Parafrasi e Analisi: "Canto X" - Paradiso - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto X del Paradiso segna l'inizio della terza cantica di Dante dedicata alla celebrazione dell'ordine divino e dell'armonia cosmica. In questo canto, l'attenzione si concentra sulla perfetta disposizione dell'universo, governato dalla sapienza di Dio, e sulla sublime bellezza del cielo del Sole, regno degli spiriti sapienti.

Attraverso immagini luminose e un linguaggio solenne, Dante esalta l'ordine dell'universo come espressione della volontà divina, in cui ogni elemento trova il proprio posto all'interno di una perfetta armonia. Il poeta, guidato da Beatrice, introduce così il tema della sapienza celeste, incarnata dalle anime beate che dimorano in questo cielo e che hanno illuminato il mondo con la loro conoscenza e il loro intelletto.

Questo canto rappresenta dunque una riflessione profonda sul rapporto tra la sapienza umana e la verità divina, evidenziando come la conoscenza, se orientata verso il bene supremo, conduca l'anima alla beatitudine eterna.


Testo e Parafrasi


Guardando nel suo Figlio con l'Amore
che l'uno e l'altro etternalmente spira,
lo primo e ineffabile Valore

quanto per mente e per loco si gira
con tant' ordine fé, ch'esser non puote
sanza gustar di lui chi ciò rimira.

Leva dunque, lettore, a l'alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l'un moto e l'altro si percuote;

e lì comincia a vagheggiar ne l'arte
di quel maestro che dentro a sé l'ama,
tanto che mai da lei l'occhio non parte.

Vedi come da indi si dirama
l'oblico cerchio che i pianeti porta,
per sodisfare al mondo che li chiama.

Che se la strada lor non fosse torta,
molta virtù nel ciel sarebbe in vano,
e quasi ogne potenza qua giù morta;

e se dal dritto più o men lontano
fosse 'l partire, assai sarebbe manco
e giù e sù de l'ordine mondano.

Or ti riman, lettor, sovra 'l tuo banco,
dietro pensando a ciò che si preliba,
s'esser vuoi lieto assai prima che stanco.

Messo t'ho innanzi: omai per te ti ciba;
ché a sé torce tutta la mia cura
quella materia ond' io son fatto scriba.

Lo ministro maggior de la natura,
che del valor del ciel lo mondo imprenta
e col suo lume il tempo ne misura,

con quella parte che sù si rammenta
congiunto, si girava per le spire
in che più tosto ognora s'appresenta;

e io era con lui; ma del salire
non m'accors' io, se non com' uom s'accorge,
anzi 'l primo pensier, del suo venire.

È Bëatrice quella che sì scorge
di bene in meglio, sì subitamente
che l'atto suo per tempo non si sporge.

Quant' esser convenia da sé lucente
quel ch'era dentro al sol dov' io entra'mi,
non per color, ma per lume parvente!

Perch' io lo 'ngegno e l'arte e l'uso chiami,
sì nol direi che mai s'imaginasse;
ma creder puossi e di veder si brami.

E se le fantasie nostre son basse
a tanta altezza, non è maraviglia;
ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse.

Tal era quivi la quarta famiglia
de l'alto Padre, che sempre la sazia,
mostrando come spira e come figlia.

E Bëatrice cominciò: «Ringrazia,
ringrazia il Sol de li angeli, ch'a questo
sensibil t'ha levato per sua grazia».

Cor di mortal non fu mai sì digesto
a divozione e a rendersi a Dio
con tutto 'l suo gradir cotanto presto,

come a quelle parole mi fec' io;
e sì tutto 'l mio amore in lui si mise,
che Bëatrice eclissò ne l'oblio.

Non le dispiacque; ma sì se ne rise,
che lo splendor de li occhi suoi ridenti
mia mente unita in più cose divise.

Io vidi più folgór vivi e vincenti
far di noi centro e di sé far corona,
più dolci in voce che in vista lucenti:

così cinger la figlia di Latona
vedem talvolta, quando l'aere è pregno,
sì che ritenga il fil che fa la zona.

Ne la corte del cielo, ond' io rivegno,
si trovan molte gioie care e belle
tanto che non si posson trar del regno;

e 'l canto di quei lumi era di quelle;
chi non s'impenna sì che là sù voli,
dal muto aspetti quindi le novelle.

Poi, sì cantando, quelli ardenti soli
si fuor girati intorno a noi tre volte,
come stelle vicine a' fermi poli,

donne mi parver, non da ballo sciolte,
ma che s'arrestin tacite, ascoltando
fin che le nove note hanno ricolte.

E dentro a l'un senti' cominciar: «Quando
lo raggio de la grazia, onde s'accende
verace amore e che poi cresce amando,

multiplicato in te tanto resplende,
che ti conduce su per quella scala
u' sanza risalir nessun discende;

qual ti negasse il vin de la sua fiala
per la tua sete, in libertà non fora
se non com' acqua ch'al mar non si cala.

Tu vuo' saper di quai piante s'infiora
questa ghirlanda che 'ntorno vagheggia
la bella donna ch'al ciel t'avvalora.

Io fui de li agni de la santa greggia
che Domenico mena per cammino
u' ben s'impingua se non si vaneggia.

Questi che m'è a destra più vicino,
frate e maestro fummi, ed esso Alberto
è di Cologna, e io Thomas d'Aquino.

Se sì di tutti li altri esser vuo' certo,
di retro al mio parlar ten vien col viso
girando su per lo beato serto.

Quell' altro fiammeggiare esce del riso
di Grazïan, che l'uno e l'altro foro
aiutò sì che piace in paradiso.

L'altro ch'appresso addorna il nostro coro,
quel Pietro fu che con la poverella
offerse a Santa Chiesa suo tesoro.

La quinta luce, ch'è tra noi più bella,
spira di tale amor, che tutto 'l mondo
là giù ne gola di saper novella:

entro v'è l'alta mente u' sì profondo
saver fu messo, che, se 'l vero è vero,
a veder tanto non surse il secondo.

Appresso vedi il lume di quel cero
che giù in carne più a dentro vide
l'angelica natura e 'l ministero.

Ne l'altra piccioletta luce ride
quello avvocato de' tempi cristiani
del cui latino Augustin si provide.

Or se tu l'occhio de la mente trani
di luce in luce dietro a le mie lode,
già de l'ottava con sete rimani.

Per vedere ogne ben dentro vi gode
l'anima santa che 'l mondo fallace
fa manifesto a chi di lei ben ode.

Lo corpo ond' ella fu cacciata giace
giuso in Cieldauro; ed essa da martiro
e da essilio venne a questa pace.

Vedi oltre fiammeggiar l'ardente spiro
d'Isidoro, di Beda e di Riccardo,
che a considerar fu più che viro.

Questi onde a me ritorna il tuo riguardo,
è 'l lume d'uno spirto che 'n pensieri
gravi a morir li parve venir tardo:

essa è la luce etterna di Sigieri,
che, leggendo nel Vico de li Strami,
silogizzò invidïosi veri».

Indi, come orologio che ne chiami
ne l'ora che la sposa di Dio surge
a mattinar lo sposo perché l'ami,

che l'una parte e l'altra tira e urge,
tin tin sonando con sì dolce nota,
che 'l ben disposto spirto d'amor turge;

così vid' ïo la gloriosa rota
muoversi e render voce a voce in tempra
e in dolcezza ch'esser non pò nota

se non colà dove gioir s'insempra.
L'eterno ed ineffabile Valore, Dio,
guardando nel suo Figlio assieme allo Spirito Santo
che entrambi eternamente unifica,

tutto ciò che nell'intelletto e nello spazio esiste
creò con tanto ordine, che chi contempla ciò
non può non godere di lui, del Valore divino.

O lettore, alza dunque agli alti cieli rotanti
gli occhi assieme a me, dritto verso quella parte
dove s'incontrano i due moti di rotazione opposti.

E da quel punto comincia a contemplare l'opera
di quel creatore che nella sua mente la ama
tanto da non staccare mai la vista.

Vedi come da quel punto si distacca
il cerchio obliquo dello Zodiaco che sostiene i pianeti,
per soddisfare i bisogni della Terra.

Poiché, se la loro rotta non fosse obliqua,
molte delle virtù celesti non avrebbero effetto, e sulla Terra
ogni qualità potenziale morirebbe senza divenire atto;

e se poi il divergere dello zodiaco dall'equatore
fosse maggiore o minore di com'è, l'ordine universale
sarebbe assai turbato sia in Terra sia in Cielo.

O lettore, ora rimani immerso sul tuo banco,
continuando a pensare a ciò che hai appena gustato,
se vuoi esserne lieto molto prima che stanco.

Ti ho fornito il cibo: ora puoi cibarti da te;
poiché quell'argomento di cui io mi sono fatto scrivano
richiama tutta la mia attenzione.

Il maggior ministro della natura, il Sole,
che infonde sulla Terra gli influssi del cielo
e ne scandisce il tempo con la sua luce,

congiunto con la costellazione dell'Ariete nell'equinozio
di primavera, si muoveva di quel moto a spirale
per cui ogni giorno più presto sorge;

ed io ero con lui; ma non mi accorsi
stessimo salendo, se non come uno si accorge
di un pensiero improvviso prima che sia formulato.

E' Beatrice quella che mi guida
da un cielo a quello superiore così rapidamente,
che il suo gesto non si misura attraverso il tempo.

Quanto dovevano essere luminose di per sé quelle anime
che si trovavano nel cielo del Sole dove io entrai ora,
non per differenza di colore, ma per una intensità di luce!

Per quanto io chiami a spiegarlo l'ingegno, l'arte e l'esperienza,
non riuscirei a descriverlo in maniera da immaginarlo;
ma ci si può credere e desiderare di vederlo.

E se la nostra immaginazione è insufficiente
per tanta altezza, non c'è da meravigliarsi;
poiché mai l'occhio umano è andato oltre al Sole.

Così luminosa era la cerchia dei beati del quarto cielo
assegnati da Dio, che sempre l'appaga di sé,
mostrandosi come Spirito Santo e come Verbo.

E Beatrice iniziò a parlare: "Ringrazia,
ringrazia Dio che è il Sole degli Angeli, che a questo
cielo ti ha elevato per sua bontà".

Mai nessun altro uomo mortale fu così disposto
alla devozione e ad affidarsi a Dio
con tutta la sua gratitudine così in fretta,

come feci io davanti a quelle parole;
e così tutto il mio amore si rivolse a Dio
tanto che oscurò Beatrice e finii per dimenticarla.

Non se ne dispiacque; ma ne fu così contenta,
che lo splendore dei suoi occhi ridenti
richiamò in parte a sé la mia mente, dividendola tra lei e Dio.

Io vidi diverse luci intense e vive
disporsi a corona intorno a noi rendendoci il centro,
più dolci nel canto che alla luminose alla vista:

così talvolta vediamo la luna, figlia di Latona,
cingersi di un alone, quando l'aria è tanto carica di vapori,
da trattenere in sé il raggio che forma la cintura luminosa intorno a lei.

Nella corte del cielo, da dove io ritorno,
si trovano molte gemme preziose e belle
tanto da non poterle descrivere né muoverle sulla Terra;

e il canto di quelle anime luminose era una di quelle;
chi non si munisce di ali di virtù per volare lassù
si aspetti i racconti di ciò da un muto.

Dopo che, così cantando, quelle creature luccicanti
ebbero girato intorno a noi tre volte,
con un moto circolare lento come stelle vicine ai poli,

mi apparvero simili a donne che non cessano di ballare,
ma che si arrestano in silenzio, ascoltando
fino a che hanno percepito le nuove note di un'altra melodia;

e sentii cominciare a parlare dall'interno di una luce: "poiché
la luce delle grazie, da dove si accende
il vero amore e che amando poi si accresce,

moltiplicato in te l'amore tanto risplende,
che ti conduce su per i cieli del Paradiso
da dove nessuno scende senza esser prima destinato a salirci;

colui che ti negasse di calmare la tua sete di sapienza
con il vino della sua fiala, non sarebbe in libertà
ma come l'acqua che non riesce a defluire verso il mare.

Tu desideri sapere di quali piante, le anime,
si riempie questa ghirlanda, il cielo, che contempla amorosamente
questa donna bella che ti dà conforto nel salire al cielo.

Io feci parte in vita degli agnelli del santo gregge
dell'ordine dei Predicatori di San Domenico
da dove ben ci si arricchisce spiritualmente se non si vaneggia con cose mondane.

Quest'anima che alla mia destra è più vicina,
mi fece da frate e da maestro, si chiama Alberto
e visse a Colonia, e io sono Tommaso d'Aquino.

Se vuoi conoscere allo stesso modo tutti gli altri,
vieni con lo sguardo dietro alle mie parole
percorrendo il cerchio dei beati.

Quell'altra luce scaturisce dalla letizia
di Francesco Graziano, il quale aiutò con la sua opera
in campo giuridico così che ora è apprezzato anche in Paradiso.

L'altro che dietro illumina la nostra schiera,
fu quel famoso Pietro Lombardo che come la poverella
offrì alla Santa Chiesa tutto ciò che possedeva.

La quinta luce, che tra di noi è la più splendente,
emana un tale amore, che tutto il mondo
giù sulla Terra aspirano a riceverne notizia:

dentro quella fiamma risiede la spiccata mente di Salomone
dove così profondo sapere fu riposto, che se la Bibbia dice il vero
un secondo come lui non nacque mai più.

Dietro vedi la luce di quel luminare, Dionigi l'Aereopagita,
che sulla terra, in carne ed ossa, vide più profondamente
circa la natura e l'ufficio degli angeli.

All'interno dell'altra piccola fiamma splende
quell'avvocato retore cristiano
della cui opera in latino si avvalse sant'Agostino.

Ora, se tu muovi l'occhio dalla mente
da una luce all'altra seguendo i miei elogi,
rimani con la sete di sapere chi sia l'ottava luce.

Dentro a quella luce gode poiché vede ogni bene
l'anima santa di Boezio che rende manifesta
la vanità del mondo terreno a chi studia bene le sue opere:

il corpo dal quale quest'anima fu separata giace
sulla Terra nella basilica in Ciel d'Oro a Pavia; ed essa, l'anima,
arrivò a questa beatitudine dopo il martirio e l'esilio dalla Terra.

Inoltre vedi risplendere l'ardente spirito
d'Isidoro, di Beda e di Riccardo di San Vittore,
che a contemplare Dio fu dotato di virtù sovrumana.

Quest'anima luminosa con la quale si chiude il cerchio,
è il lume di uno spirito che immerso nei pensieri
inquietanti ritenne la morte tarda a venire:

essa è l'eterna luce di Sigieri di Brabante,
che, insegnando nella via della Paglia a Parigi,
dimostrò delle verità che gli procurarono invidia".

Quindi, come un orologio che ci chiami all'alba
nell'ora in cui la Chiesa, sposa di Dio, si alza a salutare
il suo sposo con la preghiera mattutina chiedendogli di amarla,

e nel quale orologio i vari congegni si tirano e spingano,
tintinnando con un suono così dolce,
che l'anima tesa al bene si riempie di carità;

allo stesso modo vidi io la gloriosa cerchia di anime
muoversi e accordar voce a voce in un'armonia
e in una dolcezza di suoni che non possono esistere

al di fuori del luogo in cui la felicità è eterna.



Riassunto


vv. 1-27 – Invito alla contemplazione dell'ordine divino
Prima di proseguire la sua ascesa verso i cieli superiori, Dante si sofferma ad ammirare l'armonia perfetta con cui si muovono i cieli. In un invito rivolto al lettore, lo esorta a riflettere insieme a lui sulla straordinaria perfezione dell'opera divina, manifestata nell'ordine cosmico.

vv. 28-63 – L'arrivo nel cielo del Sole
Il viaggio prosegue e il poeta raggiunge il cielo del Sole, dimora degli spiriti sapienti. Qui la luminosità delle anime è così intensa da superare perfino quella dell'astro solare. Tuttavia, poiché l'uomo non conosce luce più splendente di quella del Sole, Dante fatica a trovare parole adeguate per descrivere ciò che vede. Colmo di gratitudine, si rivolge a Dio in un fervente ringraziamento per la visione concessagli. Il suo trasporto è così profondo che, per un attimo, dimentica persino Beatrice, la quale, però, accoglie con gioia la sua devozione.

vv. 64-81 – La formazione della corona celeste
Le anime beate si dispongono in cerchio attorno a Dante e Beatrice, muovendosi in una danza armoniosa. Dopo aver compiuto tre giri, accompagnati da un canto celestiale, si arrestano e rimangono in silenzio. Una di esse prende la parola, dichiarando che tutti sono pronti a soddisfare le domande del poeta, il quale, per grazia divina, ha avuto il privilegio di giungere vivo in Paradiso.

vv. 82-138 – San Tommaso e la schiera dei sapienti
A parlare è san Tommaso d'Aquino, esponente dell'Ordine domenicano. Egli presenta i suoi illustri compagni di schiera, tra cui il suo maestro Alberto Magno e altre dieci anime celebri per la loro sapienza: Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi Areopagita, Paolo Orosio, Boezio, Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, Riccardo di San Vittore e Sigieri di Brabante.

vv. 139-148 – Il canto e la danza delle anime
Terminata la presentazione, le anime riprendono la loro danza armoniosa e intonano un canto di una dolcezza indescrivibile, un'armonia che solo chi si trova in Paradiso può realmente comprendere.


Figure Retoriche


v. 1: "Amore": Perifrasi. Per indicare lo Spirito Santo.
v. 3: "Lo primo e ineffabile Valore": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 7-8: "Leva dunque, lettore, a l'alte rote meco la vista": Iperbato.
vv. 8-9: "Dritto a quella parte dove l'un moto e l'altro si percuote": Perifrasi.
vv. 10-11: "L'arte / di quel maestro": Enjambement.
v. 11: "Quel maestro": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 14: "L'oblico cerchio": Anastrofe e Perifrasi. Per indicare lo zodiaco.
v. 14: "Che i pianeti porta": Anastrofe.
v. 21: "Giù e sù": Perifrasi. Per indicare gli emisferi.
v. 24: "S'esser vuoi": Anastrofe.
v. 25: "Messo t'ho": Anastrofe.
v. 27: "Quella materia": Perifrasi. Per indicare il Paradiso.
v. 28: "Ministro maggior": Anastrofe.
v. 28: "Ministro maggior de la natura": Perifrasi. Per indicare il Sole.
v. 30: "Il tempo ne misura": Anastrofe.
v. 31: "Con quella parte che sù si rammenta": Perifrasi.
vv. 31-32: "Con quella parte ... congiunto": Iperbato.
v. 33: "Più tosto ognora": Anastrofe.
vv. 34-35: "Ma del salire / non m'accors'io": Enjambement.
vv. 35-36: "Non m'accors'io, se non com'uom s'accorge, anzi 'l primo pensier, del suo venire": Similitudine.
vv. 38-39: "Sì subitamente che l'atto suo per tempo non si sporge": Iperbole.
v. 45: "Ma creder puossi": Anastrofe.
v. 45: "Di veder si brami": Anastrofe.
vv. 49-50: "La quarta famiglia / de l'alto Padre": Enjambement.
v. 51: "Come spira e come figlia": Perifrasi. Per indicare il mistero della Trinità.
v. 53: "Il Sol de li angeli": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 55-58: "Cor di mortal non fu mai sì digesto a divozione e a rendersi a Dio con tutto 'l suo gradir cotanto presto, come a quelle parole mi fec'io": Similitudine.
vv. 55-56: "Digesto a divozione": Enjambement.
v. 62: "Occhi suoi": Anastrofe.
v. 66: "Più dolci in voce che in vista lucenti": Paragone.
v. 71: "Care e belle": Endiadi.
v. 75: "Dal muto aspetti quindi le novelle": Similitudine.
v. 76: "Ardenti soli": Anastrofe e Perifrasi. Per indicare le anime folgoranti.
v. 78: "Come stelle vicine a' fermi poli": Similitudine.
vv. 79-81: "Donne mi parver, non da ballo sciolte, ma che s'arrestin tacite, ascoltando fin che le nove note hanno ricolte": Similitudine.
vv. 83-84: "S'accende verace amore": Enjambement.
vv. 86-87: "Per quella scala u' sanza risalir nessun discende": Perifrasi.
vv. 89-90: "In libertà non fora se non com'acqua ch'al mar non si cala": Similitudine.
v. 93: "La bella donna ch'al ciel t'avvalora": Perifrasi. Per indicare Beatrice.
vv. 103-104: "Del riso / di Grazian": Enjambement.
v. 107: "Quel Pietro fu": Anastrofe.
vv. 107-108: "Che con la poverella offerse a Santa Chiesa suo tesoro": Similitudine.
vv. 112-113: "Profondo / saver": Enjambement.
v. 114: "A veder tanto non surse il secondo": Perifrasi. Per indicare Salomone.
vv. 116-117: "Che giù in carne più a dentro vide l'angelica natura e 'l ministero": Perifrasi. Per indicare Dionigi l'Areopagita".
vv. 119-120: "Quello avvocato de' tempi cristiani del cui latino Augustin si provide": Perifrasi. Per indicare Paolo Orosio.
vv. 125-126: "L'anima santa che 'l mondo fallace fa manifesto a chi di lei ben ode": Perifrasi. Per indicare Severino Boezio.
vv. 128-129: "Da martiro / e da essilio": Enjambement.
vv. 130-131: "L'ardente spiro / d'Isidoro": Enjambement.
vv. 134-135: "Pensieri/ gravi": Enjambement.
vv. 139-146: "Come orologio che ne chiami ne l'ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l'ami, che l'una parte e l'altra tira e urge, tin tin sonando con sì dolce nota, che 'l ben disposto spirto d'amor turge; così vid'io la gloriosa rota muoversi e render voce": Similitudine.


Analisi ed Interpretazioni


L'Ascesa di Dante al Cielo del Sole e l'Armonia della Sapienza
Nel decimo canto del Paradiso, Dante e Beatrice lasciano i primi tre cieli, dove i beati avevano subito le influenze limitanti degli astri, per entrare nel Cielo del Sole. Questo passaggio segna l'accesso a una dimensione superiore del Paradiso, caratterizzata da un innalzamento del tono e dello stile poetico. L'inizio del canto si apre con una descrizione solenne dell'universo, un meccanismo perfetto regolato dalla volontà divina, in cui ogni elemento si muove secondo un ordine armonioso. Il poeta invita il lettore a contemplare la grandiosità della creazione e ad ammirare l'efficacia dell'inclinazione dello Zodiaco, responsabile dell'alternarsi delle stagioni e dell'equilibrio del mondo.

Giunto nel Cielo del Sole, Dante si trova immerso in una luce così intensa che la sua capacità di descrizione risulta insufficiente. L'inesprimibilità della visione diventa un tema centrale del canto: il linguaggio umano è inadeguato a rendere la bellezza divina, e il poeta lo sottolinea più volte, ricorrendo a espressioni che evidenziano l'impossibilità di tradurre in parole ciò che sta vivendo. In questa dimensione di luce pura, gli spiriti beati appaiono come sfavillanti corone luminose, il cui splendore supera perfino quello del Sole. Queste anime si dispongono in cerchio attorno a Dante e Beatrice, danzando e cantando in una perfetta armonia, simbolo della sapienza che trascende le divisioni terrene.

Uno degli spiriti si rivolge a Dante, dichiarandosi pronto a rispondere alle sue domande: è san Tommaso d'Aquino, il grande teologo domenicano. Egli presenta i compagni della sua schiera, un gruppo di dodici spiriti scelti per il loro contributo alla conoscenza e alla teologia cristiana. Tra essi troviamo filosofi come Boezio, mistici come Dionigi Areopagita e Riccardo di San Vittore, storici come Paolo Orosio, enciclopedisti come Isidoro di Siviglia e Beda il Venerabile, giuristi come Graziano, e pensatori fondamentali come Pietro Lombardo e Alberto Magno, il maestro dello stesso Tommaso.

Di particolare rilievo è la presenza di Sigieri di Brabante, figura controversa della filosofia medievale, noto per la sua adesione all'averroismo, una corrente razionalista che si scontrava con la teologia cristiana. Tommaso, che in vita aveva confutato le sue idee, qui lo celebra come assertore di verità profonde, superando ogni contrasto terreno. Questo gesto sottolinea il tema centrale del canto: nel Cielo del Sole, dove domina la sapienza divina, ogni opposizione si dissolve in una superiore concordia. La conoscenza non è più fonte di divisione, ma di unità, e la verità, una volta riconosciuta come tale, non può essere negata.

L'intero canto si struttura come un contrasto con il precedente, in cui Dante aveva duramente condannato la corruzione della Chiesa, paragonandola a un'adultera che ha tradito Cristo per i beni terreni. Se nel nono canto dominava l'invettiva, nel decimo prevalgono il ringraziamento e la lode: Dante si rivolge a Dio con fervore, esortato da Beatrice, mentre l'armonia delle anime beate rappresenta l'opposto delle discordie terrene.

La conclusione del canto riprende l'immagine iniziale dell'universo come un meccanismo perfetto, con una descrizione che paragona il movimento delle anime al funzionamento di un orologio. Il tintinnio delle ore richiama i monaci alla preghiera del Mattutino, segno di un ordine scandito dalla volontà divina. Questa immagine chiude il canto con un forte senso di armonia e perfezione, ribadendo che nel regno celeste tutto si muove secondo un disegno superiore, lontano dalle imperfezioni del mondo terreno.


Passi Controversi


Il passo iniziale (vv. 1-5) descrive Dio, il supremo e ineffabile Valore, che, contemplando il Figlio insieme allo Spirito Santo—l'Amore che procede da entrambi—ha dato origine al movimento armonioso dei Cieli. Questo movimento avviene grazie all'azione delle Intelligenze angeliche motrici, che dirigono la rotazione celeste.

Nel verso 9, l'espressione "l'un moto e l'altro" fa riferimento ai due movimenti opposti dei corpi celesti: quello diurno da est a ovest lungo il piano dell'Equatore celeste e quello annuo da ovest a est lungo l'eclittica. Questi due piani formano un'inclinazione di circa 23 gradi e mezzo e si intersecano nei cosiddetti punti equinoziali, corrispondenti alle posizioni del Sole durante gli equinozi. In questo caso, il Sole si trova nel punto dell'equinozio di primavera.

L'"oblico cerchio" menzionato al verso 13 rappresenta lo Zodiaco, che in realtà è una fascia celeste larga circa 18 gradi. L'inclinazione dello Zodiaco, che coincide con quella dell'eclittica rispetto all'Equatore celeste, è il fattore che determina il ciclo delle stagioni, rendendo possibile la vita sulla Terra (vv. 16-21).

Al verso 22, il termine "banco" potrebbe riferirsi al banco dello studente, ma alcuni studiosi lo collegano invece alla tavola del convivio, poiché Dante utilizza successivamente la metafora del cibo.

Nei versi 31-32 si ribadisce che il Sole si trova nel punto equinoziale (cfr. vv. 8-9). L'immagine delle "spire" si riferisce all'orbita solare, che nel sistema tolemaico era concepita come un percorso a spirale, con il Sole che si muoveva attorno alla Terra. Essendo dopo l'equinozio di primavera, il Sole sorge progressivamente prima ogni giorno.

Nel verso 37, il verbo "scorge" significa "guida", mentre l'espressione "di bene in meglio" indica il passaggio da un cielo a quello superiore, sempre più perfetto.

Il "Sol de li angeli" del verso 53 è una chiara metafora per Dio, paragonato all'astro di questo cielo. Un'immagine simile si ritrova nel verso 76 con l'espressione "quelli ardenti soli", riferita ai beati della prima corona.

Il termine "digesto" (v. 55) è un latinismo con il significato di "ben disposto" o "organizzato con ordine".

Nei versi 67-69 si fa riferimento al fenomeno dell'alone lunare, che appare nel cielo notturno come una fascia luminosa attorno alla Luna (detta anche "figlia di Latona", in quanto associata alla dea Diana). Il termine "zona" indica la fascia luminosa, mentre il "fil" rappresenta il raggio lunare intrappolato nell'umidità dell'atmosfera.

Il verso 78 descrive il moto apparente delle stelle più vicine al polo celeste, caratterizzato da un movimento lento e circolare.

Nei versi 79-81 si richiama la danza delle "ballate", in cui le donne danzavano in cerchio seguendo la ripresa musicale. Dopo aver completato un giro, si cantava la prima strofa e la danza riprendeva ciclicamente. Dante allude al momento in cui le ballerine, dopo aver concluso la ripresa o una strofa, si fermano in attesa di riprendere il ballo.

Al verso 96, l'espressione "u' ben s'impingua se non si vaneggi" è una critica alla decadenza dell'Ordine domenicano, un tema che verrà approfondito da san Tommaso nel Canto XI (vv. 118-139).

Il verso 104 menziona "l'uno e l'altro foro", probabilmente riferendosi alla distinzione tra legge divina e legge umana, concetto elaborato da Graziano e alla base del diritto canonico.

Nei versi 107-108 si trova un riferimento al prologo dei Libri sententiarum di Pietro Lombardo, dove l'autore affermava di offrire il proprio contributo alla Chiesa con la stessa umiltà della vedova evangelica che donò tutto ciò che aveva (Luca, XXI, 1-4).

Il verso 111 richiama il dibattito sulla salvezza di Salomone, la cui saggezza è celebrata come senza pari (a veder tanto non surse il secondo), ma la cui vecchiaia lussuriosa (III Re, XI, 1-9) gettava dubbi sulla sua condizione nell'aldilà. San Tommaso ne darà una spiegazione nel Canto XIII (v. 31 e seguenti).

Nei versi 115-117 compare Dionigi l'Areopagita, al quale veniva attribuito il De coelesti Hierarchia, testo fondamentale per l'angelologia di Dante (cfr. Canto XXVIII).

L'"avvocato de' tempi cristiani" citato nel verso 119 potrebbe essere Paolo Orosio, autore degli Historiarum libri VII adversus paganos, scritto su consiglio di sant'Agostino per sostenere le tesi del De civitate Dei. Tuttavia, alcuni ritengono che si tratti del retore Mario Vittorino.

Il verso 128 menziona Cieldauro, ovvero la basilica di San Pietro in Ciel d'Oro a Pavia, dove fu sepolto Boezio.

Nei versi 134-135 si parla dei pensieri "gravi" che afflissero Sigieri di Brabante, facendogli sembrare il momento della morte particolarmente lungo. Questi tormenti potrebbero derivare dalle persecuzioni subite dai suoi avversari, tra cui lo stesso san Tommaso, ma potrebbero anche riferirsi ai dubbi legati alla sua ricerca filosofica. Le due ipotesi non si escludono reciprocamente.

Il "Vico de li Strami" (v. 137) corrisponde alla Rue du Fouarre di Parigi, dove sorgevano le scuole di filosofia in cui Sigieri insegnava. Il nome della via deriva dall'usanza degli studenti di portare con sé della paglia (strami) su cui sedersi durante le lezioni.

Nei versi 139 e seguenti si trova una delle prime menzioni medievali degli orologi meccanici, che funzionavano con ruote dentate e contrappesi, emettendo un suono attraverso martelletti o campane. La "sposa di Dio" rappresenta la Chiesa, che si alza all'alba per "mattinar lo sposo", ovvero per recitare il Mattutino in onore di Cristo.

Infine, il verbo s'insempra (v. 148) è un neologismo dantesco derivato da "sempre" e significa "diventa eterno" (si veda anche t'insusi, XVII, 13, e s'indova, XXXIII, 138).

Fonti: libri scolastici superiori

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