Parafrasi e Analisi: "Canto XIX" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Analisi ed Interpretazioni
7) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Il Canto XIX del Purgatorio si apre con una riflessione che mescola elementi onirici e spirituali, sottolineando la dimensione morale e simbolica del viaggio di Dante. Il tema centrale del canto ruota attorno al peccato della avarizia, analizzato non solo come attaccamento ai beni materiali, ma anche come distorsione dei valori spirituali. La cantica prosegue con la descrizione delle anime che, espurgando questa colpa, rappresentano un momento chiave per comprendere l'importanza del distacco dalle ricchezze terrene e dell'orientamento verso il bene supremo. L'insegnamento si sviluppa attraverso richiami alla giustizia divina e alla necessità di un rinnovamento interiore, tracciando un percorso di purificazione che coinvolge sia l'aspetto etico che quello teologico.


Testo e Parafrasi


Ne l'ora che non può 'l calor dïurno
intepidar più 'l freddo de la luna,
vinto da terra, e talor da Saturno

– quando i geomanti lor Maggior Fortuna
veggiono in orïente, innanzi a l'alba,
surger per via che poco le sta bruna -,

mi venne in sogno una femmina balba,
ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta,
con le man monche, e di colore scialba.

Io la mirava; e come 'l sol conforta
le fredde membra che la notte aggrava,
così lo sguardo mio le facea scorta

la lingua, e poscia tutta la drizzava
in poco d'ora, e lo smarrito volto,
com' amor vuol, così le colorava.

Poi ch'ell' avea 'l parlar così disciolto,
cominciava a cantar sì, che con pena
da lei avrei mio intento rivolto.

«Io son», cantava, «io son dolce serena,
che ' marinari in mezzo mar dismago;
tanto son di piacere a sentir piena!

Io volsi Ulisse del suo cammin vago
al canto mio; e qual meco s'ausa,
rado sen parte; sì tutto l'appago!».

Ancor non era sua bocca richiusa,
quand' una donna apparve santa e presta
lunghesso me per far colei confusa.

«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?»,
fieramente dicea; ed el venìa
con li occhi fitti pur in quella onesta.

L'altra prendea, e dinanzi l'apria
fendendo i drappi, e mostravami 'l ventre;
quel mi svegliò col puzzo che n'uscia.

Io mossi li occhi, e 'l buon maestro: «Almen tre
voci t'ho messe!», dicea, «Surgi e vieni;
troviam l'aperta per la qual tu entre».

Sù mi levai, e tutti eran già pieni
de l'alto dì i giron del sacro monte,
e andavam col sol novo a le reni.

Seguendo lui, portava la mia fronte
come colui che l'ha di pensier carca,
che fa di sé un mezzo arco di ponte;

quand' io udi' «Venite; qui si varca»
parlare in modo soave e benigno,
qual non si sente in questa mortal marca.

Con l'ali aperte, che parean di cigno,
volseci in sù colui che sì parlonne
tra due pareti del duro macigno.

Mosse le penne poi e ventilonne,
'Qui lugent' affermando esser beati,
ch'avran di consolar l'anime donne.

«Che hai che pur inver' la terra guati?»,
la guida mia incominciò a dirmi,
poco amendue da l'angel sormontati.

E io: «Con tanta sospeccion fa irmi
novella visïon ch'a sé mi piega,
sì ch'io non posso dal pensar partirmi».

«Vedesti», disse, «quell'antica strega
che sola sovr' a noi omai si piagne;
vedesti come l'uom da lei si slega.

Bastiti, e batti a terra le calcagne;
li occhi rivolgi al logoro che gira
lo rege etterno con le rote magne».

Quale 'l falcon, che prima a' pié si mira,
indi si volge al grido e si protende
per lo disio del pasto che là il tira,

tal mi fec' io; e tal, quanto si fende
la roccia per dar via a chi va suso,
n'andai infin dove 'l cerchiar si prende.

Com' io nel quinto giro fui dischiuso,
vidi gente per esso che piangea,
giacendo a terra tutta volta in giuso.

'Adhaesit pavimento anima mea'
sentia dir lor con sì alti sospiri,
che la parola a pena s'intendea.

«O eletti di Dio, li cui soffriri
e giustizia e speranza fa men duri,
drizzate noi verso li alti saliri».

«Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori».

Così pregò 'l poeta, e sì risposto
poco dinanzi a noi ne fu; per ch'io
nel parlare avvisai l'altro nascosto,

e volsi li occhi a li occhi al segnor mio:
ond' elli m'assentì con lieto cenno
ciò che chiedea la vista del disio.

Poi ch'io potei di me fare a mio senno,
trassimi sovra quella creatura
le cui parole pria notar mi fenno,

dicendo: «Spirto in cui pianger matura
quel sanza 'l quale a Dio tornar non pòssi,
sosta un poco per me tua maggior cura.

Chi fosti e perché vòlti avete i dossi
al sù, mi dì, e se vuo' ch'io t'impetri
cosa di là ond' io vivendo mossi».

Ed elli a me: «Perché i nostri diretri
rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima
scias quod ego fui successor Petri.

Intra Sïestri e Chiaveri s'adima
una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima.

Un mese e poco più prova' io come
pesa il gran manto a chi dal fango il guarda,
che piuma sembran tutte l'altre some.

La mia conversïone, omè!, fu tarda;
ma, come fatto fui roman pastore,
così scopersi la vita bugiarda.

Vidi che lì non s'acquetava il core,
né più salir potiesi in quella vita;
per che di questa in me s'accese amore.

Fino a quel punto misera e partita
da Dio anima fui, del tutto avara;
or, come vedi, qui ne son punita.

Quel ch'avarizia fa, qui si dichiara
in purgazion de l'anime converse;
e nulla pena il monte ha più amara.

Sì come l'occhio nostro non s'aderse
in alto, fisso a le cose terrene,
così giustizia qui a terra il merse.

Come avarizia spense a ciascun bene
lo nostro amore, onde operar perdési,
così giustizia qui stretti ne tene,

ne' piedi e ne le man legati e presi;
e quanto fia piacer del giusto Sire,
tanto staremo immobili e distesi».

Io m'era inginocchiato e volea dire;
ma com' io cominciai ed el s'accorse,
solo ascoltando, del mio reverire,

«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?».
E io a lui: «Per vostra dignitate
mia coscïenza dritto mi rimorse».

«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!»,
rispuose; «non errar: conservo sono
teco e con li altri ad una podestate.

Se mai quel santo evangelico suono
che dice 'Neque nubent' intendesti,
ben puoi veder perch' io così ragiono.

Vattene omai: non vo' che più t'arresti;
ché la tua stanza mio pianger disagia,
col qual maturo ciò che tu dicesti.

Nepote ho io di là c'ha nome Alagia,
buona da sé, pur che la nostra casa
non faccia lei per essempro malvagia;

e questa sola di là m'è rimasa».
Nell'ora (ultima della notte) in cui il calore, ancora rimasto dal giorno
precedente, non riesce più a mitigare il freddo che viene dalla luna,
perché vinto da quello emanato dalla terra ed a volte anche da Saturno

– quando i geomani la costellazione che chiamano Fortuna Maggiore
vedono da Oriente, da est, poco prima dell'alba, apparire e levarsi in alto
nel cielo da un punto che non rimarrà buio ancora per molto -,

mi apparve in sogno una donna balbuziente,
con lo sguardo strabico, storpia nel modo in cui si reggeva in piedi,
con le mani monche e dal colorito pallido smorto.

Io la fissavo; e così come il sole ridà vigore
al corpo infreddolito ed intorpidito dalla notte appena passata,
allo stesso modo il mio sguardo su di lei le sciolse

la lingua (la fece parlare), e subito dopo le raddrizzava la postura
in poco tempo, ed al suo volto pallido,
come è capace di fare l'amore, ridava infine anche colore.

Quando, in ultimo, la sua lingua, la sua capacità di parlare fu sciolta
a sufficienza, cominciò a cantare con una tale grazia, che solo a fatica
sarei riuscito a distogliere da lei la mia attenzione.

"Io sono", cantava, "io sono la dolce sirena,
che incanta i marinai in mezzo al mare;
tanto è il piacere che si può provare nell'ascoltarmi!

Io distolsi l'attenzione di Ulisse dal suo vagare per mare
per rivolgerla al mio canto; e chi si abitua a stare con me, raramente
poi decide di andarsene; tanto riesco ad appagarlo, a soddisfarlo!

La sua bocca non si era ancora richiusa dopo il canto,
quando una seconda donna, dall'aspento santo e premuroso, mi apparve
e si mise al mio fianco per confondere la prima, la sirena.

"Oh Virgilio, Virgilio, chi è questa donna?"
urlò con voce sdegnata; e Virgilio a quel punto venne da noi
tenendo i suoi occhi fissi solamente sulla donna onesta.

Afferrò poi l'altra, e le aprì la parte anteriore del vestito
strappandone i lembi di stoffa, fino a mostrarmi il suo ventre;
la terribile puzza che ne uscì mi risvegliò bruscamente.

Aprii gli occhi, mi guardai intorno, ed il mio buon maestro: "Almeno tre
volte ti ho chiamato!", disse, "Alzati in piedi e seguimi,
troviamo l'apertura nella roccia attraverso la quale tu possa passare."

Mi tirai sù e vidi come erano già piene di luce del giorno inoltrato
tutte le cornici di quel sacro monte del Purgatorio,
e iniziammo ad incamminarci con alle nostre spalle il sole appena sorto.

Mentro lo seguivo, tenevo la mia fronte bassa, rivolta verso terra,
come chi ha la testa piena di pensieri, di preoccupazioni,
e cammina tutto curvo, con il busto piegato come un mezzo arco di ponte;

quando alla fine sentii la frase "Venite; si passa da questa parte"
detta con una voce tanto dolce e benevola che non può
essere ascoltata sulla terra, questa terra di confine del mondo mortale.

Con le sue ali aperte, che sembravano quelle di un cigno,
quell'angelo che ci aveva così parlato ci indirizzò verso l'alto
lungo un sentiero attraverso due pareti di dura roccia.

Agitò poi nell'aria le sue penne e mi fece vento sul viso,
dicendo che erano beati "Coloro che piangono",
perché le loro anime potranno essere consolate.

"Che cos'hai che continui a guardare a terra?"
cominciò a chiedermi la mia guida Virgilio, dopo che entrambi
eravamo saliti poco più in alto di dove si trovava l'angelo.

Ed io risposi: "Mi fa salire con questa preoccupazione nella testa
il sogno fatto poco fa, che mi tiene tanto rivolto verso di sé
da non permettermi di pensare ad altro."

"Ti è apparsa in sogno", mi disse Virgilio, "quell'antica strega
che, da sola, viene espiata nelle tre cornici sopra di noi;
ed hai anche visto come l'uomo possa liberarsene.

Ti basti questa mia spiegazione, ed inizia ora a camminare più veloce;
rivolgi i tuoi occhi al cielo, verso quel richiamo che
Dio fa con il ruotare delle sfere celesti.

Come il falcone, che tiene prima il suo sguardo fisso a terra, per poi
rivolgersi al punto dal quale sente arrivare il richiamo e si lancia
in cielo spinto dal desiderio del pasto che lo attira a sé,

allo stesso modo feci io; e con lo stesso slancio del falcone, fintanto
che la roccia era scavata per aprire una via a chi voleva salire,
io salii fino al punto in cui si ricomincia a camminare in cerchio.

Non appena la quinta cornice mi si aprì davanti agli occhi,
vidi tutt'intorno delle anime che piangevano
sdraiate a terra con la faccia rivolta verso il basso.

"La mia anima aderì alla terra",
sentii loro dire con sospiri tanto profondi,
che le loro parole potevano essere comprese a fatica.

"Oh anime elette da Dio, le cui sofferenze sono reso meno dure
dalla consapevolezza nella giustizia divina e dalla speranza,
indicateci la via per salire alla cornice successiva."

"Se siete arrivati fino a qui senza dover subire la nostra stessa pena,
e volete trovare ora la via più veloce per salire verso l'alto,
girate attorno al monte tenendo sempre la vostra destra all'esterno."

Questa fu la preghiera del poeta Virgilio e questa fu la risposta
che ci fu data da una anima che giaceva poco avanti a noi; pertanto io,
mentre parlavano, individuai il punto in cui si trovava l'anima nscosta,

e rivolsi il mio sguardo verso gli occhi della mia guida (per chiedere
il permesso): e lui, con un cenno compiaciuto, acconsentì
a ciò che i miei occhi pieni di desiderio gli chiedevano.

Non appena ricevuta l'autorizzazione a fare quanto volevo,
subito mi avvicinai a quell'anima
che prima avevo potuto individuare grazie alle sue parole,

e dissi: "Spirito, in cui il pianto fa maturare quel frutto della
purificazione senza il quale non si potrebbe altrimenti tornare a Dio,
sospendi per un attimo la tua maggiore preoccupazione per ascoltarmi.

Chi sei stato in vita e perché adesso avete le vostre schiene rivolte
verso al cielo, dimmi, ed anche se vuoi che io faccia qualcosa
per te là, sulla terra, da dove ancora vivo sono partito."

E l'anima allora mi rispose: "Perché la parte posteriore del nostro corpo
sia rivolta verso al cielo, lo saprai presto; ma prima
sappi che io fui in vita un successore di Pietro, sono stato Papa.

Tra Sestri Levante e Chiavari scende
un bel fiumiciattolo (Lavagna), e con il suo nome
si fregia il titolo della mia casata.

Per poco più di un mese ho provato quanto pesa il manto papale,
la responsabilità papale, per chi la vuole preservare dal fango,
tanto che al confronto qualunque altro carico sembra leggero come una piuma.

Il mio pentimento, ahimé, avvenne troppo tardi; ma, non appena
diventai papa, non appena fui nominato pastore della chiesa di Roma,
subito scoprii che la vita terrena fa false promesse.

Mi resi conto che nemmeno lì, in una posizione così alta, il mio cuore
poteva trovare pace, e non potevo neanche aspirare a salire più in alto;
così che alla fine nacque finalmente in me l'amore per questa vita.

Fino a quel momento, fino al giorno del pentimento, fui soltanto una anima
infelice e lontana da Dio, dominata dall'avidità;
ed ora, come puoi vedere, vengo punito in questa cornice per la mia colpa.

In questa cornice vengono mostrate le conseguenze dell'essere avidi
attraverso il modo in cui si purificano le anime pentite;
e lungo tutto il monte del Purgatorio non esiste una punizione più dura.

Così come in vita il nostro sguardo non si sollevò mai
in alto, verso Dio, fisso come era sulle cose materiali, sui beni terreni,
così adesso la giustizia divina lo tiene abbassato verso terra.

Come l'avidità spense in noi l'amore che avrebbe douto essere invece
indirizzato verso ogni vero bene, per cui le nostre azioni furono inutili,
così adesso la giustizia divina ci tiene ora qui bloccati,

con le mani ed i piedi legati ed immobilizzati;
e per quanto lo vorrà il giusto Signore,
tanto noi staremo in questa cornice distesi immobili a terra."

Io mi ero inginocchiato ed stavo per parlare;
ma quando iniziai a farlo e lo spirito si accorse, solo ascoltando
la mia voce che si avvicinava, del mio abbassarmi in posizione di riverenza,

"Per quale motivo", mi chiese, "si sei piegato così in basso?"
Ed io gli risposi: "La vostra dignità di Papa ha spinto la mia coscienza
a farmi sentire in colpa per la mia posizione eretta."

"Raddrizza le game, tirati dritto in piedi, fratello!",
rispose Adriano V; "non commettere questo errore: sono un servo anche io
come te, e tutti gli altri uomini, si un solo Signore.

Se mai quella santa frase evangelica, del Vangelo,
che dice "Non sposeranno" hai inteso realmente,
ora puoi ben capire perché io parlo in questo modo.

Vattene adesso: non voglio che tu ti trattenga oltre accanto a me; perché
la tua presenza rende difficile il mio piangere, la mia espiazione, con
la quale faccio maturare il frutto (della beatitudine) del quale hai parlato.

Ho una nipote nel monto terreno, dei vivi, che si chiama Alagia,
buona, per sua natura, a meno che la nostra casata
non la renda malvagia con il suo cattivo esempio.

ed è la sola parente che mi è rimasta di là e che possa pregare per me."



Riassunto


Il sogno di Dante (vv. 1-33)
Nelle prime ore del mattino, Dante sogna una figura femminile inizialmente brutta e deforme, che però ai suoi occhi diventa bellissima. La donna, cantando, si presenta come una sirena. Improvvisamente appare una figura santa che sollecita Virgilio a intervenire. Il poeta latino scopre il ventre della sirena, da cui si sprigiona un fetore insopportabile che risveglia Dante dal sonno.

L'angelo della sollecitudine (vv. 34-51)
Proseguendo il cammino, i due pellegrini si imbattono in un angelo che, con un battito delle sue ali, cancella un'altra delle P incise sulla fronte di Dante.

Virgilio interpreta il sogno (vv. 52-69)
Ancora scosso dal sogno, Dante ascolta Virgilio che, conoscendone il contenuto, ne spiega il significato. La figura della donna rappresenta le tentazioni terrene, mentre la figura santa simboleggia il mezzo per liberarsi da esse.

Gli avari e i prodighi (vv. 70-87)
Rasserenato dalle parole del suo maestro, Dante raggiunge la quinta cornice del Purgatorio. Qui trova le anime degli avari e dei prodighi, prostrate a terra in lacrime. Virgilio chiede dove sia il passaggio per proseguire e una voce risponde. Con il permesso di Virgilio, Dante si rivolge a chi ha parlato.

L'incontro con Adriano V (vv. 88-145)
Lo spirito si presenta come Adriano V, un tempo ambizioso e avaro. Una volta divenuto papa, comprese la futilità dei beni materiali e si pentì. Dante, riconoscendo il suo status di pontefice, si inginocchia per rispetto. Adriano lo invita a rialzarsi, ricordandogli che nell'aldilà non contano le cariche terrene e che tutti sono uguali davanti a Dio.


Figure Retoriche


vv. 10-14: "E come 'l sol conforta le fredde membra che la notte aggrava, così lo sguardo mio le facea scorta la lingua, e poscia tutta la drizzava in poco d'ora, e lo smarrito volto": Similitudine.
v. 12: "Lo sguardo mio": Anastrofe.
v. 12: "Scorta / la lingua": Enjambement.
v. 14: "Smarrito volto": Anastrofe.
v. 26: "Santa e presta": Endiadi.
v. 29: "Fieramente dicea": Anastrofe.
vv. 29-30: "Venìa / con li occhi fitti": Enjambement.
vv. 34-35: "Almen tre / voci": Enjambement.
v. 38: "De l'alto dì": Perifrasi. Per indicare il sole alto.
v. 40: "-41Portava la mia fronte come colui che l'ha di pensier carca": Similitudine.
v. 42: "Che fa di sé un mezzo arco di ponte": Similitudine.
v. 44: "Soave e benigno": Endiadi.
v. 45: "Mortal marca": Anastrofe.
v. 46: "Con l'ali aperte, che parean di cigno": Similitudine.
v. 53: "La guida mia": Anastrofe.
v. 58: "Quell'antica strega": Perifrasi. Per indicare la cupidigia dei beni terreni.
v. 61: "Batti a terra le calcagne": Metonimia.
v. 63: "Lo rege etterno": Perifrasi.
vv. 64-67: "Quale 'l falcon, che prima a' pié si mira, indi si volge al grido e si protende per lo disio del pasto che là il tira, tal mi fec' io": Similitudine.
vv. 67-68: "Si fende / la roccia": Enjambement.
v. 78: "Li alti saliri": Sineddoche.
v. 85: "Al segnor mio": Anastrofe.
v. 101: "Una fiumana bella": Anastrofe.
v. 103: "Prova' io": Anastrofe.
v. 105: "Che piuma sembran tutte l'altre some": Similitudine.
vv. 103-104: "Come / pesa": Enjambement.
v. 104: "Dal fango": Perifrasi. Per indicare la corruzione.
v. 107: "Fatto fui": Anastrofe.
v. 107: "Roman pastore": Anastrofe.
v. 112: "Partita / da Dio": Enjambement.
vv. 118-119: "Non s'aderse / in alto": Enjambement.
vv. 121-124: "Come avarizia spense a ciascun bene lo nostro amore, onde operar perdési, così giustizia qui stretti ne tene, ne' piedi e ne le man legati e presi": Similitudine.
v. 125: "Giusto Sire": Perifrasi. Per indicare Dio.
v. 126: "Immobili e distesi": Endiadi.
vv. 134-135: "Sono / teco": Enjambement.
v. 138: "Così ragiono": Anastrofe.


Analisi ed Interpretazioni


Il Canto XIX del Purgatorio si divide in due sezioni principali. Nella prima parte, Dante racconta un sogno profetico e simbolico, mentre nella seconda descrive l'ingresso nella quinta Cornice, dove incontra papa Adriano V e affronta il tema dell'avarizia.

Il sogno di Dante: la femmina balba
Il Canto si apre con un'indicazione temporale che richiama il momento dell'alba, quando, secondo la tradizione medievale, i sogni rivelano verità. Dante sogna una figura femminile deformata e balbuziente, il cui aspetto muta sotto il suo sguardo, trasformandola in una donna bellissima e seducente. La figura si presenta come una sirena capace di incantare e traviare gli uomini, come già aveva fatto con Ulisse. Tuttavia, l'incantesimo viene interrotto dall'arrivo di una donna santa e pronta, che sollecita Virgilio a intervenire. Virgilio rivela la vera natura della sirena, aprendo le sue vesti e mostrando il ventre marcio e disgustoso.

Virgilio spiega che la femmina balba rappresenta i beni materiali che attraggono gli uomini con false promesse di felicità. È lo sguardo avido delle persone a renderli desiderabili, mentre la ragione umana, allegorizzata da Virgilio stesso, ne smaschera il carattere vile. Il sogno, con la sua potente allegoria, prepara Dante all'incontro con i penitenti della quinta Cornice, dove si espia il peccato di avarizia.

L'ingresso nella quinta Cornice: l'incontro con papa Adriano V
Giunto nella quinta Cornice, Dante vede gli avari stesi al suolo, con le spalle rivolte al cielo che avevano disdegnato in vita. Qui incontra papa Adriano V, che racconta il proprio pentimento e la consapevolezza della vanità dei beni terreni. Adriano, che fu pontefice per pochi giorni, riconosce l'inutilità della sua ambizione e il peso della carica pontificia, descritta con l'espressione "gran manto".

La figura di Adriano V è in netto contrasto con quella di Niccolò III, condannato tra i simoniaci nell'Inferno. Se Niccolò è arrogante e sarcastico, Adriano appare umile e consapevole dei suoi errori, descrivendo con tono elevato la sua conversione. Dante, che nel caso di Niccolò si era scagliato con veemenza, si inginocchia in segno di rispetto davanti al pontefice pentito, il quale però lo invita a rialzarsi, poiché nella dimensione ultraterrena le gerarchie terrene perdono significato.

Il richiamo alla purificazione e alla preghiera
Adriano ricorda la nipote Alagia, l'unica della sua famiglia ancora virtuosa, pregandola di intercedere per lui. Questo dettaglio sottolinea l'importanza della preghiera nel percorso di purificazione delle anime. Alagia, moglie di Moroello Malaspina, fu conosciuta personalmente da Dante durante il suo soggiorno in Lunigiana.

Il Canto si conclude con un monito sulla corruzione causata dall'avarizia, ritenuta da Dante una delle principali cause del degrado morale sia nella Chiesa sia nella politica. Questo tema verrà ripreso nel Canto successivo, con il protagonista Ugo Capeto, per ampliare la riflessione sugli effetti disastrosi di questo peccato nella storia umana.


Passi Controversi


Nei versi 1-3 si fa riferimento alle ultime ore della notte, considerate dalla tradizione un momento in cui i sogni erano veritieri. Ciò viene espresso attraverso l'immagine del calore terrestre ormai dissipato dal freddo dei raggi della luna e di Saturno, entrambi ritenuti astri molto freddi secondo la fisica aristotelica. La "Maggior Fortuna" si riferisce alla "Fortuna Maior", una figura geomantica simile alla costellazione dei Pesci, che sorge poco prima dell'alba per poi svanire con il sopraggiungere del sole (cfr. I, 19-21).

La "femmina balba" viene descritta con un volto pallido e smorto (v. 9), ma lo sguardo di Dante le conferisce un pallore luminoso, simile alle perle, in linea con il canone di bellezza stilnovista (v. 15). Il verbo dismago (v. 20) potrebbe significare "affascinare" o "incantare".

L'aggettivo vago (v. 22), usato per descrivere Ulisse, può indicare il desiderio del viaggio o l'essere attratto dal canto delle sirene; meno probabilmente si riferisce al cammino come "errante". Dante, non avendo accesso diretto ai testi omerici, ha tratto questa immagine delle sirene da fonti indirette, senza collegarla direttamente al Canto XXVI dell'Inferno.

La "donna santa e presta" che interviene contro la "femmina balba" è stata variamente interpretata: Beatrice, la Ragione, santa Lucia, la Temperanza o la Grazia divina.

La rima almen tre / entre (vv. 34-36) è una rima composta, simile a esempi già presenti nell'Inferno (cfr. Inf. VII, 28; Purg. XVII, 55).

Il "mezzo arco di ponte" menzionato al v. 42 potrebbe indicare un arco a sesto acuto – raro nei ponti medievali – o una porzione di un'arcata di un ponte ormai distrutto.

I versi 50-51 reinterpretano la terza beatitudine (Beati qui lugent, quoniam ipsi consolabuntur, Matteo 5, 5: "Beati coloro che piangono, perché saranno consolati"). Dante suggerisce che le anime siano destinatarie della consolazione, adattando il messaggio evangelico. Il rapporto tra questa beatitudine e il peccato di accidia, tuttavia, non è del tutto chiaro.

L'espressione "batti a terra le calcagne" (v. 61) può essere intesa sia come un invito ad accelerare il passo, sia come un'esortazione a disprezzare i beni terreni. Il "logoro" (v. 62) era un attrezzo utilizzato dai falconieri per richiamare i falconi da caccia.

Il verso 73 (Adhaesit pavimento anima mea) riprende il Salmo CXVIII, 25, ma con un significato diverso. È plausibile che questa immagine abbia ispirato la pena riservata agli avari e ai prodighi.

Al v. 84, Dante percepisce un elemento non detto nelle parole del penitente, oppure comprende l'identità dell'anima che ha parlato.

Il verso 99 (scias quod fui successor Petri) allude al pontefice, comunemente chiamato "successore di Pietro" (cfr. Inf. XIX, 69).

I versi 100-102 descrivono la valle dove scorre il fiume Entella, che separa Sestri Levante da Chiavari. Quando Adriano V dice del proprio nome che "fa sua cima" il titolo del suo sangue, sembra riferirsi al fatto che il nome Entella compariva sulla parte superiore dello stemma dei conti di Lavagna, famiglia di Ottobono Fieschi.

Infine, i versi 136-138 richiamano un passo del Vangelo (Matteo 22, 30), in cui Cristo risponde ai Sadducei che nel regno dei cieli non ci si sposa né ci si dà in matrimonio. Questo sottolinea l'assenza di legami terreni nel mondo ultraterreno.

Fonti: libri scolastici superiori

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