Parafrasi e Analisi: "Canto I" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Analisi ed Interpretazioni
8) Passi Controversi
Scheda dell'Opera
Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.
Introduzione
Il Canto I del Purgatorio inaugura la seconda Cantica della Divina Commedia e segna l'inizio del viaggio di Dante nel regno della purificazione. Questo canto riveste un ruolo fondamentale, poiché rappresenta il passaggio dall'oscurità e dalla disperazione dell'Inferno alla luce e alla speranza del Purgatorio. Qui viene introdotto il tema centrale del pentimento, con le anime pronte a intraprendere un percorso di purificazione per espiare i propri peccati.
Il verbo «resurga», che compare al verso 7, racchiude il significato profondo di questo canto: la resurrezione spirituale delle anime. Questo percorso di redenzione conduce alla salvezza e culmina nell'ascesa al Paradiso. Il contesto spazio-temporale rafforza questo tema: siamo nella domenica di Pasqua, il giorno in cui i cristiani celebrano la resurrezione di Cristo, e la scena si svolge su una spiaggia illuminata dalla luce dell'alba. Quest'ultima diventa simbolo della Grazia divina che avvolge le anime del Purgatorio, le quali sono sfuggite alla condanna eterna. Inoltre, la luce rappresenta la speranza ritrovata dopo le tenebre infernali.
L'atmosfera descritta è quindi serena e intrisa di fiducia, anticipando un innalzamento dello stile che caratterizzerà l'intera Cantica.
Testo e Parafrasi
Per correr miglior acque alza le vele omai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele; e canterò di quel secondo regno dove l'umano spirito si purga e di salire al ciel diventa degno. Ma qui la morta poesì resurga, o sante Muse, poi che vostro sono; e qui Caliopè alquanto surga, seguitando il mio canto con quel suono di cui le Piche misere sentiro lo colpo tal, che disperar perdono. Dolce color d'oriental zaffiro, che s'accoglieva nel sereno aspetto del mezzo, puro infino al primo giro, a li occhi miei ricominciò diletto, tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta che m'avea contristati li occhi e 'l petto. Lo bel pianeto che d'amar conforta faceva tutto rider l'oriente, velando i Pesci ch'erano in sua scorta. I' mi volsi a man destra, e puosi mente a l'altro polo, e vidi quattro stelle non viste mai fuor ch'a la prima gente. Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle: oh settentrional vedovo sito, poi che privato se' di mirar quelle! Com'io da loro sguardo fui partito, un poco me volgendo a l 'altro polo, là onde il Carro già era sparito, vidi presso di me un veglio solo, degno di tanta reverenza in vista, che più non dee a padre alcun figliuolo. Lunga la barba e di pel bianco mista portava, a' suoi capelli simigliante, de' quai cadeva al petto doppia lista. Li raggi de le quattro luci sante fregiavan sì la sua faccia di lume, ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante. «Chi siete voi che contro al cieco fiume fuggita avete la pregione etterna?», diss'el, movendo quelle oneste piume. «Chi v'ha guidati, o che vi fu lucerna, uscendo fuor de la profonda notte che sempre nera fa la valle inferna? Son le leggi d'abisso così rotte? o è mutato in ciel novo consiglio, che, dannati, venite a le mie grotte?». Lo duca mio allor mi diè di piglio, e con parole e con mani e con cenni reverenti mi fé le gambe e 'l ciglio. Poscia rispuose lui: «Da me non venni: donna scese del ciel, per li cui prieghi de la mia compagnia costui sovvenni. Ma da ch'è tuo voler che più si spieghi di nostra condizion com'ell'è vera, esser non puote il mio che a te si nieghi. Questi non vide mai l'ultima sera; ma per la sua follia le fu sì presso, che molto poco tempo a volger era. Sì com'io dissi, fui mandato ad esso per lui campare; e non lì era altra via che questa per la quale i' mi son messo. Mostrata ho lui tutta la gente ria; e ora intendo mostrar quelli spirti che purgan sé sotto la tua balìa. Com'io l'ho tratto, saria lungo a dirti; de l'alto scende virtù che m'aiuta conducerlo a vederti e a udirti. Or ti piaccia gradir la sua venuta: libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta. Tu 'l sai, ché non ti fu per lei amara in Utica la morte, ove lasciasti la vesta ch'al gran dì sarà sì chiara. Non son li editti etterni per noi guasti, ché questi vive, e Minòs me non lega; ma son del cerchio ove son li occhi casti di Marzia tua, che 'n vista ancor ti priega, o santo petto, che per tua la tegni: per lo suo amore adunque a noi ti piega. Lasciane andar per li tuoi sette regni; grazie riporterò di te a lei, se d'esser mentovato là giù degni». «Marzia piacque tanto a li occhi miei mentre ch'i' fu' di là», diss'elli allora, «che quante grazie volse da me, fei. Or che di là dal mal fiume dimora, più muover non mi può, per quella legge che fatta fu quando me n'usci' fora. Ma se donna del ciel ti muove e regge, come tu di', non c'è mestier lusinghe: bastisi ben che per lei mi richegge. Va dunque, e fa che tu costui ricinghe d'un giunco schietto e che li lavi 'l viso, sì ch'ogne sucidume quindi stinghe; ché non si converria, l'occhio sorpriso d'alcuna nebbia, andar dinanzi al primo ministro, ch'è di quei di paradiso. Questa isoletta intorno ad imo ad imo, là giù colà dove la batte l'onda, porta di giunchi sovra 'l molle limo; null'altra pianta che facesse fronda o indurasse, vi puote aver vita, però ch'a le percosse non seconda. Poscia non sia di qua vostra reddita; lo sol vi mosterrà, che surge omai, prendere il monte a più lieve salita». Così sparì; e io sù mi levai sanza parlare, e tutto mi ritrassi al duca mio, e li occhi a lui drizzai. El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: volgianci in dietro, ché di qua dichina questa pianura a' suoi termini bassi». L'alba vinceva l'ora mattutina che fuggia innanzi, sì che di lontano conobbi il tremolar de la marina. Noi andavam per lo solingo piano com'om che torna a la perduta strada, che 'nfino ad essa li pare ire in vano. Quando noi fummo là 've la rugiada pugna col sole, per essere in parte dove, ad orezza, poco si dirada, ambo le mani in su l'erbetta sparte soavemente 'l mio maestro pose: ond'io, che fui accorto di sua arte, porsi ver' lui le guance lagrimose: ivi mi fece tutto discoverto quel color che l'inferno mi nascose. Venimmo poi in sul lito diserto, che mai non vide navicar sue acque omo, che di tornar sia poscia esperto. Quivi mi cinse sì com'altrui piacque: oh maraviglia! ché qual elli scelse l'umile pianta, cotal si rinacque subitamente là onde l'avelse. |
Per solcare acque migliori alza ormai le vele la piccola nave del mio ingegno, che lascia dietro a sé un mare così crudele; e canterò di quel secondo regno, dove l'anima umana si purifica e diviene degna di salire al Cielo. Ma qui la poesia che [ha cantato] la morte risorga, o sacre Muse, poiché sono vostro; e qui Calliope si elevi di molto, accompagnando il mio canto con quella melodia con cui le sventurate Piche subirono un colpo tale da far loro perdere la speranza del perdono. Un dolce colore azzurro come lo zaffiro orientale, che si diffondeva nella serena atmosfera, puro fino all'orizzonte, ridiede gioia ai miei occhi, non appena io uscii dall'aria tetra [dell'Inferno] che mi aveva rattristato gli occhi e il cuore. Il bel pianeta che induce ad amare illuminava tutto l'oriente, nascondendo la costellazione dei Pesci che gli era vicina. Io mi girai verso destra, e volsi il mio pensiero all'altro polo, e vidi quattro stelle che furono scorte solo dai primi uomini. Il cielo sembrava gioire della loro luce: oh emisfero settentrionale orfano di quella luce, dal momento che sei privato della possibilità di ammirarle! Come io allontanai da esse il mio sguardo, rivolgendomi un poco verso l'altro polo, là dove il Carro era già sparito, mi accorsi vicino a me di un vecchietto solitario, degno, a vedersi, di tanta riverenza che nessun figlio ne deve al padre una maggiore. Portava una lunga barba brizzolata, simile ai suoi capelli, dei quali scendevano sul petto due ciocche. I raggi delle quattro stelle sante incorniciavano il suo volto di luce tanto che io lo vedevo come se fosse di fronte al sole. «Chi siete voi che risalendo al contrario il fiume sotterraneo siete fuggiti alla prigione eterna?», egli disse, muovendo la venerabile barba. «Chi vi ha guidati, o chi vi illuminò, per uscire fuori dalla notte profonda che rende sempre buia la valle infernale? Sono state a tal punto infrante le leggi infernali? Oppure in Cielo è cambiata la legge, così che, voi dannati, giungete ai miei lidi?» La mia guida allora mi prese, e con le parole, con le mani e con i cenni mi fece inginocchiare e abbassare lo sguardo, in segno di riverenza. Dopodiché rispose lui: «Non venni di mia iniziativa: una donna scese dal cielo, per le cui preghiere soccorsi costui con la mia compagnia. Ma poiché è tuo volere che meglio venga spiegata la nostra condizione per come veramente è, il mio volere non può essere che [tale spiegazione] ti si neghi. Questi non vide mai il giorno della morte; ma per la sua colpa fu così vicino ad essa, che pochissimo tempo sarebbe passato [prima che ciò accadesse]. Così come io dissi, fui mandato da lui per salvarlo; e non vi era altra via che questa che ho intrapreso. Gli ho mostrato tutta la gente dannata; ed ora intendo mostrargli quegli spiriti che si purificano sotto la tua custodia. Sarebbe lungo raccontare come io l'abbia guidato; dall'alto scende una virtù che mi aiuta a condurlo a vederti e ad ascoltarti. Ora ti sia grata la sua venuta: va cercando la libertà, che è così preziosa, come sa chi per lei rinuncia alla vita. Tu lo sai, perché per lei non ti fu amara la morte ad Utica, dove lasciasti il corpo che nel gran giorno sarà così luminoso. Le leggi eterne non sono state infrante da noi, perché lui è vivo ed io non sono sottoposto alla giurisdizione di Minosse; io sono [un'anima] del cerchio in cui si trovano gli occhi casti della tua Marzia, che nel suo aspetto ti prega ancora, o venerabile uomo, che tu la consideri sempre tua: per il suo amore quindi esaudisci il nostro desiderio. Lasciaci proseguire per le tue sette cornici; ringrazierò lei per la tua magnanimità, se ritieni sia degno nominarti laggiù». «Marzia piacque tanto ai miei occhi mentre io fui in vita», disse egli quindi, «che ogni volta mi chiese un favore, io acconsentii. Ora che dimora al di là del fiume infernale, non può più commuovermi, per quella legge che fu fatta quando io ne uscii fuori. Ma se una donna del Cielo ti guida e ti sprona, come dici tu, non c'è bisogno di lusinghe: basta che tu me lo richieda in nome suo. Vai dunque, e fai in modo che costui si cinga la vita di un giunco liscio e si lavi il viso, così che venga cancellato ogni sudiciume; perché non sarebbe decoroso, con gli occhi offuscati da qualche impurità, presentarsi di fronte al primo servitore [di Dio], che appartiene a quelli del Paradiso. Questa isoletta lungo la riva, laggiù nel punto dove viene colpita dalle onde, presenta dei giunchi sopra la molle sabbia: nessun'altra pianta che producesse fronde o avesse un tronco rigido, potrebbe crescere, perché non asseconda le percosse delle onde. In seguito non sia di qui il vostro ritorno; il sole, che ormai sorge, vi mostrerà dove salire sul monte per una salita più agevole». E così [Catone] sparì; ed io mi alzai senza parlare, e tutto mi avvicinai alla mia guida, e volsi lo sguardo verso lui. Egli cominciò: «Figliolo, segui i miei passi, volgiamoci indietro, perché qui scende la pianura verso il suo punto più basso». L'alba vinceva il buio dell'ultima ora della notte che fuggiva dinnanzi ad essa, così che da lontano riconobbi il tremolio delle onde del mare. Noi camminavamo per la pianura solitaria come un uomo che ritorna verso la strada smarrita, e gli sembra di camminare invano finché non la raggiunge. Quando noi giungemmo là dove la rugiada resiste al sole, poiché è nel luogo in cui, all'ombra, evapora lentamente, entrambe le mani aperte il mio maestro appoggiò sulla tenera erba in maniera soave: per cui io, che compresi il suo gesto, rivolsi verso di lui il mio viso pieno di lacrime; lì mi rese interamente visibile quel colore naturale che l'Inferno mi aveva nascosto. Giungemmo poi alla spiaggia deserta, che non vide mai solcare le sue acque nessun uomo che fosse capace di ritornare. Qui mi cinse i fianchi così come l'altro volle: oh meraviglia! Perché la pianta umile che egli scelse, così ricrebbe immediatamente là dove l'aveva strappata. |
Riassunto
Versi 1-12: Dopo aver abbandonato il tormento del mare infernale, Dante si prepara a narrare con maggiore serenità il viaggio attraverso il secondo regno dell'Oltretomba: il Purgatorio. Qui le anime si purificano per accedere alla beatitudine del Paradiso. Il poeta, ispirato dal canto, invoca l'aiuto delle Muse, rivolgendosi in particolare a Calliope, chiedendole il sostegno del suo potere, lo stesso che le permise di trionfare contro le Piche.
Versi 13-48: Catone scambia Dante e Virgilio per due fuggitivi. Dante, finalmente libero dall'oscurità infernale, ammira il cielo sereno, illuminato dal pianeta Venere, situato nella costellazione dei Pesci. Rivolgendo lo sguardo verso il cielo australe, scorge quattro stelle mai viste da occhi umani, se non da Adamo ed Eva. Distogliendo lo sguardo, si accorge della presenza di un anziano venerabile: è Catone Uticense. Quest'ultimo, credendo di trovarsi davanti a due anime evase dall'Inferno, chiede chi siano e come abbiano raggiunto quel luogo.
Versi 49-108: Virgilio risponde a Catone e chiede il suo permesso di proseguire. Virgilio fa inginocchiare Dante davanti all'illustre figura e si assume il compito di rispondere ai suoi interrogativi. Gli racconta che una donna celeste ha affidato a lui il compito di guidare Dante nel suo viaggio ultraterreno. Spiega inoltre che il loro obiettivo è la libertà, un valore così prezioso da spingere alcuni a sacrificare persino la vita per ottenerla. Per convincerlo, Virgilio sottolinea che né lui né Dante sono soggetti alle leggi dell'Inferno, essendo lui un'anima del Limbo e Dante ancora vivo. Infine, menziona Marzia, la moglie di Catone, per ottenere il suo consenso. Catone, tuttavia, afferma che consentirà il loro passaggio non per Marzia, ma per rispetto della volontà divina, a condizione che Dante si lavi il volto e cinga i fianchi con un giunco.
Versi 109-136: Virgilio purifica Dante e lo prepara per il viaggio. Concluso il discorso, Catone scompare, e Virgilio conduce Dante lungo la spiaggia fino a un punto dove la rugiada bagna l'erba. Con questa acqua, Virgilio deterge il volto di Dante. Poi, raggiunta un'area più bassa della riva, si china per cogliere un giunco, che ricresce immediatamente dopo essere stato strappato, e lo utilizza per cingere la vita di Dante, completando così il rito richiesto.
Figure Retoriche
v. 4: "Di quel secondo regno": Perifrasi. Per indicare il Purgatorio.
v. 5: "L'umano spirito": Anastrofe.
v. 8: "O sante Muse": Apostrofe.
vv. 11-12: "Sentiro / lo colpo": Enjambement.
v. 15: "Dolce color": Sinestesia. Sfera sensoriale del gusto e della vista.
v. 13: "D'oriental zaffiro": Anastrofe.
v. 14: "Sereno aspetto": Anastrofe.
v. 17: "Aura morta": Perifrasi. Per indicare le tenebre infernali.
v. 18: "'L petto": Metonimia. Il contenente per il contenuto, il petto anziché il cuore.
v. 19: "Lo bel pianeto che d'amar conforta": Perifrasi. Per indicare il pianeta Venere.
v. 20: "Rider l'oriente": Personificazione.
vv. 22-23: "Puosi mente / a l'altro polo": Enjambement.
v. 23: "E vidi quattro stelle": Allegoria. Per indicare le virtù cardinali.
v. 24: "La prima gente": Perifrasi. Per indicare Adamo ed Eva.
v. 25: "Goder pareva": Anastrofe.
v. 26: "Oh settentrional vedovo sito": Apostrofe.
vv. 34-35: "Bianco mista / portava": Enjambement.
v. 37: "Luci sante": Metonimia. L'astratto per il concreto, le luce santi anziché le stelle.
vv. 37-38: "Luci sante / fregiavan": Enjambement.
v. 39: "Ch'i' 'l vedea come 'l sol fosse davante": Similitudine.
v. 41: "Fuggita avete": Anastrofe.
v. 41: "La pregione etterna": Metafora. Riferimento all'Inferno.
v. 42: "Oneste piume": Personificazione.
v. 43: "O che vi fu lucerna": Metafora.
v. 45: "Nera fa": Anastrofe.
v. 49: "Lo duca mio": Anastrofe.
v. 51: "'l ciglio": Sineddoche. La parte per il tutto, il ciglio anziché gli occhi o la testa.
vv. 55-56: "Si spieghi / di nostra": Enjambement.
v. 58: "Non vide mai l'ultima sera": Metafora.
v. 64: "Mostrata ho": Anastrofe.
v. 75: "Lasciasti / la vesta": Enjambement.
v. 75: "La vesta": Metafora. Per indicare il corpo.
vv. 78-79: "Li occhi casti / di Marzia tua": Enjambement.
v. 78: "Li occhi casti": Sineddoche. La parte per il tutto, gli occhi anziché l'onestà morale di Marzia.
v. 79: "Di Marzia tua": Anastrofe.
v. 85: "Occhi miei": Anastrofe.
v. 86: "Ch'i' fu' di là": Perifrasi. Per indicare quando era in vita sulla terra.
v. 94-95: "Ricinghe / d'un giunco": Enjambement.
v. 95: "Giunco schietto": Allegoria.
vv. 98-99: "Primo / ministro": Enjambement.
vv. 109-110: "Mi levai / sanza parlare": Enjambement.
vv. 118-120: "Noi andavam per lo solingo piano com'om che torna a la perduta strada, che 'nfino ad essa li pare ire in vano": Similitudine.
vv. 121-122: "La rugiada / pugna": Enjambement.
v. 134: "Oh maraviglia!": Esclamazione.
vv. 135-136: "Si rinacque / subitamente": Enjambement.
Personaggi Principali
Catone l'Uticense: il custode delle anime nel Purgatorio Marco Porcio Catone, detto il Giovane o l'Uticense per distinguerlo dal celebre avo Catone il Censore, è uno dei protagonisti del Canto I del Purgatorio. Nato a Roma nel 95 a.C., si distinse nella vita politica come questore, tribuno della plebe e infine pretore nel 54 a.C. Convinto difensore dei valori repubblicani, si oppose al primo triumvirato formato da Cesare, Pompeo e Crasso. Durante la guerra civile tra Cesare e Pompeo, riconobbe nel primo una minaccia agli ideali repubblicani e si schierò con Pompeo. Dopo la sconfitta di questi ultimi a Tapso nel 46 a.C., Catone, per non piegarsi al dominio cesariano, scelse di togliersi la vita a Utica, città dell'Africa settentrionale.
Un simbolo di virtù nel Purgatorio Sorge spontanea una domanda: perché Dante assegna a Catone, pagano e suicida, il ruolo di custode del Purgatorio, regno delle anime destinate alla salvezza? La scelta potrebbe sembrare in contrasto con i valori cari al poeta, come il sostegno all'Impero rappresentato da Cesare. Tuttavia, nel Medioevo Catone veniva associato a una vita austera, moralmente integra e caratterizzata dal rifiuto dei beni terreni, qualità vicine all'etica cristiana.
Dante interpreta il suicidio di Catone non come un atto di disperazione, ma come un sacrificio per proteggere un valore più grande: la libertà civile. Questa libertà, nel contesto dantesco, diventa precorritrice di quella interiore necessaria alle anime del Purgatorio per raggiungere il Paradiso.
Un trattamento unico per Catone Nel poema, Catone rappresenta la perfezione umana al suo massimo livello terreno: libero dalle passioni e dedito al bene comune. Per questo Dante gli attribuisce un destino eccezionale: al verso 75 del Canto I del Purgatorio, prevede che Catone sarà assunto in Paradiso dopo il Giudizio Universale. Questo onore non è concesso nemmeno a Virgilio, maestro e guida del poeta. Catone diventa così un esempio universale di integrità morale e libertà, una figura capace di trascendere le convenzioni del suo tempo per incarnare un ideale eterno.
Analisi ed Interpretazioni
Il primo canto del Purgatorio si apre con un proemio che segna un nuovo inizio all'interno della Commedia. Se nel secondo canto dell'Inferno Dante aveva invocato genericamente le Muse, qui si rivolge specificamente a Calliope, musa della poesia epica, affinché guidi la "navicella" del suo ingegno in un mare meno crudele rispetto a quello dell'Inferno. Questa invocazione richiama un topos letterario della tradizione classica e anticipa un tema centrale della Cantica: la necessità di un'ispirazione divina per affrontare la narrazione di realtà così elevate.
Il mito delle figlie di Pierio
Il proemio è arricchito dal mito delle figlie di Pierio, re di Tessaglia, che osarono sfidare le Muse in una gara di canto e furono sconfitte da Calliope. Punite per la loro superbia, furono trasformate in gazze dal verso sgraziato. Questo ammonimento contro l'arroganza umana pone l'intera Cantica sotto il segno dell'umiltà, condizione indispensabile per il cammino verso la salvezza.
L'apertura del Purgatorio
Il Canto si apre con una descrizione visiva: Dante e Virgilio, tornati all'aperto dopo l'oscurità infernale, respirano aria pura sotto un cielo azzurro, appena prima dell'alba della domenica di Pasqua, simbolo della Resurrezione e della vittoria sul peccato. Nel cielo risplendono quattro stelle, mai viste dall'emisfero settentrionale, che simboleggiano le quattro virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Il possesso di queste virtù è fondamentale per il raggiungimento della felicità terrena, rappresentata simbolicamente dal colle del Canto I dell'Inferno, e per iniziare l'ascesa al monte del Purgatorio.
L'incontro con Catone l'Uticense
Dante e Virgilio vengono accolti da Catone l'Uticense, custode del Purgatorio, la cui presenza in questo luogo ha suscitato molte discussioni fra i commentatori. Nonostante fosse un pagano e suicida, Dante lo colloca qui come simbolo della libertà, sia politica che morale, e come esempio di salvezza sorprendente ottenuta per giudizio divino. La sua figura richiama una lunga tradizione letteraria che ne esalta la virtù e la dignità. Virgilio tenta di giustificare il viaggio di Dante facendo riferimento a Beatrice e rammentando a Catone la propria esperienza nel Limbo e il suo legame con Marzia, ma il custode ribadisce che solo l'intervento divino può legittimare il passaggio.
Riti di purificazione
Prima di proseguire, Dante deve sottoporsi a due atti rituali: lavare il viso dalle tracce dell'Inferno e cingersi i fianchi con un giunco liscio, simbolo di umiltà e sottomissione alla volontà divina. Questo giunco, unico vegetale a crescere sulla spiaggia del Purgatorio, si piega al battere delle onde, un'allegoria della docilità dell'anima alla grazia divina. La pianta, strappata da Virgilio, ricresce immediatamente, segnando il passaggio a un regno retto da leggi completamente diverse rispetto all'Inferno.
Il ruolo simbolico di Virgilio e Catone
Virgilio continua a rappresentare la ragione umana, ma nel Purgatorio il suo limite emerge con maggiore evidenza: la sola razionalità non è sufficiente per la salvezza, che richiede l'intervento della grazia divina. Il dialogo con Catone, carico di tensioni e simbolismi, riflette il disagio della ragione moderna di fronte al mistero della fede e alla dimensione trascendente.
Un nuovo inizio nella narrazione
Come i primi due canti dell'Inferno avevano introdotto la Commedia e la prima cantica, il primo canto del Purgatorio assume un ruolo proemiale per la seconda cantica. La struttura segue la tradizione classica, con una protasi (versi 1-6), dove si introduce l'argomento, e un'invocazione alle Muse (versi 7-12). Il richiamo a figure e temi del Canto I dell'Inferno sottolinea la continuità narrativa, ma l'atmosfera è radicalmente diversa: la luce, l'aria e i simboli di speranza preannunciano il percorso di redenzione che caratterizzerà l'intera Cantica.
Passi Controversi
Calliope (v. 9), la Musa della poesia epica, è invocata da Dante, probabilmente ispirandosi a Virgilio nell'Eneide (IX, 525), dove si legge: Vos, o Calliope, precor, aspirate canenti («Voi Muse, e tu, Calliope, vi prego, ispirate colui che canta»).
Le Piche (v. 11) si riferiscono alle Pieridi, figlie del re tessalo Pierio, che, osando sfidare le Muse nel canto, furono sconfitte da Calliope e trasformate in gazze dal verso stridulo, seguendo il racconto di Ovidio nelle Metamorfosi (V, 302 e seguenti).
Il "mezzo" citato al v. 15 rappresenta l'aria, mentre il "primo giro" indica la linea dell'orizzonte, non il Cielo della Luna, poiché secondo le teorie dell'epoca l'atmosfera non si estendeva fino a quel punto.
Al v. 16, l'espressione "ricominciò diletto" va intesa come "restituì gioia", con diletto utilizzato come sostantivo.
Il "bel pianeta" (v. 19) è Venere mattutina, che con la sua luce oscura la costellazione dei Pesci sull'orizzonte. Studi astronomici moderni suggeriscono, però, che nella primavera del 1300 Venere fosse vespertina, portando alcuni a ipotizzare che il viaggio immaginato da Dante avvenga nel 1301.
La "prima gente" (v. 24) indica Adamo ed Eva, unici a contemplare dall'Eden le quattro stelle.
La descrizione di Catone (vv. 34-36) richiama il Bellum Civile di Lucano (II, 373 e seguenti), dove si narra che l'uomo non avrebbe più tagliato barba o capelli dopo la sconfitta di Cesare.
Il "cieco fiume" (v. 40) è il ruscello che, partendo dal Purgatorio, scorre nella "natural burella" fino all'Inferno, percorso in senso inverso dai due poeti.
I celebri vv. 71-72 sono stati ripresi da autori successivi, come Ugo Foscolo nel descrivere il suicidio di Jacopo Ortis.
La "vesta" (v. 75) rappresenta il corpo mortale di Catone, che tornerà a risplendere nel Giorno del Giudizio, prefigurando la sua salvezza eterna.
I vv. 85-87, in cui Catone risponde a Virgilio a proposito di Marzia, potrebbero alludere al fatto storico secondo cui Catone ripudiò e poi riprese con sé la moglie, cedendo alle sue suppliche. Dante stesso accenna a questo episodio nel Convivio (IV, 28), interpretandolo simbolicamente: il ritorno di Marzia rappresenterebbe l'anima che torna a Dio alla fine della vita.
Il "primo ministro" citato nei vv. 98-99 è, con ogni probabilità, l'angelo custode della porta del Purgatorio, e non il nocchiero che Dante incontrerà nel canto successivo, anche se la questione è dibattuta.
Nel v. 115, "L'alba vinceva l'ora mattutina" descrive il momento in cui l'alba prevale sull'ultima ora della notte, detta appunto "mattutino"; ora, quindi, non significa né "aura" né "ombra".
I vv. 131-132 richiamano chiaramente l'episodio di Ulisse narrato nell'Inferno (XXVI, 85 e seguenti), dove l'eroe, spingendosi oltre le colonne d'Ercole, scorge la montagna del Purgatorio prima di perire nel naufragio voluto da Dio.
Infine, il giunco che rinasce dove viene strappato (vv. 134-136) richiama un passo dell'Eneide (VI, 143-144), dove il ramoscello d'oro, offerto a Proserpina, si rigenera immediatamente dopo essere stato raccolto da Enea.
Fonti: libri scolastici superiori