Parafrasi e Analisi: "Canto XI" - Purgatorio - Divina Commedia - Dante Alighieri


Immagine Dante Alighieri
1) Scheda dell'Opera
2) Introduzione
3) Testo e Parafrasi
4) Riassunto
5) Figure Retoriche
6) Personaggi Principali
7) Analisi ed Interpretazioni
8) Passi Controversi

Scheda dell'Opera


Autore: Dante Alighieri
Prima Edizione dell'Opera: 1321
Genere: Poema
Forma metrica: Costituita da tre versi di endecasillabi. Il primo e il terzo rimano tra loro, il secondo rima con il primo e il terzo della terzina successiva.



Introduzione


Nel Canto XI del Purgatorio, ambientato nella prima Cornice, Dante dialoga con le anime dei superbi, i primi spiriti che incontra dopo aver attraversato la porta del Purgatorio.

Il Canto si articola in due sezioni principali:

La preghiera collettiva del Padre Nostro, qui riformulata per sottolineare temi come la carità e l'umiltà;
L'incontro con tre peccatori della prima Cornice, che segna il passaggio dagli spiriti dell'Antipurgatorio a quelli effettivamente in espiazione.

Questa seconda parte si suddivide ulteriormente in tre dialoghi: con Omberto Aldobrandeschi, con Oderisi da Gubbio e con Provenzan Salvani. Le loro pene riflettono diverse manifestazioni della superbia e offrono a Dante l'occasione i criticare i valori della società medievale, spesso dominata da competizione, individualismo e desiderio di affermazione personale, anche a discapito degli altri.

Il Canto rivela inoltre una riflessione personale di Dante, consapevole che la superbia è tra i peccati che più lo hanno segnato. Egli riconosce che la pena inflitta ai superbi potrebbe attendere anche lui nell'aldilà, ma intravede una possibilità di redenzione attraverso l'umiliazione di sé. Questo concetto è esemplificato dalla vicenda di Provenzan Salvani, che si è redento proprio grazie all'umiltà, e trova eco nell'esperienza stessa di Dante, che vivrà il dramma dell'esilio, prefigurato in modo profetico alla fine del Canto.


Testo e Parafrasi


«O Padre nostro, che ne' cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch'ai primi effetti di là sù tu hai,

laudato sia 'l tuo nome e 'l tuo valore
da ogne creatura, com' è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.

Vegna ver' noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s'ella non vien, con tutto nostro ingegno.

Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de' suoi.

Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s'affanna.

E come noi lo mal ch'avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.

Nostra virtù che di legger s'adona,
non spermentar con l'antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.

Quest' ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro».

Così a sé e noi buona ramogna
quell' ombre orando, andavan sotto 'l pondo,
simile a quel che talvolta si sogna,

disparmente angosciate tutte a tondo
e lasse su per la prima cornice,
purgando la caligine del mondo.

Se di là sempre ben per noi si dice,
di qua che dire e far per lor si puote
da quei c'hanno al voler buona radice?

Ben si de' loro atar lavar le note
che portar quinci, sì che, mondi e lievi,
possano uscire a le stellate ruote.

«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi
tosto, sì che possiate muover l'ala,
che secondo il disio vostro vi lievi,

mostrate da qual mano inver' la scala
si va più corto; e se c'è più d'un varco,
quel ne 'nsegnate che men erto cala;

ché questi che vien meco, per lo 'ncarco
de la carne d'Adamo onde si veste,
al montar sù, contra sua voglia, è parco».

Le lor parole, che rendero a queste
che dette avea colui cu' io seguiva,
non fur da cui venisser manifeste;

ma fu detto: «A man destra per la riva
con noi venite, e troverete il passo
possibile a salir persona viva.

E s'io non fossi impedito dal sasso
che la cervice mia superba doma,
onde portar convienmi il viso basso,

cotesti, ch'ancor vive e non si noma,
guardere' io, per veder s'i' 'l conosco,
e per farlo pietoso a questa soma.

Io fui latino e nato d'un gran Tosco:
Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre;
non so se 'l nome suo già mai fu vosco.

L'antico sangue e l'opere leggiadre
d'i miei maggior mi fer sì arrogante,
che, non pensando a la comune madre,

ogn' uomo ebbi in despetto tanto avante,
ch'io ne mori', come i Sanesi sanno,
e sallo in Campagnatico ogne fante.

Io sono Omberto; e non pur a me danno
superbia fa, ché tutti miei consorti
ha ella tratti seco nel malanno.

E qui convien ch'io questo peso porti
per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia,
poi ch'io nol fe' tra ' vivi, qui tra ' morti».

Ascoltando chinai in giù la faccia;
e un di lor, non questi che parlava,
si torse sotto il peso che li 'mpaccia,

e videmi e conobbemi e chiamava,
tenendo li occhi con fatica fisi
a me che tutto chin con loro andava.

«Oh!», diss' io lui, «non se' tu Oderisi,
l'onor d'Agobbio e l'onor di quell' arte
ch'alluminar chiamata è in Parisi?».

«Frate», diss' elli, «più ridon le carte
che pennelleggia Franco Bolognese;
l'onore è tutto or suo, e mio in parte.

Ben non sare' io stato sì cortese
mentre ch'io vissi, per lo gran disio
de l'eccellenza ove mio core intese.

Di tal superbia qui si paga il fio;
e ancor non sarei qui, se non fosse
che, possendo peccar, mi volsi a Dio.

Oh vana gloria de l'umane posse!
com' poco verde in su la cima dura,
se non è giunta da l'etati grosse!

Credette Cimabue ne la pittura
tener lo campo, e ora ha Giotto il grido,
sì che la fama di colui è scura.

Così ha tolto l'uno a l'altro Guido
la gloria de la lingua; e forse è nato
chi l'uno e l'altro caccerà del nido.

Non è il mondan romore altro ch'un fiato
di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi,
e muta nome perché muta lato.

Che voce avrai tu più, se vecchia scindi
da te la carne, che se fossi morto
anzi che tu lasciassi il 'pappo' e 'l 'dindi',

pria che passin mill' anni? ch'è più corto
spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia
al cerchio che più tardi in cielo è torto.

Colui che del cammin sì poco piglia
dinanzi a me, Toscana sonò tutta;
e ora a pena in Siena sen pispiglia,

ond' era sire quando fu distrutta
la rabbia fiorentina, che superba
fu a quel tempo sì com' ora è putta.

La vostra nominanza è color d'erba,
che viene e va, e quei la discolora
per cui ella esce de la terra acerba».

E io a lui: «Tuo vero dir m'incora
bona umiltà, e gran tumor m'appiani;
ma chi è quei di cui tu parlavi ora?».

«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani;
ed è qui perché fu presuntüoso
a recar Siena tutta a le sue mani.

Ito è così e va, sanza riposo,
poi che morì; cotal moneta rende
a sodisfar chi è di là troppo oso».

E io: «Se quello spirito ch'attende,
pria che si penta, l'orlo de la vita,
qua giù dimora e qua sù non ascende,

se buona orazïon lui non aita,
prima che passi tempo quanto visse,
come fu la venuta lui largita?».

«Quando vivea più glorïoso», disse,
«liberamente nel Campo di Siena,
ogne vergogna diposta, s'affisse;

e lì, per trar l'amico suo di pena,
ch'e' sostenea ne la prigion di Carlo,
si condusse a tremar per ogne vena.

Più non dirò, e scuro so che parlo;
ma poco tempo andrà, che ' tuoi vicini
faranno sì che tu potrai chiosarlo.

Quest' opera li tolse quei confini».
"Padre nostro, che sei, che stai, nei cieli,
non in quanto in essi rinchiuso, ma per l'amore più profondo
che nutri nei confronti delle tue prime creazioni, i cieli e gli Angeli,

siano lodati il tuo nome e la tua potenza
da ogni creatura, come è giusto
che si ringrazi il tuo spirito pieno d'amore.

Arrivi a noi la pace del tuo regno,
perché altrimenti non riusciremmo a conquistarla da soli,
se non fosse lei a venire da noi, anche mettendoci tutto il nostro ingegno.

Come i tuoi Angeli sacrificano la loro volontà
per te, e cantano osanna in tuo onore,
lo stesso facciano gli uomini con la propria di volontà.

Dacci oggi il nostro cibo quotidiano,
senza il quale, attraverso questo difficile deserto, chi più si
affatica per andare avanti, di più andrà invece indietro.

E come noi perdoniamo a tutti il male che ci è stato fatto,
tu perdona noi, che sei naturalmente predisposto a fare del
bene, e non giudicarci sulla base dei nostri meriti.

La nostra virtù, che così facilmente si lascia abbattere,
non metterla alla prova con le tentazioni dell'eterno nemico,
il demonio, ma liberaci invece da lui, che con le sue tentazioni incita la nostra virtù a compiere il male.

Questa ultima preghiera, Signore caro,
non te la rivolgiamo per nostro interesse, non avendone più
bisogno, ma a favore di coloro che sono sopravvissuti a noi, sono rimasti sulla terra."

Così, pregando per la loro e per la nostra buona sorte,
quelle anime procedevano schiacciate sotto il peso,
simile a quello, a quel senso di oppressione, che talvolta si prova in sogno,

tormentate in misura diversa, a seconda del peso sostenuto,
tutte disposte in cerchio e stremate, su per la prima cornice,
purificandosi dalla sporcizia del mondo che le aveva intossicate.

Se di là, nell'Aldilà, ci si pronuncia sempre a nostro favore,
di qua cosa si potrebbe fare e dire a loro favore, da parte di
coloro che hanno una predisposizione a fare del bene?

Devono essere aiutati a lavarsi da quelle macchie
che si portarono dietro dal mondo dei vivi, così che, pulite e
leggere, possano uscire e volare fino ai cieli stellati.

"Possano la giustizia e la misericordia divina liberarvi presto
dal peso che dovete sostenere, così che possiate volare
ed innalzarvi in cielo come è vostro desiderio,

mostrateci da quale parte si può procedere più in fretta
verso la scala che porta alla seconda cornice; e se esistono più
passaggio, indicateci quello che sale meno ripido;

perché costui, che procede al mio seguito, per il peso
di quel corpo di carne ed ossa che porta ancora con sé,
fatica, nonostante tutta la sua buona volontà, a salire."

Le loro parole, in risposta a quelle
pronunciate dalla mia guida,
non sembravano provenire in particolare da una di loro;

ma qualcuna disse: "Verso destra, lungo la parete del monte,
venite insieme a noi, e potrete raggiungere quel passaggio
attraverso il quale può salire anche una persona viva.

E se non me lo impedisse questo sasso che
doma la mia testa da uomo superbo,
costringendomi a procedere con il capo chino, a testa bassa,

costui, che è ancora in vita e non si è ancora presentato,
guarderei in viso, per vedere se lo conosco,
e per cercare di impietosirlo con il peso che mi opprime.

Da vivo sono stato italiano, figlio di un nobile uomo toscano:
mio padre si chiamava Guglielmo degli Aldobrandeschi:
non so se il suo nome vi è noto.

Il fatto di appartenere ad una famiglia nobile e le imprese
cavalleresche dei miei antenati, mi resero tanto arrogando
che, dimenticando che siamo tutti figli dalla stessa madre,

disprezzai ogni altro uomo a tal punto che la mia superbia
mi portò alla morte, come sanno bene i senesi
ed anche ogni bambino di Campagnatico.

Io sono Omberto; e la superbia non ha recato danno solo
a me, perché anche tutti i miei consanguinei
sono stati da lei trascinati nella rovina.

Sono ora costretto a portare questo peso a causa della mia
superbia, finché Dio non riterrà che io abbia ripagato il giusto
debito con lui qui tra i morti, non avendo fatto in tempo a farlo quando ero ancora tra i vivi.

Per riuscire ad ascoltarlo meglio, abbassai anch'io la testa; ed
uno di loro, non quell'anima che stava parlando, non Omberto,
si contorse sotto il peso che ne impediva i movimenti,

riuscì a vedermi, mi riconobbe e mi chiamò,
tenendo con grande fatica i propri occhi fissi su di me,
che procedevo ora insieme a loro anche io piegato in avanti.

"Oh!", chiesi io a lui, "non sei tu forse Oderisi,
motivo di gloria per Gubbio e per quell'arte, la miniatura,
che a Parigi viene chiamata enluminer?"

"Fratello", rispose allora lui, "sono molto più belle
le miniature dipinte da Franco Bolognese;
ora la fama è tutta sua, e mia solo in piccola parte.

In vita non sarei certamente stato così gentile da riconoscere
i meriti altrui, per il desiderio morboso
di essere il migliore a cui ho sempre puntato.

Per quella superbia subisco ora qui la giusta punizione;
e non sarei nemmeno già qui, ma sarei ora nell'antipurgatorio,
se, pur potendo ancora peccare, ancora in vita, non avessi rivolto il mio cuore a Dio e mi fossi pentito.

Oh, che vana gloria viene ottenuta con gli sforzi umani!
Come dura poco il verde sulla cima della pianta della fama,
se non sopraggiungono periodi poveri di cultura!

Cimabue ha creduto di poter rimanere il migliore
nell'arte della pittura, ma ora la fama spetta a Giotto,
così che il suo prestigio è ora quasi scomparso.

Allo stesso modo guido Cavalcanti ha tolto a Guido Guinizzelli
la fama, il primato, nell'arte della poesia; e forse è già nato
chi oscurerà poi la fama di entrambi.

La celebrità ricevuta al mondo non è altro che un soffio
di vento, ora soffia da una parta ed ora da una altra,
e cambia nome cambiando direzione.

Quanta fama potresti ancora avere in più se morissi
da anziano piuttosto che se fossi morto
ancora prima di riuscire ad imparare a parlare,

dopo che fossero trascorsi mille? Perché in confronto all'eternità,
è più breve di un battito di ciglia il tempo che il cielo più lento
impiega a compiere una rotazione completa (36000 anni).

La fama di quell'anima che procede
poco davanti a me, risuonò per tutta la toscana;
adesso ci si ricorda ancora di lui a malapena a Siena, la sua fama è più debole di un mormorio,

là dove è stato uno dei capi quando venne sconfitta
la violenta Firenze, che allora era tanto superba
quanto è invece adesso corrotta.

Uomini, la vostra gloria e simile al verde dell'erba,
che sparisce allo stesso modo in cui compare, ed a scolorirlo
è lo stesso sole che poco prima l'aveva fatto sbucare tenero dalla terra.

Parlai io a lui: "Le cose vere che stai dicendo mi incoraggiano
a comportarmi in modo umile, da buon cristiano, e mi liberi
così dal grave male della superbia; ma chi è colui di cui hai appena parlato?"

Rispose: "Lui è Provenzano Salvani,
e si trova qui tra i superbi perché fu tanto presuntuoso
da mettere le proprie mani su tutta Siena.

Ha camminato ed ancora cammina così, oppresso dal sasso,
senza riposo, dal giorno in cui è morto; deve ripagare Dio con
questa moneta chi in vita è stato troppo superbo."

Chiesi allora io: "Se uno spirito aspetta
prima di pentirsi l'ultimo istante della propria vita,
allora dovrà aspettare sotto questa cornice, e non potrà salire su, qui dove ci troviamo,

a meno di non essere aiutato dalle preghiere di persone in grazia
di Dio, che sia trascorso un periodo di tempo pari alla propria
vita; allora come è possibile che a lui sia stato concesso di salire?"

"Quando Provenzano era all'apice della propria fama", mi rispose
Oderisi, "per propria volontà si mise in mezzo alla Piazza del
Campo a Siena, senza provare alcuna vergogna;

e lì, per salvare dalla pena di morte un suo amico,
che era trattenuto nella prigione di re Carlo I,
si ridusse a chiedere l'elemosina, a mendicare.

Non ti dirò altro, e so che le mie parole ti risultano poco
comprensibili; ma passerà ancora poco tempo prima che i tuoi
concittadini faranno sì che tu possa comprenderne chiaramente il senso (della vergogna per essere ridotti a mendicare).

Questo suo gesto di umiltà gli permise di salire dall'antipurgatorio senza dover aspettare."



Riassunto


Versi 1-45
Dante, arrivato nella prima cornice del Purgatorio, sente le anime dei superbi recitare il Padre nostro. Nella loro preghiera, sottolineano la fragilità della natura umana e rivolgono un pensiero ai vivi, chiedendo che siano protetti dalle tentazioni del demonio e liberati da Dio. Virgilio, poi, si rivolge agli spiriti, domandando quale sia il percorso più agevole per far salire Dante, il cui corpo umano rappresenta un ostacolo maggiore.

Versi 46-72
Un'anima risponde alla richiesta di Virgilio, indicando la via migliore per proseguire. Si presenta poi come Omberto Aldobrandeschi, figlio di Guglielmo Aldobrandeschi. Egli racconta che l'onore della sua famiglia e la condotta esemplare del padre lo resero orgoglioso al punto da cadere nella superbia, che lo portò alla morte violenta nel castello di Campagnatico.

Versi 73-108
Una seconda anima prende la parola e si rivolge direttamente a Dante. Si tratta di Oderisi da Gubbio, celebre miniaturista. Nel suo discorso riflette sull'inconsistenza della gloria terrena, portando esempi concreti: il suo primato nell'arte della miniatura è stato superato da Franco Bolognese, più apprezzato di lui; similmente, Cimabue è stato sorpassato da Giotto, e Guido Guinizzelli da Guido Cavalcanti. Inoltre, Oderisi ipotizza che un poeta, forse già nato, possa superare entrambi i Guidi, alludendo a Dante stesso.

Versi 109-142
Per rafforzare il suo pensiero, Oderisi indica un'altra anima presente nella cornice: Provenzan Salvani, famoso in Toscana per aver sconfitto Firenze nella Battaglia di Montaperti, ma ormai quasi dimenticato. Dante si stupisce di trovarlo lì, anziché nell'Antipurgatorio, tra coloro che si pentirono in punto di morte. Oderisi spiega che Provenzan Salvani, al culmine del suo potere, compì un atto di straordinaria umiltà: chiese pubblicamente l'elemosina per liberare un amico incarcerato. Le parole di Oderisi, sebbene oscure, suggeriscono che Dante comprenderà meglio la vicenda ascoltando i suoi concittadini.


Figure Retoriche


v. 1 "Ne' cieli stai": Anastrofe.
v. 4 "Laudato sia 'l tuo nome": Perifrasi. Per indicare il figlio.
v. 4 "E 'l tuo valore": Perifrasi. Per indicare la potenza del Padre.
v. 6 "Al tuo dolce vapore": Perifrasi. Per indicare il soffio dello Spirito Santo.
vv. 10-12 "Come del suo voler li angeli tuoi fan sacrificio a te, cantando osanna, così facciano li uomini de' suoi": Similitudine.
v. 10 "Li angeli tuoi": Anastrofe.
v. 13 "Cotidiana manna": Anastrofe.
vv. 17-18 "E come noi lo mal ch'avem sofferto perdoniamo a ciascuno, e tu perdona benigno, e non guardar lo nostro merto": Similitudine.
vv. 26-27 "Andavan sotto 'l pondo, simile a quel che tal volta si sogna": Similitudine.
v. 26 "Pondo": Latinismo.
v. 35 "Mondi e lievi": Endiadi.
vv. 37-38 "Se giustizia e pietà vi disgrievi tosto": Metafora.
vv. 37-38 "Vi disgrievi / tosto": Enjambement.
v. 38 "Sì che possiate muover l'ala": Metafora. Per indicare l'ascensione al cielo.
v. 39 "Il disio vostro": Anastrofe.
vv. 43-44 "Lo 'ncarco / de la carne": Enjambement.
v. 44 "La carne d'Adamo": Perifrasi. Per indicare il corpo.
vv- 50-51 "Il passo / possibile": Enjambement.
v. 53 "Cervice": Sineddoche. Per indicare il capo.
v. 76 "E videmi e conobbemi e chiamava": Enumerazione.
v. 77 "Li occhi con fatica fisi": Iperbato.
vv. 77-78 "Fisi / a me": Enjambement.
vv. 86-87 "Disio / de l'eccellenza": Enjambement.
v. 91 "Oh vana gloria de l'umane posse": Apostrofe.
vv. 94-98 "Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura: così ha tolto l'uno a l'altro Guido la gloria de la lingua": Similitudine.
vv. 100-102 "Non è il mondan romore altro ch'un fiato di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi, e muta nome perché muta lato": Similitudine.
vv. 100-101 "Fiato / di vento": Enjambement.
v. 105 "Il 'pappo' e 'l 'dindi'": Onomatopea. Per indicare il cibo (pane) e i denari.
vv. 106-107 "Più corto / spazio": Enjambement.
vv. 106-108 "Ch'è più corto spazio a l'etterno, ch'un muover di ciglia al cerchio che più tardi in cielo è torto": Similitudine.
v. 111 "A pena in Siena sen pispiglia": Allitterazione della P e della S.
v. 111 "Pispiglia": Onomatopea.
vv. 113-114 "Che superba fu a quel tempo sì com'ora è putta": Similitudine.
vv. 115-116 "La vostra nominanza è color d'erba, che viene e va": Metafora.
vv. 122-123 "Fu presuntuoso / a recar": Enjambement.
vv. 125-126 "Rende / a sodisfar": Enjambement.
v. 136 "L'amico suo": Anastrofe.


Personaggi Principali


Omberto Aldobrandeschi
Omberto Aldobrandeschi è il primo spirito che incontriamo nel Canto XI del Purgatorio. Secondogenito di Guglielmo Aldobrandeschi, fu signore di Campagnatico, nella Maremma toscana, situata lungo la valle dell'Ombrone grossetano. Da questo luogo, Omberto organizzava incursioni contro i viandanti e, in particolare, contro i senesi, proseguendo la politica ostile verso Siena iniziata dal padre, ma con modalità ancora più spregiudicate. Questo atteggiamento arrogante lo portò alla morte nel 1259 per mano dei senesi. Le testimonianze sulle circostanze della sua uccisione variano: secondo Angelo Dei, un cronista del Trecento, Omberto fu soffocato nel suo letto da sicari senesi, mentre altre fonti, come un cronista anonimo e Benvenuto da Imola, riportano che morì valorosamente combattendo a cavallo nei pressi del suo castello a Campagnatico.

Nel contesto della prima cornice del Purgatorio, dove sono puniti i superbi, Omberto incarna l'orgoglio nobiliare. Appartenente alla prestigiosa casata degli Aldobrandeschi, conti di Soana e Pitigliano, il suo lignaggio lo aveva reso altezzoso e sprezzante verso gli altri uomini. Anche se in Purgatorio conserva un certo orgoglio per la sua discendenza, riconosce come la sua superbia abbia danneggiato lui stesso e la sua famiglia, che aveva dimenticato la comune origine dell'umanità. Pentito, accetta con umiltà la propria punizione.

Oderisi da Gubbio
Il secondo spirito con cui Dante dialoga nel Canto XI è Oderisi da Gubbio, celebre miniatore nato nella città umbra intorno al 1240. Attivo a Bologna tra il 1268 e il 1271, Oderisi potrebbe aver conosciuto Dante durante questo periodo. Secondo il Vasari, Oderisi si trasferì a Roma nel 1295 per lavorare ai codici della biblioteca papale e vi morì intorno al 1299. Nonostante sia considerato uno dei maggiori esponenti della miniatura romanica, non ci sono codici attribuibili con certezza al suo talento, e la sua opera rimane per lo più sconosciuta.

Nel Canto XI, Oderisi rappresenta la superbia intellettuale, ossia l'orgoglio legato alle capacità artistiche e creative. Dante stesso si riconosce colpevole di questo peccato, e Oderisi diventa la voce attraverso cui il poeta riflette sull'inconsistenza della gloria terrena. Con un lungo monologo, il miniatore esorta Dante ad abbandonare la vanità artistica, sottolineando come la fama umana sia transitoria. Dante, tuttavia, non critica l'arte in sé, ma l'autoesaltazione dell'artista che la realizza. Questo dialogo rappresenta un momento di autoriflessione per il poeta, che cerca di distaccarsi dall'ambizione personale.

Provenzan Salvani
Il terzo personaggio del Canto XI è Provenzan Salvani, figura di rilievo politico che viene introdotta attraverso il discorso di Oderisi da Gubbio. Nato a Siena intorno al 1220, Provenzano fu un influente capo ghibellino e abile condottiero. Nel 1259 divenne ambasciatore presso il re Manfredi e, poco dopo, assunse la guida della fazione ghibellina senese. Fu protagonista della Battaglia di Montaperti nel 1260, dove, con il supporto di Farinata degli Uberti, guidò i senesi alla vittoria contro i guelfi fiorentini. Dopo la battaglia, emerse una disputa con Farinata al Convegno di Empoli, durante il quale Provenzano sostenne la distruzione di Firenze.

Provenzano consolidò il proprio potere assumendo ruoli di rilievo, come quello di Podestà di Montepulciano nel 1262, fino a diventare dominus di Siena. Tuttavia, nel 1269, durante la Battaglia di Colle di Val d'Elsa, fu sconfitto e ucciso dal suo nemico Regolino Tolomei. La sua testa, mozzata e infilzata su una lancia, venne esibita come trofeo sul campo di battaglia.

Provenzan Salvani incarna la superbia del potere politico e, pur restando muto, è un esempio significativo di come la gloria umana sia effimera. Tuttavia, la sua figura simboleggia anche la misericordia divina: un gesto di carità e umiliazione, ovvero aver chiesto l'elemosina per salvare un amico imprigionato, gli permise di accedere direttamente al Purgatorio, evitando l'Antipurgatorio.

Curiosità
Dante stesso, per sua ammissione, si identificherebbe idealmente tra le anime della prima cornice del Purgatorio, dedicate alla purificazione dei superbi.


Analisi ed Interpretazioni


Il Canto XI del Purgatorio si svolge nella prima cornice, dove vengono puniti i superbi, coloro che in vita si macchiarono del primo e più grave dei sette peccati capitali. Questi spiriti sono i primi che Dante incontra nel regno purgatoriale, incarnando il meccanismo dell'espiazione che caratterizza questo luogo. L'espiazione si compone di due aspetti distinti: una pena fisica e una pena morale.

La pena dei superbi
La punizione fisica si manifesta nel portare un enorme macigno sul dorso, che costringe le anime a camminare lentamente e con la testa chinata. Questo peso varia in base alla gravità della superbia commessa e rappresenta un contrappasso per antitesi: come in vita i superbi tennero la testa alta per l'arroganza, ora sono obbligati a mantenerla bassa. La punizione morale, invece, si traduce nella costante riflessione sugli esempi di umiltà (incisi nella cornice) e di superbia punita (raffigurati sul pavimento), oltre che nella preghiera comunitaria del Padre nostro.

Questa preghiera, che apre il canto, è l'unica riportata integralmente nella cantica. Dante ne offre una parafrasi che pone l'accento sull'umiltà e sulla carità, evidenziando la limitatezza umana e la necessità di invocare Dio per la salvezza. Il testo si chiude con un invito a pregare per i vivi, affinché siano protetti dalle tentazioni e dal male, segno di una rinnovata attenzione altruistica delle anime, opposta all'egoismo che caratterizzava la loro vita terrena.

I protagonisti del canto
Dopo la preghiera, Dante e Virgilio incontrano tre esempi di superbia punita, ognuno dei quali rappresenta una diversa forma di arroganza: politica, familiare e artistica. Il primo a parlare è Omberto Aldobrandeschi, figlio di Guglielmo, un tempo potente e nobile, la cui superbia lo portò a disprezzare gli uomini non appartenenti al suo rango. Questo atteggiamento arrogante lo condusse a una morte violenta, causata probabilmente dai senesi, con i quali la sua famiglia era in conflitto. Omberto ammette apertamente le proprie colpe e riconosce che la sua pena è meritata.

Segue Oderisi da Gubbio, un maestro della miniatura che Dante aveva forse conosciuto a Bologna. Oderisi rifiuta il titolo di miglior miniatore, riconoscendo la superiorità del rivale Franco Bolognese, e riflette sull'effimerità della fama terrena. L'artista cita Cimabue, superato da Giotto, e Guido Guinizzelli, vinto da Guido Cavalcanti, e aggiunge che anche Dante sarà probabilmente superato da un poeta futuro. Oderisi sottolinea così l'inutilità di cercare la gloria terrena e invita a concentrarsi sulla salvezza dell'anima.

L'ultimo esempio di superbia è Provenzan Salvani, citato da Oderisi per dimostrare la fugacità della fama. Signore di Siena e vincitore nella battaglia di Montaperti, Provenzano si distinse per arroganza e ambizione, ma in un'occasione si umiliò pubblicamente chiedendo l'elemosina per liberare un amico prigioniero. Questo atto di umiltà gli permise di accedere direttamente alla prima cornice, evitando l'Antipurgatorio.

Dante e la superbia
Un elemento interessante del canto è il parallelismo tra Dante e i superbi. Il poeta, infatti, cammina con il capo chino accanto a loro, quasi a riconoscere di condividere lo stesso peccato. Egli stesso, in altri punti della Commedia, ammette di aver ceduto alla superbia, temendo la pena del macigno che già sente come un peso sul proprio animo. Questo tema emerge nel dialogo con Oderisi, che profetizza a Dante l'umiliazione dell'esilio, un'esperienza che lo costringerà a chiedere aiuto ai potenti, simile a quanto accaduto a Provenzan Salvani.

L'inclusione di Dante nel discorso sulla superbia non è casuale. Attraverso Oderisi, il poeta riflette sulla vanità della gloria artistica e sul valore della propria opera, che si distingue perché ispirata da Dio e destinata a un fine superiore. Tuttavia, Dante riconosce che anche la sua poesia è limitata e insufficiente a descrivere l'immensità delle visioni divine, dimostrando un umile riconoscimento della propria condizione umana.

In sintesi, il Canto XI del Purgatorio non solo descrive la pena dei superbi, ma invita a riflettere sull'umiltà come virtù essenziale per il cammino verso la redenzione. La superbia, presentata come il più grave dei peccati capitali, diventa l'occasione per esplorare il valore dell'umiltà, sia nelle azioni quotidiane che nell'ambito artistico e intellettuale.


Passi Controversi


I primi effetti menzionati al verso 3 si riferiscono alle prime creazioni di Dio, ovvero i Cieli e gli angeli. Nei versi 4-6, i termini "nome", "valore", e "vapore" sono stati interpretati come simboli della Trinità, ossia Padre, Figlio e Spirito Santo. L'aspro deserto citato al verso 14 è generalmente inteso come la Terra, piuttosto che il Purgatorio, visto che il monte è fisicamente situato sulla Terra. L'antico avversario è identificato con il demonio, come viene confermato anche in Purgatorio VIII, 95. Il termine "ramogna" al verso 25 ha origini incerte e può essere tradotto come "augurio" o "buona sorte". Al verso 49, "riva" si intende come la "parete" del monte. La "comune madre" di cui parla Omberto al verso 63 è probabilmente Eva, ma potrebbe anche essere intesa come la Terra. Per il verso 65, alcuni editori propongono una punteggiatura alternativa, "ch'io ne mori'; come, i Sanesi sanno", facendo riferimento al modo in cui Omberto è morto, con il significato sostanzialmente invariato. Il termine "Agobbio" al verso 80 rappresenta l'antica forma di Gubbio, derivata dal latino "Iguvium". "Alluminar" al verso 81 deriva dal francese "enluminer", che significa "miniare". Nei versi 89-90, Oderisi afferma che, pur avendo la possibilità di peccare (indicato con "possendo peccar"), si pentì, il che gli ha permesso di non restare nell'Antipurgatorio (era morto probabilmente nel 1299). I due Guido citati al verso 97 sono sicuramente Guido Guinizelli e Guido Cavalcanti, sebbene alcune interpretazioni suggeriscano anche Guittone d'Arezzo e Guinizelli, ma questa ipotesi è meno probabile. Il poeta alluso al verso 99 è probabilmente Dante, anche se l'espressione rimane vaga. Al verso 105, "pappo" e "dindi" sono parole infantili, che significano rispettivamente "cibo" e "denaro". Il "cerchio che più tardi in cielo è torto" al verso 108 si riferisce al Cielo delle Stelle Fisse, che, secondo le conoscenze astronomiche dell'epoca, compiva una rotazione completa attorno all'eclittica in 360 secoli. Il verso 109 ("colui che del cammin sì poco piglia") suggerisce che Provenzan Salvani cammina a passo lento, e quindi si avvantaggia poco rispetto a Oderisi. Infine, i "vicini" citati al verso 140 si riferiscono ai concittadini di Dante.

Fonti: libri scolastici superiori

Ultimi Articoli:

avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XXI di dante alighieri 26-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XX di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIX di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVIII di dante alighieri 24-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVII di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XVI di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XV di dante alighieri 23-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIV di dante alighieri 22-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XIII di dante alighieri 21-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XII di dante alighieri 20-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto XI di dante alighieri 19-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto X di dante alighieri 17-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto IX di dante alighieri 17-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VIII di dante alighieri 16-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VII di dante alighieri 16-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto VI di dante alighieri 14-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto V di dante alighieri 13-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto IV di dante alighieri 12-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto III di dante alighieri 10-11-2024
avatarParafrasi e analisi - divina commedia - canto II di dante alighieri 10-11-2024

Commenti:


Commenti Verificati Tutti i Commenti