Parafrasi e Analisi: "Canto VIII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto VIII del Purgatorio rappresenta un momento di transizione emotiva e simbolica, caratterizzato da un'atmosfera di quiete al calar della sera, che sottolinea il ritmo temporale e spirituale della seconda cantica. Qui Dante approfondisce il tema del tempo come elemento centrale del percorso di purificazione, mettendo in luce l'importanza della preghiera e della speranza nell'ascesa verso la salvezza.

Il canto è permeato da un senso di comunione spirituale, in cui il canto collettivo e il paesaggio evocano una dimensione di sacralità e riflessione. Attraverso immagini poetiche e simbolismi, l'autore introduce questioni etiche e dottrinali legate alla condizione delle anime del Purgatorio, offrendo uno spunto di meditazione sull'interazione tra umano e divino. Inoltre, il crepuscolo segna una pausa nel viaggio, invitando il lettore a contemplare il valore della fede e della preghiera come strumenti per avvicinarsi a Dio.


Testo e Parafrasi


Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio;

e che lo novo peregrin d'amore
punge, se ode squilla di lontano
che paia il giorno pianger che si more;

quand' io incominciai a render vano
l'udire e a mirare una de l'alme
surta, che l'ascoltar chiedea con mano.

Ella giunse e levò ambo le palme,
ficcando li occhi verso l'orïente,
come dicesse a Dio: 'D'altro non calme'.

'Te lucis ante' sì devotamente
le uscìo di bocca e con sì dolci note,
che fece me a me uscir di mente;

e l'altre poi dolcemente e devote
seguitar lei per tutto l'inno intero,
avendo li occhi a le superne rote.

Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero,
ché 'l velo è ora ben tanto sottile,
certo che 'l trapassar dentro è leggero.

Io vidi quello essercito gentile
tacito poscia riguardare in sùe,
quasi aspettando, palido e umìle;

e vidi uscir de l'alto e scender giùe
due angeli con due spade affocate,
tronche e private de le punte sue.

Verdi come fogliette pur mo nate
erano in veste, che da verdi penne
percosse traean dietro e ventilate.

L'un poco sovra noi a star si venne,
e l'altro scese in l'opposita sponda,
sì che la gente in mezzo si contenne.

Ben discernëa in lor la testa bionda;
ma ne la faccia l'occhio si smarria,
come virtù ch'a troppo si confonda.

«Ambo vegnon del grembo di Maria»,
disse Sordello, «a guardia de la valle,
per lo serpente che verrà vie via».

Ond' io, che non sapeva per qual calle,
mi volsi intorno, e stretto m'accostai,
tutto gelato, a le fidate spalle.

E Sordello anco: «Or avvalliamo omai
tra le grandi ombre, e parleremo ad esse;
grazïoso fia lor vedervi assai».

Solo tre passi credo ch'i' scendesse,
e fui di sotto, e vidi un che mirava
pur me, come conoscer mi volesse.

Temp' era già che l'aere s'annerava,
ma non sì che tra li occhi suoi e ' miei
non dichiarisse ciò che pria serrava.

Ver' me si fece, e io ver' lui mi fei:
giudice Nin gentil, quanto mi piacque
quando ti vidi non esser tra ' rei!

Nullo bel salutar tra noi si tacque;
poi dimandò: «Quant' è che tu venisti
a piè del monte per le lontane acque?».

«Oh!», diss' io lui, «per entro i luoghi tristi
venni stamane, e sono in prima vita,
ancor che l'altra, sì andando, acquisti».

E come fu la mia risposta udita,
Sordello ed elli in dietro si raccolse
come gente di sùbito smarrita.

L'uno a Virgilio e l'altro a un si volse
che sedea lì, gridando: «Sù, Currado!
vieni a veder che Dio per grazia volse».

Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado
che tu dei a colui che sì nasconde
lo suo primo perché, che non lì è guado,

quando sarai di là da le larghe onde,
dì a Giovanna mia che per me chiami
là dove a li 'nnocenti si risponde.

Non credo che la sua madre più m'ami,
poscia che trasmutò le bianche bende,
le quai convien che, misera!, ancor brami.

Per lei assai di lieve si comprende
quanto in femmina foco d'amor dura,
se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende.

Non le farà sì bella sepultura
la vipera che Melanesi accampa,
com' avria fatto il gallo di Gallura».

Così dicea, segnato de la stampa,
nel suo aspetto, di quel dritto zelo
che misuratamente in core avvampa.

Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo,
pur là dove le stelle son più tarde,
sì come rota più presso a lo stelo.

E 'l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?».
E io a lui: «A quelle tre facelle
di che 'l polo di qua tutto quanto arde».

Ond' elli a me: «Le quattro chiare stelle
che vedevi staman, son di là basse,
e queste son salite ov' eran quelle».

Com' ei parlava, e Sordello a sé il trasse
dicendo: «Vedi là 'l nostro avversaro»;
e drizzò il dito perché 'n là guardasse.

Da quella parte onde non ha riparo
la picciola vallea, era una biscia,
forse qual diede ad Eva il cibo amaro.

Tra l'erba e ' fior venìa la mala striscia,
volgendo ad ora ad or la testa, e 'l dosso
leccando come bestia che si liscia.

Io non vidi, e però dicer non posso,
come mosser li astor celestïali;
ma vidi bene e l'uno e l'altro mosso.

Sentendo fender l'aere a le verdi ali,
fuggì 'l serpente, e li angeli dier volta,
suso a le poste rivolando iguali.

L'ombra che s'era al giudice raccolta
quando chiamò, per tutto quello assalto
punto non fu da me guardare sciolta.

«Se la lucerna che ti mena in alto
truovi nel tuo arbitrio tanta cera
quant' è mestiere infino al sommo smalto»,

cominciò ella, «se novella vera
di Val di Magra o di parte vicina
sai, dillo a me, che già grande là era.

Fui chiamato Currado Malaspina;
non son l'antico, ma di lui discesi;
a' miei portai l'amor che qui raffina».

«Oh!», diss' io lui, «per li vostri paesi
già mai non fui; ma dove si dimora
per tutta Europa ch'ei non sien palesi?

La fama che la vostra casa onora,
grida i segnori e grida la contrada,
sì che ne sa chi non vi fu ancora;

e io vi giuro, s'io di sopra vada,
che vostra gente onrata non si sfregia
del pregio de la borsa e de la spada.

Uso e natura sì la privilegia,
che, perché il capo reo il mondo torca,
sola va dritta e 'l mal cammin dispregia».

Ed elli: «Or va; che 'l sol non si ricorca
sette volte nel letto che 'l Montone
con tutti e quattro i piè cuopre e inforca,

che cotesta cortese oppinïone
ti fia chiavata in mezzo de la testa
con maggior chiovi che d'altrui sermone,

se corso di giudicio non s'arresta».
Era ormai giunta l'ora del tramonto, che spinge
i marinari alla nostalgia e li fa commuovere ripensando al giorno
in cui sono partiti ed hanno detto addio agli amici più cari;

l'ora in cui il viaggiatore, da poco partito, viene spinto
a ricordare l'amore, se sente provenire da lontano il
suono di una campana, che sembra piangere il giorno che muore;

quando io incominciai a non preoccuparmi più
di ciò che udivo e guardai una delle anime che si era alzata,
e gesticolando con la mano chiedeva di essere ascoltata.

Quell'anima unì le mani e le alzò al cielo,
fissando il proprio sguardo verso oriente,
come per dire a Dio "Di altro non mi importa".

L'inno 'Te lucis ante' con tanta devozione
le uscì dalla bocca e con una intonazione tanto dolce,
che fui come rapito, rimasi estasiato;

tutte le altre anime, con la stessa dolcezza e devozione,
la seguirono nel canto di tutto l'inno,
tenendo lo sguardo fisso alle sfere celesti.

Lettore, fai adesso molto attenzione alla verità in ciò che ti
racconto, perché il velo che la ricopre è ora tanto sottile
che è facile oltrepassarlo per poterla comprendere.

Io vivi quel gruppo di anime nobili
fissare lo sguardo al cielo in silenzio, come ad
aspettare qualcosa, in atteggiamento timoroso e umile;

e vidi quindi apparire in cielo, e scendere giù verso di loro,
due angeli con le spade infuocate,
troncate all'estremità, prive della loro punta.

Verdi, come tenere foglie appena spuntate,
erano le vesti dei due angeli, e le loro ali, anch'esse verdi,
le agitavano e smuovevano, facendole svolazzare.

Uno dei due si piazzò poco sopra di noi, al limite superiore della
valle, e l'altro si mise sul lato opposto della stessa,
così da chiudere tra di loro tutta la folla di anime.

La loro chioma bionda era facilmente distinguibile; il mio
sguardo si smarriva invece nel tentativo di guardarli in viso,
come una virtù tanto grande da non poter essere ben definita.

"Entrambi gli angeli sono stati inviati dalla Madonna",
spiegò Sordello, "per stare a guardia della valle,
proteggendola dal serpente che prima o poi verrà a minacciarla."

Allora io, che non sapevo da quale direzione sarebbe arrivato,
mi guardai intorno timoroso, e mi strinsi,
gelato dalla paura, alle spalle della mia fidata guida.

Sordello continuò il suo discorso: "Scendiamo adesso a valle,
tra le anime di quelle nobili persone, per parlare loro;
sarà per loro un grande piacere vedervi."

Credo di aver fatto solo pochi passi verso il basso
che già mi trovai nella valle, e vidi uno che mi osservava
attentamente, come sforzandosi di riconoscermi.

Era ormai giunta l'ora in cui il cielo diventa nero,
ma non tanto che ai suoi occhi ed ai miei non apparisse chiaro
ciò che che prima era incerto, se ci conoscevamo.

Lui venne verso di me ed io andai verso di lui:
nobile giudice Nino, Ugolino Visconti, quanto mi fece piacere
vedere che non ti trovavi tra le anime dannate!

Ci salutammo in tutti i modi più cortesi, senza saltarne uno;
poi lui mi domandò: "Da quanto tempo sei arrivato
ai piedi del monte del purgatorio, attraverso l'immenso oceano?"

Risposi: "Oh, ti sbagli! Attraversando i luoghi tristi dell'inferno,
sono arrivato questa mattina, vivo ancora la mia vita mortale,
e con questo viaggio cerco di meritarmi l'altra, quella eterna."

Subito dopo aver ascoltato la mia risposta,
Sordello e Nino indietreggiarono un poco,
come chi rimane confuso per un improvviso stupore.

Uno guardò Virgilio, l'altro rivolse invece lo sguardo ad un'anima
che sedeva lì vicino, gridandogli: "Alzati Corrado!
Viene a vedere che cosa ha voluto la grazia di Dio."

Poi, rivolto a me disse: "Per quella particolare gratitudine
che devi a Dio, colui che nasconde tanto bene
il motivo delle sue azioni, che non c'è modo di scoprirla,

quando sarai dall'altra parte dell'oceano, nuovamente tra i vivi,
chiedi a mia figlia Giovanna di pregare Dio in mio favore,
là dove le richieste degli innocenti possono trovare una risposta in Dio.

Non credo che sua madre mi ami ancora, dopo che abbandonò,
per sposarsi nuovamente, le bianche bende del lutto,
che, povera infelice, dovrà però indossare nuovamente.

Dal suo atteggiamento si vede facilmente
quanto possa durare in una donna il fuoco d'amore, quando gli
occhi e le mani dell'amante non lo alimentano di frequente.

Non le darà una sepoltura così bella, non le ornerà la tomba così
bene, lo stemma con la vipera sotto il quale i milanesi
combattono, come avrebbe potuto invece fare il mio gallo, stemma della Gallura."

Disse queste parole, segnato
nell'aspetto da un'espressione di indignazione
che senza eccessi, in modo misurato, gi ardeva nel cuore.

I miei occhi, curiosi, si rivolgevano spesso al cielo,
verso il polo, là dove le stelle sono più lente nel movimento,
così come una ruota è più lenta in prossimità del proprio asse.

Mi chiese Virgilio: "Figliolo, cosa guardi su in cielo?"
Gli risposi: "Sto guardando quelle tre stelle,
la cui luce fa risplendere tutto il polo antartico."

Mi disse allora la mia guida: "Le quattro stelle luminose
che hai visto questa mattina, sono ormai basse sotto l'orizzonte,
e queste tre hanno preso il loro posto in cielo."

Mentre Virgilio parlava, Sordello lo tirò a sé,
dicendo: "Guarda il nostro nemico!"
e stese il dito per indicare dove guardare.

Dalla parte in cui non era riparata dal monte
quella piccola valle, c'era un serpente, forse quello stesso
che spinse Eva a mangiare la mela, per poi subirne le amare conseguenze.

Quel malefico serpente strisciava tra l'erba ed i fiori,
girando da una parte e dall'altra il capo, e leccandosi il dorso
come fanno le bestie quando si lisciano il pelo.

Non vidi, e perciò non posso raccontare,
in che modo i due angeli celesti si mossero, come uccelli rapaci;
ma li vidi molto bene dopo che si lanciarono verso il serpente.

Sentendo il rumore dell'aria percossa da quelle ali verdi,
il serpente subito fuggì e gli angeli poterono tornare indietro,
volando in alto insieme verso i due posti di guardia.

Lo spirito che si era avvicinato al giudice, dopo essere stato
da lui chiamato, durante tutta la durata di quell'attacco
tenne sempre fisso su di me lo sguardo.

"Ti auguro che la luce della Grazia divina che ti conduce
fino al cielo, possa trovare in te tutta quella forza di volontà
che è necessaria per poter salire fino al Paradiso, alla vetta del monte",

cominciò a dire quell'anima, "se hai notizie vere
sulla Val di Magra o sui luoghi vicini,
raccontameli, perché là, in vita, ero un personaggio importante.

Il mio nome fu Corrado Malaspina;
non il Corrado capostipite dei Malaspina, ma un suo discendente;
rivolsi troppo amore alla mia famiglia, e per questo sconto qui la mia pena.

Dissi io a lui: "Nelle vostre terre
non sono mai stato; ma esiste un luogo abitato
in tutta l'Europa dove esse non siano conosciute?

La fama che onora la vostra famiglia
esalta i vostri signori ed il vostro territorio,
così che sono conosciuti anche da chi non c'è ancora stato là;

e vi giuro, possa mai salire in cima al monte,
che la vostra gente non ha smesso di meritarsi
la massima ricchezza e il massimo valore militare.

Le sue abitudini e la sua stessa natura la rendono tanto
straordinaria che, nonostante Roma corrotta distolga il mondo
intero dal seguire la retta via, essa prosegue da sola nella giusta via e disprezza il male.

Mi disse Corrado: "Vai ora; perché il sole non passerà per più di
sette volte nella costellazione dell'Ariete, che con le sue quattro
zampe copre il cielo, non passeranno più di sette primavere, più di sette anni,

prima che questa tua gentile opinione riguardo ai Malaspina,
ti sarà inchiodata nella testa
con chiodi più convincenti delle dicerie d'altre persone,

a meno che non si arresti il corso delle decisioni divine."



Riassunto


La preghiera della sera (vv. 1-18)
Con il sopraggiungere della sera, un senso di nostalgia invade chi è lontano dalla propria terra. Una delle anime, rivolgendosi a oriente con le mani giunte, intona dolcemente il canto Te lucis ante, portando un momento di raccoglimento.

Gli angeli guardiani della valletta (vv. 19-42)
Due angeli scendono dal cielo, avvolti in vesti verdi e con ali dello stesso colore, brandendo spade spuntate e fiammeggianti. Si posizionano ai lati opposti della valletta, pronti a difendere gli spiriti dal serpente in arrivo, come spiega Sordello.

L'arrivo del buio e l'incontro con Nino Visconti (vv. 43-84)
Tra le ombre che avanzano, Dante si accorge di uno spirito che lo osserva con attenzione: è Nino Visconti, nipote del conte Ugolino (Inf., XXXIII). Nino si stupisce nel vedere Dante vivo e invita Corrado Malaspina ad avvicinarsi per testimoniare l'evento straordinario. Chiede poi a Dante di far pregare per lui la figlia Giovanna, lamentandosi però della moglie Beatrice d'Este, che si è risposata con Galeazzo Visconti.

Le tre stelle (vv. 85-93)
Dante volge lo sguardo al cielo e nota tre stelle brillanti, simbolo delle virtù teologali. Queste hanno preso il posto delle quattro stelle viste al mattino, che avevano illuminato il volto di Catone e ora sono tramontate.

Gli angeli mettono in fuga il serpente (vv. 94-108)
Sordello invita Dante a osservare la valletta, dove appare il serpente, simile a quello che tentò Adamo ed Eva. Gli angeli intervengono prontamente, facendolo fuggire, e poi riprendono le loro posizioni di guardia.

Dialogo con Corrado Malaspina e profezia dell'esilio (vv. 109-149)
Dopo il pericolo, Corrado Malaspina si avvicina a Dante e gli chiede notizie della propria famiglia. Dante lo rassicura, dicendo che la loro reputazione è ancora rispettata per la rettitudine. Corrado, prima di congedarsi, profetizza che Dante sperimenterà presto l'ospitalità e la cortesia della sua famiglia entro sette anni.


Figure Retoriche


vv. 1-2: "Il disio / ai navicanti": Enjambement.
vv. 2-3: "Il core / lo": Enjambement.
vv. 4-5: "D'amore / punge": Enjambement.
vv. 5-6: "Se ode squilla di lontano che paia il giorno pianger che si more": Similitudine.
vv. 7-8: "A render vano / l'udire": Enjambement.
v. 16: "Dolcemente e devote": Endiadi.
v. 17: "L'inno intero": Anastrofe.
vv. 19-21: "Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, ché 'l velo è ora ben tanto sottile, certo che 'l trapassar dentro è leggero": Apostrofe.
vv. 20-21: "Chè 'l velo è ora ben tanto sottile, certo che 'l trapassar dentro è leggero": Iperbole.
vv. 23-24: "Riguardare in sùe quasi aspettando": Similitudine.
vv. 28-29: "Verdi come fogliette pur mo nate erano in veste": Similitudine.
v. 34: "La testa bionda": Sineddoche. Il tutto per la parte, la testa anziché i capelli.
vv. 35-36: "L'occhio si smarria, come virtù ch'a troppo si confonda": Similitudine.
v. 42: "A le fidate spalle": Sineddoche. La parte per il tutto, per indicare Virgilio, la guida fidata.
vv. 47-48: "Mirava / pur me": Enjambement.
v. 48: "Come conoscer mi volesse": Similitudine.
v. 58: "I luoghi tristi": Perifrasi. Per indicare l'inferno.
vv. 62-63: "In dietro si raccolse come gente di sùbito smarrita": Similitudine.
v. 76: "Assai di lieve": Antitesi.
vv. 79-81: "Non le farà sì bella sepultura la vipera che Melanesi accampa, com'avria fatto il gallo di Gallura": Similitudine.
v. 84: "In core avvampa": Metafora.
v. 87: "Sì come rota più presso a lo stelo": Similitudine.
v. 95: "'l nostro avversaro": Perifrasi. Per indicare il demonio.
vv. 128-129: "Non si sfregia / del pregio": Enjambement.
vv. 133-135: "Or va; che 'l sol non si ricorca sette volte nel letto che 'l Montone con tutti e quattro i piè cuopre e inforca": Perifrasi. Per dire "non passeranno sette anni".


Analisi ed Interpretazioni


Il tema dell'esilio e la rappresentazione sacra nella valletta
Il canto si apre con il malinconico ricordo del tramonto, evocando la nostalgia che pervade il cuore del navigante al calar della sera, specialmente quando risuona il suono delle campane che indicano l'ora della compieta. Questa scena richiama il senso dell'esilio, tema centrale del Purgatorio, che riflette la condizione dell'anima separata dalla beatitudine celeste, ma ancora legata ai ricordi terreni e alla necessità di espiare.

La valletta fiorita diventa il teatro di una rappresentazione allegorica di grande intensità: la preghiera serale degli spiriti introduce l'intervento di due angeli, inviati per proteggere le anime dalla tentazione notturna rappresentata da un serpente, simbolo del peccato originale. Questo momento, intriso di serenità e grazia divina, si contrappone alla scena iniziale della Commedia in cui le fiere impedivano a Dante di avanzare. Qui, invece, la forza della preghiera e la vigilanza celeste vincono sulla tentazione, sottolineando che, a differenza dei vivi ancora esposti al peccato, gli spiriti sono ormai salvi e immuni.

Dante stesso invita il lettore a prestare attenzione al significato allegorico della scena, avvertendo che il confine tra allegoria e verità è sottile. La valletta richiama simbolicamente l'Eden, e le tre stelle viste in cielo rappresentano le virtù teologali – fede, speranza e carità – indispensabili per il cammino di redenzione. L'intero episodio sembra rivolgersi più ai vivi che alle anime già salve, esortandoli a cercare la grazia divina per resistere al male.

Gli incontri con Nino Visconti e Corrado Malaspina
Nel cuore della rappresentazione allegorica, Dante incontra due spiriti: Nino Visconti e Corrado Malaspina. Nino, ex giudice di Gallura e amico di Dante, era stato coinvolto nelle lotte politiche di Pisa, ma si distingue ora per la pace interiore raggiunta. Il loro dialogo è intriso di affetto e ricorda altri incontri del Purgatorio, come quello con Casella. Nino esprime preoccupazione per la dimenticanza della vedova Beatrice, risposata dopo la sua morte, ma il suo tono non è accusatorio; si limita a sperare che la figlia Giovanna preghi per lui. Questo momento riflette il tema del distacco dalle cure terrene, con Nino ormai proiettato verso la salvezza.

Corrado Malaspina, membro di una famiglia nota per il valore cavalleresco e la generosità, rappresenta un omaggio di Dante ai suoi benefattori durante l'esilio. Egli profetizza che Dante sperimenterà di persona la nobiltà della sua famiglia, anticipando gli eventi del 1306, quando il poeta troverà asilo presso i Malaspina. Corrado incarna la virtù cavalleresca intesa come equilibrio tra liberalità e valore, opposta all'avarizia e alla meschinità.

Un messaggio di speranza e redenzione
Il canto si chiude su una nota di grande serenità. La scena degli angeli che scacciano il serpente non trasmette angoscia, bensì la certezza che la grazia divina è sempre presente e accessibile a chiunque si penta e si affidi a Dio. Anche il comportamento degli spiriti riflette questa pace: la loro preghiera e i loro dialoghi con Dante sono espressioni di un'accettazione consapevole del percorso verso la beatitudine. Il canto, nel suo insieme, invita il lettore a riconoscere il potere della fede e della speranza, sottolineando che la redenzione è sempre possibile per chi la cerca con sincerità.


Passi Controversi


Il verso 3 può essere interpretato come complemento di tempo, riferendosi al giorno in cui si è detto addio ai dolci amici. Tuttavia, alcuni studiosi, come Tommaseo e Pagliaro, lo considerano soggetto di "volge," "'ntenerisce," e "punge.".

La "squilla" menzionata al verso 5 probabilmente allude alla campana che segna l'ultima ora canonica di compieta, momento in cui si recitava l'inno Te lucis ante e il Salve, Regina, intonato anche nel canto precedente. Alcuni hanno ipotizzato che si tratti del suono serale dell'Ave Maria, ma non vi sono prove certe che tale usanza fosse diffusa in Italia al tempo della composizione di questi versi.

Nei versi 19-21 si invita il lettore a osservare con attenzione la verità sottesa alla rappresentazione allegorica, poiché il sottile velo dell'allegoria rende facile confondere realtà e simbolo.

Il verso 37 (Ambo vegnon del grembo di Maria) potrebbe indicare che i due angeli provengono dall'Empireo, anche se non si esclude che sia stata Maria stessa a inviarli, dato che il Salve, Regina era diretto a Lei.

Le "bianche bende" del verso 74 si riferiscono probabilmente alle fasce bianche portate dalle vedove intorno al capo sopra le vesti nere, in segno di lutto.

Il verso 80 (la vipera che Melanesi accampa) si riferisce all'emblema dei milanesi, una biscia che ingoia un saraceno, simbolo che li rappresenta. Alcuni manoscritti riportano "l' Melanese," interpretandolo come un riferimento a Galeazzo Visconti, il quale avrebbe introdotto tale stemma.

L'espressione "suso a le poste" (verso 108) è generalmente interpretata come un riferimento alle sedi celesti, ma vi è anche chi ritiene che indichi i lati della valletta dove gli angeli svolgono la loro funzione di guardiani.

Il "sommo smalto" del verso 114 si può intendere come l'Eden, posto sulla sommità del monte e ricco di fiori smaglianti; altri, però, lo identificano con il Paradiso Celeste.

Il "pregio de la borsa e de la spada" (verso 129) richiama il concetto provenzale di pretz, ovvero l'onore cavalleresco basato su generosità (borsa) e valore militare (spada).

Al verso 131, "il capo reo" potrebbe essere sia soggetto che oggetto di "torca," ma l'interpretazione più plausibile è la seconda, ovvero "per quanto il mondo volga il capo verso ciò che non dovrebbe.".

Infine, i versi 133-135 indicano che il sole non entrerà in congiunzione con la costellazione dell'Ariete, dove si trova attualmente, per più di sette volte: ciò equivale a dire che non passeranno più di sette anni.

Fonti: libri scolastici superiori

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