Parafrasi e Analisi: "Canto VII" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto VII del Purgatorio di Dante Alighieri si apre in un'atmosfera di transizione e riflessione, proseguendo il viaggio nel regno della penitenza e della speranza. In questa sezione, il poeta continua a esplorare temi legati alla redenzione, alla memoria dei defunti e al ruolo delle relazioni umane e divine nel percorso di purificazione delle anime. Il canto si caratterizza per un dialogo carico di significato, che intreccia elementi di politica, storia e spiritualità, ponendo al centro la questione della responsabilità morale e del destino delle nazioni e degli individui. La narrazione si arricchisce inoltre di suggestioni poetiche e simboliche che ampliano la visione cosmica e teologica della Commedia, in un equilibrio tra meditazione personale e riflessione universale.


Testo e Parafrasi


Poscia che l'accoglienze oneste e liete
furo iterate tre e quattro volte,
Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?».

«Anzi che a questo monte fosser volte
l'anime degne di salire a Dio,
fur l'ossa mie per Ottavian sepolte.

Io son Virgilio; e per null' altro rio
lo ciel perdei che per non aver fé».
Così rispuose allora il duca mio.

Qual è colui che cosa innanzi sé
sùbita vede ond' e' si maraviglia,
che crede e non, dicendo «Ella è... non è...»,

tal parve quelli; e poi chinò le ciglia,
e umilmente ritornò ver' lui,
e abbracciòl là 've 'l minor s'appiglia.

«O gloria di Latin», disse, «per cui
mostrò ciò che potea la lingua nostra,
o pregio etterno del loco ond' io fui,

qual merito o qual grazia mi ti mostra?
S'io son d'udir le tue parole degno,
dimmi se vien d'inferno, e di qual chiostra».

«Per tutt' i cerchi del dolente regno»,
rispuose lui, «son io di qua venuto;
virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno.

Non per far, ma per non fare ho perduto
a veder l'alto Sol che tu disiri
e che fu tardi per me conosciuto.

Luogo è là giù non tristo di martìri,
ma di tenebre solo, ove i lamenti
non suonan come guai, ma son sospiri.

Quivi sto io coi pargoli innocenti
dai denti morsi de la morte avante
che fosser da l'umana colpa essenti;

quivi sto io con quei che le tre sante
virtù non si vestiro, e sanza vizio
conobber l'altre e seguir tutte quante.

Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio
dà noi per che venir possiam più tosto
là dove purgatorio ha dritto inizio».

Rispuose: «Loco certo non c'è posto;
licito m'è andar suso e intorno;
per quanto ir posso, a guida mi t'accosto.

Ma vedi già come dichina il giorno,
e andar sù di notte non si puote;
però è buon pensar di bel soggiorno.

Anime sono a destra qua remote;
se mi consenti, io ti merrò ad esse,
e non sanza diletto ti fier note».

«Com' è ciò?», fu risposto. «Chi volesse
salir di notte, fora elli impedito
d'altrui, o non sarria ché non potesse?».

E 'l buon Sordello in terra fregò 'l dito,
dicendo: «Vedi? sola questa riga
non varcheresti dopo 'l sol partito:

non però ch'altra cosa desse briga,
che la notturna tenebra, ad ir suso;
quella col nonpoder la voglia intriga.

Ben si poria con lei tornare in giuso
e passeggiar la costa intorno errando,
mentre che l'orizzonte il dì tien chiuso».

Allora il mio segnor, quasi ammirando,
«Menane», disse, «dunque là 've dici
ch'aver si può diletto dimorando».

Poco allungati c'eravam di lici,
quand' io m'accorsi che 'l monte era scemo,
a guisa che i vallon li sceman quici.

«Colà», disse quell' ombra, «n'anderemo
dove la costa face di sé grembo;
e là il novo giorno attenderemo».

Tra erto e piano era un sentiero schembo,
che ne condusse in fianco de la lacca,
là dove più ch'a mezzo muore il lembo.

Oro e argento fine, cocco e biacca,
indaco, legno lucido e sereno,
fresco smeraldo in l'ora che si fiacca,

da l'erba e da li fior, dentr' a quel seno
posti, ciascun saria di color vinto,
come dal suo maggiore è vinto il meno.

Non avea pur natura ivi dipinto,
ma di soavità di mille odori
vi facea uno incognito e indistinto.

'Salve, Regina' in sul verde e 'n su' fiori
quindi seder cantando anime vidi,
che per la valle non parean di fuori.

«Prima che 'l poco sole omai s'annidi»,
cominciò 'l Mantoan che ci avea vòlti,
«tra color non vogliate ch'io vi guidi.

Di questo balzo meglio li atti e ' volti
conoscerete voi di tutti quanti,
che ne la lama giù tra essi accolti.

Colui che più siede alto e fa sembianti
d'aver negletto ciò che far dovea,
e che non move bocca a li altrui canti,

Rodolfo imperador fu, che potea
sanar le piaghe c'hanno Italia morta,
sì che tardi per altri si ricrea.

L'altro che ne la vista lui conforta,
resse la terra dove l'acqua nasce
che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta:

Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce
fu meglio assai che Vincislao suo figlio
barbuto, cui lussuria e ozio pasce.

E quel nasetto che stretto a consiglio
par con colui c'ha sì benigno aspetto,
morì fuggendo e disfiorando il giglio:

guardate là come si batte il petto!
L'altro vedete c'ha fatto a la guancia
de la sua palma, sospirando, letto.

Padre e suocero son del mal di Francia:
sanno la vita sua viziata e lorda,
e quindi viene il duol che sì li lancia.

Quel che par sì membruto e che s'accorda,
cantando, con colui dal maschio naso,
d'ogne valor portò cinta la corda;

e se re dopo lui fosse rimaso
lo giovanetto che retro a lui siede,
ben andava il valor di vaso in vaso,

che non si puote dir de l'altre rede;
Iacomo e Federigo hanno i reami;
del retaggio miglior nessun possiede.

Rade volte risurge per li rami
l'umana probitate; e questo vole
quei che la dà, perché da lui si chiami.

Anche al nasuto vanno mie parole
non men ch'a l'altro, Pier, che con lui canta,
onde Puglia e Proenza già si dole.

Tant' è del seme suo minor la pianta,
quanto, più che Beatrice e Margherita,
Costanza di marito ancor si vanta.

Vedete il re de la semplice vita
seder là solo, Arrigo d'Inghilterra:
questi ha ne' rami suoi migliore uscita.

Quel che più basso tra costor s'atterra,
guardando in suso, è Guiglielmo marchese,
per cui e Alessandria e la sua guerra

fa pianger Monferrato e Canavese».
Dopo che gli abbracci festosi e sinceri
furono più e più volte ripetuti dalle due anime,
Sordello infine si fece da parte e chiese a Vigrilio: "Voi chi siete?"

"Prima ancora che fossero indirizzate presso questo monte del Purgatorio
tutte le anime ritenute degne di salire in cielo, da Dio,
io morii e le mie ossa furono sepolte per ordine di Ottaviano.

Io sono Virgilio; e per nessuna altra colpa se non
quella di non aver avuto fede, persi la possibilità di salire in cielo."
La mia guida rispose a Sordello con queste parole.

Allo stesso modo in cui si coporta chi davanti a sé
vede improvvisamente comparire qualcosa che lo soprende
tanto che fa fatica a credere ai suoi occhi, e si chiede "..è ... o non è.."

allo stesso modo si comportò allora Sordello; poi abbassò lo sguardo, tornò
umilmente, con riverenza, vicino a Virgilio, e lo abbracciò nel punto del corpo
(le ginocchia) dovè chi è inferiore di valore è solito abbracciare un suo superiore.

"Tu, gloria della stirpe italiana", disse allora, "attraverso cui
la nostra lingua è riuscita a mostrare ciò che era in grado di fare,
o eterno motivo d'orgoglio della mia città d'origine, dove nacqui,

quale merito o quale grazia divina mi permette di incontrarti?
Se mi ritieni degno di ascoltare le tue parole,
dimmi se vieni dall'Inferno e, nel caso, da quale sua parte."

"Passando 1ttraverso tutti i cerchi del regno della sofferenza, l'Inferno,"
rispose Virgilio, "sono giunto fino a questo punto; mi spinse ad intraprendere
il viaggio una potenza celeste, ed è grazie a lei che sono qui ora.

Non per qualcosa che ho fatto, ma anzi per qualcosa che non ho fatto, ho perso
la possibilità di vedere l'alta luce di Dio che tu desideri ardentemente,
ma che fu conosciuta da me troppo tardi, quando ero oramai morto.

C'é un luogo nell'Inferno che non è reso triste dai tormenti
ma soltanto dalle tenebre (dall'assenza della luce di Dio), là i lamenti
non hanno il suono delle grida ma dei sospiri.

In quel luogo mi trovo io insieme con i bambini innocenti,
addentati dalla morte prima ancora di poter essere
purificati con il battesimo dal peccato originale;

in quel luogo mi trovo io insieme con tutti coloro che non seguirono
le tre sante virtù (Fede, speranza e Carità), ma vivendo senza vizi alcuni
conobbero comunque e praticarono anche tutte le altre di virtù.

Ma adesso, se tu lo sai e puoi anche dircelo, dacci qualche indicazione
per poter raggiungere più in fretta il luogo
in cui inizia realmente il Purgatorio."

Rispose Sordello: "Non c'è un luogo fisso dove stare per noi anime morte
di morte violenta; mi è quindi permesso muovermi tutt'intorno;
perciò, fin dove posso arrivare, ti starò vicino e ti farò da guida.

Ma guarda come il giorno è oramai prossimo al suo termine,
e siccome non si può salire di notte
conviene bene che provvediamo a trovare un buon riparo.

Alla nostra destra si trovano alcune anime appartate dalle altre,
se me lo permetti, io ti condurrò da loro,
e te le presenterò anche, di sicuro con tuo grande piacere."

"Perché è così?", rispose Virgilio, "Chi volesse
salire di notte, verrebbe ostacolato
da qualcuno, oppure semplicemente non ne sarebbe in grado?"

Il generoso Sordello fregò allora il dito sulla terra (tracciano una linea)
dicendo: "La vedi? Non saresti in grado di superare nemmeno questa riga
una volta che il sole è sparito dietro all'orizzonte:

non perché ci sia qualcosa che ti impedisca,
oltre alle tenebre della notte, di salire verso l'alto;
sono le tenebre, rendendo impossibile la salita, a bloccare ogni volontà.

In piena notte si potrebbe invece tornare facilmente in basso
e percorrere tutta la costa di quest'isola
per tutto il tempo che il sole rimane oltre la linea dell'orizzonte."

Allora Virgilio, la mia guida, con una certa meraviglia
disse: "Portaci pure in quel luogo in cui, dici,
possiamo piacevolmente ripararci per la notte."

Ci eravamo di poco allontanati da lì,
quando mi accorsi che il monte presentava una parte concava,
allo stesso modo in cui valli segnano le montagne del nostro mondo.

"Là", disse quell'anima, "andremo noi,
dove il fianco del monte forma un avvallamento;
ed in quel luogo aspetteremo la nascita del nuovo giorno."

Tra la pianura ed il pendio serpeggiava un sentiero obliquo,
che ci condusse fino ad un lato di quella valle, nel punto in cui
il suo fianco si abbassa per più di metà della sua massima altezza.

Il giallo dell'oro ed il bianco dell'argento puro, il rosso della cocciniglia
ed il bianco della biacca, l'indaco, lo splendore chiaro della lichite,
il verde vivo dello smeraldo nel momento in cui viene spezzato,

sarebbero tutti superati dal vivo splendore dell'erba e dei fiori,
cresciuti all'interno di quell'insenatura, così come il più piccolo
viene superato e vinto dal suo corrispondente più grande.

La natura non si era limitata a dipingere in modo incredibile,
ma con la grazia di mille diverse flagranze
aveva creato un profumo unico ed indistinguibile.

Vidi quindi delle anime cantare l'inno "Salve, Regina"
stando sedute su quel prato verde e su quei fiori
anime che non potevano essere viste stando all'esterno della valle.

"Prima che il tramonto sia completo, che anche il poco sole rimasto scenda sotto
l'orizzonte", disse l'anima Mantovana che ci aveva condotti fin lì,
"non vogliate che io vi porti in mezzo a quelle anime.

Da questa punto sopraelevato potrete meglio conoscere
le imprese ed i volti di tutti quegli spiriti laggiù,
piuttosto che stando mescolati ad essi giù nell'avvallamento.

Quell'anima che siede più in alto di tutti e mostra, nell'atteggiamento
che tiene, di aver trascurato in vita i suoi doveri,
e che stà zitto, non non mescola la sua voce al canto collettivo,

fu l'imperatore Rodolfo d'Asburgo, colui che in vita avrebbe potuto
curare le ferite che hanno poi ucciso l'Italia,
così che adesso è troppo tardi per l'intervento di altri.

L'altro spirito che vedete confortare il primo (Rodolfo),
regnò sul territorio dove sgorgano le acque
che la Moldava versa nell'Elba, e l'Elba poi a suo volta riversa nel mare:

il suo nome fu Ottocaro, e fin da quando era avvolto nelle fasce, fin
dall'infanzia, si mostrò migliore di quanto sia suo figlio Venceslao
anche nell'età adulta, che preferisce invece dedicarsi all'ozio ed ai piaceri.

E quello spirito con il naso piccolo (Filippo III), che vedi parlare
tanto intensamente con quell'altro che ha l'aspetto tanto benevolo,
morì mentre si ritirava e faceva perdere petali al giglio di Francia:

guardate come si batte adesso il petto disperato!
Osservate come l'altro vicino a lui (Enrico I) tiene la guancia
appoggiata sul palmo della mano e sospira sconfortato.

Sono rispettivamente il padre ed il suocero della rovina di Francia (Filippo il
Bello): sanno che vita viziata e corrotta conduce il loro discendente,
ed è per questo che sono così afflitti dal dolore.

Quell'anima (Pietro III d'Aragona) invece che ci appare così muscolosa
e che si accorda, nel canto, con quell'altra che ha il naso tanto marcato
(Carlo I d'Angiò), in vita si distinse per ogni genere di virtù;

e se dopo di lui avesse regnato
quello spirito giovane che siede adesso dietro di lui,
le virtù si sarebbero tramandate completamente, da vaso in vaso,

cosa che non si può invece dire degli altri eredi;
Giacomo II e Federico II governano i due regni, Sicilia ed Aragona;
ma nessuno dei due ha avuto l'eredità migliore.

Raramente infatti rinascono nei figli
le virtù dei padri; e così vuole colui (Dio)
che le distribuisce, così che gli venga riconosciuto il merito.

Le mie parole valgono anche per Carlo d'Angiò, l'anima con il grosso naso,
e non solo per l'altro spirito, Pietro III, che canta insieme a lui,
perché l'Italia meridionale e la Provenza già lo rimpiangono.

Suo figlio, la pianta nata dal suo seme, è tanto inferiore a lui
quanto, più di Beatrice di Provenza e Margherita di Borgogna,
Costanza ha motivo di vantarsi del marito, Pietro d'Aragona.

Potete poi vedere anche quel re che condusse una vita tanto semplice
sedere là in disparte, da solo, è Arrigo III d'Inghilterra:
costui ha avuto maggiore fortuna con i discendenti.

Infine quello spirito che siede tra costoro ma in posizione più bassa,
e che guarda verso l'alto, è Guglielmo, marchese di Monferrato,
colui a causa del quale la città di Alessandria, con la sua guerra,

porta dolore e lacrime nel Monferrato e nel Canavese."



Riassunto


Riconoscimento tra Sordello e Virgilio (vv. 1-36)
Sordello chiede a Virgilio di rivelare la sua identità. Quando scopre di essere al cospetto del celebre poeta latino, che ammira profondamente, lo elogia con entusiasmo e si informa su come sia giunto in Purgatorio. Virgilio risponde spiegando le ragioni del suo viaggio e descrive la condizione delle anime nel Limbo, dove lui stesso risiede.

Sordello guida i poeti e spiega la legge dell'ascesa (vv. 37-60)
Virgilio chiede a Sordello di indicare loro il percorso verso il Purgatorio. Sordello si offre di fare da guida, ma avverte che la salita è vietata durante le ore notturne. Propone quindi di trascorrere la notte in un luogo speciale, dove potranno osservare alcune scene piacevoli.

La salita alla Valletta e lo stato delle anime (vv. 61-90)
Guidati da Sordello, i tre poeti percorrono un sentiero lungo il monte che li conduce a un avvallamento, un luogo incantevole ricoperto di fiori e erbe profumate. Qui trovano anime che, sedute su un tappeto erboso, intonano insieme il Salve Regina. Sordello suggerisce di fermarsi nel punto più alto della Valletta, da cui è possibile osservare tutto ciò che accade al suo interno.

Le anime dei principi negligenti (vv. 91-136)
Sordello inizia a presentare le anime dei principi che, per negligenza, si trovano in questa parte del Purgatorio. Tra loro ci sono Rodolfo d'Asburgo, Ottocaro II di Boemia, Filippo III di Francia, Enrico I di Navarra, Pietro III d'Aragona, Carlo I d'Angiò, Arrigo III d'Inghilterra e Guglielmo VII di Monferrato. Conclude il discorso con un riferimento alla concezione della nobiltà, sottolineando che non si eredita per nascita ma si conquista con le proprie azioni. Questo è un richiamo alle mancanze dei figli di questi sovrani, giudicati indegni delle virtù paterne.


Figure Retoriche


v. 1: "Oneste e liete": Endiadi.
vv. 10-13: "Qual è colui che cosa innanzi sé sùbita vede ond'e' si maraviglia, che crede e non, dicendo «Ella è... non è...», tal parve quelli": Similitudine.
v. 13: "Chinò le ciglia": Sineddoche.
v. 16: "O gloria di Latin": Apostrofe.
vv. 16-17: "Per cui / mostrò": Enjambement.
v. 17: "La lingua nostra": Anastrofe.
v. 26: "L'alto Sol": Perifrasi. Per indicare Dio.
vv. 28-29: "Luogo è là giù non tristo di martìri, ma di tenebre solo": Perifrasi. Per indicare il Limbo.
vv. 29-30: "Ove i lamenti / non suonan": Enjambement.
v. 30: "Ove i lamenti non suonan come guai": Similitudine.
vv. 32-33: "Avante / che fosser": Enjambement.
vv. 34-35: "Le tre sante / virtù": Enjambement.
vv. 37-38: "Alcuno indizio / dà": Enjambement.
v. 41: "Licito m'è": Anastrofe.
vv. 49-50: "Volesse / salir": Enjambement.
vv. 50-51: "Impedito / d'altrui": Enjambement.
vv. 65-66: "'l monte era scemo, a guisa che i vallon li sceman quici": Similitudine.
v. 78: "Come dal suo maggiore è vinto il meno": Similitudine.
v. 81: "Incognito e indistinto": Endiadi.
vv. 91-92: "E fa sembianti / d'aver negletto": Enjambement.
vv. 94-95: "Che potea / sanar": Enjambement.
v. 101-102: "Suo figlio / barbuto": Enjambement.
v. 103: "E quel nasetto": Perifrasi.
v. 109: "Del mal di Francia": Perifrasi. Per indicare Filippo il Bello.
v. 110: "Viziata e lorda": Endiadi.
v. 113: "Colui dal maschio naso": Perifrasi. Per indicare Carlo I d'Angiò.
v. 124: "Al nasuto": Perifrasi. Per indicare Carlo I d'Angiò.


Analisi ed Interpretazioni


Il Canto VII del Purgatorio si apre con la figura di Sordello, che assume il ruolo di guida per Dante e Virgilio. Dopo aver elogiato il poeta latino per il suo straordinario valore e la purezza del suo spirito, Sordello spiega l'organizzazione del Purgatorio e la legge che ne regola l'ascesa: le anime possono salire verso le cornici solo durante il giorno, mentre la notte, priva della luce divina, rende il cammino impossibile. Propone quindi di attendere l'alba in un luogo incantevole, la Valletta, situato lungo il pendio della montagna.

La Valletta è descritta come uno spazio ameno e armonioso, incavato nella roccia e adornato da erbe e fiori di straordinaria bellezza e fragranza, un chiaro richiamo al Paradiso terrestre. Questo luogo, che funge da dimora temporanea per le anime dei principi negligenti, è caratterizzato da un'atmosfera serena e da una pace che anticipa la purificazione definitiva. Dal punto più alto della Valletta, Dante e Virgilio possono osservare le anime che vi risiedono, raccolte in preghiera mentre intonano il Salve Regina.

Sordello, guidandoli in una sorta di rassegna morale, presenta le anime di sovrani che, pur avendo trascurato i propri doveri spirituali in vita, hanno infine rivolto il loro pensiero a Dio. Tra queste figure spiccano Rodolfo d'Asburgo, che si rammarica per non aver adempiuto pienamente ai suoi compiti imperiali, e Ottocaro II di Boemia, un sovrano valoroso, afflitto dall'incapacità del figlio Venceslao. Seguono Filippo III di Francia ed Enrico I di Navarra, i cui regni furono segnati da negligenza politica, e Carlo I d'Angiò con Pietro III d'Aragona, rivali in vita ma ora riconciliati nella preghiera. Chiudono la schiera Enrico III d'Inghilterra, ricordato per la sua giustizia, e Guglielmo VII del Monferrato, la cui tragica fine ne ha segnato la memoria.

La Valletta non è solo un luogo di incontro per queste anime, ma diventa anche un simbolo di armonia e riconciliazione: i sovrani, un tempo nemici, ora siedono vicini, uniti nella preghiera e nella speranza di redenzione. Questa rappresentazione sottolinea uno dei temi principali del Purgatorio: la purificazione e la solidarietà tra le anime, in contrasto con i tormenti e i conflitti osservati nell'Inferno.

Dante, pur non condannando duramente questi principi, rivolge una critica esplicita ai loro successori, colpevoli di aver tradito gli ideali paterni attraverso governi ingiusti e irresponsabili. La Valletta, dunque, non rappresenta solo uno spazio di sosta, ma anche un monito morale: il potere e la nobiltà non sono doni che si ereditano, bensì qualità che si conquistano attraverso opere giuste e virtuose.


Passi Controversi


Il verso 15 (e abbracciòl là 've 'l minor s'appiglia) suggerisce che Sordello abbracci Virgilio non al collo, come farebbero due pari, ma in un punto più basso, adeguato a chi si considera inferiore, probabilmente alle ginocchia o ai piedi.

Il verbo merrò (v. 47) è una forma contratta di "menerò" e significa "condurrò".

Al verso 71, in fianco de la lacca si traduce con "sul fianco della cavità" (lacca indica un avvallamento o una fossa). Il verso 72, meno chiaro, potrebbe significare "nel punto in cui l'argine scendeva per oltre la metà della sua altezza".

Nei versi 73-75 vengono usati termini tecnici che si riferiscono ai colori dei pittori: l'oro e l'argento sono polveri usate per ottenere queste tinte, il cocco corrisponde al carminio (ottenuto da una conchiglia), la biacca al bianco di zinco, l'indaco è l'azzurro, mentre il legno lucido e sereno potrebbe essere la lychite, una pietra preziosa dal colore del legno levigato. Lo smeraldo è associato al verde quando la pietra si spezza (ne l'ora che si fiacca). Alcuni editori leggono invece il verso 74 come indaco legno, lucido e sereno, interpretandolo come un riferimento all'ebano (legno indiano) e all'azzurro del cielo, ma questa ipotesi appare poco probabile, vista la vivacità dei colori descritti nella scena.

Il verso 96 (sì che tardi per altri si ricrea) potrebbe alludere ad Arrigo VII di Lussemburgo e al suo tentativo di restaurare l'impero in Italia, il che retrodaterebbe la composizione del canto al 1310-1313. Tuttavia, potrebbe trattarsi anche di un ritocco successivo o di un riferimento più generico.

Nei versi 98-99 viene menzionata la Boemia, terra d'origine della Moldava (Molta), che confluisce nell'Elba (Albia), quest'ultima sfociante in mare.

Il nasetto del verso 103 è Filippo III l'Ardito. Al verso 105 si dice che morì fuggendo e "disfiorando il giglio", probabilmente un riferimento al disastro della flotta francese contro gli Aragonesi a Las Formiguas. Non è chiaro se il tono del verso sia spregiativo.

Il mal di Francia (v. 109) è Filippo il Bello.

Il giovanetto del verso 116 potrebbe essere Alfonso III, primogenito di Pietro III, re d'Aragona dal 1285 al 1291. Tuttavia, è possibile che Dante si riferisca al figlio minore Pietro, morto prematuramente.

Nei versi 128-129 vengono nominate Beatrice e Margherita, rispettivamente prima e seconda moglie di Carlo I d'Angiò, e Costanza, figlia di Manfredi di Svevia e moglie di Pietro III. Dante sottolinea che Costanza può vantare un marito superiore rispetto alle altre due, affermando così che Carlo II è inferiore a Carlo I, a sua volta superato da Pietro III.

Fonti: libri scolastici superiori

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