirituale dell'uomo, così come la città terrena era destinazione delle peregrinazioni religiose del Medioevo.

Un'immagine simile si ritrova anche in Francesco Petrarca, nel sonetto XVI dei Rerum vulgarium fragmenta, dove il poeta racconta il suo viaggio a Roma, durante il quale deve separarsi da Laura. Egli paragona la sua ricerca del volto dell'amata nelle sembianze di altre donne all'atteggiamento dell'anziano pellegrino che, dopo un lungo e faticoso viaggio, contempla la Veronica, sperando di rivedere quel volto in Paradiso. Non è escluso che Petrarca si sia ispirato proprio al passo dantesco, sebbene tra i due autori vi siano significative differenze.

Mentre in Dante il pellegrino è mosso da un fervore religioso, in Petrarca l'elemento dominante è l'amore terreno. Se il poeta della Commedia compie un viaggio ultraterreno verso la verità divina, Petrarca affronta un cammino che lo allontana dall'oggetto del suo desiderio, Laura. Anche la figura del pellegrino subisce delle variazioni: in Dante è un uomo anziano e fragile, mentre in Petrarca il viandante conserva ancora le energie della giovinezza. In ogni caso, il poeta aretino non attribuisce al paragone un valore sacro, tanto che alcuni critici hanno intravisto in esso persino una sfumatura blasfema.

Queste differenze riflettono due concezioni opposte della vita e della letteratura. Dante, pur attraversando un periodo di smarrimento, trova la sua redenzione nella fede e ne fa il fulcro della Commedia. Petrarca, invece, incarna un atteggiamento più moderno, tipico dell'Umanesimo nascente, nel quale la tensione tra aspirazione all'infinito e attaccamento ai beni terreni non si risolve mai in una scelta definitiva. La sua inquietudine interiore lo porta a oscillare costantemente tra desiderio spirituale e attrazione per il mondo sensibile, a differenza di Dante, che attraverso il suo viaggio poetico raggiunge una salda certezza. Questo stesso conflitto interiore sarà un tratto distintivo della sensibilità umanistica e rinascimentale, anticipando un nuovo modo di concepire l'uomo e il suo rapporto con il divino.


Passi Controversi


Nei versi 2-3, l'espressione milizia santa / che nel suo sangue Cristo fece sposa si riferisce alla schiera dei beati, ovvero la Chiesa trionfante, considerata sposa di Cristo. Il termine l'altra (v. 4) invece indica la schiera angelica.

La descrizione degli angeli ai versi 13-15, con il volto rosso, le ali dorate e la veste bianca, riprende sia la tradizione biblica sia l'iconografia classica. Questi tre colori sono stati interpretati come simboli di carità, sapienza e purezza, anche se esistono altre letture possibili.

Al verso 18, l'espressione ventilando il fianco potrebbe indicare che gli angeli, nel loro volo, sfiorano i loro fianchi con le ali o agitano le vesti candide. In alcuni manoscritti, al verso 20, si trova la variante plenitudine invece di moltitudine, suggerendo che lo stormo angelico riempia completamente il cielo.

L'espressione gente antica e novella (v. 26) fa riferimento ai beati provenienti sia dall'Antico che dal Nuovo Testamento.

Ai versi 31-33 si trova un richiamo all'Orsa Maggiore (Elice), che nei cieli del Nord Europa è sempre visibile, ruotando costantemente accanto alla costellazione di Boote. La leggenda classica narra che Elice (o Callisto), ninfa amata da Giove, venne trasformata in orsa da Giunone per gelosia e poi mutata in costellazione da Giove insieme al figlio Arcade (Boote). Questo mito è già richiamato in Purgatorio (XXV, 130-132).

Il verbo passeggiando al verso 46 viene usato metaforicamente: Dante non si muove fisicamente nella candida rosa, ma ne percorre con lo sguardo i seggi. Al verso 49, suadi è un latinismo con il significato di conformati.

Nel verso 58, le parole Uno... e altro vanno probabilmente intese in senso neutro: Dante intendeva dire una cosa, ma la risposta ricevuta è stata diversa da ciò che si aspettava. I termini sene (vv. 59, 94) e gene (v. 61) sono forti latinismi, rispettivamente per vecchio (da senex) e guance.

Nei versi 79-90, Dante si rivolge a Beatrice con il tu, mentre fino a quel momento l'aveva sempre trattata con il voi, segno di deferenza. Questo cambio di registro suggerisce che Beatrice non è più vista come la donna amata, ma assume una dimensione sacra, paragonabile a quella di una santa, con cui il poeta entra in intima comunione.

I versi 80-81 rimandano all'episodio narrato da Virgilio in Inferno (II, 94 e seguenti). Nei versi 103-108, il riferimento è alla reliquia della Veronica, un velo conservato a San Pietro a Roma e oggetto di pellegrinaggi nel Medioevo.

Nei versi 124-125, compare un riferimento al Sole, attraverso il mito di Fetonte, il giovane che, guidando in modo avventato il carro solare, causò una catastrofe (ripreso anche in Paradiso XVII, 1-3).

L'oriafiamma (v. 127) richiama lo stendardo di guerra dei re di Francia, che la leggenda vuole fosse stato donato da Cristo a Carlo Magno come simbolo della sovranità imperiale. Era un drappo rosso con fiamme o stelle dorate. Nel contesto dantesco, potrebbe rappresentare non Maria stessa, ma il punto della rosa celeste da cui emana la sua luce, associando un simbolo tradizionalmente militare all'aggettivo pacifica, in un contrasto significativo.

Infine, nel verso 136, divizia è un latinismo che significa ricchezza (da divitiae), mentre al verso 140, caler è un altro termine di origine latina che indica ardere, essere caldo (anche se alcuni manoscritti riportano calor, ritenuto una lezione più semplice e quindi meno probabile).

Fonti: libri scolastici superiori

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